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Un amore tutto… mio
Una lacrima scende solitaria
e dispettosa sul mio volto: oggi l’insegnante ha portato i compiti corretti, e
l’esito è stato il solito. Lo so che non dovrei piangere per un brutto voto, ma
è più forte di me: io ce la metto davvero tutta, ma sembra quasi che il mio
cervello si rifiuti di collaborare.
Le mie amiche si sono offerte
più e più volte di aiutarmi, eppure neanche con loro sono riuscita a ottenere
oltre un misero quaranta.
Dopo questo ennesimo
fallimento, pensavo mi avrebbero seriamente rimproverata, e invece si sono
limitate a scrollare le spalle e sostenere che la prossima volta mi sarei dovuta
impegnare di più.
Dopo scuola, mi sono scusata
con loro dicendo di avere un tremendo mal di testa, e ho evitato la consueta
sosta al Crown. Devono avermi creduta, perché di solito non rinuncio mai
alla mia dose di zuccheri quotidiana…
Ora sono qui, seduta in
questa vecchia panchina del parco, ad attendere qualcosa di indefinito. Mi
andrebbe bene qualunque cosa, purché riuscisse a farmi stare meglio.
Guardo intorno a me i bambini
correre felici sulle altalene, o le giovani mamme che portano a passeggio i loro
figli, ancora troppo piccoli per poter essere lasciati liberi di correre da
soli.
Ricordo com’era bello, anni
prima, potermi divertire senza preoccuparmi dei voti scolastici, avendo solo il
desiderio di una bella giornata di sole, da trascorrere all’aria aperta.
Un sorriso appare sul mio
volto, anche se credo sia più simile a una smorfia malinconica.
“Ehi, Odango! Come mai non
sei al Crown con le tue amiche? Motoki ti ha, finalmente, sbattuto
fuori?”
Riconoscerei la sua voce tra
mille.
Ci mancava solo l’essere più
antipatico del pianeta per completare la giornata! Lui, Mamoru Chiba, nato solo
per dar fastidio a me.
Sbuffo silenziosamente, non
volendogli dare la soddisfazione di vedermi reagire alla sua provocazione.
Decido di ignorare la sua
presenza accanto a me, e continuo a fissare i bambini che giocano.
Come se niente fosse, lui,
l’odioso, prende posto accanto a me.
“Allora, Odango? Hai perso
l’uso della parola? O ti sei dimenticata come si fa a parlare, dato che usi la
bocca solo per mangiare?”
Sento gli occhi pizzicarmi,
ma non posso piangere; non davanti a lui almeno!
Faccio un respiro profondo e
mi volto a guardarlo dritto negli occhi.
“Punto primo: mi chiamo
Usagi. U-sa-gi! Capito, stupido che non sei altro? Punto secondo: non sono
affari tuoi quello che faccio durante le ore libere dallo studio. Posso anche
aver deciso io di non andare da Motoki, oggi. Ci sono cose ben più importanti
del cibo, sai?”
Credo di averlo lasciato
senza parole con la mia ultima affermazione, ma ben gli sta.
Invece, scoppia a ridere di
cuore, provocandomi un moto di irritazione ben più forte della tristezza di poco
prima.
“Tu che sostieni ci siano
cose più importanti di un gelato è più esilarante di una barzelletta. Odango,
hai deciso di farmi morire dal ridere?”
Mi alzo, per nulla
intenzionata a lasciarmi prendere in giro da lui. “Almeno riuscirei a liberare
la Terra da un essere come te.”
“Cos’è?” continua lui,
ignorando il mio, per niente gentile, commento. “Hai capito che stai diventando
una balenottera e hai deciso di correre ai ripari?”
Non sono grassa, almeno non
credo, eppure il commento al mio aspetto fisico mi ha fatto crollare.
“Stupido!” urlo, non
riuscendo più a tenere sotto controllo le mie emozioni. “Non capisci niente.
Possibile che nessuno di voi capisca niente?”
Stavolta non ride più, ma mi
guarda inebetito, come se venissi da un altro pianeta.
Non cerco neanche più di
trattenere le lacrime, e non mi importa che un giorno lui potrà usare questa
situazione contro di me.
Voglio solo tornare a casa
mia, e invece mi trovo, senza capire come, abbracciata al mio peggior nemico.
Inizio a singhiozzare come
una bambina che è stata appena privata del suo giocattolo preferito, e avverto
appena le sue mani sulla mia schiena.
Quelle carezze hanno un
effetto calmante e, dopo un periodo di tempo che a me sembra un’eternità,
finalmente mi separo da lui. Avverto su di me il suo sguardo indagatore, e
lentamente ritorno a sedermi sul freddo metallo della panchina.
“Un brutto voto” confesso
prima ancora che lui possa domandare qualcosa.
Inarca un sopracciglio, e
credo non ritenga possibile che un’insufficienza abbia quest’effetto su di me.
“E cos’altro?” chiede
infatti.
Mi guardo le mani, giocando
leggermente con le unghie. “E basta” rispondo, senza esserne convinta. “Insomma,
oggi ho preso un voto che definire pessimo è un complimento, e la sola cosa che
hanno fatto le mie amiche è stato sospirare comprensive, dicendo che andrà
meglio la prossima volta…”
Mi fermo e lo guardo,
cercando di capire cosa gli frulli nella mente: quando è pensieroso come ora,
con quelle piccole rughe sulla fronte corrucciata, sembra davvero carino, ma
dentro di me temo che il suo prossimo commento sarà un ennesimo insulto verso di
me.
“Lascia stare” commento
infine, stanca di aspettare una sua parola riguardo il mio problema. “tanto lo
sapevo che non avresti potuto capire.”
“Ma, esattamente, cos’è che
ti disturba?”
La sua domanda mi coglie
impreparata: certo, un’insufficienza a scuola è diventata un’abitudine per me, e
non mi ha mai sconvolta come oggi; la verità, e solo ora me ne rendo conto, è
che per tutti sembra che io non possa fare nulla per migliorare…
Non esterno questa mia
conclusione con Mamoru: potrebbe davvero prendermi per folle!
“Secondo me, non vogliono
pressarti, ma sanno comunque tu riuscirai a farcela da sola, prima o poi”
commenta semplicemente, e mi domando se abbia una qualche facoltà telepatica.
“È da sciocchi, vero?”
sorrido pensierosa, decidendo di dire al mio peggior nemico esattamente ciò che
penso. “È solo che oggi ho avuto la sensazione che loro sapessero da sempre che
non potrò mai ottenere buoni risultati a scuola.”
“Non dire così” mi
rimprovera. “Puoi ottenere tutto ciò che desideri, ma devi volerlo davvero…”
Sbuffo, contrariata al
pensiero che anche Mamoru possa pensare che non mi impegni abbastanza nei
compiti. “Ma guarda che io ce la metto tutta!” esclamo.
Ride, ma non la percepisco
come una risata offensiva. “Magari non hai trovato il metodo giusto” commenta
subito dopo. “O forse è l’insegnante che non ti sa dare le motivazioni per
migliorare.”
Faccio spallucce, ripensando
alle molteplici ore di studio a casa di Rei, e alle spiegazioni
particolareggiate di Ami sulle equazioni di secondo grado.
Rimaniamo silenziosi qualche
minuto, ognuno perso nei propri pensieri.
“Se ti dicessi che credo di
poterti aiutare, accetteresti?” mi domanda, lasciandomi perplessa.
