DOMANI – parte seconda
Stella
arrossì
fino alla radice dei capelli, incredula, paralizzata in mezzo al
corridoio,
senza fiato.
Arrivatole
a
pochi metri, anche l’uomo si fermò, più
per lasciarle il passo che per altro,
visto che il corridoio in quel punto era stretto ed in due non ci si
passava.
Ma Stella non si mosse: le sue gambe non rispondevano, il suo cervello
era
andato in catalessi e
tutto le sembrava
andare al rallentatore. Shannon, già arrabbiato di suo, per
un momento la
guardò in malo modo, in attesa che si decidesse a passare,
desideroso di
raggiungere la sua camera, tanto da avere già le chiavi in
mano, ma lei era
immobile con gli occhi sbarrati, l’espressione inebetita.
L’unica
cosa
che invece non era rimasta immobile erano i faldoni che, animati da
vita
propria o forse perché Stella non li teneva affatto, avevano
cominciato a
cadere di lato, verso Shannon, aprendosi.
Improvvisamente
una cascata di fogli cadde addosso a Shannon, che, sorpreso, fece un
passo
indietro, e anche a Stella, che, ad occhi spalancati, lo stava ancora
fissando.
In breve tutto il pavimento attorno a loro era pieno di fatture,
bilanci e
documenti, come se fosse nevicato in corridoio, e tutto
l’ordine che Stella aveva
messo in quelle maledette carte era andato istantaneamente in fumo.
Stella si
riscosse e si guardò attorno come se si risvegliasse da un
brutto sogno, cercò
con gli occhi Shannon che sogghignava, quasi divertito da quella scena
comica,
arrossì nuovamente, balbettò una mezza scusa
nemmeno sicura di quello che
avesse detto, si inginocchiò per terra e
cominciò, tremando, a raccattare i
fogli sparsi in giro, il più velocemente possibile, per
rimetterli nei faldoni
ormai quasi completamente vuoti.
Il suo
cervello
le diceva di fare in fretta e di andarsene di volata, mentre il suo
cuore non
smetteva di martellarle in petto. L’importante era recuperare
tutto il prima
possibile ed allontanarsi da quell’uomo: non importava
l’ordine, i fogli li
avrebbe messi a posto più tardi in reception o anche
l’indomani, al limite.
“Serve
una
mano?” Shannon la guardava da sopra, incuriosito da quella
strana situazione,
visto che non gli era mai capitato di avere un mucchio di carta davanti
alla
porta della sua camera d’albergo!
“Ehm…
No, no.
Grazie.” La voce non le uscì convinta come avrebbe
voluto, ma sperò che fosse
sufficiente. Ed invece, purtroppo, no.
“Rischi
di
passare la notte qui, però…” Nonostante
il cattivo umore, Shannon,
educatamente, si accucciò anche lui a dare una mano,
sorridendo appena, mentre
Stella lo guardava di sottecchi, praticamente in apnea.
Cominciò a raccattare i
fogli mentre si chiedeva cosa ci facesse una ragazza del genere,
vestita di
tutto punto, tailleur nero e tacchi alti, con un discreto sentore di
Calvin
Klein, a quell’ora di notte a spasso per i corridoi di un
albergo con dei
libroni recalcitranti. Dopo un po’, l’uomo le
passò un pacco di fogli che aveva
raccolto.
“Tieni.”
Le
disse.
“Grazie.”
Stella
allungò
il braccio sinistro per prenderlo.
Shannon le
appoggiò i fogli sulla mano e la vide: bianca, leggermente
in rilievo, tratteggiata
chiaramente sopra una trama di vene azzurre.
Una
cicatrice.
Non una
qualsiasi: una identica alla sua.
L’uomo
sobbalzò, si alzò di scatto in piedi e in pochi
secondi gli passarono per la
mente le immagini di quell’episodio in Bolivia che credeva di
avere
dimenticato: lui e Jared, la strega, il fumetto azzurro del
falò, la brace
ardente, la cicatrice sul suo polso, la donna che moriva d'amore per lui.
Rivolse il
suo
sguardo a Stella che, non capendo la ragione del suo strano gesto,
aveva
continuato a raccogliere i fogli, senza dire niente, sempre
più velocemente.
Ormai ne rimanevano pochi, per terra. Stella stava sistemando
l’ultimo
mucchietto di fogli, poi si alzò con i faldoni impilati ma
completamente in
disordine e, dicendo un timido ‘grazie’, si
girò per andarsene.
“Aspetta.”
Le
disse, le sopracciglia aggrottate, il viso pensoso; ma Stella non aveva
nessuna
intenzione di rimanere lì. Gli lanciò
un’occhiata quasi impaurita e poi tentò
di allontanarsi da lui, lungo il corridoio, ma le gambe non le
reggevano a
sufficienza e i suoi passi erano lenti.
