Capitolo 4: L'alba di Viral Il sole era
sorto da parecchio, l’aria andava scaldandosi dopo la frescura della notte. Lo
straniero aprì gli occhi: era strano. Si sentiva la testa fresca, aveva anche
un po’ fame. Capì che la febbre era scesa, e se ne rallegrò. Cercò di muovere
il braccio che dava sulla parte esterna del letto, ma era bloccato da qualcosa
di duro e caldo: la testa di Rea, che dormiva esausta inginocchiata al letto. Voleva
tirare via la mano con disprezzo, ma la ragazzina ci si era addormentata sopra
e per di più la stringeva con entrambe le sue mani. Sapeva che se la ragazza
era lì, era perché aveva passato tutta la notte al suo capezzale, e non
riusciva a capire tutta quella gentilezza. Quando falliva una missione e
tornava al quartier generale malconcio, tutt’al più riceveva anche il resto:
botte, insulti. E ora che era l’unico superstite, non voleva altro che
disprezzo dagli altri, perché lui stesso si disprezzava in quel momento. Ma
adesso con lui c’era una ragazza che infrangeva qualsiasi regola, e nonostante
avesse perso tutte le ultime battaglie veniva trattato con riguardo e curato
con dolcezza, cosa che non aveva mai sperimentato prima.
Poi alzò gli
occhi, e uno sguardo freddo e duro lo congelò. Era il dottore. Viral scattò a
sedere, sulla difensiva.
-Buongiorno.- disse
serio l’uomo, seduto su uno degli sgabelli che contornavano il tavolo di
pietra.
L’uomo-bestia
non rispose; cercava con lo sguardo un’arma in quella stanza.
-Si rilassi, non
ho intenzione di ucciderla. Adesso.- lo avvertì il medico. -E ringrazi quella
donna, appena di sveglia. È vivo solo grazie a lei.
I due
continuavano a fissarsi torvi.
-Rimarrò qui
finchè non si sveglierà da sola. Non la lascerò così inerme nelle mani di un
uomo-bestia.- continuò il dottore.
-Allora la
sveglierò io. Vada via.- ringhiò Viral.
-Sono il medico
che stanotte Rea, pur di farla sopravvivere, è corsa a chiamare a costo di un
viaggio di sei ore che poteva costarle il cavallo e la vita. È rimasta in piedi
tutta la notte e tutta la mattina ad asciugarle il sudore e a cercare di
calmarla quando dava i numeri. Lo sa?- disse il dottore, calmissimo, ma ogni
parola era pesata per colpire come un coltello. Lo straniero scoprì i denti, lo
sguardo gli cadde sulla ragazza che dormiva stretta alla sua mano di assassino.
Sei ore di cavallo? Per… per non lasciarlo morire?
Rea si svegliò
un paio di ore dopo, scusandosi col dottore per essersi addormentata e
ringraziandolo regalandogli un pesce che aveva pescato apposta per lui e una
grossa conchiglia che stava al centro della tavola di pietra. Gli promise che
in settimana gli avrebbe riportato il cavallo.
Lo invitò anche
a pranzo, ma il dottore rifiutò cortesemente: sapeva che mantenere un ospite
doveva costarle molta fatica, e non voleva arrecargliene altra. Salutò il
paziente con un cenno del capo, montò in sella e andò via.
Viral cercò di
alzarsi dal letto. Rea non si aspettava ringraziamenti, o meglio non voleva
aspettarseli. Semplicemente gli buttò i suoi pantaloni asciutti e disse brusca:
- Se vuoi uscire, metti questi.- lei si avviò in spiaggia. Non aveva nessuna
voglia di farsi trattare male adesso che era stanca e abbattuta; decise di
immergersi nelle profondità marine, dove sicuramente nessuno avrebbe avuto per
lei parole arroganti e taglienti.
Quando riemerse
dal mare, trovò lo straniero seduto sulla sabbia, col capo reclinato
all’indietro a godere il sole più forte della giornata. Rea pensò che pallido
com’era rischiava di scottarsi, ma non disse niente: non era mica sua madre.
Lo superò con
noncuranza, grondando acqua e raggiungendo l’asciugamani; ma appena fu oltre,
Viral parlò:-È stata dura stanotte?- il tono non era di scherno. Sembrava
triste.
-Certo che no.-
rispose con superiorità lei, avvolgendosi nell’asciugamano. Ripensò a quando
era arrivata davanti casa del dottore, così stanca che si sentiva svenire, con
il cavallo vivo per miracolo. Adesso le facevano male le gambe, e aveva avuto
un sacco di crampi.
-Ho detto
qualcosa?- chiese lui fingendo indifferenza. Sapeva di aver delirato, e sperava
di non aver detto qualcosa di compromettente.
Rea si sedette a
un paio di metri da lui, per asciugarsi al sole. Si stringeva nell’asciugamano.
