The City
THE CITY
The city never sleeps,
I hear the people walk by when it's late,
Sirens beat through my window cill,
I can't close my eyes,
Don't control what I'm into.
This town is alive,
With lights that blind keep me awake,
Put my hood up, unlace and tie,
The street fills my mind,
Don't control what I'm into
Era appena
atterrato a Londra. Dopo quasi cinque mesi di assenza, era finalmente a casa.
Anche se lui, per Londra, era più uno straniero, un viaggiatore. E, in effetti,
a causa del suo lavoro erano più i mesi che passava in giro per il mondo,
rispetto a quelli che trascorreva nella città. Prese posto nell’auto che era lì
all’aeroporto ad aspettarlo e mise su le sue amate cuffie. Pur essendo
parecchio tardi e nonostante la pioggia, dal suo finestrino di passeggero
riusciva a scorgere all’esterno la botta di vita che animava la città. Già,
perché Londra era da sempre la città che
non dormiva mai; persino a quell’ora le persone erano in giro a fare rumore.
Quella città era così diversa da tutte quelle che aveva visitato in America:
posti bellissimi, talvolta esotici, ma quella bellezza era nulla, nei confronti
di quella della sua Londra.
Ripercorse
mentalmente gli ultimi 200 giorni passati lontano da casa: concerti, feste,
programmi tv, premiazioni.. Tipica vita da cantante emergente. Eppure lui
avrebbe preferito trascorrere più tempo nella sua città, perché lo confortava,
perché lo aiutava sempre quando ne aveva bisogno.
Velocemente fu
scortato al suo piccolo appartamento.
Una volta rimasto
solo all’interno di esso, si buttò sul letto senza neppure togliersi i vestiti.
London calls me a stranger,
A traveller,
This is now my home, My home,
Burning on the back street,
Stuck here, sitting in the back seat,
And I'm blazing on the street,
What I do isn't up to you,
And if the city never sleeps then that makes two
Era stanco,
davvero tanto, ma gli risultava difficile prendere sonno con tutti i rumori
provenienti dall’esterno: passi pesanti sui marciapiedi, macchine che passavano
avanti e indietro lungo la strada, talvolta accompagnate dal rumore di clacson,
come se fosse pieno giorno. Da qualche parte, non molto lontano da lì, si
sentiva la musica pompata a tutto volume nelle casse di un qualche locale
ancora aperto.
Riusciva persino
a sentire i cori di qualche ragazzo ubriaco che ancora vagabondava in giro alla
ricerca di casa.
Improvvisamente il
rosso si alzò, afferrò la chitarra e le chiavi di casa e si fiondò fuori, in
strada.
Se non poteva
dormire, almeno si sarebbe messo a riflettere facendo ciò che più amava.
The pavement is my friend,
It'll take me where I need to go,
If I find it trips me up,
And puts me down,
This is not what I'm used to
Si alzò il
cappuccio della sua enorme felpa sulla testa e iniziò a vagare per i vicoli
poco illuminati che caratterizzavano la sua strada; era un po’ inquietante
vagare così, al buio, a quell’ora di notte, ma in un certo senso era la forza
dell’abitudine.
Arrivò alla sua
meta, un piazzale vecchio illuminato da un solo lampione, circondato da case
diroccate e inabitabili, dalla reliquia di quello che era stato il negozio in
cui faceva rifornimento di caramelle da bambino e un decrepito e minuscolo
discount che rimaneva in piedi per miracolo, ma era sempre aperto.
The shop across the road,
It fills my needs and keeps me company,
When I need it,
Voices beat through my walls,
I don't think I'm gonna make it,
Past to-mor-roow
Si diresse all’entrata
pericolante di quest’ultimo, vagò tra gli scaffali alla ricerca di due
bottiglie di birra, pagò velocemente e torno fuori, la chitarra appesa alla sua
schiena.
Andò a sedersi
proprio sotto a quell’unico lampione storto, sperando che non decidesse di
crollare proprio quella notte.
Dopo aver aperto
entrambe le bottiglie col fedele portachiavi, prese un sorso di birra e, mentre
questa gli scorreva ancora amara lungo la gola, si portò la chitarra in grembo.
Prese a suonare
note casuali e scomposte, usando il suo primo plettro.