Shannon fu
più
svelto: infilò la chiave nella toppa, aprì la
porta e poi, con un gesto che
sorprese persino lui, prese la donna, allontanatasi di pochi passi, per
un
avambraccio e cercò di trascinarla dentro la sua stanza.
Doveva parlarle,
c’erano delle cose da chiarire: quella donna non poteva
andarsene così. Razionalmente non
sapeva nemmeno lui perché, ma doveva parlarle.
“No!”
Stella
tentò di divincolarsi, ma non ci riuscì: Shannon
era decisamente più forte di
lei e i faldoni di fogli, il portatile e la borsa le ostacolavano i
movimenti,
già di per sé precari. Così
l’uomo, senza lasciarle il braccio, le diede una
piccola spinta e la fece entrare in camera a forza.
Stella si
ritrovò in mezzo alla stanza, con quei fetenti faldoni di
nuovo pericolosamente
in bilico ma miracolosamente salvi, al buio, non fosse per la tenue
luce che
entrava dalla finestre con le tende scostate, con il cuore che sembrava
scoppiarle in petto, spaventata a morte. Si girò verso la
porta decisa ad
andarsene ma Shannon entrò a sua volta ed accese la luce.
Poi, lentamente e
senza smettere di guardarla, si chiuse la porta alle spalle.
Per un
attimo
Stella, leggermente abbagliata, si fermò a guardare il lusso
incredibile di quella
stanza d’albergo, i mobili chiari, la luce soffusa, la TV
al plasma alla parete, il
tavolino e le sedie di mogano, un divanetto ad angolo, ma poi ritornò a guardare
fissamente Shannon,
immobile e sbigottita, le guance in fiamme. L’uomo era
più affascinante di
quanto si ricordasse ed averlo davanti in carne e ossa era la cosa
peggiore che
potesse capitarle. Si chiese come facesse ancora a respirare e come mai
non
fosse ancora caduta per terra, svenuta. Pensava di averlo relegato in
un angolo
della sua mente ed invece adesso se lo trovava inaspettatamente proprio
lì
davanti e anche particolarmente agguerrito.
“Chi
sei?” le
chiese Shannon, cominciando a depositare le sue cose sul mobile vicino
alla
porta.
Stella
deglutì
una inesistente saliva. Shannon non sapeva nulla di lei e
così doveva
continuare a essere: “Cosa vuoi da me?”
“Ti
ho fatto
una domanda mi pare. Chi sei?” E mentre lo chiedeva si
avvicinò mettendosi a
pochi passi, con un viso che a Stella parve decisamente cupo.
“Non
capisco
cosa vuoi dire. Io…”
“Tu
sai chi
sono, o no?” Shannon si puntò un dito al petto.
Stella
sospirò
ed annuì: “Sì.”
“Dillo.”
“Tu
sei… sei
Shannon Leto.” Da quanto tempo non diceva quel nome,
pensò Stella, anni interi
che sembravano secoli.
“Esatto.
E tu
chi sei?”
“Io…
Io mi
chiamo Stella, ma… ma perché ti interessa, non
capisco…”
Shannon le
si
avvicinò velocemente, scazzatissimo.
“Guarda!”
Le
prese il polso sinistro, mentre i faldoni stregati ricominciavano a
dondolare
in braccio a Stella, e vi accostò il suo: le cicatrici sui
loro polsi erano
identiche. “Ecco perché, accidenti!”
Stella,
rabbrividendo al contatto della mano dell’uomo sul suo polso,
guardò
attentamente le cicatrici, a bocca aperta: da non credere. Come faceva
Shannon
ad averla identica alla sua, nello stesso posto? Non si ricordava di
aver mai
sentito o letto da nessuna parte che l’uomo avesse una
cicatrice del genere.
Sembrava pure che questa cosa gli mettesse una gran rabbia.
“Non capisco cosa…”
“Come
te la
sei fatta?” Shannon le lasciò il polso, ma il suo
atteggiamento inquisitore non
cessò.
Non poteva
dirglielo, in nessun caso. No davvero. Anzi, doveva attaccare:
“Senti: io non
so cosa tu voglia da me, ma io non ho nessuna intenzione di stare qui a
raccontarti gli affari miei. Fammi passare.”
Stella
tentò
di guadagnare la porta ma l’uomo le si mise davanti
sbarrandole il passo.
“Devi
rispondere.”
“Perché?
Sono
affari miei.”
Shannon
non
gradì molto la risposta e quasi le gridò in
faccia: “Perché qualcuno mi ha
accusato di essere la causa della tua cicatrice, di essere stato IO a
procurarti
quella ferita. E’ vero?”