Pondero le sue parole:
un’offerta di aiuto non si nega mai, ma se fosse solo una trappola? Se questa
sua improvvisa e sospetta gentilezza fosse solo un trucco per trovare altre
scuse per prendermi in giro?
In effetti, questa situazione
ha del surreale: Mamoru Chiba ed io non siamo mai andati d’accordo, mentre ora
siamo qui, seduti una accanto all’altro, a parlare tranquillamente dei fatti
miei.
“Non saprei” ammetto, e mi
pento quasi subito di quella risposta. Ora sicuramente ritirerà la sua offerta,
e io rimarrò a piangermi addosso per tutto il resto dell’anno scolastico, se non
oltre.
“Avanti, Odango” insiste
invece. “Che cos’hai da perdere?”
Mi sorride, e mi accorgo che,
quando non fa lo stupido, è davvero carino.
Sospiro, e prima che qualche
altra cosa possa sfuggirmi dalle labbra, accetto il suo aiuto.
“Bene: ci vediamo domani dopo
la scuola. Sai come raggiungere la biblioteca centrale, vero?”
Reprimo l’impulso di chiedere
da quando i città ci sia una biblioteca e faccio segno di sì con la testa.
Alza una mano accennando a un
saluto e mi lascia sola, ancora un po’ stordita per lo strano verso che ha preso
la giornata.
Mi sento meglio, e anche se
non lo voglio ammettere so che il merito è tutto di Mamoru; provo una bella
sensazione di leggerezza e, con una nuova speranza in più verso il domani, me ne
torno a casa.
*
Apro gli occhi prima del
suono della sveglia e in pochissimi minuti raggiungo mia madre in cucina,
intenta a preparare la colazione per tutti.
Quando si rende conto della
mia presenza, è come se avesse visto un fantasma, interrompendo ciò che sta
facendo e fissandomi con le mani ferme a mezz’aria.
“’Giorno, ma’” saluto e
afferro una fetta di pane tostato dal piatto che regge in mano.
“Stai bene?” mi domanda, e si
tranquillizza quando le sorrido e addento il mio toast.
Non faccio in tempo a
inghiottire il primo boccone, che sulla porta compare papà: “Ikuko, cara: è
davvero la nostra Usagi quella che vedo seduta a tavola?”
Ammetto che questi loro
commenti un po’ di disturbano: va bene che non sono una figlia modello, ma
perché ogni volta che faccio qualcosa di diverso ci si preoccupa per la mia
salute? Non posso forse decidere di cambiare, una volta tanto?
Esattamente come ieri,
reprimo l’impulso di sbuffare e torno a concentrarmi sulla colazione: non capita
tutti i giorni di poter mangiare con tranquillità, prima di correre a scuola.
Bevo il mio succo d’arancia
e, con calma, sistemo i piatti sporchi nel lavello.
Saluto i miei genitori,
ancora increduli per aver trascorso una mattinata in santa pace, senza le mie
urla di sottofondo, e mi preparo per uscire.
In effetti, non ho dormito
molto, questa notte: ho riflettuto parecchio su quanto successo ieri, dal brutto
voto alla proposta di Mamoru, e anche alle reazioni delle persone che amo…
Per la verità, la serenità
con cui tutti hanno appreso della mia insufficienza mi ha demoralizzata e non
poco: anche mamma e papà non hanno avuto altra reazione che scrollare le spalle,
mentre mi sarei aspettata almeno un rimprovero; temo che anche loro pensino che
non sia in grado di fare meglio…
E la cosa strana è che Mamoru
Chiba, il mio acerrimo nemico, sembra essere la sola persona che crede in me e
nelle mie capacità! Beh, magari anche lui cambierà idea, dopo oggi pomeriggio…
Non mi stupirei più di tanto, nel caso accadesse.
Con una calma che non mi
appartiene, mi incammino vero scuola, e per la prima volta riesco a scambiare
qualche parola con i miei compagni prima della campanella!
Faccio finta di non notare i
loro sguardi stralunati nel vedermi, e prendo posto accanto a Naru.
“Usagi, ti hanno forse
buttata già dal letto oggi?”
“Naru, non ti ci mettere
anche tu” sbuffo poggiando la testa sul banco.
Non voglio essere antipatica,
ma non ce la faccio a sentire altre battute simili… proprio no.
“Scusa” mormora, portando una
mano a sistemarsi i capelli scuri dietro l’orecchio, “è solo che non è da te
arrivare presto. E poi, hai una faccia che assomiglia a quella degli zombie…”
Decido di tenere a freno la
lingua e le sorrido: “In effetti, non ho dormito molto” spiego, “e così non è
stato difficile alzarmi presto.”
Sembra soddisfatta della mia
risposta, e per fortuna entra l’insegnante, dando così inizio alla mattinata di
studio.
Le ore di lezione scorrono
più lente del solito e accolgo la campanella dell’ultima ora come una
liberazione.
Aspetto che anche Ami, Minako
e Makoto siano pronte per uscire, anche se mi sento ancora seccata per i loro
commenti di ieri, e una volta uscite in cortile prendo da parte Ami: in qualche
modo dovrò pur arrivare alla biblioteca, no?
“Eh? Usagi, sei sicura di ciò
che mi stai chiedendo?”
Sbuffo contrariata a questa
sua domanda e non nascondo la mia irritazione. “Perché ti sembra strano che io
voglia andare in biblioteca? Mi reputi davvero una stupida?”
Oddio! L’ho detto veramente!
Non volevo essere così acida, ma è solo che mi sento decisamente stressata oggi…
Ami abbassa lo sguardo,
mortificata, e vorrei abbracciarla per dire che non è colpa sua per il mio
caratteraccio di oggi, ma subito lei mi sorride e, lentamente, inizia a
spiegarmi come raggiungere la biblioteca.
La ringrazio e, con un cenno
di saluto alle altre, mi incammino nella direzione indicatami.
“Per caso c’è qualche evento
particolare in biblioteca?” domanda Ami alle altre due e, anche se sono di
spalle, avverto i loro sguardi interrogativi puntati su di me.
Ma non ho tempo per fermare a
spiegare tutto a loro: se non mi sbrigo, arriverò in ritardo, e devo
concentrarmi assolutamente per non perdermi!
Attraverso il parco,
invidiando i bambini che giocano e, ancora di più, le coppiette che passeggiano
mano nella mano: quanto mi piacerebbe avere qualcuno con cui trascorrere le
giornate, dopo la scuola… a parte le mie amiche, si intende.
Mi piace stare con loro,
anche se a volte mi fanno arrabbiare con le loro battute; è solo che, a sedici
anni, vorrei avere qualcun altro accanto a me.
Sogno da sempre come sarà il
mio fidanzato ideale: deve esser pronto a tutto per difendermi, dolce, romantico
e gentile, ma anche in grado di farsi rispettare, coraggioso, forte… insomma, un
vero principe azzurro, come quello delle favole!
Sognando ad occhi aperti la
mia futura vita con lui, eccomi arrivata di fronte l’edificio in mattoni rossi
descrittomi da Ami.
Salgo i pochi scalini che mi
separano dall’ingresso e seguo la lunga guida marrone sul pavimento, fino ad
arrivare al bancone, dietro il quale alcuni impiegati lavorano al computer.