-Qualcosina.- rimase vaga. -Cercavi un certo generale supremo. Dicevi che era
in pericolo. Poi…- ebbe un fremito. Quando l’aveva sentito, si era spaventata. -Poi
hai detto che avresti ucciso tutti gli esseri umani.- poi aveva fatto un sacco
di nomi, che lei aveva provveduto a scrivere su un foglio che aveva nascosto
per bene; meglio far finta di niente, se il suo ospite aveva messo nella “lista
delle cose da fare” lo sterminio degli umani.
Viral non
rispondeva. Teneva lo sguardo fisso sui rottami della sua vettura, che il mare
non era ancora riuscito a riprendersi e che nessuno aveva portato via.
-Ucciderai anche
me?- chiese all’improvviso Rea. Ma aveva paura della risposta.
Lo straniero
lesse quella paura. -No. Ho un debito con te.- le disse.
Rea si sentì
molto sollevata. -Ucciderai i miei animali?- chiese ancora.
-No.
-Distruggerai la
mia casa?
-No.
Poi a Rea venne
in mente un’altra ipotesi. Ne era terrorizzata. La sua schiena fu scossa da un
tremito, sbarrò gli occhi. -Mi riporterai sottoterra?-
Viral non
rispose subito. Sembrò pensarci su. Stava contravvenendo agli ordini che gli
erano stati dati: uccidere tutti gli esseri umani che avesse sorpreso in
superficie. A lui però era stato affidato solo l’Estremo Oriente, doveva
ucciderla lo stesso?
La ragazza
rabbrividì, aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui la precedette:- No.-
Rimasero per
qualche momento seduti sulla spiaggia; Rea si tolse l’asciugamano di dosso e si
lasciò scaldare dal sole.
-La radio
funziona ancora.- le disse Viral. Rea sapeva a che radio si riferisse: quella
di bordo. -Domani mattina mi verranno a prendere.- concluse.
Erano stati
giorni difficili, però avere in casa qualcuno non era malissimo, anche se non
riusciva a sfamarsi, pensò Rea. Ma non avere più un assassino nel letto, anche
quello non era male.
-Dove ti
porteranno?- gli chiese la ragazza.
-Non sei
autorizzata a saperlo.- tagliò corto l’uomo-bestia.
Ma tratta tutti
così male?, si disse la ragazza. E sì che lei l’aveva trattato fin troppo bene!
-Ti preparerò
dell’acqua per il viaggio di ritorno.- propose allora.
-Non devi
preparare niente.- ordinò l’uomo bestia, aggressivo. Rea ci rimase male, quindi
si alzò e fece per andarsene. Ma la grossa mano artigliata del naufrago la
trattenne; senza girarsi, e senza costringerla a risedersi, Viral spiegò: -Non
devono sapere che vivi su questa spiaggia. Ti ucciderebbero. O ti porterebbero
via.-
Rea fece cenno
di sì con la testa, anche se sapeva di non essere vista. -Va bene.- disse a
voce alta. -Non farò niente. Ora lasciami.- e l’uomo-bestia allentò la presa
fino a far scivolare via il polso sottile.
Rea tornò a
casa, chiuse la porta, mise la testa nel cuscino e si fece un bel pianto.
L’alba
successiva si mise d’accordo con lo straniero. -Torna in paese, riprenditi il
cavallo. È la cosa più sicura.-
-E come faccio a
sapere che non distruggerai la mia casa?- chiese la ragazza con impeto.
-O ti fidi o
vieni uccisa.- le rispose spiccio. Si mise addosso la giubba della tuta, senza
infilare le maniche, e pensò di andare il più velocemente possibile verso la
spiaggia. Ma non era un ingrato; sapeva di dovere qualcosa a quella donna,
fosse anche solo una parola per quello che aveva fatto negli ultimi giorni.
Guardò Rea, intenta a mettere le redini al cavallo del dottore.
-Umana…?- attirò
la sua attenzione. Rea si voltò. -È stato… bello stare qui. Addio.- disse senza
guardarla in volto. Maledetta umana.
Rea lo guardò
allontanarsi con l’aria truce che l’aveva contraddistinto. Non le aveva detto
grazie, non l’aveva abbracciata. Si sentiva stupida. Spronò il cavallo e si
allontanò al galoppo.
Tre giorni dopo,
al cospetto del suo Lord, Viral stava in ginocchio come un crociato, ascoltando
le parole di biasimo del suo signore. Aveva fallito miseramente la missione, e
come un meschino aveva fatto naufragio. Doveva essere punito per questo.
Tuttavia, ebbe il coraggio di alzare la testa verso l’imponente Lord, che
sedeva in alto su uno scranno enorme, e chiedere:- Signore, che cosa sono in
realtà gli umani?- |