Qualche
volta, re Ashura danza per la sua corte. Qualche volta. Si potrebbe anche dire
quasi mai. I momenti in cui il sovrano decide di onorare gli ospiti con le sue
danze sono eventi straordinari, rari e capricciosi come i gioielli di cui si
adorna. Non lo fa nelle feste di palazzo, non lo fa agli anniversari e alle
celebrazioni, quando tutti se lo aspettano, e le donne mormorano la loro attesa
dietro i ventagli. Ma in un giorno qualsiasi, durante un pranzo, un’esibizione
di musici, può scendere dal suo trono e a piedi nudi sui tappeti interpretare a
suo piacimento, coi passi e coi gesti, le note. Qualcuno tra i più intimi della
sua cerchia ricorda e racconta che una volta, nel corso di un viaggio, il re si
era unito ai balli di una festa di contadini, e un’altra volta ancora aveva
visto nella notte il fuoco di un accampamento di gitani e si era voluto fermare,
trascinando le sue vesti intessute d’oro e le sue gemme nel turbinio della
polvere, delle voci e dei colori.
E’ solo uno
degli innumerevoli segni di quel suo carattere volubile. Come il sorriso che in
un battito di ciglia, senza ragione può trasformarsi in furia, i discorsi che
virano improvvisi, l’apprezzamento dimenticato un’ora più tardi. Ai cortigiani
attoniti egli spiega che si cambia idea, perché tutto cambia, e nulla rimane
fermo, come il fuoco che sempre è fuoco, sempre sembra uguale a se stesso,
mentre in realtà è semplicemente la sintesi, per un istante solo, di un
movimento senza fine.
Ed è così,
proprio come una fiamma egli danza. Una scintilla si risveglia senza apparente
motivo da sotto le braci, e subito è la vampata di un maestoso incendio, il
sovrano discende i gradini del suo trono nel dispiegarsi delle vesti rosse, nel
soffio di veli dai colori caldi, nel tintinnio dell’oro e del corniolo. E
proprio come il fuoco gli piace ballare, attirare e occupare gli sguardi di
tutti, esibirsi nel modo più straordinario possibile. Perché gli sembra così di
poter dispiegare, per una volta, per lo spazio di una musica, l’immensa vastità
della sua anima, di un cuore con un desiderio potente, impossibile da
incatenare. Un desiderio che potrebbe mandare in pezzi, in un attimo, tutta
quella gente, il castello, forse capovolgere l’equilibrio di millenni.
Ma oggi, re
Ashura non danza per la sua corte.
Oggi, è tutto
diverso.
Perché oggi
re Ashura danza per due bambini dagli occhi grandi, specchi d’acqua ferma e pura
che riflettono solo sincerità. Non scende dal suo scranno quando si radunano i
più virtuosi musicisti del regno, eppure oggi ha deciso di ballare per le dita
inesperte di una ragazzina, per il suo ricordo di uno strumento a corde
conosciuto in un’altra vita. E su quella melodia un poco esitante, su note
venute da un mondo lontanissimo, questa volta Ashura ha aperto il ventaglio,
slacciato le sue vesti, sciolto i suoi passi e forse anche il suo cuore. Questa
volta, non danza la maestà di quel desiderio, ma solo la sua dolcezza.
E’ una fiamma
di candela, adesso, il chiarore del fuoco di quell’accampamento nella notte, il
brillio delle braci tra la polvere d’incenso.
Quei due
ragazzini nulla possono sapere del suo inarrestabile desiderio, di anni e secoli
di guerra, della follia di combattere senza nemmeno saperne la ragione. Eppure,
se lei socchiude gli occhi così dolcemente e lui osserva rapito la danza, forse
è perché invece conoscono quella piccola fiamma. L’intatto, minuscolo calore,
l’emozione del giorno in cui ci si innamora.
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