“Buon giorno!” saluto,
rivolta a una signorina con gli occhialetti buffi. Beh, non è che siano proprio
buffi: semplicemente, il taglio delle lenti, ovali e leggermente allungate verso
l’alto, mi fanno pensare a una vecchia istitutrice di scuola privata, come
quelle di una volta, che si vedono nei film, mentre lei sembra una ragazza poco
più grande di me, e la sua espressione è gentile…
Senza dire una parola, mi
guarda e mi consegna una scheda bianca, su cui annotare l’argomento della mia
ricerca.
“Ehm, no” la richiamo,
“veramente non mi serve un libro. Sto cercando un mio… amico” spiego, storcendo
mentalmente il naso alla parola amico. Ma, dopotutto, come altro potrei
definire Mamoru? “Dovevamo studiare insieme.”
“Capisco” dice, alzandosi
dalla sedia e raggiungendomi dall’altro lato del bancone. “Puoi entrare in sala
lettura, ma fa’ attenzione a non disturbare gli altri.”
Mi scorta fino a una porta in
legno, alla nostra destra, e una volta dentro trattengo il fiato per l’immensità
della stanza: è enorme, e le pareti sono tutte ricoperte di arazzi; i tavoli
sono molto lunghi, con circa otto sedie disponibili attorno ad esso - escludendo
i capotavola -, ma in ognuno sono sedute al massimo due persone. Attraverso
lentamente il corridoio centrale, guardandomi a destra e a sinistra alla ricerca
di Mamoru, ma di lui non sembra esserci traccia.
“Ehi, Mamoru?” chiamo a bassa
voce, dubitando che possa sentirmi, nel caso fosse già arrivato.
Non ottenendo nessuna
risposta, provo a chiamarlo di nuovo, stavolta un po’ più forte.
Come risposta, ottengo solo
una serie di mormorii che mi invitano al silenzio.
Mi avvicino a ognuno dei
presenti, cercando di vederli meglio in viso, e chiamo ancora una volta.
“Signorina, qua c’è qualcuno
che sta cercando di leggere!” sbotta un tizio dall’altra parte della sala.
“Vogliamo fare silenzio?”
dice un altro, e in pochi istanti sembra esserci una rivoluzione.
La signorina a cui avevo
chiesto aiuto all’ingresso appare alla porta, sicuramente richiamata dalle urla
che ormai invadono la stanza.
“Che diavolo succede?”
domanda cercando di sovrastare il caos creatosi. “Le avevo chiesto di non fare
confusione, mentre cercava il suo amico!”
“Mi… mi scusi” balbetto, “ma
non riesco proprio a trovarlo, e così ho pensato che chiamandolo piano…”
“Piano?” Ehi! Ora mi fa anche
il verso! “Ma se ha creato il finimondo, qua dentro!” Poi si rivolge ai
presenti, domandando scusa per il disturbo e invitandoli a tornare alle loro
occupazioni, che di me se ne sarebbe occupata lei personalmente.
Senza troppe cerimonie, mi
afferra per il braccio e mi invita a seguirla fuori.
“Le sarei grata se volesse
lasciare l’edificio…”
Eh? Accipicchia come è
antipatica! A ben pensarci, quegli occhiali le stanno proprio bene!
“Odango!”
“Mamoru, sei in ritardo!” lo
rimprovero, ignorando la signorina che, ancora, mi sta tenendo per il braccio.
“Per colpa tua, mi stanno cacciando dalla biblioteca!”
Sembra confuso e guarda ora
me ora la donna che ho accanto. “Non è possibile” dice e inizia a ridere. Sembra
che si diverta un sacco, perché iniziano a scendergli anche le lacrime!
Sbuffo seccata per la
situazione che si è venuta a creare, pensando seriamente di rifiutare il suo
aiuto, quando lui si ricompone e, con uno sguardo quasi sensuale, che non gli
avevo mai visto prima, si avvicina all’impiegata: “Potrebbe chiudere un occhio,
per oggi? Sa, la ragazza ha qualche disturbo” e si tocca la testa… starà mica
insinuando che sono pazza?! “Prometto che me ne occuperò io personalmente.”
Sento la presa attorno al
braccio allentarsi. “Va bene, se me lo chiede così gentilmente… Ma cerchi di
stare attento.”
Mamoru le sorride e,
gentilmente, mi accompagna a un tavolo nella zona più isolata della stanza.
Mentre attraversiamo il
corridoio avverto gli occhi di tutti puntati su di me, ma mi sento sicura ora
che c’è Mamoru: è molto alto, e sono sicura che non permetterà a nessuno di
dirmi qualcosa di troppo… o forse no?
Cominciamo subito a studiare,
e stranamente non accenna all’episodio di poco fa. Meglio per me, no?
Trascorriamo oltre due ore a
parlare di variabili, equazioni e sistemi, argomenti che stranamente sembrano
attecchire nella mia mente.
Quando termino il secondo
esercizio, senza errori, mi stiracchio sulla sedia e per poco non lo colpisco
sul naso. Non mi ero accorta di esser tanto vicina a lui.
Arrossisco e torno a fissare
le mie mani, mentre Mamoru corregge i compiti.
“Bene, Odango” commenta
infine, richiudendo il quaderno, “sembra che, dopotutto, ci sia ancora speranza,
per te.”
Mi sorride e sembra davvero
orgoglioso di quanto ho fatto oggi.
“Grazie a te.”
Sospira, e sembra sul punto
di dire qualcosa, ma poi cambia idea, limitandosi a chiudere i libri e ad
alzarsi dalla sedia.
“Vieni: ti accompagno a
casa.”
Usciamo in strada, e mi
meraviglio di come si sia fatto tardi.
Provo a defilarmi dal dover
stare ancora in sua compagnia, benché devo ammettere che non è stato il disastro
che credevo, ma lui è molto più cocciuto di me: “Non è il caso che te ne torni a
casa da sola: è tardi, il sole è calato da un pezzo, e ormai ho deciso che ti
accompagnerò a casa.”
Mi indica la sua macchina
scura parcheggiata dall’altro lato della strada; una volta dentro, mette in modo
e subito un delicato suono di pianoforte invade l’abitacolo.
“Bach” spiega. “Se non ti
piace, possiamo cambiare.”
“No, va bene” rispondo, e in
effetti è una melodia niente male. Mi rilasso e quasi mi addormento, cullata dal
movimento dell’auto sulla strada.
Mamoru non dice una parola, e
solo quando arriviamo sotto casa mi accorgo che non mi ha neanche chiesto
l’indirizzo.
Scendo svogliatamente dalla
macchina e ringrazio nuovamente per la sua disponibilità.
“È stato un piacere, Odango.
Ci vediamo domani, al solito orario. E cerca di non farti cacciare un’altra
volta dalla biblioteca!”
Non riesco neanche a
rispondere a tono, che scoppia a ridere. Per tutta risposta, non mi resta che
fargli una linguaccia e voltargli le spalle stizzita.
Prima di chiudere la porta
dietro di me, do un’altra occhiata alla macchina e mi sembra quasi di vederlo
sorridere in mia direzione. Parte e io resto impalata alla porta, osservando
l’auto diventare sempre più piccola.
Entro in casa, dove mi
aspetta mia madre e il suo interrogatorio su chi fosse quel bel giovanotto che
mi ha accompagnata fin qui.
Rapidamente, le spiego che si
tratta di un amico che si è offerto di aiutarmi a studiare e la aiuto a
preparare la cena.
Un’altra giornata è conclusa,
e tutto il malumore di questa mattina si è dissolto nel nulla.
