C'è sangue
ovunque, ma Armin non saprebbe riconoscere il proprio da quello di
Jean.
Ha dovuto lasciarlo
andare per difenderli, ma è tornato presto da lui.
Lascia le lame ai
piedi dell'albero, sorreggendogli la schiena anche se il braccio
sinistro fa male. Sente il sangue colare lungo la manica della
camicia, appiccicoso e tiepido e prega sia solo la frattura esposta
che ha bendato alla bell'e meglio prima di affrettarsi da Jean. Il
dolore rende la vista scura, ma non potrebbe importargli di meno.
Scuote il compagno,
cercando di svegliarlo. Ha una ferita alla testa, ma niente che
potrebbe portarlo a...
“No!”
sbotta finalmente, imponendosi di non pensare al peggio.
Si china fino al suo
petto, cercando segni vitali che, se ci sono, sono troppo deboli per
essere percepiti. Si alza in piedi di colpo, nel panico, guardandosi
intorno alla ricerca di aiuto e solo allora si rende conto di essere
stato lasciato indietro, nella fretta della ritirata.
Forse qualcuno
tornerà indietro.
Ci crederanno
morti.
Forse Eren si
ricorderà di lui.
Ma non l'hai
visto? Era interessato a ben altro.
Lancia un'occhiata
al corpo disteso sull'erba, la calma innaturale che li circonda che
fa sembrare quella scena un sogno. Un incubo che non era pronto ad
affrontare.
Il corpo di Jean
-Jean, Jean, non è possibile che sia solo un corpo!- è
messo in una posa insolita, le gambe quasi raccolte, le braccia
mollemente abbandonate ai lati della testa. Sembra una marionetta
insanguinata a cui siano stati tagliati i fili.
Armin non può
sopportare quella vista.
Si affretta a
spostarlo contro l'albero, seduto con la schiena appoggiata alla
corteccia, le mani raccolte in grembo e la testa reclinata, come se
dormisse.
Scatta di nuovo in
piedi, sfoderando una lama spezzata come ultima arma disponibile, ma
tenendola pronta in caso di attacco. Gli da' le spalle, mentre sale
sull'albero a fatica per avere una visuale migliore.
Nulla, solo un
silenzio ed un vuoto a cui non è più abituato,
tutt'intorno a loro.
Prende tempo. Non
scende subito, non guarda verso il basso. Stecca il braccio con un
ramo troppo sottile, ma non ha la forza di spezzarne altri, non
sanguina più, ma la testa continua a girare ed è
costretto a scendere, ad affrontare il burattino scomposto che è
diventato l'altro ragazzo.
Gli si inginocchia
di fronte e lascia che i minuti scivolino in una tortura
apparentemente senza requie, la consapevolezza che Jean, se
riusciranno a tornare, sarà parte di una pira di uomini da
eliminare.
Forse anche lui si
affezionerà ad una scheggia d'osso, convincendosi che sia una
parte del compagno.
Allunga una mano per
sistemargli i capelli, voltando la garza piena di sangue, il dolore
che diventa nausea, poi cambia forma ancora una volta nel studiare la
sua ferita. Non sanguina più.
“Jean!”
esclama, sentendosi come uscire da un lungo sonno, le dita che
tremano mentre raggiunge le sue spalle e pensa di scuoterle.
Non ci riesce.
Ha paura che il
collo si pieghi in modo innaturale, ha paura di avere una conferma.
Ma anche senza di
essa, Armin scoppia a piangere.
Gli si getta contro,
le mani che tengono le sue spalle mentre l'orecchio cerca ancora un
battito, un segno debole della vita che deve ancora esserci in quel
corpo.
Il proprio martella
nelle orecchie e, per quanto ci provi, i singhiozzi che lo scuotono
non diminuiscono di intensità. Non riesce a sentire, non
riesce a calmarsi, il petto che sembra gonfiarsi di un dolore che non
riesce a sfogare neppure con le lacrime.
Non sente subito la
mano. Troppo impegnato e convinto del proprio dolore, la considera
un'illusione.
Ma dura poco, perché
Jean tossisce, scuotendolo e questo è fin troppo reale.
Scatta con la testa
verso l'alto, mancando di colpirlo di nuovo e fargli perdere ancora i
sensi, le dita che si aggrappano alle sue spalle fino a fare male.
“Jean!”
esclama, incapace di dire qualcosa di diverso, gli occhi fissi sul
suo viso mentre fa una smorfia di dolore e si tocca la testa.
“Avevi già
intenzione di seppellirmi?” si lamenta, portando le mani ai
suoi gomiti per fargli allentare la presa.
Armin scuote la
testa, gli occhi appannati dalle lacrime, gli incisivi piantati nel
labbro per non singhiozzare ancora.
“Andiamo via.”
soffia, aiutandolo a mettersi in piedi, facendosi di nuovo sovrastare
dai centimetri che li separano. Non è mai stato più
felice di quella differenza e pensa, in un lato remoto del cervello,
che non se ne lamenterà mai più.
Sente un trotto alle
spalle, ma non si volta, ancora aggrappato, ancora con gli occhi
fissi sul compagno.
Jean allunga una
mano per fermare il cavallo, poi si china per sussurrare all'orecchio
di Armin, il respiro accelerato per il dolore, ma il tono dolce,
attento.
“Non vado da
nessuna parte, mon ange. Torniamo a casa.”
Solo allora Armin
riesce a salire sul cavallo.
E solo sentendosi
stringere, recuperando il senso della realtà e ricominciando a
soffrire per le ferite, riesce a dirsi che non moriranno neppure in
quell'occasione.
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