«Ragazzi, ce l’ho fatta!
Poco fa ho baciato Reiko-chan!»
Quell’esclamazione
arrivò come un tuono alle orecchie del gruppo di ragazzi che si erano
radunati in fondo al pullman che stava per riportare la scolaresca
all’istituto dopo la gita. Un’eco di congratulazioni e di domande seguì
quella grande rivelazione affermata con gioia ed orgoglio da un ragazzino di
tredici anni, ormai convinto di essere diventato un uomo per la titanica
impresa in cui era riuscito baciando una compagna della sezione accanto alla
loro.
«Che invidia!» se ne
uscì un altro ragazzo, la fronte aggrottata, «Io non sono ancora riuscito a
baciare nessuna!»
«Per forza,» lo prese in giro un terzo con aria
spavalda, «con quella brutta faccia che ti ritrovi…»
Lui lo fissò indignato. «Non serve mica
essere belli per conquistare una ragazza!»
«Come no?» intervenne il coraggioso eroe del
giorno. «Guardate Tokiha-kun ed Okuzaki-kun: con quei bei visetti che si
ritrovano, hanno sempre la fila e ricevono decine di lettere d’amore alla
settimana. Non è forse così?» domandò, girandosi a guardare i due che se ne
stavano seduti in tutta tranquillità ad ascoltare la conversazione con
scarso interesse.
Takumi parve in lieve imbarazzo. «Beh… a dire
il vero…»
«E’ una gran seccatura» lo interruppe con uno
sbuffo Akira, l’aria annoiata, lo sguardo rivolto oltre il vetro del
finestrino accanto al quale era seduto. Anzi, seduta. Sì, perché Akira
Okuzaki in realtà era una ragazza, ed il solo a conoscere questo suo segreto
era proprio il suo migliore amico nonché compagno di stanza al dormitorio
della scuola, Takumi Tokiha, il quale non prestava molta attenzione a
bussare in bagno prima di entrare e di trovarvi la suddetta fanciulla in
abbigliamento decisamente poco presentabile. Non lo faceva con malizia,
affatto; semplicemente, era distratto di natura. Ed era stato giustappunto
per questa ragione che, sorprendendo Akira più nuda che vestita, si era
alfine reso conto che quello che reputava il suo compagno di stanza, in
verità era una fanciulla.
«Perché dici così?» chiese il ragazzo di
prima, non riuscendo a spiegarsi come potesse, un maschio, trovare seccante
essere circondato da ragazze così come succedeva ad Akira e Takumi.
«Perché le femmine sono terribili» ribatté la
graziosa Okuzaki, suscitando ilarità nel suo amico per ragioni che soltanto
lui poteva comprendere.
«Io pagherei per essere come te!» riprese
invece il tipo che, a quanto sembrava, non possedeva alcun fascino.
«Di’, Okuzaki-kun, ma tu l’hai mai baciata
una ragazza?» fu la candida domanda di uno del gruppo, che, poveraccio, non
poteva neanche immaginare cosa stesse per scatenare.
«Certo che no, idiota!» urlò Akira,
rivolgendo finalmente la propria attenzione al compagno per fulminarlo con
gli occhi – molto belli, certo, ma dallo sguardo terrificante, quando erano
furiosi come in quel momento.
Il ragazzo ebbe un piccolo sussulto ed
abbassò la testa con fare colpevole. «S-scusa, chiedevo per curiosità… Non
c’è bisogno di arrabbiarsi così…» farfugliò, mortificato, mentre Takumi si
mordeva le labbra per non ridere.
Ma proprio quando Akira stava per tornare ad
interessarsi al paesaggio fuori dal finestrino, un’altra domanda fece
arrestare la sua azione a metà.
«E tu, Tokiha-kun?»
Lui parve cascare dalle nuvole. «Uh?»
«Hai mai baciato una ragazza?»
Eccola, la domanda infingarda che fece
sobbalzare all’istante sia il giovane Tokiha che la sua amica Okuzaki. Un
timido, fugace scambio di sguardi riuscì a sfuggire all’attenzione degli
altri, e quando Akira scattò a fissare nuovamente fuori dal finestrino, il
viso arrossato, così come quello di Takumi, quest’ultimo tossicchiò per
schiarirsi la voce ed uno dei ragazzi lo incalzò di nuovo.
«Allora?» Takumi annuì impercettibilmente.
«Grande! E quando è successo?»
«Ehm…» tornò a tartagliare il giovane Tokiha,
lo sguardo basso. «Non molto tempo fa» confessò.
«Cavoli, però» prese a riflettere l’eroe del
giorno. «Ti facevo un tipo timido, e invece…»
«Ahah» rise un altro del gruppo. «Vista
l’indole tranquilla di Tokiha-kun, sono sicuro che sia stata la ragazza in
questione a prendere l’iniziativa!» Akira sussultò di nuovo, ma tacque, la
fragetta corta e scura schiacciata contro il vetro, gli occhi che a tratti
andavano a spiare nella direzione di Takumi.
«In effetti…» non poté fare a meno di essere
sincero questi. La sua amica alzò gli occhi al cielo.
«Scommetto che ti è saltata addosso, ti ha
inchiodato a terra e ti ha preso con la forza!» insistettero gli altri,
troppo entusiasti per farsi gli affari propri.
Colpita in pieno, Akira sprofondò lentamente
nel sedile, mentre Takumi non riuscì a nascondere un sorriso divertito. Ma
questa volta si astenne dal rispondere, per fortuna.
«E com’è stato?»
«Amaro.»
Impossibile descrivere la furia dipinta sulla
faccia della ragazza, tentata come non mai di mettere le mani attorno al
collo dell’amico come già le era capitato di fare una volta, in passato. A
salvare il giovane Tokiha fu il richiamo dell’insegnante che invitò tutti a
riprendere i propri posti: erano ormai pronti per la partenza.
«Mi spiace che fosse amaro» sibilò acida
Akira, palesemente offesa ed ossessionata dal paesaggio fuori. Takumi si
volse a guardarla con espressione serafica in volto, come se la cosa non lo
riguardasse. «La prossima volta ti metterò uno zuccherino in bocca, prima di
darti le medicine.»
«Perché, hai intenzione di darmele ancora in
quel modo?»
«Assolutamente no, stupido!» gracchiò lei,
sempre più rossa ed accaldata.
Takumi sorrise e scivolò lungo lo schienale
del sedile per poggiare la testa contro la sua spalla, facendola così
sussultare ancora, il cuore che le batteva forte in petto. «Dopotutto,»
rifletté il ragazzo dopo qualche attimo di silenzio, «era anche salato,
visto che piangevi.»
«Non posso farci nulla, se sei stupido»
rispose la ragazza a mo’ di giustificazione, la bocca nascosta dietro la
mano che le sorreggeva il mento.
«Però, nonostante questo,» sorrise ancora
Takumi, socchiudendo gli occhi chiari, come volesse abbandonarsi al sonno,
«è stato anche molto dolce.»
Tacque, ed anche Akira non disse più una
parola, nemmeno per sbraitargli contro un fragoroso “Vuoi deciderti?!”.
Tuttavia, il rossore sulle guance non le passò per un pezzo.