A Stella
il
cuore balzò in petto: accidenti, non era l’unica
ferita che le aveva procurato.
Ne aveva una anche nel cuore, ben più profonda. Ma poi cosa
sapeva Shannon di
lei e in che modo era venuto a saperlo? Chi aveva parlato? Il suo
dottore?
Macché, che idiozia…
“Chi
te l’ha
detto?” azzardò, in un filo di voce.
Shannon si
passò una mano tra i capelli, restio a ricordare:
“Una strega in Bolivia, tre
anni fa. E perchè ti trovassi, o forse per punirmi, me ne ha fatto una identica. Mi ha detto
che una
donna mi amava ma che io non sentivo il suo amore perché
ero… insensibile. Ed
invece l’amore
arriva sempre a
destinazione. Che cavolo di teoria sarebbe, questa?”
Stella non
credeva ai propri orecchi: era la domanda che aveva fatto al suo
dottore, tanti
anni prima, e ora la risposta le veniva proprio dall’oggetto
del suo passato
amore. Non sapeva che dire. L’uomo continuò:
“Fino ad ora io ho creduto che
fossero soltanto baggianate esoteriche e che la strega fosse pazza da
legare,
ed invece stasera, una delle sere peggiori della mia vita, mi compari
davanti
con quella cicatrice. A questo punto voglio sapere se è
tutto vero o sono
coincidenze. Sei tu quella donna? Quella che mi
‘amava’?”
Doveva
mentire, per forza. Aveva alzato un magnifico muro dentro il quale si
era
rifugiata, ci aveva messo un po’, le era costato un bel
ricovero in clinica, ma
c’era. Sapeva però che non era così
saldo come avrebbe voluto e se solo avesse
aperto uno spiraglio, il muro sarebbe crollato, con lei sotto le
macerie. Non
poteva permetterlo, non adesso che aveva raggiunto un suo pur minimo
equilibrio.
“No.”
Gli
rispose, cercando di essere più convincente possibile.
“Sicura?”
“Non
sono io,
non so nemmeno di cosa stai parlando.” Stella si
sistemò meglio quei dannati
faldoni in mano con fare indifferente, ma le era difficile anche solo
respirare
a vedersi Shannon con la fronte corrugata che la fissava in quel modo
torvo.
“E
la
cicatrice?”
“Emh…”
Doveva
inventarsi una bugia, lì su due piedi. E non era mai stata
brava a dirle.
Azzardò l’incidente domestico. “Me la
sono fatta con il ferro da stiro. Mi
stava cadendo, ho tentato di afferrarlo ma non sono riuscita a
prenderlo e mi
sono ustionata un polso.” La prima che le era venuta in
mente, la più stupida e
anche la bugia peggio proferita della storia
dell’umanità.
Shannon
sogghignò, incrociando le braccia, perplesso:
“Certo, come no? Se tu facessi
l’attrice come lavoro, moriresti di fame.”
“Ma,
è vero!”
“Raccontala
a
tua nonna questa fandonia, capito? Non mi fare incazzare, per favore. E
soprattutto
dammi un po’ di credito, non sono rincoglionito del
tutto.” Shannon alzò la
voce e le si parò davanti con le mani sui fianchi.
“Allora?”
Stella
abbassò
gli occhi, imbarazzata. Sotto lo sguardo furioso di Shannon, le pareva
di
essere una scolaretta sorpresa a copiare il compito in classe. Non
aveva
immaginato che quell’uomo potesse essere un osso
così duro da trattare, dalle
foto non sembrava.
Era
stanca,
esausta, sfinita e adesso aveva anche Shannon Leto che la stava
interrogando su una cosa che, in fondo, lo riguardava ma che Stella si vergognava a morte a dirgli. E poi anche a dirglielo, che cosa ne poteva capire un uomo del genere? Avrebbe riso di lei, sicuramente.
Appoggiò i maledetti faldoni su un tavolino lì
vicino ed il portatile per
terra. Che cosa doveva fare? Raccontare la verità?
Sospirò e si girò a guardare
verso la finestra le luci di Milano che brillavano nella notte, per un momento.
Alla fine si decise: ma
sì, poteva
raccontargli tutto, tanto per farla finita a breve, no? Cosa sarebbe
cambiato?
Ormai era passato. Non importava più. Ridesse pure, tanto...
“E’
tutto
vero.” Disse, dopo un attimo, a voce bassa, dandogli le
spalle. “Io… Io ti
amavo. Ti desideravo da morire. Non so se puoi capire.
