Vigilia di Samhain, 1992
C'è grande fermento in casa in questi giorni.
Samhain è alle porte... il
secondo da quando i miei genitori sono
scomparsi.
Sento la magia crepitare
nell’aria, la sua presenza aleggiarmi
intorno. Ho solo dieci anni ma posso avvertire la sua presenza
distintamente.
Alle volte, la magia è
gentile come la brezza d’estate; alle
volte, invece, violenta come un tornado lanciato per distruggermi.
È il vento del cambiamento
questo, ne ho la certezza. Ha marcato
con la sua forza i momenti più importanti della mia vita: la
nascita dei miei
fratelli, la scomparsa di mamma e papà. Non mi ha mai
ingannato il vento. È
sempre stato portatore di notizie per me.
E anche se non riesco a comprendere
appieno il suo messaggio,
confido nella saggezza della Dea.
Lei sa cosa è giusto per
me, non mi farebbe mai del male.
Zia Shelagh me lo ripete in
continuazione: tutto accade per un
motivo ben preciso. Non esiste il caso nella Wicca. Ogni singolo evento
fa
parte del grande disegno.
Le sue parole mi sono di conforto, ma
non sempre.
Non quando il pensiero dei miei
genitori torna a farsi vivo più
prepotente che mai. E, con esso, tutto il dolore che un bimbo della mia
età non
dovrebbe mai conoscere.
È una cosa strana, il
dolore.
Alle volte, è quasi
insopportabile. Mi sento soffocare, una morsa
nel petto che mi ruba lentamente la vita.
Nei giorni seguenti la fuga misteriosa di mamma e papà, non
riuscivo nemmeno a
pensare. Il tormento era continuo: perché se ne erano andati
così
all'improvviso? Cosa gli era successo? Perché non ci
contattavano?
Le mille domande di Linden ed Alwyn servivano solo a peggiorare tutto.
Avrei
voluto urlare, scalciare, distruggere il mondo intero. Sono solo un
bambino...
come avevano potuto pensare che avrei avuto la forza di crescere da
solo i miei
fratelli?
O Dea, perdonami. So di essere ingiusto nei confronti di Zio Beck e zia
Shelagh. Loro ci hanno accolto senza esitare. Ci hanno amato e
sfamato... lo
so.
Però… sono una persona tanto orribile se non
riesco ad apprezzare in pieno il
loro aiuto?
Che cosa devo fare?
Ora, dopo due anni, il dolore mi assale a ondate. Ondate via via
più rade.
Tento di tenermi occupato pur di non soffrire ma, certe notti, il
desiderio di
ritrovare i miei genitori torna sempre più assillante.
E, a quel punto, l'unica cosa che
posso fare e rannicchiarmi sotto
le coperte e piangere lacrime silenziose. Non voglio che gli altri mi
vedano
così... sono l'uomo di casa adesso. Linden ed Alwyn contano
su di me. Devo
essere forte, se non per me, per loro.
Ma non è questo a farmi stare tanto male. Oh, Dea! Mi sembra
di dimenticarli. I
loro visi, le loro voci. Non sono più così nitidi.
Non voglio, no! Non posso, non posso dimenticarli! Dea, Dea stammi
vicino!
Ecco... un’altra lacrima. La asciugo con la forza della mia
disperazione. Non
sono debole. Non sono debole continuo a ripetermi.
Eppure ho la sensazione che Athar sappia tutto. Lo capisco dal modo in
cui mi
guarda... non voglio la sua compassione.
La casa è in subbuglio. Sono tutti occupati con la
preparazione della festa ed
è toccato a me aiutare Linden ed Alwyn con i loro costumi.
Il risultato non è
stato dei migliori ma ringrazio la Dea ugualmente. I bambini non si
sono
lamentati e questo riesce quasi a farmi scordare il dolore che provo
per le mie
povere dita piene di buchi.
Eccolo.
Quello strano vento
ha ripreso a soffiare. Lo percepisco nitido, fin dentro le ossa.
Che cosa stai per portarmi, vento?