Mentre automaticamente
le sue dita componevano una nuova melodia, gli venne improvvisamente in mente
il giorno in cui si trasferì in quella magica città.
London calls me a stranger,
A traveller,
This is now my home, My home,
Burning on the back street,
Stuck here, sitting in the back seat,
And I'm blazing on the street,
What I do isn't up to you,
And if the city never sleeps then that makes two
Era poco più che
un bambino, allora, con la purezza di chi ha trascorso la vita in campagna, tra
vecchie cascine, animali e terreni agricoli.
Aveva preso
piuttosto bene l’idea di trasferirsi a Londra; non aveva mai visitato la città.
Suo padre era
stato assunto in fabbrica, visto che il lavoro nei campi non gli permetteva più
di mantenere la famiglia; per Ed fu forse la notizia più bella dell’infanzia.
I primi giorni in
città furono come un sogno: centri commerciali, pubs, cinema, teatri.. erano
ovunque!
Ogni volta che
vedeva qualcosa di nuovo doveva strofinarsi per bene gli occhi, per essere
sicuro di essere sveglio e non avere le allucinazioni.
Quando poi ebbe
preso l’abitudine a tutta quella grandezza e bellezza, però, si rese conto che
non era tutto come in un sogno.
Aveva iniziato la
scuola, com’era giusto che fosse, e non era riuscito a trovare nessuno con cui
parlare.
I bambini
cresciuti in città parlavano spesso di fumetti, cartoni animati visti di
recente al cinema, biglie.. Lui s’intendeva di cavalli, era espertissimo
riguardo la coltura del grano e sapeva benissimo come funzionava la
riproduzione delle mucche, ma evidentemente non riusciva a trovare niente di
cui parlare con gli altri.
Lui era
considerato strano, diverso.
Era diverso il suo modo di vestirsi.
Parlava in modo diverso, ignorando il gergo in voga in
città.
Persino la sua
alimentazione era diversa.
A lui, in realtà,
non importava molto di non riuscire a comunicare con gli altri bambini della
sua età.
A volte, però, si
sentiva solo.
Il suo primo
regalo ricevuto in città, però, gli cambiò di nuovo la vita.
Suo padre era
riuscito a comprargli una chitarra di seconda mano; non era messa benissimo,
però era meglio di niente.
C’era voluto poco
a Ed per imparare a suonarla, e quella immediatamente colmò la sua solitudine.
Lui parlava con
la sua chitarra, con la sua musica, e ciò gli bastava.
Era riuscito a
superare in fretta l’essere divenuto adulto in tenera età a causa dei genitori
troppo impegnati col lavoro.
La sua musica era
costantemente con lui: quando veniva preso in giro, quando si ritrovava in
difficoltà davanti agli insegnanti, quando girava per strada e scorgeva sul
terreno le siringhe ancora fresche e sporche di qualcuno che aveva deciso di
rovinarsi la vita.
Era riuscito a
superare e tutto e a trasformare le sue preoccupazioni in musica.
And my lungs hurt,
And my ears bled,
With the sounds of the city life,
Echoed in my head,
Do I need this, To keep me alive?
The traffic stops and starts but I,
Need to move alone.
In realtà doveva
molto a quella città.
Nonostante il
rapporto di amore-odio, era solo grazie a lei se si ritrovava a suonare. Era grazie
a quella città se era riuscito a girare due continenti, esibendosi e vivendo
grazie alla sua passione.
Continuò a
suonare, quella notte era nata una nuova canzone.
Sentì i alcune
gocce di pioggia fresca appoggiarglisi sul viso, mentre i polmoni gli
bruciavano e le sue dita si muovevano imperterrite sulle sei corde.
Quella nuova
canzone parlava di sé, parla di Londra.
Riflesse sul
fatto che lui non sarebbe esistito senza la città, perché lui era la citta.
Continuava ad
essere irrimediabilmente uno straniero, ma sapeva che in fondo era quella casa
sua e il concetto veniva enfatizzato dal ritmo della pioggia e dai rumori della
città, che sembrano accompagnarlo in quella nuova melodia.
London calls me a stranger,
A traveller,
This is now my home, My home,
Burning on the back street,
Stuck here, sitting in the back seat,
And I'm blazing on the street,
What I do isn't up to you,
And if the city never sleeps then that makes two
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