Witch Hunters
Eccomi
con
il secondo capitolo! Non so con quanta frequenza riuscirò ad
aggiornare ma ho
approfittato di questo giorno di vacanza per mettermi all'opera.
Ringrazio
tutti quelli del forum che mi hanno recensito e soprattutto tutte le
splendide
persone che hanno risposto alle mie innumerevoli domande. Pensavo di
alternare
il POV dei due fratelli, ognuno dei quali sarà introdotto da
un passo del loro
Libro delle Ombre. Avendo iniziato la storia con Hunter, questo
capitolo è
narrato da lui. Perdonatemi se i personaggi non saranno proprio IC.
Grazie,
ancora.
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Stavamo correndo attraverso la Foresta Nera. Una foresta sempre
più fitta che
sembrava volerci ghermire con i suoi artigli di legno scheletrici.
Ero
stanco.
Il fiato mi usciva dalle labbra come una candida nuvola d'incenso che
presto si
dissolveva nell'aria gelida come se non fosse mai esistita.
Era
buio... era
tutto buio.
Prima
notte di
novilunio del nuovo anno. Nuovo anno almeno secondo gli umani.
Non che questo dovesse contare qualcosa. Per un Cacciatore di streghe
non
esiste mai pace. Nemmeno in un giorno di festa.
Continuavo a correre nel tentativo di avvicinarmi al mio obiettivo.
Rami spogli
mi sferzavano sul viso come fruste oscure, graffiandomi il volto
pallido.
Vecchie radici mi sbarravano la strada, tentando di farmi inciampare.
Ah, il mio nome è Hunter Niall.
Sentivo il rumore di foglie calpestate, ramoscelli venire spezzati.
Potevo
captare il respiro leggero degli animali ancora in letargo.
Poi solo
il
silenzio.
La
radura
doveva essere vicina.
D'un tratto, ho intravisto fra la fitta vegetazione di quelle piante
sempreverdi due occhi da fiera scintillare guardinghi. Hmm, doveva
essersene
accorto anche lui.
La mia
tigre...
il mio cane da guardia personale.
Mi veniva quasi da sorridere a quell'espressione. Un'espressione che
sapevo
mandarlo tremendamente in bestia.
Ma era
meglio
non distrarsi.
Eravamo partiti in quattro per quell'incarico. Un incarico fatto di
pedinamenti
ed indagini accurate. Ora eravamo giunti alla stretta finale. Presto
sarebbe
tutto finito.
Avevamo distanziato i nostri compagni già da molto.
C'eravamo solo noi due.
Un fruscio sinistro. Prima ancora che potessi reagire, due palle di
fuoco
magico si sono scontrate a pochi metri da me, lasciando solo terra
bruciata al
loro passaggio.
"Di là!". Ho urlato ma il mio compagno era già
scomparso.
La sfera di fuoco era arrivata da un corridoio semi nascosto dalla
vegetazione.
L'ultima risorsa di un animale oramai preso in trappola. Mi sono
lanciato al
suo inseguimento, facendomi strada a forza tra quelle foglie sempre
più serrate
finché non riuscii a sbucare in una piccola radura.
"Igor McBride, del clan dei Vikroth, ti chiamo a rispondere di fronte
al
Consiglio Internazionale delle Streghe. Vieni avanti". Il suo tono era
glaciale, il suo sguardo proprio quello di una tigre pronta a compiere
il balzo
finale sulla propria preda.
Sgath... mio fratello.
La preda in questione era una strega dai folti e ricci capelli ramati
cui
avevamo dato la caccia per due mesi interi.
Igor McBride era stato ritenuto dal Consiglio colpevole di aver
utilizzato la
stregoneria per fini personali, eliminando ogni possibile minaccia ai
suoi
affari. Era un imprenditore edile molto famoso nella zona. Famoso per
la sua
incredibile "fortuna" negli affari.
Coloro che avevano tentato di ostacolarlo erano tutti misteriosamente
passati a
miglior vita: un attacco di cuore, un incidente stradale...
Le
autorità
umane da tempo sospettavano un suo coinvolgimento ma non c'erano mai
state
prove.