Oggi, mi è successa una cosa strana. Mi stavo esercitando
per affinare le mie
doti di divinazione con l'acqua quando, nella ciotola che stavo
utilizzando per
i miei esercizi, è comparso un volto. Ma non un volto
qualsiasi... era quello
di un bambino... un bambino più o meno della mia
età, con i capelli castani e
gli occhi strani, come mai ne avevo visti. Sembravano quelli di una
tigre.
Il suo volto era sudato, febbricitante, contorno in una smorfia di
dolore.
Una fitta lancinante mi ha trapassato un fianco. Per un attimo, mi
è parso di
riuscire a percepire il suo stesso dolore.
Quando ho allungato una mano per toccare la superficie dell'acqua,
l'immagine è
scomparsa lasciandomi un gran vuoto dentro.
Chissà chi era quel bambino? Non ho idea di chi sia eppure...
Non so, ma ho come l'impressione di doverlo sapere... come se lui fosse
importante per me... in un qualche modo misterioso che solo il Dio e la
Dea
possono conoscere.
Ho pregato la Dea affinché lo faccia guarire.
Quando ho raccontato l'accaduto ai miei zii, loro si sono rivolti
un'espressione strana. Uno sguardo cupo e preoccupato che non sono
riuscito a
decifrare. Nemmeno la notizia della sparizione dei miei li aveva
sconvolti fino
a questo punto.
La zia Shelagh mi ha rivolto un
sorriso forzato e mi ha detto di
non preoccuparmi. Sicuramente mi sarò sbagliato.
So che mentiva. Ne sono certo.
E' tardi. I miei fratelli dormono già da un pezzo. Io,
però, non ci riesco. Sta
per succedere qualcosa, me lo sento.
I vetri delle finestre della stanza vibrano forti. Fuori, una tempesta
senza
precedenti si sta scatenando da ore, fin da quando il sole è
andato a coricarsi
dietro le montagne. Forse la festa di domani sarà cancellata.
Athar ha tentato di spaventarci, dicendo che non si tratta di una
tempesta come
le altre bensì di Spiriti Maligni venuti a prendere noi,
bambini cattivi. Tutte
sciocchezze!
Anche se Linden ha provato a nasconderlo, si vedeva che era spaventato.
Alwyn l’ha
preso in giro tutto il tempo.
CRASH
Uno strano rumore dal piano inferiore. È meglio andare a
controllare…
_*_*_*_*_*_
Poche ore.
Sono bastate poche ore per mandare
tutto il mio mondo in frantumi.
Sono qui seduto a scrivere alla luce
di una piccola torcia,
tentando di fare ordine, di capire cosa è successo.
Non credo di farcela, non credo di
riuscire a scrivere nulla di
sensato.
È quasi l’alba,
la notte è ormai trascorsa.
Eppure mi sembra passata
un’eternità. Una vita intera dal momento
in cui ho scarabocchiato per l’ultima volta su questa pagina.
Non sono più lo
stesso.
Non riesco nemmeno a dare significato
a queste mie parole
d’inchiostro. Segni incomprensibili che si rincorrono
l’uno dopo l’altro su di
un foglio bianco.
La mia mente sta viaggiando a una
velocità impressionante. Mille e
più pensieri si stanno dando battaglia dentro di me,
scontrandosi senza sosta
fino a farmi male.
Non so più cosa pensare.
Poche ore, poche semplici ore e la mia
curiosità di bambino.
Poche semplici ore per rivelarmi una
verità che non sono sicuro di
poter accettare.
Ho sentito la porta sbattere verso mezzanotte. È stato
questo a mettere in moto
tutto.
Il
rumore di una porta
chiusa con forza e quello di passi pesanti.
Ho udito lo zio Beck imprecare e la
zia Shelagh mormorare
qualcosa. Che ci facevano in piedi a quell’ora, mi sono
chiesto.
Poi dei singhiozzi a stento trattenuti.
Qualcuno stava piangendo.
Sono sceso a controllare, per assicurarmi che fosse tutto apposto.
Avevo il
cuore in gola.
Ho afferrato la torcia che avevo usato per scrivere sul mio Libro delle
Ombre ed
ho infilato un cuscino sotto le coperte. Per essere sicuri. Conosco fin
troppo
bene le punizioni di zio Beck. Non avevo la minima intenzione di
ripulire i
recinti delle pecore ancora una volta.