Domani chiederò scusa alle
mie amiche, e svelerò il mistero che mi ha spinta in biblioteca oggi.
Credo che, dopotutto, nessuno
di loro creda che io sia una stupida, e mi vergogno per averlo anche solo
pensato. Osservo ancora una volta il mio quaderno dei compiti, e sono contenta
dei risultati ottenuti in un solo pomeriggio: se continuerò così, presto
riuscirò a ottenere una media più alta, e non dovrò più temere i compiti in
classe!
Sì, decisamente questa
giornata è migliorata, e sono sicura che le prossime andranno sempre meglio!
*
È da più di due settimane che
i pomeriggi li trascorro con Mamoru in biblioteca, e stranamente la cosa non mi
pesa affatto.
Anzi, ho scoperto tante cose
nuove su di lui, che non avrei mai neanche potuto immaginare: ad esempio, non
sapevo che non avesse più i genitori. Mi sento triste per lui, ma nello stesso
tempo lo ammiro: è riuscito a superare le difficoltà che la vita gli ha
presentato, senza per questo sentirsi vittima degli eventi.
Certo, ora si spiega il suo
carattere difficile, dato che ha dovuto lottare sempre contro tutto e tutti per
farsi valere, e sono contenta di potergli stare vicino, anche se è solo per i
compiti.
“Com’è andato l’appuntamento
galante di ieri?” domanda Minako mentre, sedute al tavolino del Crown,
beviamo i nostri frappé.
“Non era un appuntamento
galante” rettifico, con indifferenza.
Neanche dieci giorni fa, le
avrei certamente risposto in modo poco garbato, mentre ora tutto il nervoso che
avevo sembra esser svanito nel nulla.
“Sì, sì. Secondo me la tua è
solo una scusa per stare con lui.”
Lancio un’occhiata complice
alla biondina di fronte a me, commentando semplicemente “E va bene. Mi hai
scoperta: la verità è che io in matematica vado benissimo, e voglio solo stare
un po’ di tempo sola con Mamoru, che amo alla follia, e almeno altre venti
persone nella sala letture della biblioteca.”
Scoppiamo a ridere entrambe,
anche se riconosco che la mia battuta non fosse un granché.
La nostra ilarità non
contagia le altre amiche: Ami è troppo concentrata a leggere una dispensa di
fisica, mentre Makoto sembra decisa a scovare l’ingrediente segreto della torta
di noci, tanto da averne mangiate già due fette degustandole con un’attenzione
quasi maniacale; dal canto suo, Rei è indaffarata nella preparazione di qualche
altro braccialetto portafortuna da vendere al santuario. Ho sempre ammirato le
sue doti artistiche e ammetto di essere un po’ invidiosa di lei.
In realtà, sono invidiosa di
tutte le mie amiche: ognuna di loro sa fare qualcosa di particolare, chi con il
cibo, chi con dei pezzi di stoffa, chi con la propria voce o intelligenza,
mentre io non sono brava a fare niente di eccezionale…
“Ehi! Usagi? Sei ancora con
noi?”
“Uh?” Makoto richiama la mia
attenzione, e mi accorgo di essermi imbambolata a fissare Rei.
“Sicuramente sta dormendo a
occhi aperti, come al solito” dice quest’ultima, ma il sorriso che le increspa
la bocca mi fa intendere che non lo dice seriamente.
“Stavo chiedendo se anche
oggi vedrai il tuo insegnante privato.”
Annuisco e guardo l’orologio:
tra poco più di un’ora devo incontrarmi con lui per ripetere quanto fatto fino
ad ora, anche se è sabato, e non ho molta voglia di studiare.
“Mi complimento con te,
Usagi” fa Ami, visibilmente compiaciuta. “Finalmente ti stai impegnando nello
studio, e sono certa che ti piacerà talmente tanto, questa sensazione di
conoscenza, che non ne potrai più fare a meno.”
Dovrei dirle che, superato il
prossimo compito in classe, la matematica potrà andare ad affogarsi a mare? Uhm,
no: lasciamola illudersi un altro po’, anche perché poi partirebbe con la solita
predica sull’utilità di farsi una cultura, e così via…
“Ragazze, devo salutarvi: il
nemico mi aspetta” annuncio dopo circa mezz’ora, alzandomi dalla sedia e
prendendo le mie cose. “Se sopravvivo, ci vediamo domani.”
Senza fretta percorro la
strada che ormai è diventata familiare; arrivata in biblioteca, saluto i pochi
impiegati del sabato pomeriggio e mi dirigo silenziosamente al solito tavolo.
Mamoru mi sta già aspettando, e noto stranamente che non si è ancora spogliato
del cappotto.
“Vedo che stai imparando a
essere puntuale” sussurra quando mi vede.
Gli faccio la linguaccia, e
prendo posto, fingendomi offesa, accanto a lui.
“Che ne dici se oggi bigiamo
le ripetizioni e ci concediamo un pomeriggio di relax?”
“Eh?”
“Ma sì: stai andando molto
bene, e possiamo permetterci un po’ di pausa.”
Che bello! Non sarò costretta
a stare chiusa a studiare il sabato pomeriggio!
“Certo che mi va!” esclamo.
Mi rialzo dalla sedia, rischiando di farla cadere, tanta è la foga che ho di
uscire in strada, e afferrò Mamoru per il braccio, trascinandolo quasi di peso
verso l’uscita.
Resto aggrappata a lui come
un koala all’eucalipto anche dopo che siamo usciti, ma la cosa non sembra
disturbarlo. In verità, non disturba neanche me…
“Tra l’altro” dice, una volta
saliti in macchina, “c’è una mostra interessante da visitare…”
Oh, no! Ci sono cascata in
pieno: fuori dalla biblioteca per chiuderci in un noiosissimo museo.
Sbuffo, ma lui sembra non
accorgersene, e continua a guidare come se niente fosse.
“Eccoci arrivati” comunica
dopo appena dieci minuti di tragitto.
Strano: non siamo al museo,
ma di fronte a uno dei più antichi edifici della città.
Mi lascio guidare da Mamoru
fino al piano della mostra, e faccio di tutto per far trapelare il mio
risentimento per la trappola che mi ha tesa l’essere più antipatico del pianeta.
Accidenti! Vorrei prendermi a
schiaffi per essermi lasciata fregare come una poppante!
Sento che tra un po’ inizio a
piangere per la mia stupidità.
A capo chino supero la porta
d’ingresso e, annoiata, inizio a guardarmi intorno…
Oddio! Sono morta e sono in
paradiso!
Sento sì gli occhi
pizzicarmi, ma non per rabbia o frustrazione: attorno a me, ci sono moltissimi
stand dedicati alla storia della cioccolata, con possibilità di assaggi gratuiti
di tutti i gusti possibili del favoloso dolce!
“Mamoru, possiamo davvero…?”
balbetto, facendo vagare lo sguardo da una parte all’altra dell’immensa sala.
Ride della mia confusione, ma
in questo momento gli permetterei qualunque cosa senza batter ciglio.
Assaggio tutto ciò che è
commestibile, e non mi preoccupo del mal di pancia che dovrò sopportare per il
resto della serata, e anche della notte: è tutto troppo buono, e non riesco a
trattenermi.
“Cioccolato al peperoncino”
leggo avvicinandomi a uno stand con un disegno di un vulcano in eruzione sullo
sfondo.
“Fossi in te, non lo
proverei.”
