«Mashiro-chan sembra davvero
felice!» esclamò una ragazzina sui quattordici anni, i gioiosi occhi azzurri
spalancati in direzione della sua regina. La persona accanto a lei emise un
grugnito, ma Arika parve non curarsene. Eseguì una piroetta e saltellò lungo
la siepe di rose in boccio che costeggiava il sentiero che Mashiro Blan de
Windbloom stava percorrendo elegantemente assieme ad uno degli ospiti giunti
nel suo regno per l’inaugurazione del nuovo castello.
La guerra si era conclusa
ed una nuova epoca era iniziata per l’intera popolazione mondiale; un’epoca
splendida, senza dubbio. Le Otome diplomate al Gardrobe che erano diventate
Meister non erano più soggette ai contratti stipulati con i propri
precedenti padroni, sicché ognuna di esse, da quel momento in avanti,
avrebbe potuto agire di propria iniziativa, nel bene o nel male, valutando
personalmente la causa e gli effetti delle proprie azioni.
Arika Yumemiya, una delle
allieve meno dotate nella storia del Guardrobe, era diventata la Otome della
regina di Windbloom, Mashiro. Come avesse fatto un elemento del genere ad
arrivare a ricoprire tale carica, se lo chiedevano ancora in molti. Ma chi
ben conosceva Mashiro… beh, doveva riconoscere che il detto “ogni cane
somiglia al proprio padrone” aveva il suo fondamento. Non che Mashiro fosse
una stupida… cioè… Uhm… Sorvolando sulla presunta intelligenza di regina ed
Otome, entrambe le ragazze condividevano lo stesso entusiasmo verso il
raggiungimento dei propri sogni: diventare una regina amata da tutti, l’una,
e diventare una grande Otome, l’altra. Ed entrambe erano finalmente riuscite
nel loro intento, o per lo meno erano sulla buona strada per agguantare con
mano il più grande desiderio della loro vita.
E se anche Arika aveva
dovuto accantonare quella grande tentazione che per qualche tempo l’aveva
distolta dal suo sogno – l’amore per un uomo –, deviandola momentaneamente
dal cammino per il raggiungimento del suo obiettivo finale, Mashiro, che
pure era stata costretta in qualche modo a ricacciare nelle viscere del
proprio corpo una passione simile a quella della sua Otome, adesso ripartiva
alla carica. Sì, perché ora che ella era impegnata a tempo pieno nella
restaurazione del suo Paese e nel risollevamento della propria gente, e che
tutto pareva andare per il meglio, la fanciulla poteva concedersi il lusso,
dopo tanto tempo, di pensare un po’ anche a se stessa. Con misura, si
intende, così che nessuno potesse rimproverarle niente.
Ed era per questo che,
incoraggiata da Arika, nonostante una certa riottosità iniziale, Mashiro si
era infine lanciata verso quella che era senza dubbio una follia – almeno
per chi, come loro due, aveva assistito ad un certo avvenimento qualche
tempo prima.
Ma andiamo con ordine.
Nelle ore pomeridiane che
avevano seguito l’inaugurazione del castello, Arika era corsa da Mashiro,
pregandola, supplicandola di non lasciarsi scappare questa nuova opportunità
per far breccia nel cuore dell’amato.
«Ma hai visto anche tu
cos’è successo quella volta…» aveva piagnucolato la regina, scoraggiata ed
umiliata dinanzi al ricordo che aveva cercato di accantonare nell’angolo più
remoto della memoria.
Arika però aveva
insistito, dimostrando grande determinazione nel voler aiutare la sua amica.
«Se si tratta della sua guardia del corpo, ci penso io!» aveva proposto,
battendosi una mano sul petto, lo sguardo sicuro. «Lo sedurrò e lo
allontanerò dallo shogun!»
Mashiro l’aveva fissata
inebetita per qualche attimo; infine, le aveva quasi sbattuto in faccia la
porta della sua camera, ritenendo quella proposta decisamente inutile: quale
uomo sano di mente si sarebbe lasciato sedurre da una mocciosa che, seppure
molto, molto carina, non aveva un briciolo di fascino adulto?
