«Dobbiamo
farlo per forza? Non me ne piacerà nessuno di sicuro, e tu
lo sai!» chiedo per l'ennesima volta, affrettandomi a seguire
mio padre dopo essermi fermata a rimirare la mia immagine nel riflesso
di una finestra.
Mio padre, il re, continua a camminare con il passo fermo di un soldato
«Figlia mia, - borbotta. - se solo non fossi così
schizzinosa...»
«Ma sono uno peggio dell'altro! Non puoi chiedermi di sposare
uno di quegli stoccafissi!», dico, indicando con enfasi il
grande androne in cui stavamo per entrare.
«Sei in età da matrimonio e hai una fila di
pretendenti che potrebbe attraversare il mio intero regno, ti ordino di
scegliere qualcuno stasera, o Dio solo sa di cosa sarò
capace», mi dice con tono calmo, mentre mi precede oltre le
alte porte di legno. Non posso far altro che sospirare e seguirlo. Non
vorrei metterlo in imbarazzo, ma odio queste situazioni.
Voglio dire, adoro avere ammiratori, vivere al castello, organizzare
maestose feste, indossare abiti dai colori delicati che facciano
risaltare la mia straordinaria bellezza. Ma dover scegliere un marito,
questo non mi piace. Perché mai dovrei concedermi a quegli
uomini quando nessuno di loro è degno di me?
Il Re segue il solito procedimento e ordina i pretendenti per grado e
ceto, dopodiché mi prende sottobraccio e mi accompagna verso
di loro. Padre, perché lo stai facendo? Non voglio nessuno
di questi uomini.
«Troppo grasso - decreto. - Troppo basso. Troppo vecchio.
Troppo malaticcio» continuo così, esagerando i
difetti di ognuno di loro. Il dispiacere nei loro occhi è
evidente, ma mi fa provare solamente un maggiore ribrezzo nei loro
confronti. Qualcuno abbassa la testa con accondiscendenza, altri hanno
gli occhi che si infuocano di indignazione, ma si mordono la lingua e
stanno al loro posto. Esattamente ciò che devono fare.
Arrivo, infine, al termine della fila. E' rimasto solo un uomo.
«Troppo magro» dico, espirando, e l'uomo non si
muove. Non vedo nessuna reazione, soltanto un sorriso beffardo che non
dà segno di voler vacillare. Cosa lo rende così
sicuro di sé? Gli lancio una seconda occhiata. I tratti del
viso sono piacevoli, gli occhi chiari, belli, il naso dritto.
Ma non voglio nemmeno lui.
«Inoltre ha i capelli troppo scuri e i tratti troppo
spigolosi, sembra un corvo», ed è con questo
termine che continuo a riferirmi a lui per l'intera serata.
Quando sto per ritirarmi nelle mie stanze, il re mi afferra il polso
«Nemmeno stasera hai scelto uno sposo, Abigail, eri stata
avvertita - mi dice. - Lasciandoti scegliere ti ho dato una grande
libertà, una libertà che non viene concessa a
tutte le donne, ma ora mi trovo costretto a...» sospira
stringendomi più forte «Sceglierò io -
bisbiglia, deciso. - Anzi, lascerò che decida il fato:
sposerai il primo che si presenterà alla nostra porta,
chiunque esso sia.»
Mi divincolo delicatamente dalla sua stretta sorridendo con noncuranza.
Potreste pensare che sia stato stupido, ma conosco il mio pollo. Non
è la prima volta che cerca di intimidirmi in questo modo, e
il solo fatto che io sia ancora nubile la dice lunga su quanto queste
minacce vengano messe in atto, perciò mi limito a dargli le
spalle e fare la mia uscita.
Qualche giorno più tardi, mio padre mi fa chiamare, e io
spero vivamente che non abbia organizzato un'altra festa per i
pretendenti. Cammino velocemente per i corridoi. La servitù
mi segue curiosa e silenziosa.
«Figlia mia, siediti accanto a me» mi invita non
appena entro nell'ampia sala, poi solleva il capo «Fatelo
entrare» ordina, e le stesse porte di legno che hanno accolto
conti, baroni, principi e re giusto poche sere fa, aprono il passaggio
ad un mendicante, un suonatore dagli abiti luridi. Si avvicina a noi e
piega il capo con reverenza. Posso sentire la puzza del popolo dalla
mia postazione privilegiata, e arriccio il naso.
«Prego» ordina di nuovo il re, e l'accattone inizia
a cantare una ballata molto popolare.
Sbuffo. Non ho voglia di starlo a sentire, non è nemmeno un
bell'uomo, e il mio sguardo inizia a vagare per la stanza,
soffermandosi sulle finestre, sul soffitto, sulle guardie.
Finalmente finisce la sua canzone. Borbottando e inchinandosi, chiede
una modesta ricompensa.
Mio padre ride e ride. Perché ride?
«Il tuo canto mi è piaciuto tantissimo. Ti
darò una somma di denaro e una moglie» gli dice.
Giro la testa verso di lui per vedere quale donna nella stanza stia
indicando, e d'improvviso mi sento svenire.
«Cosa?! - strillo con uno squittio, mentre i miei occhi
osservano con orrore il dito del re, puntato verso di me con fare
accusatore. - No! No, non puoi farlo!»
Lui mi sorride gentile «Sì che posso, sono tuo
padre, il re: decido io il gioco.»
«Così sarebbe solo un gioco per te?»
sibilo indignata. Come poteva farmi una cosa del genere?
«Per me è una cosa molto seria, sei tu che hai
preso il matrimonio come un gioco fino ad ora, figlia adorata. E' il
tempo di pagarne le conseguenze» mi dice con lo stesso tono
che userebbe per raccontare una favola ad un bambino. Mi sento tradita.
Sono sua figlia, sono una principessa, sono la bellezza più
desiderata del regno, e vuole darmi in sposa a un accattone.
Sta già chiamando il parroco «Le nozze si terranno
oggi stesso» dice, mentre il mendicante si avvicina
sorridendo e mi prende sotto braccio.
Che ne sarà di me?
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