Così intensamente,
che l’idea di non poterti avere mi ha portato a tentare il
suicidio. Tre anni
fa, più o meno. Mi sono tagliata il polso con una lametta da
barba… o almeno ci
ho provato… e, ovviamente, non ci sono riuscita.”
Si
girò verso
l’uomo, che era rimasto silenzioso: “Sono stata
un’imbecille, vero? Stavo
buttando nel cesso la mia vita, per te. Soltanto per te. Non ti
conoscevo e non
ti avevo nemmeno mai visto da vicino. Non sono mai venuta ad un tuo
concerto.
Non potevo sapere com’eri in realtà.
Eppure…” Ormai quella parte della sua vita
era passata. Se la doveva gettare alle spalle, lo aveva già
fatto. Non aveva
senso riconsiderarla ora, nemmeno per uno Shannon reale, lì,
in piedi in
silenzio davanti a lei. “Ma come mai potevo essermi
innamorata di te, da una
fotografia? Da un video? Scema, vero?”
Stella si
scherniva, ridendo di sé stessa. Poi abbassò gli
occhi a guardarsi le mani,
imbarazzata.
Ma Shannon non rise. Le
si
avvicinò di un passo: dunque era vero quello che aveva detto
la strega. Era
stato lui a ferirla, senza volerlo, soltanto per il semplice fatto di
esistere. E lei? Che genere di donna poteva essere, per amarlo senza conoscerlo? Non sapeva bene cosa dirle.
“Mi dispiace.” Le disse, semplicemente, toccandole
un braccio.
La donna
scosse una spalla e la testa, guardandolo in viso: “Non fa
niente, ora sto
bene. E’ tutto passato. Era solo ieri. Ormai non importa
più.” Gli sorrise
timidamente, quasi convinta di quello che aveva detto, decidendo che
doveva
andarsene di lì, e subito. “E… adesso
devo proprio andare.”
“Perché?”
Che
domanda le
stava facendo? “Perché? Perché non
c’è nessun motivo per cui io debba rimanere
qui, no?”
Shannon si
mise a fissarla, studiandola: lunghi capelli castani ondulati le
cadevano sulle
spalle e due occhi azzurri, truccati di scuro, dalle ciglia arcuate,
tristissimi, lo guardavano. Una giacca nera sfiancata e una gonna a
tubino,
anch’essa nera, appena sopra il ginocchio, mettevano in
rilievo la sua magra
figura, ulteriormente slanciata da un paio di scarpe con il tacco alto;
due
gambe perfette avvolte in calze nere trasparenti. Di bianco soltanto la
camicetta di seta e gli orecchini di perla.
E, come una bambina, portava la borsetta a tracolla.
La fede al
dito. Che sembrava un peso su quella mano affusolata dalle unghie
dipinte
elegantemente di rosso. C’era un marito, dunque, e forse
anche dei figli.
A
quell’esame,
Stella si sentì in imbarazzo.
Arrossendo
per
l’ennesima volta, gli disse: “Non mi scrutare
così, per favore: noi… non
abbiamo proprio niente da dirci. Mi dispiace che la strega ti abbia
fatto del
male, ovviamente io non volevo finisse così, ma non potevo
pensare che è vero
che l’amore non va perso. Non potevo prevederlo,
né immaginarlo.” Si girò
nuovamente verso le finestre. “Ora… ora ci siamo
detti quello che dovevamo, hai
voluto sapere e non c’è altro da dire. Quindi me
ne vado.” Per un momento le
parve di aver detto più volte la stessa cosa, di essere un
disco rotto.
Shannon le
si
avvicinò e cominciò a guardare dalla finestra
anche lui. Che cosa doveva dirle,
ancora? Stava improvvisando, non ne aveva idea. La situazione era talmente strana da non essere razionalmente prevedibile. “C’è un’altra cosa, in
realtà.”
“Cosa?”
Stella
lo guardò un attimo, desiderosa di terminare al
più presto quella
conversazione.
“Io…
l’ho
sentito. E’ strano a dirsi ed è senza dubbio una
specie di stregoneria, ma… Ho
sentito quello che provavi per me. E’ stata sempre la
strega.”
Shannon si
guardò attorno un attimo, perplesso: ma che cazzo stava
dicendo? Lui? Non era
da lui dire scemenze del genere. Aveva quarant’anni,
l’era dei sogni era
tramontata da un pezzo, quella sera gli si era infranto anche
l’ultimo, di che
cosa andava parlando? Ma cosa gli stava succedendo? Il mondo girava
alla
rovescia, quella notte, ormai non c’era più
dubbio. Eppure…
“Come?”
Stella
si girò a fissarlo, sorpresa.
Shannon
fece
un sorriso di traverso: ormai aveva iniziato il discorso, tanto valeva
finirlo.
