Lo sguardo della Veritā

di Yeelah
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PROLOGO

La lama del coltello scavava, mangiava la corteccia del salice secolare, le fronde fendevano l’aria come spade, mentre il ragazzo, coperto dal manto nero come l’inchiostro di una delle notti più tenebrose che quel luogo avesse nella memoria, agiva in segreto, lasciando tracce evanescenti del suo percorso, indizi che solo una mente pura avrebbe saputo decifrare. L’unica luce era la torcia che il giovane teneva nella mano destra. Con la sinistra intagliava qualcosa sul legno, segni bizzarri, linee e cerchi, curve sinuose che a fatica venivano in superficie sulla corteccia frastagliata dell’albero. La sua pelle bianca luccicava ed entrava in contrasto coi capelli corvini. I polsi erano sfregiati e il dorso della mano destra era decorato da un tatuaggio che si estendeva dalla base del polso fino alla punta delle dita: era un simbolo apparentemente religioso, la tinta nera faceva in modo che l’arto sembrasse parte di un tessuto arabesco, una fiaba orientale, la storia più antica del mondo ormai dimenticata dalla mente dell’uomo, custodita gelosamente dagli ultimi in possesso di quel segreto. Alla base del salice, dei fili dorati, ricami eleganti sul tappeto erboso, mani di fanciulla ormai inerti toccavano una pietra divorata dal muschio. Il sangue, scarlatto, colorava la camicia da notte candida della ragazza che giaceva accoltellata al suolo freddo di quella foresta seminascosta, lontano dalle luci della città, dal trambusto di quella vita frenetica che aveva accartocciato l’ultimo frammento di silenzio. In un mondo in cui tutto ormai è a portata di mano, dove non serve che un apparecchio elettronico per andare a capo di qualsiasi mistero, era questo che lui cercava: gli omicidi erano l’unico modo che aveva per cercare l’eletto.

Colui capace di scoprire la verità, il contatto che c’era tra quelle uccisioni di vergini e la Setta. Finalmente aveva finito. Le luci dell’alba arrossavano le foglie degli alberi, ravvivavano quel sangue che sporcava la foresta. Il ragazzo accese una sigaretta. Aspirò una boccata e buttò fuori il fumo dalle labbra carnose. Il tabacco e la nicotina entrarono nei suoi polmoni facendoli bruciare. Con il coltellino si procurò un’altra incisione sul polso sinistro. Quando la sigaretta finì, la spense sulla fronte pallida della giovane morta. Occhi vitrei color cielo lo fissarono per l’ultima, agghiacciante volta, per poi sparire nella nebbia mattutina. Il rombo di una motocicletta svegliò i gufi, dormienti e silenziosi spettatori di quel macabro rito. Il fumo della marmitta si mescolò a sangue e rugiada. L’odore di morte penetrava nelle narici e impregnava tutto ciò che di vivo rimaneva nella foresta, mentre un oscuro arcano si preparava a venire a galla.




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