Ma alla fine, tanto aveva
detto e tanto aveva fatto, che Arika era riuscita a convincerla. Per cui la
regina si era affrettata ad informarsi su dove avrebbe potuto trovare lo
shogun di Zipangu, Takumi Tokiha no Kami Tadayori, l’unico giovane che le
avesse mai fatto battere il cuore. Ed ora, dopo averlo invitato
personalmente a visitare i giardini del palazzo reale insieme a lei, i due
ragazzi passeggiavano serenamente l’una di fianco all’altro. Un quadro
graziosissimo, specie considerando una formica salterina ed urlatrice alle
loro spalle ed una figura accigliata ed imbronciata che li seguiva ad alcuni
metri di distanza, senza distogliere per un solo attimo gli occhi dal
proprio signore.
«Ehi, Akira-kun» iniziò
la formichina, saltellando davanti alla guardia del corpo dello shogun e
fermandosi ad osservarla con estrema curiosità. Quella non parve dedicarle
molta attenzione e procedette dritta nel suo cammino. «Non mi sono ancora
scusata per averti mentito, quella volta» continuò Arika, affiancandosi a
lei. «Anche se a ben guardare anche tu mi hai dato un nome falso» ragionò –
cosa rara – la ragazzina. Sorrise. «Però sono contenta che sia andato tutto
per il meglio, così adesso possiamo stringere amicizia!» Due occhi sottili
la fulminarono con sguardo torvo, tanto che Arika per un attimo temette per
la propria incolumità. «Ah… ehm… Che bella giornata, eh?» buttò lì la
formichina, facendo una nuova mezza piroetta per non incrociare ancora il
suo sguardo e cercando di apparire naturale.
Akira tornò a fissare
davanti a sé senza spiccicare parola: che fosse di umore particolarmente
nero, era avvertibile anche standole lontano chilometri. Arika invece
sospirò, demoralizzata. Anche lei riportò gli occhi sulla coppia che li
precedeva per il sentiero per qualche attimo, quindi li spostò nuovamente
sulla guardia del corpo del loro ospite. Durante la precedente visita dello
shogun di Zipangu lì a Windbloom, Arika aveva avuto modo di scontrarsi con
Akira, constatandone l’enorme valore di combattente, al punto che le era
balzata alla mente l’idea che la guardia del corpo di Takumi Tokiha no Kami
fosse una Otome proprio come lei nonostante Akira fosse un ragazzo. O
meglio, lasciasse credere di essere tale. Perciò, quando questa era andata
in soccorso del suo signore, in preda ad una crisi cardiaca dovuta ad una
brutta malattia, e gli aveva somministrato delle medicine attraverso un
lungo, intenso bacio, sia Arika che Mashiro erano rimaste di sasso. Ma
mentre per la formichina, prigioniera della propria ingenuità, la cosa era
apparsa semplicemente bizzarra – dopotutto era stata la prima volta che le
era capitato di assistere ad un bacio fra due ragazzi –, la sua regina era
stata sull’orlo di un collasso: il giovane con cui aveva passato l’intero
pomeriggio, Takumi Tokiha no Kami, era stato baciato da qualcun altro. Da un
maschio, per giunta. E, ciliegina sulla torta, al termine della sua visita a
Windbloom, lo shogun aveva apertamente dichiarato di non essere giunto fin
lì per organizzare un matrimonio combinato. Affermare che l’umore di
Mashiro, persino da lui criticata per il suo modo di governare il Paese, era
rovinato sotto i piedi, era dir poco.
Per tutte queste ragioni
chiunque converrà con colei che scrive che il perseverare di Mashiro nel
tentativo di conquistare il cuore del giovane Takumi non poteva che esser
paragonato a follia pura. Tuttavia, si può mettere freno al proprio cuore?