“Io non sono un sentimentale e la strega non so come abbia
fatto, ma… beh, era
una sensazione bellissima di tenerezza e affetto che non avevo mai
sentito
prima di quel momento…” Shannon si
posizionò tra la finestra e Stella,
vicinissimo. D’istinto,
alzò una mano a
toccarle una ciocca di capelli che le scendeva sulla spalla.
“Né l’ho più
provata da allora.” Si diede nuovamente dello scemo, si
sentiva come se avesse
quindici anni, ma quella era la verità e non riusciva a
stare zitto: era come
se le parole gli uscissero da sole. Non riusciva a non dirla a Stella,
la
verità. Improvvisamente di rese conto che quella donna gli
piaceva e non sapeva
neppure lui perché. Era così e basta.
Lo sguardo
dell’uomo era fermo sul suo e Stella si sentiva nuovamente
paralizzata. Non le
uscì niente se non un: “E…?”
“Vorrei
sentirla ancora.” La voce di Shannon era un sussurro.
Stella non
era
sicura di dove Shannon volesse andare a parare, con quello sguardo
furbetto e
quel sorriso appena accennato, e decise che doveva glissare:
“Non… non saprei
come. Dovresti tornare in Bolivia.” Si allontanò
di un passo.
Shannon
sorrise. “No, non occorre andare così
lontano.” L’uomo le si avvicinò di
più e,
sorprendentemente, le mise le mani attorno alla vita stretta,
attirandola verso
di sé. “Non la voglio sentire dalla strega: se
è vero quanto hai detto, voglio
sentirla direttamente da te.”
Stella si
ritrovò occhi negli occhi con Shannon, con le gote in fiamme
e le mani
appoggiate sul suo petto, sulla difensiva, mentre lui la stringeva di
più.
L’uomo abbassò il viso per appoggiare la sua bocca
su quella di Stella, ma lei
girò il volto dall’altra parte e lo respinse.
“No.
Per
favore.” Era una cosa che aveva desiderato per tanto tempo ma
che ora non si
sentiva di affrontare. Non poteva. Non doveva. E poi non stava succedendo veramente. Era impossibile. “No.
Io… devo andare.”
Si
irrigidì e
tentò di spingerlo via, ma Shannon non si scostò
di un millimetro. Anzi,
riportò il viso vicino a quello della donna, ne
aspirò il delicato profumo, ad
occhi semi chiusi, deliziato. Voleva sentire quella splendida emozione
nuovamente, a tutti i costi. E solo lei poteva fargliela sentire, ne era certo.
Stella era
senza fiato, ne trovò appena per dire qualcosa:
“Non fare niente. Ti prego. Io…
ho sofferto a sufficienza. E comunque non ti amo, non potresti
risentire la
stessa sensazione qui ed ora, e tu… non mi ami nemmeno tu e
non mi amerai mai,
perciò… lasciami andare via.” Stella
sperò di essere stata convincente: non
poteva credere nemmeno per un momento che adesso Shannon volesse
stare con
lei. Ma l’uomo non demordeva.
“La
strega
parlava di amore tra anime simili, capisci?”
Stella
sbuffò,
irritata: possibile che quelle parole le dicesse quell’uomo?
Non era da lui,
erano certamente delle balle, per farla restare in quella stanza,
chissà
perché. Replicò subito: “Le anime
simili non esistono e se esistono non siamo
noi: io e te apparteniamo a mondi diversi, siamo agli antipodi e,
soprattutto,
non ci conosciamo. Non potremmo mai e poi mai stare insieme. Io sono
sposata e
devo tornare a casa mia e tu… beh io non so come sei messo
ma…”
“Io
voglio…
Voglio crederci.” Shannon non credeva ai suoi orecchi, ma
cosa stava dicendo?
Ormai stava andando a ruota libera. Il suo ultimo sogno era crollato e
lui
aveva bisogno di credere in qualcosa.
“Volere
non
basta, nella vita. Ci sono tutte le conseguenze e le circostanze ad
impedirlo.
Lasciami.”
“Aspetta.
Dammi una possibilità. Resta qui.”
“No.
Non ci
conosciamo, non è possibile.”
“Ci
siamo
incontrati da dieci minuti, come fai a dire?”
“Io…
” Stella
riuscì a liberarsi e si diresse verso la porta, decisa ad
andarsene. “Devo
andare. E… basta.”
“No,
da quella
porta non esci. Parola mia.” Shannon le prese di nuovo il
braccio e la tirò
nuovamente verso di sé.
“Finché…”
Stella si
divincolò, rabbiosa e frustrata allo stesso tempo:
“Finchè, cosa?” Cominciò a
fissarlo con occhi di fuoco e poi gli sibilò tra i denti:
“Che ti succede? Non
hai trovato nessuna modella minorenne da rimorchiare, stasera?