Per noi, invece, era tutta un'altra storia.
Igor ha emesso un gemito sconfitto ma il suo persecutore non si
è lasciato
intenerire.
"Vieni avanti!" Gli ha intimato nuovamente.
La strega si è inginocchiata al suolo coperto di neve mentre
il rubino
dell'athame di Sgath luccicava, carico di potere, tracciando un
rettangolo di
luce azzurrognola sul suo corpo.
Igor ha
urlato
e si è come piegato in due, intrappolato in quella luce.
Occhi di tigre si sono posati su di me in una muta richiesta ed io ho
risposto
con un lieve cenno.
Mi sono
avvicinato a loro, estraendo una catena d'argento dalla tasca del
mantello: il
braigh.
Non appena Sgath glielo ha infilato, legandolo con le braccia dietro la
schiena
in modo che non potesse più fuggire, le urla di quella
strega hanno sovrastato
tutto. Erano agghiaccianti.
Ho
sentito i
peli delle braccia drizzarsi per l’orrore e diversi uccelli
alzarsi in volo
spaventati.
Purtroppo
il
nostro compito non era ancora concluso.
D'un tratto, un lieve mormorio si è levato alle nostre
spalle. Gli altri due
cacciatori ci avevano finalmente raggiunti.
Ma non
importava. Avevo ancora un lavoro da fare.
"Igor McBride hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed
eliminare tutti i tuoi rivali?".
L'uomo singhiozzava e gemeva senza sosta. A contatto con l'argento del
braigh,
la pelle dei suoi polsi si è riempita di terribili piaghe
rosse.
Sgath ha strattonato la corda, stringendola ancora di più.
"Hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed eliminare
tutti i
tuoi rivali?". Ho ripetuto ancora, la mia voce gelida e implacabile in
un
pallido tentativo di imitare quella di Sgath.
"Si". Ha risposto finalmente l’accusato con un flebile
sussurro.
"Hai offerto in cambio la loro vita?".
"Sì". Ha mormorato ancora.
Mi sono voltato verso gli altri due cacciatori che ora erano fermi
vicini a
noi, i loro sguardi severi fissi su quella scena.
"Evan Fitzpatrick, hai bisogno di altre spiegazioni?". Era una
domanda inutile ma sapevo di dover rispettare il rituale.
"No". Ha mormorato il cacciatore dai capelli fiammeggianti. Aveva
poco più di vent'anni ed era sempre stato un ragazzo dal
sorriso contagioso.
"Colum O'Hara, sei convinto?".
"Si". Ha sussurrato l'altro. Era un uomo piccolo e tozzo, dalla
chioma corvina ed un collo quasi inesistente.
Mi sono girato per un attimo verso mio fratello, senza aggiungere
altro. Sgath
mi ha risposto con un semplice cenno del capo. Era abbastanza.
"Ora ce ne occupiamo noi, ragazzi".
Colum ha preso il capo del braigh dalle mani di Sgath con un lieve
sorriso sul
suo viso stanco. Mio fratello glielo ha porto senza mai fiatare. A quel
punto si
è voltato senza far rumore, avviandosi nella notte come una
fiera finalmente
sazia.
"Il Mastino Woodbane ha colpito ancora". Una voce ha sghignazzato in
un tono abbastanza alto affinché Sgath potesse ancora
sentirlo. Lui, però, non
si è fermato e ha continuato per la sua strada.
Ha continuato a camminare in quel modo tutto suo, quasi come se tutto
il peso
del mondo gravasse sulle sue spalle.
Il Mastino Woodbane.
Era
così che lo
chiamavano nella comunità wicca. E questo era anche uno
degli epiteti più
piacevoli con il quale era definito.
Mi sono voltato di scatto verso la persona che sapevo aver fatto quella
battuta
idiota: Evan. Se avessi potuto incenerirlo con lo sguardo a quest'ora
sarebbe
già morto.
"Lascialo in pace". Ho sibilato.
"Oh, avanti, Hunter. Quel ragazzo mette i brividi a tutti. Se non fosse
tuo fratello, potrei anche pensare che...".