Piano piano, sono passato accanto ai
letti di Linden ed Alwyn. Per
fortuna loro stavano ancora dormendo.
Cercando di non far il minimo rumore, ho aperto la porta della nostra
stanza e
mi sono diretto verso le scale.
SCRIT SCRIT
Ogni cigolio delle travi di legno, un
brivido. Strano come quando
il silenzio è necessità, si riesca sempre a fare
tanto baccano.
D' un tratto una mano sconosciuta mi ha afferrato una spalla.
Sono sobbalzato spaventato, trattenendo a stento un urlo. Mi sono morso
un
labbro con forza per trattenere quel grido che mi si è
spezzato in gola.
Mi sono voltato per colpire
l’aggressore, quando questi mi ha
posto una mano sulla bocca e ha lasciato che la luce della torcia
illuminasse i
suoi lunghi capelli d’oro.
Era Athar. Anche lei è
stata svegliata da quegli strani rumori.
Mia cugina si è portata un dito alle labbra, facendomi cenno
di restare in silenzio.
Se fossimo stati scoperti in piedi a quell’ora, sarebbero
stati guai. Mi ha
lasciato andare, incamminandosi dietro di me con passo felpato.
Siamo scesi al piano di sotto, tentando di fare meno rumore possibile.
Le
scale, come lo stretto corridoio, parevano non finire mai.
C'era qualcuno in cucina. Ci siamo
nascosti dietro la porta
socchiusa, tentando di sbirciare attraverso il piccolo spiraglio che
era stato
lasciato aperto. Ci siamo accucciati l’una addosso
all’altro, un occhio attento
incollato a quella piccola breccia.
Il camino della cucina era acceso e gettava ombre spettrali tutto
intorno.
Potevo vedere la zia Shelagh china su di una piccola figura
incappucciata
mentre lo zio Beck, il viso pallido e stravolto, stava leggendo una
lettera con
mani tremanti.
Con loro, c'era anche un uomo che non avevo mai visto. Era alto, magro,
con la
barba scura e lo sguardo corrucciato.
Parlava a bassa voce con lo zio ma non riuscivo a capire cosa si
stessero
dicendo.
Altri singhiozzi.
La figura ammantata di nero stava tremando.
Zia Shelagh gli ha abbassato il cappuccio, asciugandogli le lacrime e
mormorandogli parole di conforto.
La schiena della zia mi si parava davanti perciò non
riuscivo a vedere bene.
Però…
Il vento, potevo sentirlo accarezzarmi
la pelle e mormorarmi
strane litanie all’orecchio.
È il momento, mi pareva
dicesse. È il momento.
D’un tratto la zia si è spostata di lato ed
è stato allora che i nostri sguardi
si sono incrociati per la prima volta.
Quegli occhi... gli occhi di tigre.
È il momento.
Senza rendermene conto ho spalancato la porta, nonostante Athar abbia
cercato
di fermarmi.
Ma non l’ho ascoltata. Non la vedevo.
Tutto il mondo intorno a me si era
dissolto.
Vedevo solo quegli occhi. Quelli del
bambino della mia visione.
Vagamente, ho sentito la zia Shelagh sobbalzare e lo zio Beck
rimproverarmi.
Non ascoltavo nemmeno loro.
Tutta la mia realtà era ora
concentrata in due piccoli occhi di
tigre.
Con passo lento, mi sono avvicinato a quello strano bambino tutto
infreddolito.
Il viso pallido e smunto. I capelli
incollati sulla fronte per la
pioggia e una lieve febbre.
Era tutto identico a ciò
che l’acqua mi aveva mostrato.
Quando ho tentato di sfiorargli una guancia per costatare se fosse
reale, o solo
un altro frutto della mia immaginazione, lui si è ritratto
spaventato, quasi avesse
paura di essere ferito.
Non potrò mai dimenticare quel momento, nemmeno fra cento
anni.
Zia Shelagh mi ha parlato piano, con dolcezza. Con una
solennità che non le ho
mai sentito usare.
"Giomanach" . Mi ha detto. "Questo... questo è tuo fratello
Calhoun".
Giomanach
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