L’albergo non ti
ha trovato nessuna prostituta? Tutte esaurite? E allora vuoi scopare
con me,
Shanimal?”
“Che
cazzo
stai dicendo?” Gli occhi di Shannon mandarono un lampo
pericoloso, quel
soprannome non gli era tanto gradito e nemmeno il maligno commento di
Stella. Era anche vero che lo conosceva bene, a quanto sembrava. Fin troppo. E questa cosa gli fece un male cane.
“Hai
capito
benissimo. Lasciami il braccio. E subito.”
“Chi
credi di
essere, per dirmi cose simili?” Invece di lasciarlo, Shannon
glielo strinse di
più.
“Non
sono
proprio nessuno per te, per quello te le posso dire.”
“Non
hai
nessun diritto di giudicarmi, capito?”
“Lasciami
andare.” Stella tentò ancora di liberarsi, senza
riuscirci.
“Ti
ho chiesto
di restare per parlare, non per scopare.”
“Da
te non
voglio né l’uno né
l’altro.”
Shannon
rimase
di sasso.
Le
lasciò
subito il braccio: non aveva senso chiederle perché. Era
ormai ovvio: Stella
non lo voleva, l’aveva desiderato in passato e ora non
più. Aveva ragione lei,
non c’era niente da dire: qualsiasi cosa lui provasse non
aveva alcuna
importanza, ora. La guardò mentre riprendeva il portatile e
quei libroni, si
voltava a fissarlo per un attimo e poi girava la maniglia ed usciva
dalla
porta, lasciandola spalancata. Tornava alla sua vita, da suo marito,
dalla sua
famiglia, mentre lui non aveva nessuno e non poteva farci nulla. Non poteva pretendere nulla da lei: l'aveva trovata, senza cercarla, ma forse era troppo tardi per costruire qualcosa. La
seguì e per
un attimo rimase sulla soglia, a guardarla allontanarsi silenziosamente
lungo
il corridoio illuminato.
Chiuse la porta: sarebbe
stata
una notte lunga e piena di tenebre, per lui.
RRR
Ho preso
la
porta e sono uscita quasi di corsa. E dei faldoni che ho in mano farei
un falò
qui in mezzo al corridoio, non fosse che il mio inculcato senso del
dovere ha
sempre il sopravvento.
Non mi
giro a
vedere la porta che si chiude: la sento solo sbattere. Arrivo
all’ascensore,
trafelata. Premo il pulsante per chiamarlo, ma è come se
fossi investita da una
scossa elettrica.
Ma cosa
sto
facendo? Cosa? Cosa, perdio?
Sto
fuggendo,
di corsa. Come ho fatto sempre in vita mia, a casaccio, sbagliando quasi
sempre a
scegliere quando sono stata ad un bivio, non cogliendo le occasioni al
momento
giusto.
Se esco da
questo albergo avrò preso la strada giusta?
E se
rimango?
L’ho
insultato, beffeggiato e, involontariamente, anche cicatrizzato, il
povero
Shannon. Ma cosa voglio veramente da quell’uomo? Cosa potrei
avere da lui?
Sono
ritornata
lentamente sui miei passi, davanti alla sua porta bianca. 537. Bel
numero,
dispari, portafortuna, inciso in argento.
Lui
è là,
dietro quella soglia, ci separa soltanto un pezzo di legno lavorato, e
non mi
aveva mandato via. Me ne sono andata da sola. Mi aveva detto di restare per parlare di noi, di questa assurda situazione,
e io
invece ho preso la porta e sono uscita.
Brava.
Un genio.
Quante
volte
ho pensato che avrei voluto incontrarlo, parlargli, vederlo sorridere?
E ora
che ce l’ho qui, cosa faccio? Scappo via. Impaurita della mia
stessa paura di
rimanere da sola con lui. Spaventata dalla possibilità che
per lui io conti
qualcosa, terrorizzata dall'idea che la storia delle anime gemelle sia vera.
E ora sto
malissimo.
Perché?
Perché
mi faccio male da sola? Il destino mi aveva riservato questa sorpresa,
questa
notte magica ed impossibile, e io cosa sto facendo? La sto buttando dritta
nel
cesso. Perché?
Appoggio
per
terra, vicino alla porta, i faldoni e il PC, maledetti fardelli, e
busso
leggermente.
Non mi
risponde nessuno. Trattengo il fiato.
Busso
nuovamente. Ultima volta, penso, e poi me ne vado davvero.
La porta
si
apre lentamente.
Shannon
è lì
davanti a me, a torso nudo, con la maglia nera in mano, e mi fissa con
il suo
solito mezzo sorriso sornione, quello che ho sognato per notti intere.
