Grida roche in una notte d’ebano

di _Hikari
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Grida roche in una notte d’ebano.

Quindi è questo l’inferno?
Ti stringi in te stessa, piccola, dolce creatura; un tempo soave angelo, musa di canti e poesie; adesso solo un’anima macchiata, lacerata, prigioniera di un corpo che non le è più proprio; mero insieme di membra corrose dal dolore, violate, utilizzate per raggiungere un qualcosa di fin troppo brutale.
Non era così che lo avevi immaginato.
Avverti lacrime salate bagnarti le guance imporporate d’imbarazzo, scivolare sulla pelle vellutata come quelle gocce di pioggia a cui correvi incontro nella stagione delle foglie colorate.
E le mani callose sono ancora lì, lì che percorrono, divorano, dichiarano di loro proprietà.
Le tue grida proseguono, le implorazioni continuano, il sangue macchia, si sparge, contamina, diviene simbolo di un qualcosa ormai andato via in modo sbagliato.
E le mani percorrono ancora, ancora, ancora. Non sono le carezze che avevi sognato, immaginato, idealizzato: sono stilettate, colpi dettati dall’Animale, dal Mostro che non conosce la parola Amore, quella che volevi tanto insegnare, quella che eri pronta a vergare nella sua mente, incidere, imprimere. Quella di cui il ricordo è ormai scomparso, annebbiato dal desiderio di andare via, fuggire, correre nella casa natale.
Ma le tue ali sono state tarpate e le preghiere non trovano risposta. Ormai, fragile creatura, sei una delle tante recluse della prigione di promesse, di quel profumo invadente, di quelle labbra avare ed incuranti.
Avverti la voce arrochirsi, il sudore imperlare il corpo, mentre nei tuoi occhi la luce si spegne, poi s’accende di nuovo, riverbera al chiaro di una candela.
Intanto il cuore spezzato duole, la dignità implora requie.
Chiudi gli occhi, un ultimo flebile lamento che squarcia la notte d’ebano, una sola parola nella tua mente che si fa strada fra un sogno ormai distrutto e l’immagine della belva, della belva in accontentabile, pretenziosa d’avere sempre di più.
Una parola, una sola parola.
Fratello.
Il fratello che ti ha sempre protetta, il fratello che adesso è lontano, lì, separato da te mediante vie, città, campi marchiati dal sudore di persone.
Serri le palpebre per smettere di guardare, per inspirare di nuovo quell’odore d’incenso che adesso ti pare tanto sicuro, famigliare.
Poi un singhiozzo si fa strada nella tua gola, fendendo l’aria.
Cesare, dove sei?













Note: salve a tutti. :)
Ho da poco scoperto questa serie tv e non ho potuto impedirmi di scriverci qualcosa, specie dopo l’episodio di ieri sera. Trovo che sia la flashfic più impegnativa che abbia stilato fino ad adesso in quanto tratti di temi non affatto leggeri, quindi ogni recensione, critica o meno, è ancor più gradita del solito.
Spero semplicemente che abbiate gradito questo breve testo e che gli argomenti non vi siano parsi “maneggiati” con superficialità o in modo inadeguato; personalmente tengo molto a questo scritto.
Ah, dimenticavo: sinceramente vedo Lucrezia/Cesare quasi come una coppia incest, ma potete benissimo immaginarveli semplicemente come fratello e sorella. Inoltre, spero di non essere sfociata nell’OOC.
Detto questo smetto di tediarvi, invitandovi nuovamente a recensire. (:





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