Scuoto la testa. “Ho detto
che devo assaggiare tutto, e lo farò!”
Ringrazio la signora
paffutella che mi porge un bon-bon nero e mi ficco il dolce in bocca.
“Brucia!” urlo
immediatamente, e afferro il fazzoletto che Mamoru, piegato in due dalle risate,
mi porge.
Andiamo al distributore
dell’acqua e ne bevo tre bicchieri, riuscendo a placare la sensazione di fuoco
che ho alla bocca.
“Potevi avvertirmi del
pericolo, stupido che non sei altro!” inveisco, anche se so che lui ha provato a
fermarmi.
Per tutta risposta, Mamoru mi
prende per mano e continuiamo il nostro tour alla scoperta del cioccolato,
fermandoci solo un minuto per acquistare un paio di gazzose con cui accompagnare
la degustazione.
“Grazie della bella sorpresa”
mormoro quando mi riaccompagna a casa.
“Te l’avevo detto che ci
vuole un po’ di riposo, ogni tanto.”
Lo guardo e mi sembra di
vederlo per la prima volta: è più rilassato del solito, quasi felice…
Mi sento leggermente in
imbarazzo, perché è come se stesse terminando un appuntamento, e non un
pomeriggio di studio.
Dopotutto, come altro si
potrebbe chiamare un pomeriggio passato a mangiare cioccolata insieme, in uno
degli edifici storici più belli della città?
Come ci si comporta, in
questi casi? Devo uscire dall’auto rapidamente, permettendogli di tornare a
casa? O forse sarebbe più educato rimanere a parlare un po’?
Se fosse un film, a quest’ora
potrei invitarlo a salire a casa mia, offrirgli qualcosa e ringraziarlo per la
bella giornata. Ma non è un film, e non so proprio cosa fare!
“Direi che ci vediamo lunedì,
per riprendere con lo studio.”
Annuisco, e mi sento delusa
per questa sua fretta di salutarci.
“Grazie ancora, Mamoru.”
Ecco, la giornata in sua
compagnia è terminata, e vorrei poter fermare il tempo… Che mi prende? Io odio
Mamoru; è il mio nemico numero uno. Eppure, questa giornata vorrei non finisse
mai.
Mi faccio coraggio, e gli
schiocco un bacio sulla guancia.
Da quando sono così audace?
Prima che possa rendermene
conto, sento le sue labbra premere sulle mie.
Appena realizzo il contatto,
mi stacco rapidamente dalla sua presa e lo guardo confusa. È stato il mio primo
bacio, ma è successo troppo in fretta. Non volevo che succedesse così!
Sento gli occhi riempirsi di
lacrime e scendo dalla macchina quasi correndo.
“Usagi!”
Non mi volto, e rientro in
casa ignorando volutamente i suoi richiami.
Saluto i miei, scusandomi per
il ritardo, e mi chiudo in camera mia, adducendo a un leggero mal di stomaco
come scusa per la mia inappetenza. Perché mi ha baciata? E perché io non l’ho
preso a schiaffi, ma sono solo corsa in casa?
Mi affaccio alla finestra
della camera e vedo la sua auto ferma ancora dall’altro lato della strada.
Riesco a immaginarlo seduto
al posto di guida, mentre fissa il vuoto davanti a sé.
Vorrei perdonarlo per il
bacio che mi ha rubato, ma non ci riesco: il mio primo bacio avrebbe dovuto
essere molto più dolce, magari con una bella musica di sottofondo, in un posto
speciale, in modo da potermelo ricordare per sempre. Non in una macchina. E non
da Mamoru!
Con rabbia rimetto le tende
al loro posto e spengo la luce.
Mi ficco sotto le coperte,
cercando con tutta me stessa di non pensare a lui, finché il sonno non mi
sorprende.
*
Finalmente è lunedì.
Mi sento letteralmente a
pezzi: ieri è stata una giornata tremenda, tra il terzo grado di mia mamma su
dove ho trascorso il pomeriggio di sabato, e l’irritazione per quanto accaduto
con Mamoru.
Già: Mamoru.
Oggi dobbiamo ricominciare a
studiare insieme…
Accidenti! Vorrei non doverlo
vedere così presto, ma non posso fare altrimenti.
“Cosa c’è, Usagi? È da ieri
che sei stranamente pensierosa” domanda Ami, scrutandomi attentamente.
Mi sforzo di sorridere.
“Niente, davvero. Sono solo un po’ stanca…”
“Non hai dormito bene per
caso?” fa eco Minako. “Hai un brutto segno scuro sotto gli occhi: assomigli alla
protagonista de La notte degli zombie…”
“Grazie, Minako: tu si che
sai come far sentire meglio una persona.”
Le ore di lezione mi sembrano
più lunghe del solito, ma per fortuna arrivo sana e salva al termine della
scuola.
Potrei tirare un sospiro di
sollievo, se non fosse che mi aspettano altre due ore se non oltre in compagnia
di Mamoru…
Saluto tutti e mi incammino,
con estrema lentezza, verso la biblioteca.
Mamoru ancora non c’è, ma so
che spunterà da un momento all’altro.
Inizio a scarabocchiare
qualcosa sul quaderno, quando arriva.
Mi saluta come se nulla fosse
successo, ma io non riesco a buttarmi tutto alle spalle, e per il resto del
pomeriggio me ne sto a debita distanza.
Sono distratta, e questo si
nota anche negli esercizi che svolgo: commetto un errore dietro l’altro, anche
dei più elementari, col risultato di sonori rimproveri da parte di Mamoru.
Che ci posso fare io, se non
riesco a concentrarmi?
“Se continui così, Usagi,
credo che non potrò far nulla per aiutarti. Stiamo solo perdendo tempo.”
Che cosa? Mi vuole piantare
così?
“Scusa” mormoro, anche se non
ho niente di cui scusarmi.
“Dannazione, Usagi! Non devi
chiedere scusa a me. Non è per me che studi, ma per te stessa.”
Mi sembra di sentire Ami e la
sua solita ramanzina.
“Non mi hai lasciata finire;
dicevo: scusa se rubo il tuo tempo. Ma non ti preoccupare: possiamo rompere qua
il nostro accordo. Dopotutto, lo sapevamo entrambi che non avrebbe funzionato…”
Raccolgo le mie cose e faccio
per andarmene, ma risento afferrare per un braccio.
“Torna a sederti.”
“Ma se hai appena detto…”
“Non ho detto che non voglio
aiutarti. Perciò, ricominciamo da dove eravamo rimasti.”
*
Non mi piace studiare in
questo modo: avverto troppa tensione tra noi due, e per questo invece di andare
avanti, peggioro ogni giorno che passa.
Mamoru non mi è neanche di
grande aiuto, e da una settimana a questa parte sembra quasi che non gli
interessi neanche molto di me.
Io vorrei poter ricominciare
tutto da capo, come se l’episodio della settimana scorsa non fosse successo, ma
prima vorrei che ammettesse di aver commesso una stupidaggine!
Tra l’altro, vorrei anche
capire perché mi ha baciata: non sono il suo tipo, e lui di certo non è il mio,
con la sua aria arrogante e presuntuosa…
Eppure, lo vedo cambiato. È
più serio del solito, e mi parla con una freddezza che non aveva mai avuto nei
miei riguardi, neanche prima del nostro accordo…
Come mi piacerebbe poter
tornare indietro nel tempo e cancellare quella giornata trascorsa a mangiare
cioccolata insieme!