No. E perciò Arika, l’unica a condividere il grande segreto della regina,
aveva comunque esortato quest’ultima a non arrendersi e ad aggrapparsi anche
soltanto alla più remota speranza: insomma, se pure lo shogun non aveva
fatto nulla per respingere quel bacio inopportuno e, anzi, sembrava averlo
in qualche modo incoraggiato dal momento che, capite le intenzioni della sua
guardia del corpo, l’aveva lasciata fare e l’aveva persino ringraziata per
quel gesto, non era affatto sicuro che il giovane avesse una relazione con
lei.
Ma non era tempo per
soffermarsi su tali pensieri, bisognava agire, e in fretta!
D’un tratto l’espressione
di Akira Okuzaki, la guardia del corpo di Takumi, cambiò radicalmente da
imbronciata ad esterrefatta: la formichina della regina le si era avvicinata
al punto da strusciare vergognosamente la propria spalla contro quella della
kunoichi. «Che vuoi?» le domandò la ragazza di Zipangu, fissandola con fare
terribilmente perplesso.
Arika si lasciò andare ad
una risatina frivola e nervosa, che lasciava intuire quanto la cosa le
costasse. Insomma, Akira aveva un bel viso, era forte, aveva mostrato
coraggio e valore, e pertanto non era affatto un cattivo partito. Solo…
metteva paura, ecco. Ma per la sua Mashiro-chan, la formichina sarebbe
andata fino in fondo. «Eheh… ehm… mi domandavo se un bel giovane come te non
avesse tempo per divertirsi un po’…»
Akira sollevò un
sopracciglio, sempre più stupefatta. «Ma sei davvero imbecille come sembri?»
Colpita al cuore, la
Otome non si perse tuttavia d’animo e si aggrappò al suo braccio,
sfarfallando le ciglia scure. «Che ne dici di andare a fare un giro noi due
soli soletti, eh? Eh?» e nel dirlo, agguantando tutto il coraggio da lei in
possesso, si premurò di far aderire i seni contro il braccio della ragazza.
La quale, com’è ovvio, non solamente le ringhiò contro un “Se non ti stacchi
immediatamente, ti farò volare dall’altra parte del mondo, nano-macchine o
meno”, ma per di più se la scollò di dosso in malo modo, tanto che Arika
perse l’equilibrio e per poco non crollò a terra.
Offesa per tanta mancanza
di tatto, la Otome, rimasta più indietro, tirò fuori la lingua in direzione
della kunoichi. «Caspita… non pensavo fosse così difficile sedurre un uomo…»
prese quindi a riflettere la ragazzina, le braccia intrecciate al petto. «A
meno che…» e finalmente la colse un dubbio atroce. «Akira-kun, posso farti
una domanda?» si fece nuovamente avanti, insistendo a prendersi la
confidenza di chiamare per nome una persona che non solo non gliela aveva
mai concessa, ma che per di più non le aveva assolutamente fatto credere di
averle fatto dono della propria simpatia. «Ecco…» riprese, senza neanche
aspettare che Akira reagisse. «Che tipo di rapporto c’è fra te e Takumi
Tokiha no Kami?»
«Sono la sua guardia del
corpo» si sprecò allora di mugugnare in risposta la kunoichi dello shogun,
le pupille sempre incollate sulla figura del proprio signore.
La formichina mise il
broncio. «Però lo chiami per nome…»
«Lo fai anche tu con la
tua regina» replicò Akira, decisa.
«Ma io non le dico che è
una stupida» obiettò l’altra, mortificata. «Almeno credo…» soggiunse,
dubbiosa. «E non la bacio, oltretutto» continuò ancora, seppur in un
sussurro.
Sussurro che la guardia
intese perfettamente. «Non sono affari che ti riguardano» sbottò,
palesemente in imbarazzo, con un tono che lasciava intendere che questa sua
ultima affermazione dovesse metter fine a quella scomoda conversazione.
Non essendo tuttavia
chiaro per le facoltà intellettive di Arika, questa sorrise con fare
malizioso. «Mi pare di capire che tu sia innamorato del tuo signore…»
sghignazzò poco furbamente, una mano davanti alla bocca.