Evan non ha avuto il tempo di completare quella frase. Senza rendermene
nemmeno
conto, gli ho sferrato un pugno in pieno viso, lasciandolo steso a
terra e
seguendo le tracce di mio fratello.
"Cazzo...". Evan si è portato una mano al viso, dove una
lieve ombra
violacea già cominciava a fare la sua bella comparsa.
"Sta zitto, moccioso". Lo ha rimproverato il vecchio Colum.
"Hanno fatto il loro lavoro e lo hanno fatto molto bene. Quindi sta
zitto
e lasciali stare".
Ho sentito dei gemiti mentre Igor veniva fatto alzare. "Muoviti tu. Il
Consiglio deciderà cosa fare".
_*_*_*_*_*_
Com'era previsto Athar mi stava aspettando con impazienza.
Athar,
la mia
biondissima e serissima cugina, se ne stava appoggiata allo stipite
della porta
di quella piccola cucina. Potevo già pregustarmi la sua
bella ramanzina per
aver fatto tardi.
Con
Athar nei
paraggi, non mi sono mai sentito un uomo adulto.
Il
Consiglio
aveva affittato per noi una piccola casetta fuori città, in
un paesino quasi
sconosciuto al limitare della Foresta Nera.
Mentre
noi
trascorrevamo le nostre giornate seguendo le tracce di Igor, Athar si
occupava
delle faccende domestiche, preparandoci i pasti e rammendando i nostri
abiti.
Qualche volta, andava giù in paese per fare delle domande in
giro. Un modo come
un altro per aiutarci.
"Dov'è?" Le ho chiesto, spegnendo sul nascere ogni sua
lamentela.
Athar si è limitata ad indicarmi con il pollice le scale,
intuendo
perfettamente a chi mi stessi riferendo.
Mi sono tolto il mantello bagnato di neve e l’ho appoggiato
sull'appendiabiti
vicino al camino, prima di iniziare a salire le scale che conducevano
al piano
superiore.
Mi
sentivo
stanco. Tutte le emozioni di quella giornata ora tornavano
prepotentemente a
farsi sentire nello stesso momento. Se non mi fossi sorretto al
corrimano,
sarei crollato di colpo. Ne ero sicuro.
"Digli che la cena è quasi pronta. La cattura è
andata bene, non dovrebbe
fare così". Detto questo, Athar mi ha lanciato un
asciugamano con cui ho
iniziato subito a frizionarmi il capo.
Ho sospirato, prima di passarmi una mano fra i miei capelli color del
grano
ancora umidi. Volevo solo farmi una bella doccia calda e dormire per
almeno un
secolo.
Il piano superiore era completamente al buio, avvolto in un silenzio
quasi
spettrale.
Sgath... o meglio, Calhoun.
Mio
fratello
maggiore.
Sei mesi
ed un
universo intero a dividerci.
Per citare una frase che mia zia Shelagh soleva ripetermi da bambino,
noi due
siamo come l'aria e il fuoco. Per quanto io sia limpido e trasparente,
Cal è un
concentrato di energie che non riesce mai a trovare pace. Sempre alla
ricerca
di qualcosa. Sempre tormentato da uno spettro cui non riesco a dare un
nome.
Cal... Cal, per me, è un mistero senza fine.
Schivo,
taciturno, con quello sguardo magnetico che ti sa leggere dentro. Uno
sguardo inquietante
che dà l'impressione di sapere sempre cosa ti passa per la
testa.
Cal.
Non ci
sono
parole per descriverlo bene. Non credo che siano state ancora inventate.
Da bambini, ricordo che era sempre additato come quello strano, quello
diverso.
L'unico Woodbane puro in una congrega di Wyndekell.
Ora sono sicuro che vi starete chiedendo come questo sia possibile.
Vedete, io
e Cal condividiamo solo il padre. Sua madre, la sua vera madre, era
stata la
prima moglie di mio padre: una donna malvagia, assetata di potere e
votata
all'uso della magia nera.
A
nessuno è mai
piaciuto parlare di lei, a mio fratello per primo. Non ha mai voluto
parlarmi
di com’era stato vivere con lei. E i suoi silenzi hanno
sempre lasciato che la
mia immaginazione galoppasse verso le torture più indicibili.