“Lui ti piace” commenta
Makoto mettendomi davanti un piatto pieno di biscotti allo zenzero.
“Non è vero.”
Inarca un sopracciglio, per
niente convinta dalla mia risposta. “E allora perché sei qui da oltre un’ora e
non sei al Crown a bere il tuo frappé preferito?”
“Che c’entra il Crown
adesso?” domando, sapendo già la risposta: anche Mamoru frequenta il locale, di
tanto in tanto, e non mi va di doverlo incontrare più del necessario.
Un sospiro indolente mi esce
dalle labbra. “Dici che dovrei chiarire la situazione, vero?”
“Lui non ha fatto niente di
male, Usagi. Ha semplicemente esternato un suo sentimento per te. Non dovresti
essere tanto dura…”
Annuisco, afferrando un altro
biscotto. In effetti, non ha torto: da una settimana non vado più a trovare
Motoki, col risultato che a turno una delle mie amiche mi deve sopportare a casa
sua ogni giorno, prima dei miei appuntamenti con Mamoru.
“Si è fatto tardi, Mako-chan.
Devo proprio andare…”
Arrivo in biblioteca e noto
già Mamoru è al tavolo.
“Scusa il ritardo” mormoro, e
tiro fuori dalla borsa i quaderni e il libro per cominciare a studiare.
“Dobbiamo parlare, Usagi.”
“Vuoi dirmi che possiamo non
vederci più?” domando, e la mia voce si incrina impercettibilmente. Speriamo non
se ne sia accorto…
“No. Volevo scusarmi con te
per… per quanto accaduto sabato scorso.”
“Mamoru…”
Alza la mano per
interrompermi. “Sono stato un egoista, e non ho pensato che, agendo d’impulso
come ho fatto, avrei ferito i tuoi sentimenti. Scusami. Non accadrà più un
simile episodio.”
“Ok.”
Sospira e serra per un
istante gli occhi. Poi torna a fissarmi. “Che ne dici se oggi proviamo con
qualcosa di nuovo? Se ci fossilizziamo sui soliti argomenti, non andremo mai
avanti…”
Beh, sembra che tutto sommato
non sia tanto stupido: ammettere i propri errori è un buon segno.
Però c’è qualcosa che non mi
piace delle sue scuse: ha detto chiaro che un episodio come quello dell’altra
sera non si ripeterà. Ma… se io non volessi una simile promessa?
Basta, Usagi! Concentrati!
Devo decidere cosa voglio, e
in questo momento è più urgente riuscire a superare il compito della prossima
settimana!
*
Oggi finalmente potrò vedere
i frutti del mio impegno, e sono decisa a fare tutto ciò che è in mio potere per
non fallire!
Abbiamo due ore di tempo per
completare il compito, ma temo che non mi siano sufficienti: ho una tale
confusione in testa, e tutti i numeri si confondono tra loro, tanto che non so
neanche da dove cominciare.
Poi mi tornano in mente le
parole di Mamoru: “Chiudi gli occhi, respira profondamente, e focalizza la tua
attenzione su un solo esercizio alla volta”.
Faccio come mi ha suggerito
lui, e improvvisamente i numeri tornano al loro posto, permettendomi di iniziare
a lavorare.
Purtroppo le due ore
terminano prima che io possa concludere il compito, e mi sento talmente
demoralizzata che potrei far paura persino ai fantasmi, con la mia faccia…
“Avanti, Usagi: ce l’hai
messa tutta, e sono certa che almeno la sufficienza l’hai raggiunta” cerca di
consolarmi Ami, seguita dalle altre, ma è tutto inutile.
Stancamente, mi trascino fino
al Crown, dove decido di affogare la mia disperazione un una mega-coppa
di gelato, con panna e caramello.
Sono circondata dalle mie
amiche, e ognuna di loro cerca di consolarmi come meglio può: Minako mi promette
di farmi incontrare tutti i ragazzi più carini della scuola; Makoto dice che
preparerà una carrellata di biscotti allo zenzero solo per me, e che quando
aprirà una pasticceria tutta sua sarò la sua assaggiatrice ufficiale; Rei si
offre di farmi tutti i bracciali e amuleti per la buona sorte che conosce; Ami
continua a ripetermi che il compito era particolarmente ostico, e che anche lei
ha dovuto faticare parecchio per portarlo a termine.
Sorrido dei loro tentativi,
ma non riesco a sentirmi meglio.
“Grazie ragazze, ma credo che
me ne andrò a casa e ficcherò la testa sotto il cuscino almeno per i prossimi
mille anni.”
Mi spiace che si preoccupino
per me, ma non riesco proprio a esser fiduciosa, oggi.
E come se non bastasse, ho
deluso Mamoru. Credeva in me, e io l’ho deluso, così come ho deluso tutti gli
altri…
Cammino a testa bassa, e
senza volerlo eccomi giunta alla biblioteca.
Sorrido tristemente: ormai è
diventata un’abitudine venire fin qui, dopo la scuola e la breve sosta al locale
di Motoki. Solo che oggi non ci sarà la lezione con Mamoru, anzi temo che non ci
rivedremo tanto spesso, più.
Accidenti, ora perché piango?
Non è forse un bene essersi liberate di quell’essere antipatico che vive solo
per darmi fastidio?
“Odango, finalmente sei
arrivata.”
Non ci credo! Mi volto verso
l’ingresso della biblioteca e mi trovo faccia a faccia con l’oggetto dei miei
pensieri.
“Cosa c’è che non va?”
domanda, avvicinandosi e asciugandomi le lacrime con la mano.
Dal giorno della promessa,
siamo diventati quasi amici, e in questo momento ho bisogno di un quasi-amico
con cui sfogarmi.
Andiamo insieme al parco,
dove ha avuto inizio il nostro sodalizio, e gli racconto tutto, dalla buona
volontà, alla voglia di non fallire, fino alla certezza matematica - che humor
discutibile che ho, oggi - di aver combinato un disastro e il timore di averlo
deluso.
“Se ce la metti tutta, io non
posso fare altro che essere fiero di te.”
Lo dice con un’espressione
che mi fa venire la pelle d’oca; rabbrividisco, e sento il braccio di Mamoru
poggiarsi sulle mie spalle, come a volermi proteggere da un freddo che solo io
sento.
Decido di potermi fidare di
lui fino in fondo, ed esterno i miei timori di non essere niente di speciale in
confronto alle mie amiche.
“Questo non è vero.”
“Ma non ho alcun talento!
Tutte loro sono eccezionali in qualcosa, mentre io…”
“Tu sai amare, Usagi” e la
sua risposta mi spiazza completamente. “Sai donare felicità senza chiedere
niente in cambio; sei riuscita a farmi sorridere più di una volta, e senza
neanche accorgertene hai regalato un po’ di colore alla mia vita, fino a ora
sempre in bianco e nero. Tu sei speciale, Usagi. E, nella tua specialità, non te
ne rendi conto.”
Non so cosa mi spinge a farmi
leggermente più vicina a lui, se le sue parole, o il mio bisogno di un contatto
più profondo con qualcuno. Fatto sta che gli afferro il viso e sfioro le sue
labbra con le mie.
Il contatto tra noi dura
pochi istanti e, col viso in fiamme, mi separo da lui, dandogli le spalle.