Gli occhi di Akira
tornarono a fissarla con fare terribilmente torvo. «Un’altra parola e sei
morta.»
«Eh?!» si scandalizzò la
formichina, la cui voce squillante attirò l’attenzione dei due sovrani.
«Abbiamo appena concluso una guerra, non puoi rischiare di scatenarne
un’altra in questo modo!»
«Arika-chan, che
succede?» volle sapere Mashiro, incuriosita.
«Akira-kun ha…»
«Taci!» urlò questa,
pestando un piede in terra.
«Ma…!»
«Ti ho detto di star
zitta!»
«Akira-kun, qual è il
problema?»
La voce calma e gentile
del suo signore ebbe il miracoloso potere di acquietarle l’animo. I loro
occhi si incrociarono ed Akira sospirò. «Nessuno, Takumi, sta’ tranquillo.»
La linea della bocca di
Mashiro si piegò all’ingiù per ciò che Arika sottolineò nuovamente un
secondo dopo, additando la colpevole col dito: «L’hai di nuovo chiamato per
nome!»
«Chiudi quella fogna!»
protestò per l’ennesima volta la guardia dello shogun, furiosa.
«Arika-chan ha ragione:
non è delicato prendersi certe libertà con il proprio padrone» convenne
invece la regina di Windbloom, incrociando le braccia al petto e
rispolverando il vecchio contegno altezzoso che l’aveva resa odiosa a tutto
il suo popolo, in passato. «Takumi-kun, dovresti insegnare le buone maniere
alla tua guardia del corpo. E’ un ragazzo davvero insolente.»
Il giovane di Zipangu
inarcò le sopracciglia e la fissò con fare stupito. «“Ragazzo”?» ripeté a
mezza voce, mentre Akira imitava la postura di Mashiro e voltava il capo
dall’altra parte palesemente offesa. «Akira-kun è una ragazza,
Mashiro-sama.»
A questa verità seguì una
manciata di interminabili secondi di silenzio, tant’è che una cavolaia
svolazzò fra loro del tutto indisturbata, fino a raggiungere i boccioli
delle rose che costeggiavano il sentiero.
Poi la terra tremò per
l’urlo simultaneo che regina ed Otome lanciarono per il giardino. «UNA
RAGAZZA?!»
«Perché cavolo vi stupite
tanto, proprio non lo capisco» bofonchiò Akira, sempre più stizzita.
«Mi avevi detto di essere
un maschio!» berciò la formichina, le cui treccine raccolte sulla sommità
del capo avevano preso ad agitarsi insieme alle sue emozioni.
«Ma se mi hai persino
chiesto se ero una Otome…» replicò l’altra, seccata. « Ad ogni modo, non ho
mai affermato nulla del genere. Mi sono solo presentata come lo shogun di
Zipangu, ma non ho mai detto di essere un ragazzo.»
«Ancora scusa per averti
incomodato tanto, quella volta, Akira-kun» sorrise Takumi, massaggiandosi la
nuca con fare impacciato.
«Ormai è andata, e
l’importante è che non sia successo nulla di grave» sospirò lei, paziente
come sempre quando si trattava del suo signore.
E mentre Arika continuava
a fissare ora l’uno ora l’altra con evidente terrore negli occhi – quello
chiamato “Oh-porca-miseria-allora-siamo-nei-guai” –, l’espressione di
Mashiro era tutta un programma: le pupille dilatate, il colorito cadaverico,
la mascella spalancata, un tic all’occhio sinistro. «Perché… perché…?»
rantolava sul filo dello svenimento. Gli altri tre si volsero a fissarla,
chi perplessa, chi stupito, chi seriamente preoccupata per la sua salute
mentale. Infine, un nuovo urlo squarciò l’aria. «PERCHE’ CAVOLO DEVONO
SUCCEDERE TUTTE A ME?!»