Alle volte, tremo al pensiero di come sarebbe potuto divenire se fosse
rimasto
con lei. Ma, grazie all'intervento della Dea, non è stato
così.
Cal è venuto a noi in una notte di tempesta, due anni dopo
la misteriosa
scomparsa dei miei genitori. Avevo all'incirca dieci anni
all’epoca e vivevo
con i miei fratelli presso una congrega di Wyndekell, dal fratello di
mia
madre.
È
stato portato
dal vento il giorno di Samhain, accompagnato solo da un Cacciatore
amico dei
miei genitori e da una lettera indirizzata a mio zio proprio da parte
di mia
madre.
Avrei
saputo
cosa quella lettera dicesse per intero solo anni dopo.
C’erano troppe cose che
un bimbo di dieci anni non avrebbe mai dovuto conoscere.
Zio
Beck, però,
quel giorno me ne lesse l'ultimo passo. Un passo che non
potrò mai e poi mai
dimenticare.
"Giomanach, abbi sempre cura di questo
tuo fratello perduto,
di questo figlio sconosciuto che la Dea mi ha donato. Proteggilo come
proteggeresti Alwyn o Linden. Prendetevi sempre cura l'uno dell'altro,
figli
miei".
E così è stato da allora. Ci siamo presi l'uno
cura dell'altro anche se, a
volte, non è stato facile. Anche se, alle volte, sono stato
accecato dall'odio
più oscuro nei confronti di questo mio fratello dagli occhi
di tigre.
Cal, tuttavia, non me ne ha mai voluto e ha continuato a vegliare su di
me in
silenzio, come aveva sempre fatto.
Ho spalancato la porta della sua stanza. Lui era lì, seduto
sul bordo del
letto, a fasciarsi un fianco nella più completa
oscurità.
La sua cicatrice. Quella che mai ha voluto mostrarmi e che lo avvertiva
ogni
volta di un pericolo. Il suo campanello contro il male mi ha sempre
detto,
scherzando.
Un campanello che sembrava sanguinare ogni volta che veniva in contatto
anche
con la sola aura lasciata dalla magia nera.
"Stai bene?" Gli ho chiesto, avvicinandomi piano.
"Perché non dovrei?". È stata la sua laconica
risposta dopo un lungo
silenzio.
"Calhoun". Calhoun, lo chiamavo così quando volevo con
insistenza una
risposta che lui non voleva darmi.
"Ahi, ahi. Cosa ho fatto stavolta?". Ha replicato con noncuranza,
come se lo squarcio che gli sanguinava su un fianco fosse un dettaglio
del
tutto trascurabile.
Si è rinfilato la camicia scura, alzandosi dal letto e
parandosi di fronte a
me. Anche al buio, i suoi occhi scintillavano.
"Non dovresti dar peso a quello che ti ha detto Evan". Gli ho
sussurrato. Quello stupido dava sui nervi anche a me. Non ho mai capito
perché
il Consiglio si ostinasse a mandarcelo dietro.
"Non do peso a cosa mi dicono gli idioti come Evan già da
molti anni,
fratellino".
Fratellino e con questo sapevo che il discorso era chiuso.
"Su, muoviti. Sto morendo di fame". Cal mi è passato
davanti,
dirigendosi verso il piano inferiore.
"Cal...".
"Siamo Cacciatori, Giomanach. Non c'è spazio per stupidi
sentimentalismi
in questo lavoro. Lo so io e lo sai tu. E poi, Evan è un
idiota".
Non ha aggiunto altro.
Cal sarebbe continuato ad essere un mistero per me. Un enigma
complicato di cui
desideravo ardentemente possedere la chiave. Forse solo Alwyn riusciva
a
capirlo davvero.
Eravamo Cacciatori, i cacciatori più giovani dell'intero
Consiglio.
Il
mestiere più
ingrato dell'intera comunità wicca. Quando ho deciso di
entrarvi a far parte,
Cal mi ha seguito senza esitare. A nulla sono valse discussioni e
litigate e
zuffe. È stato irremovibile. Nonostante abbiano cercato di
fermarlo, di
mettergli i bastoni tra le ruote, lui ce l'aveva fatta. Li ha battuti
tutti.