Mi vergogno da morire di
questo mio atteggiamento, e temo che non vorrà più vedermi: prima faccio
l’offesa perché mi ha baciata senza preavviso, e ora io ho fatto lo stesso con
lui.
“Devo tornare a casa.”
Mi alzo dalla panchina senza
provare a guardarlo negli occhi.
“Usagi…” mi chiama, e sento
quasi una nota di supplica nella sua voce.
Mi giro leggermente verso di
lui. “Ci… ci vediamo.”
Che cosa mi è preso? Sto
perdendo completamente il lume della ragione, da quando frequento Mamoru; e,
quel che è peggio, dopo questo nuovo episodio e relativa mia fuga, non vorrà più
vedermi, mentre io vorrei poter stare sempre con lui…
Vorrei poter confessare i
miei timori a qualcuno, ma non so chi possa fare al caso mio: Ami direbbe che
per il ragazzi c’è tempo, Makoto sosterrebbe che a fidarsi troppo degli uomini
si corre sempre il rischio di essere deluse, Minako proverebbe a convincermi a
inserire il mio nome nella lista delle ragazze single più avvenenti della
scuola, e Rei… beh, lei una volta è stata innamorata di Mamoru, e non me la
sento proprio di parlarle delle mie pene d’amore…
Potrei provare a confidarmi
con Naru, ma ultimamente l’ho trascurata parecchio, e non voglio fare la parte
dell’opportunista, che la cerca solo quando ha bisogno di qualcosa.
Ritorno mestamente a casa e
aiuto a preparare per la cena.
“Tesoro, non stai bene? Non
hai quasi toccato cibo…”
Guardo mamma che,
preoccupata, mi fa notare come non abbia smesso un solo minuto di giocare con le
pietanza che ho nel piatto.
“Ikuko, lasciala stare:
evidentemente ha mangiato qualcosa prima di tornare a casa” le fa papà, anche se
credo non ne sia affatto convinto: infatti mi guarda di soppiatto, come a voler
provare a leggere nella mia mente e scoprire perché non ho gradito la cena.
Scuoto vigorosamente il capo
e mi concentro sulle polpette di riso. “Sto benissimo. E sono affamata!”
Mangio talmente in fretta che
rischio più di una volta di strozzarmi, ma non mi va di subire un terzo grado
dai miei genitori: sono già abbastanza confusa senza dover dare retta a nessuno…
Aiuto a sparecchiare, e non
litigo neanche un po’ con Shingo su chi debba andare a buttare la spazzatura,
comportandomi come la sorella maggiore e la figlia responsabile che non sono
stata fino ad ora.
Rientro in casa e mi chiudo
in camera, ma non riesco a evitare qualche domanda da parte di mamma.
“Usagi, se avessi qualche
problema, me ne parleresti, vero?”
“Certo, mamma.”
“Si tratta del compito di
oggi?”
“No, mamma.”
“Il tuo amico, Mamoru, è un
bravo insegnante?”
Il solo nome di Mamoru mi fa
battere forte il cuore, e ripensando al bacio di questo pomeriggio sento le gote
in fiamme.
“Si, mamma.”
Devo ricompormi, altrimenti
mamma non se ne andrà più dalla mia camera. Da quasi venti minuti passeggia per
il corridoio, fermandosi davanti alla mia camera e a turno mi fa sempre le
solite domande!
“Sono molto stanca, mamma.
Tutto qua.”
Non sembra convinta, ma
abbozza un sorriso ed esce, di nuovo, lasciandomi sola con i miei pensieri.
Prima che possa cambiare
nuovamente idea, mi fiondo a chiudere la porta; mi cambio e mi infilo sotto le
coperte.
Mi rigiro nel letto per gran
parte della notte, e nella mia mente solo l’azzurro dei suoi occhi a farmi
compagnia.
Ripenso alla giornata di
oggi, e il cuore manca un battito: ha detto che sono speciale, che gli ho
regalato il sole, e poi… poi le mie labbra hanno cercato le sue. Sfioro la bocca
con dita tremanti, cercando di ricordare il sapore del bacio.
Il primo bacio aveva il sapore del limone, il secondo aveva il sapore
delle sue labbra... che dopotutto lui sia un ragazzo speciale per me?*
Chiudo gli occhi e finalmente
il sonno sembra avvolgermi.
Domani sarà un nuovo giorno,
e prima di addormentarmi una preghiera sale spontanea alla mia bocca: “Mamoru,
sei tu il mio principe…”
*
Tre giorni! Tre giorni senza
avere sue notizie!
Ecco, lo sapevo che sarebbe
finita così: ho fatto la figura della stupida, e ora lui non mi vorrà neanche
più guardare in faccia!
Beh, neanch’io vorrei
vedermi, in questo momento: sembro la caricatura di un fantasma, e a nulla
servono i suggerimenti di Minako sul nascondere le occhiaie.
Anche se cerco di essere la
solita Usagi, le mie amiche mi conoscono più di chiunque altro; cercando di
tirarmi su il morale in tutti i modi, ma non sono molto d’aiuto.
“Usagi, pensa che oggi
riavremo i compiti!”
Grazie, Ami, ma ne avrei
fatto volentieri a meno…
“Sì, e so già come andrà a
finire” borbotto, poggiando stancamente la testa sul banco.
Solo questo mi serve:
un’altra insufficienza a sottolineare quanto non ne combini una giusta!
La professoressa entra subito
prima del suono della campanella, e come previsto da Ami ha i compiti corretti.
Mi porgono il mio, e quasi
non lo guardo nemmeno; poi, la curiosità di sapere quanto in basso sia riuscita
ad andare prende il sopravvento.
Ecco, lo sapevo: un misero
settantadue…
Un attimo. Stropiccio gli
occhi e rileggo il voto. Settantadue.
“Non è possibile” sussurro, e
sbatto le palpebre più e più volte. Sicuramente sto ancora dormendo; mi do un
pizzicotto e il leggero dolore mi fa capire che sono sveglia, e che il
settantadue scritto in rosso sul figlio non è un sogno.
Mamoru è riuscito a fare il
miracolo!
“Yuppy!” esulto, ottenendo
un’occhiata di rimprovero da parte della professoressa.
Ora il mio umore non è più
completamente nero, anche se vorrei poter far vedere al mio principe il
risultato ottenuto grazie a lui.
Già. Il mio principe… basta
questo pensiero per farmi rattristare di nuovo.
Chissà se gi interessa ancora
qualcosa di me, o se invece non vedeva l’ora di liberarsi dell’ottusa della sua
allieva…
Le ore di lezione volano come
foglie spazzate dal vento, e orgogliosa del mio compito di matematica, dopo
l’ultima campanella, insieme alle mie amiche mi dirigo verso il Crown: si
deve festeggiare!
Sono tutte contente per il
mio risultato, e riesco anche a sopportare il sermone di Ami sull’importanza
dello studio. Rei sembra quasi più soddisfatta di me, e per la prima volta la
vedo bere un frappé al cioccolato: di solito prende solo un frullato di banana,
e questo strappo alla regola la dice lunga…
“Aspetti qualcuno?” domanda
Mako-chan quando, per l’ennesima volta, mi giro a controllare la porta
d’ingresso del locale.
“No” ed è vero. Solo che mi
immagino da un momento all’altro Mamoru entrare e cominciare a prendermi in giro
per qualsiasi cosa voglia!