Takumi ed Akira fecero
istintivamente un passo indietro, mentre Arika corse ad abbracciare la
povera Mashiro, sull’orlo delle lacrime. «Mashiro-chan, non fare così!»
iniziò a consolarla, piagnucolando insieme a lei. «Vedrai che non è come
sembra! Non è come sembra! Vero che non è come sembra?» si decise allora ad
interpellare gli altri due, chiedendo conferma della sua teoria.
«Ehm…» tartagliò lo
shogun, preso in contropiede riguardo a qualcosa che ignorava totalmente.
«Non è giusto, non è
giusto, non è giustooo!» protestava animatamente la regina, cercando di
divincolarsi dalla stretta della propria Otome, forse per andare ad
affrontare la sua rivale in amore.
Quest’ultima, che aveva
capito molto più del suo signore, sbuffò con fare annoiato. «Tanto chiasso
per niente…»
Le antenne della
formichina – vale a dire le treccine di Arika – si tesero nella sua
direzione, avendo captato perfettamente quelle parole. «“Niente”?»
«Niente» si sforzò di
confermare la guardia di Zipangu, suo malgrado.
«Hai sentito,
Mashiro-chan?! Niente di niente!» prese a saltellare gioiosamente la Otome,
stringendosi così tanto al collo della regina che per poco non la soffocò.
Takumi fissò gli occhi in
quelli di Akira. «Ma di che parlano?»
Impacciata, lei distolse
lo sguardo, trovando molto più interessante osservarsi la punta dei piedi.
«Nulla di importante.»
«Ma Mashiro-sama stava
piangendo…» osservò il giovane, seriamente dispiaciuto.
«E’ che in realtà credeva
che…» ma la vocina squillante di Arika fu interrotta da un nuovo portentoso
urlo di Mashiro.
«NON AZZARDARTI A DIRLO!»
«Ma è la tua grande
opportunità, Mashiro-chan!»
«Ti ho detto di non dire
niente!»
Akira si portò una mano
alla tempia. «Quanto sono chiassose…» sospirò, disturbata da tanta
confusione, non ricordandosi di aver dato lo stesso identico spettacolo
appena pochi istanti prima. La sua attenzione tornò su Takumi, ancora
chiaramente perplesso circa quanto appena accaduto. Sorrise, raddolcita.
«Takumi, sei stanco?»
Lui la fissò e scosse il
capo. «No, ma comincia a far fresco» rispose, tornando ad avere
un’espressione serena in viso.
«Allora faresti bene a
rientrare» gli disse la ragazza, avvicinandosi a lui e posandogli sulle
spalle lo haori che aveva portato con sé proprio per evitare che il suo
signore prendesse freddo.
«Grazie, Akira-kun» le
sorrise di rimando Takumi, affiancandosi a lei per tornare nel castello.
Prima di incamminarsi, però, rivolse un’ultima volta lo sguardo verso
Mashiro ed Arika, ancora impegnate in un acceso diverbio sull’opportunità o
meno di dire qualcosa a qualcuno. «Ehm…»
«Lascia perdere, ne
avranno ancora per molto, temo» mormorò Akira, fissando anche lei la scena,
ma con disappunto. «Chissà se sono tutti così stupidi a Windbloom…» si
domandò, attirandosi un bonario rimprovero dallo shogun.
«Akira-kun!»
«Ma discutono di cose
inutili…» tentò di giustificarsi la ragazza.
«E sarebbero?» chiese
contrariato il giovane.
Akira rise. «Meglio per
te non saperlo, le donne sono pericolose» lo prese in giro, afferrandolo
gentilmente per un gomito e spingendolo via. «Ora che sei di nuovo tornato
ad aggrapparti alla sottana di tua sorella,» e qui il tono della sua voce si
incrinò per sottolineare la propria contrarietà al riguardo, «continua a
vivere beato nella tua ingenuità fino a che non sarai pronto per affrontare
l’argomento.»
«Akira-kun!» arrossì lo
shogun, risentito.
«Con me per prima, però,
sia ben chiaro» aggiunse lei a metà fra il serio ed il faceto, ignorandolo e
lasciandogli comunque intendere come in quell’ultima frase fosse sottinteso
un più che fatale avvertimento.