Il Mastino Woodbane che non molla la presa finché non ha
raggiunto il suo
obiettivo.
Ancora oggi, nonostante tutto, viene additato come quello differente.
Un
Woodbane, come se questo possa spiegare in pieno quell'organismo
complesso e
chiuso che è Cal. Lui sembra non darci peso eppure io soffro
per lui.
Cacciatori...
Io
sapevo
perché avevo voluto farlo... per Linden. Per espiare il
crimine di non essere
riuscito a salvarlo. Cal non doveva sacrificarsi con me.
Quando gli ho detto come la pensavo, la sua risposta mi ha gelato il
sangue
nelle vene. Non sono state tanto le sue parole, quanto il tono con cui
le aveva
pronunciate.
"Ho un
debito da ripagare. La mia vita ha valore solo per saldare quel pegno.
Ho già
perso un fratello, Giomanach. Non ti permetterò di farmene
perdere un
altro".
Un debito... non ho mai saputo a cosa si riferisse e lui non ha toccato
mai più
quell'argomento.
Eravamo Cacciatori, eravamo partner, eravamo fratelli. Avremmo
condiviso quel
destino ingrato insieme. Questo era tutto ciò che dovevo
sapere.
Quando zia Shelagh è venuta a conoscenza della nostra
decisione, mi ha rivolto
un sorriso triste. La fiamma di Sgath avrebbe continuato ad ardere
senza sosta
fino al giorno in cui avrebbe incontrato o l'acqua che lo avrebbe
contenuto,
oppure si sarebbe consumata senza via di scampo. È stato un
avvertimento arcano
quello della zia.
"Giomanach!". il mio nome mi ha riscosso da quelle tristi riflessioni.
Athar e Sgath erano già a tavola. Lui stava leggendo il
giornale,
sbocconcellando qualcosa controvoglia mentre lei lo rimproverava di
continuo.
Il mio sguardo si è posato d'improvviso su di una busta
sigillata con l'effige
del Consiglio. Un nuovo incarico, ho letto rapido tentando di contenere
i miei
pensieri: una giovane strega a Widow's Vale, negli Stati Uniti. Un
enorme
potere.
"Cos'è quella faccia?". Mi ha chiesto Athar. Ero un libro aperto per lei. Non
aveva senso
mentire.
"Preparatevi. Domani si parte per Widow's Vale". Mi sono seduto
anch'io, iniziando a mangiare qualcosa.
"E dove sarebbe?". Ha domandato mia cugina, un pò acida.
Detestava
spostarsi da un luogo all'altro senza sosta, ma era stata una sua
scelta quella
di seguirci per "vegliare su di noi".
Athar
non aveva
un carattere facile ma quella sera era anche peggio del solito.
"Lasciala stare. E' stata piantata un'altra volta". Ohh, ecco.
Athar gli ha mollato una gomitata ma gli occhi di Cal hanno assunto
quella loro
strana luminosità che voleva dire che stava ridendo. Lui
è fatto così: ride con
gli occhi.
"USA. Pare che sia una giovane non ancora iniziata con un potere
sorprendente. Un potere come non si è mai visto prima,
almeno fin dai tempi di
Belwicket".
Al suono di quel nome occhi di tigre si sono spalancati di colpo.
Belwicket:
la
Congrega Woodbane che aveva rinunciato alle forze del male. Il modello
di vita
che mio fratello ha scelto di adottare.
"Io ho finito".
Senza aggiungere altro, Cal si è alzato di colpo
tornandosene in camera sua.
"Hunter...".
Ho scosso la testa e Athar ha taciuto. Ben altro mi stava dando
pensiero in
quel momento.
Una volta sentita una porta di legno sbattere, le ho rivolto
un’espressione colpevole.
Avevo mentito a mio fratello. O, meglio, gli avevo taciuto un
particolare
importante sulla nostra missione.
"Selene è a Widow's Vale". Ho detto d’un fiato,
mentre lo sguardo
inorridito di mia cugina passava da me a quelle scale deserte.
Selene Belltower... la madre di mio fratello.
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