Evidentemente
si stava spogliando per andare a letto, visto che adesso è
anche scalzo.
Per un
momento
rimaniamo così, io appoggiata allo stipite della porta, lui
con un braccio a
tenere la maniglia: non ci sono parole da dire, o perlomeno io non ne
ho
nessuna.
Non so
cosa
dirgli, non so cosa provo, non so cosa fare.
Non so
nemmeno
che espressione ho in volto, non riesco ad immaginare come possa
vedermi, che
cosa legga nei miei occhi. Gli guardo il tatuaggio artistico sul
braccio
sinistro, i glyphis sul
destro, i suoi muscoli
scolpiti, i suoi occhi, il suo petto quasi glabro. Conosco i suoi
tratti a
memoria, avevo il suo poster nel bagno dell’ufficio ed era
fotografato proprio
come lo vedo ora, come se il poster si fosse animato.
E lui non
si
muove, si lascia guardare, perché?
Poi non so
cosa mi prende. E’ come se mi si aprisse improvvisamente una
porta in testa,
come se crollasse un sipario.
Ma
perché mi
faccio tutti queste domande inutili? Perché continuo a
chiedermi ‘perché’?
Perché ho passato la vita a farmi problemi del tipo
‘cosa diranno gli altri’,
mentre non mi importava cosa avrei detto io? Perché ho
sprecato il mio tempo ad
analizzare tutte le situazioni, a dividere un capello in quattro, a
fare come
DOVEVO fare, imprigionata in obblighi morali ed etici quasi infantili,
infarciti di sensi di colpa e peccati, e non come MI SENTIVO di fare?
Io non so
cosa
voglia da me e non mi importa.
Ma io so
cosa
voglio da lui e ora mi importa.
Io voglio
lui.
Lo voglio
e
basta.
E lo
voglio
adesso.
Entro
dalla
porta e me la chiudo alle spalle.
Mi tolgo
la
borsetta a tracolla e la appoggio sul tavolo alla mia destra, poi mi
tolgo la
giacca e le scarpe. Comincio a sbottonarmi la camicetta di seta,
lentamente.
Non sono una spogliarellista di Las Vegas, quel genere di donne a cui
lui è
abituato, né una zoccola d’alto bordo, una puttana
di mestiere.
Non sono
una
stragnocca da copertina, una modella da taglia XXS, una attrice di
Hollywood
ripiena di silicone e botulino, finta come una bambola. Non so se sono
bella o
sexy in questo momento, non mi importa. Non so se ho il trucco a posto,
la
pettinatura impeccabile o se sembro uscita dalla centrifuga della
lavatrice.
NON MI
IMPORTA. Non mi importa più di niente.
Io lo
desidero
e se Shan mi vuole, fosse anche per un’ora, io sono qui. Solo
questo conta,
adesso. Non ho più paura di nulla.
Butto la
camicetta per terra, poi mi tolgo la gonna e rimango in slip, reggiseno
e
autoreggenti. Poi mi avvicino a Shannon e lo abbraccio, passandogli le
braccia
attorno al collo. E’ un delirio di piacere infinito:
finalmente posso sentire
il calore ed il profumo della sua pelle, il suo corpo contro il mio, le
sua
braccia che mi stringono. Rabbrividisco al contatto, sono quasi senza
fiato.
Gli
accarezzo
lentamente la nuca, il viso, le spalle, i capelli, il petto, il
tatuaggio al
centro della schiena e lui, buttata la maglietta per aria, fa
altrettanto: mi
accarezza la schiena e poi le natiche, i fianchi, il seno.
Poi
finalmente
sento le sue labbra, avide e bollenti, sulle
mie, la sua lingua che incontra la mia, mentre mi sgancia
il reggiseno e
percepisco il suo desiderio contro di me. Shannon mi solleva di peso e
mi porta
sul letto. In breve la mia biancheria vola per la stanza e
così pure i suoi
pantaloni.
E la notte
è
solo nostra.
RRR
Ti ho
lasciato
che dormivi ancora. Profondamente.
Il jet lag
e
la notte quasi insonne ti hanno stroncato. Non hai sentito quando mi
sono
sciolta dal tuo abbraccio, mi sono vestita, ho preso le mie cose e me
ne sono
andata dalla tua stanza, dopo averti fatto una lieve carezza sul bel
viso.
Ti ho
lasciato
il mio numero di telefono sul tavolino e dal tuo blackberry (che
contiene ben
sette prolissi SMS non letti di un Jared incazzatissimo con te) ho
preso il
tuo.
Non so
ancora
se mi chiamerai, se ti chiamerò o se ci vedremo ancora.