So che è sciocco sentirsi
tristi per colpa di un ragazzo che nemmeno mi piace…
Usagi, ma chi vuoi prendere
in giro? Lo sai benissimo che sei cotta di lui. Solo che lui non ti vuole, e si
è capito anche molto chiaramente.
Avverto troppo l’ormai noto
pizzicore agli occhi, e non riesco a trattenere le lacrime.
“Usagi, cosa succede?”
domanda Rei, cingendomi le spalle con un braccio, prontamente imitata da Minako:
“Amica mia, non fare così.”
“Dimmi chi è che ti fa
piangere, e lo stendo a suon di pugni!” Makoto, la protettiva. Non mi
dispiacerebbe mandarla da Mamoru… Il pensiero di lui che viene pestato dalla mia
amica mi strappa un lieve sorriso, ma mi sento davvero troppo triste…
“Cerca di razionalizzare il
tuo dolore, e lo supererai a poco a poco.”
“Ami, ma come si fa a
razionare il dolore?”
“Razionalizzare, Mina-chan.
Razionalizzare.”
Rimaniamo in silenzio per
qualche altro minuto, giusto il tempo di smettere di singhiozzare, e poi ci
salutiamo. Rifiuto le loro offerte di scortarmi fino a casa e prometto loro di
non lasciarmi sopraffare dalla tristezza.
Appena arrivo a casa, sento
la terra mancarmi sotto i piedi: ferma davanti al cancello c’è una macchina per
me fin troppo nota, e appoggiata ad essa un ragazzo altrettanto familiare.
“Ma-Mamoru…” balbetto,
avvicinandomi a lui. Non riesco a guardarlo negli occhi, perché temo possa
vedere che ho pianto.
“Ciao, Usagi.” Sorride, e
sembra impacciato, quasi più di me. “Come stai?”
“Bene.”
Si schiarisce la voce e poi
domanda “Come è andato il compito?”
“Guarda tu stesso” rispondo
con voce atona, porgendogli il foglio in cui il settantadue sembra spiccare come
una luce nell’oscurità.
“Beh, complimenti.”
Annuisco. “Grazie a te.”
Tra di noi cala un silenzio
imbarazzante che nessuno dei due sa come rompere.
Distrattamente si passa una
mano tra i capelli corvini, e quel gesto lo fa apparire ancora più irresistibile
ai miei occhi. Sospira e fa per aprire la portiera dell’auto. “Devo andare. Ero
solo venuto per sapere se le nostre ripetizioni avevano dato i loro frutti.”
“Sì, beh… non posso
lamentarmi. Grazie.”
Possibile che solo questo gli
importava? E io che pensavo chissà che, quando l’ho visto!
“Allora, arrivederci Mamoru.”
Gli volto le spalle e muovo i primi passi verso la porta di casa.
“Dannazione, Usagi!” Sbatte
la portiera e il rumore improvviso mi fa sussultare.
Me lo ritrovo davanti e mi
afferra le spalle con le mani. “Perché ti comporti così? Prima ti allontani, poi
ti avvicini, per poi fuggire ancora!”
Che cosa? Ma gli è dato di
volta il cervello? “Che cosa vuoi da me?” domando solo, e la mia voce non
nasconde l’agitazione che sento dentro.
“Non lo so” ammette, e questa
volta il tono è più calmo. Mi prende per mano invitandomi a seguirlo, cosa che
faccio senza provare a opporre la minima resistenza.
Camminiamo lentamente e in
silenzio, fino ad arrivare al parco. Siamo ancora mano nella mano, e mi rendo
conto di quanto mi sia mancato questo contatto.
“Cosa vuoi da me, Mamoru?”
domando nuovamente, questa volta con un filo di voce. “Io credevo di essere
speciale, ma evidentemente non abbastanza per te…”
Lo vedo sorridere, e sono
contenta che non sia più arrabbiato con me. Anche se non ho ancora capito per
cosa avrebbe dovuto essere arrabbiato…
“Mi sei mancata” confessa.
Ci sediamo su una panchina,
senza separare le nostre mani.
“Sei più importante di quanto
potessi immaginare” continua, “solo che avevo paura di ammetterlo, persino a me
stesso.”
Osservo il suo profilo e la
tentazione di accarezzargli i volto è davvero tanta, ma ho paura della reazione
che potrebbe avere.
“Quando sei fuggita, l’altro
giorno, ho pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato, e mi sono maledetto
mille volte per non averti rincorsa. Ma ti ho pensata, e per quanto mi sforzassi
non sono riuscito a stare ancora senza parlarti. Credo… credo di essermi
innamorati di te, Usagi” mi guarda negli occhi, e mi sento avvampare. “E se son
venuto da te, stasera, è perché voglio sapere se tu provi lo stesso per me.”
Possibile? Possibile che mi
sia innamorata di lui, e che i miei sentimenti siano chiari a tutti tranne che a
me? E, soprattutto, possibile che anche lui…?
Abbasso lo sguardo perché non
voglio che legga la mia confusione. “Cosa ho fatto per farti innamorare di me?
Io sono una semplice ragazzina pasticciona del liceo, e tu un promettente
studente di medicina. Non abbiamo niente in comune.”
“La prima volta che ti ho
vista eri con le tue amiche al tavolo del Crown: nell’incrociare il tuo
sguardo ho provato una strana sensazione al petto, e ho capito che non avrei
potuto lasciarti andare. Non mi ci è voluto molto per estorcere informazioni su
di te a Motoki, e da allora ho fatto di tutto per finire sulla tua strada. A
quanto pare, ci sono riuscito piuttosto bene” scherza, probabilmente nel ricordo
dei numerosi litigi che ci hanno visti protagonisti nel corso dell’ultimo anno.
“Poi, quando ti ho vista piangere al parco ho pensato che non avrei avuto altra
occasione per farmi notare da te…”
“Così ti sei offerto di
aiutarmi con la matematica…” concludo al suo posto, sentendomi lusingata da
questa sua ammissione. Ma io? Quando ho capito di amarlo? Non lo so; forse lo
amo anche io dalla prima volta che l’ho visto, e il principe azzurro che sogno
tutte le notti è proprio lui, solo che non l’ho mai riconosciuto…
“Dici che potremo avere una
possibilità?” domanda, e posso notare una punta di apprensione nella sua voce.
È possibile morire di
felicità? Perché credo che sta per succedere a me!
“Non lo so” dico, pensando
però che potrei davvero lasciarci le penne, dopo questa dichiarazione! Ma voglio
essere sicura che sia proprio lui il principe che cerco. “Prometti che mi amerai
così, per quella che sono? Che non cercherai di farmi assomigliare a una ragazza
tutta compita come quelle che si vedono in giro per l’università? Che… amerai
me, e solo me, per sempre?”
Di’ di sì. Di’ di sì!
“Che domande!”
“Mamoru! Rispondimi!”
supplico quasi, fissando i miei occhi nei suoi.
Per tutta risposta, mi prende
il viso tra le mani e, avvicinando il suo volto al mio, a fior di labbra mi
sussurra un semplice “Sì.”
Sorrido, e vorrei urlare
dalla gioia, ma lui è più lesto di me, e suggella il nostro patto con un bacio,
prima delicato, poi sempre più intenso.
Devo avere il viso rosso come
un pomodoro maturo, ma non mi interessa. Mi stringo ancora di più a Mamoru,
pregando che questo bel sogno possa non finire mai.
“Per sempre?” domando ancora
al mio principe.
“Per sempre, sempre.”
* Kodomo no Omocha - Rossana
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