Intanto
sono
in treno e torno a casa dalla mia famiglia. Tu non ce l’hai
una famiglia, non
la vuoi, mi hai detto. Io invece ce l’ho e la voglio,
comunque, contro tutte le
convenzioni. Forse, in fondo in fondo, sono una bacchettona. Non ho
pensato
nemmeno per un momento di lasciare la mia famiglia e scappare con te.
Viviamo
in mondi diversi, in modi differenti, ma non per questo non possiamo
trovare un
punto di contatto, quando meglio ci aggrada. E a me basta e avanza.
Che cosa
c’è
stato, la notte scorsa, tra di noi?
E’
stato solo
sesso? Può essere. Se anche fosse, perché
dovremmo negarlo? E’ andato bene ad
entrambi, esattamente così com’è stato.
Non escludo che tu lo farai con tante
altre donne, forse ancora anche con me, ma non ci posso fare nulla, sei
un uomo
libero ed io, stranamente, non sono gelosa. Io lo farò anche
con mio marito,
ogni tanto, ma credo che immaginerò di farlo con te, come
spesso è successo
anche in passato.
E’
stato
amore? Può essere. Non lo so. Non ci siamo detti
tiamotiamotiamo, come due
teneri fidanzatini quindicenni, né giurato amore eterno
(niente dura per
l’eternità, nemmeno la vita stessa e forse
è questa la sua bellezza) perché non
sappiamo se è la verità o una balla colossale.
Solo il tempo, medico infallibile,
potrà dirlo. Mi hai anche detto, prima di crollare dalla stanchezza tra le mie braccia, che la tua sensazione perduta l'hai sentita nuovamente mentre facevamo l'amore, mentre univamo i nostri corpi e i nostri spiriti. Vale anche per me, la sento ogni momento, ogni volta che ti penso, con ogni fibra di me stessa, credevo di averla sepolta ed è invece è più viva che mai.
E poi
chissà
se è vera la storia delle anime simili: cinicamente mi
verrebbe da dire di no,
ma sono cinquemila anni che questa leggenda gira, fin dagli albori
dell’umanità, dalle mezze mele di Platone, alla
Matrix Divina di Gregg Braden,
passando per la tua strega boliviana.
E allora,
magari, sopravvissuta alle maree del tempo, sì,
può essere che sia vera. Mi
veniva un po’ da ridere quando lo dicevi tu, però:
non ti facevo così
romantico! O forse ieri notte eri solo e disperato e ti andava bene
chiunque,
me compresa? Non so, ora non voglio saperlo. Sto bene così.
Arriva un
SMS.
E’ la mia collega che mi chiede se sono ancora viva,
sopravvissuta alle
trappole dell’errore fantasma. Sì,
sono
viva, oggi più che mai, più di ogni altro momento
che ho vissuto finora.
Guardo il
paesaggio che corre oltre il finestrino, veloce, inafferrabile,
c’è il sole, la
giornata è splendida. O forse è a me che sembra
splendida, penso, anche se
venisse giù il diluvio universale, una tromba
d’aria e una nevicata di due
metri.
Mi suona
il
telefono.
Guardo il
numero.
Sei tu.
“Ehi.”
“Ehi.
Sei in
treno?”
“Sì.
E tu?”
“In
aeroporto.
Torno a casa. Problemi in famiglia.”
Credo di
avere
capito: “E’ tanto incazzato, Jared?”
“Che
basta…” e
ti scappa una delle tue inconfondibili risate.
“Dovrò raccoglierlo col
cucchiaino.”
Rido
anch’io:
“Ti vuole troppo bene, non sopporta di perderti.”
Psicologia spicciola, da
oroscopo mattutino.
“Anch’io
gliene voglio, ma ogni tanto vorrei ucciderlo.”
“Odio
e amore
sono legati, lo sai no?” Ora sono agli stereotipi da bacio
perugina, me ne
rendo conto.
“Oggi
vorrei
uccidere anche te, a dire la verità.”
“Perché?”
“Perché
quando
sono uscito dalla camera sono inciampato sui tuoi dannati e merdosi
libroni e
sono finito a gambe all’aria in mezzo al corridoio! Vipera!
Avevi fatto
apposta, confessa!”
“O
no!” Rido
come una matta, immaginandomi la scena di Shannon che li calpesta,
bestemmiando
come un turco.
“Preparati
per
la mia atroce vendetta, la prossima volta che ci vediamo.”
“Aiuto,
che
paura!” Lo prendo in giro.
“Scema.
Scappo
che perdo l’aereo.”
“Ciao.”
“Ciao.
A
presto.” Riagganci subito.
A presto.
A presto,
piccolo Shan, a presto.
FINE
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