Capitolo 42 – Unraveled chains
I
momenti peggiori della vita hanno un’ombra tale, lunga come quella degli
oggetti al tramonto, che li distingui persino mentre li stai ancora vivendo.
Proiettano un cono nero dentro il futuro, che deglutisce tutto quello che ci
sarà da quel momento in avanti, stritolando colori e gioie non ancora nemmeno
concretizzate. I giorni belli della vita, i migliori, non avvisano mai, così
che tu possa sottovalutarli e non lacerarti nell’angoscia che scivolino via, perché
se lo capissi, se lo intuissi, perderesti la leggerezza necessaria a vivere
quel momento e a renderlo il migliore, forse, mai visto. Quindi, sono lievi,
sottili, frastagliati nella memoria dall’ansia irascibile di non aver mai
fissato abbastanza particolari di quell’attimo.
Ma i
momenti brutti sono come lastre di cemento: e soffocano, comprimono,
schiacciano. E non smettono mai di farlo.
Io,
già adesso che urlo contro Draco, avverto la premonizione che questo sarà il momento più
brutto della mia vita. Ed è qualcosa di vagamente ironico e sarcastico,
considerando che cosa ho passato e che cosa probabilmente ancora passerò.
Eppure, quel presagio mi fa drizzare i capelli sulla nuca. Non è riposante o
consolante pensarlo, non è che mi dico automaticamente che ciò significa che ho
davanti il riscatto di una pacifica serenità, se questo fosse davvero il
momento peggiore della mia vita. Potrebbe esserci anche una distesa di giorni
né troppo belli, né troppo brutti: vuoto davanti, come
quello che lascia un tifone al suo passaggio. Quindi non c’è alcuna
soddisfazione nello stare dentro al tifone,
preconizzando che se ne uscirebbe vivi, solo per trovarsi nel bel mezzo del
deserto post Apocalisse. Ma quella premonizione si rivela con una mano calda
sul collo, dietro la nuca. E lì capisco che è Tatia che me lo sta dicendo.
Non
sono solo io a capirlo, con i miei sensi offuscati dalla rabbia o dal dolore. C’è
qualcosa di vero in tutto questo.
Quel
calore se lo inghiotte il gelo della stanza, rimasto inalterato anche dopo
l’ingresso di Helder, che dice solo: “Ed ecco come muore l’unica speranza di
salvare Alex…”. Mi dimentico presto di una sciocca profezia che non mi
interessa se si auto-avveri, è davvero questo il momento
peggiore della tua vita, Hermione.
E
non distinguo, soffocata dalla pioggia di parole che vomito adesso a Draco, una
piccola voce sottile da uccellino che bisbiglia nei miei pensieri.
Ti ricorderai questo, solo alla fine di tutto… e la
fine non è questa.
Arsa
dalla rabbia e dalla sofferenza, pronta ormai a scagliarmi contro Draco per
fargli il maggior male concepibile per aver anche solo pensato di togliermi mio
figlio, non avverto alcun sollievo nel arrivo della mia amica, tantomeno
curiosità per le parole che ha detto. Non provo nemmeno un adeguato senso di
vergogna per rendere spettatori Pansy, Dean e Seth del peggiore momento della
mia vita, quello dove sto dando prova di tutto il contrario di quella che mi
sono sempre professata essere. Continuo ad urlare parole scomposte, Draco fa lo
stesso, ci fronteggiamo lividi in volto come mai è accaduto, persino ad
Hogwarts, persino al Petite peste. Nulla ci aveva mai unito abbastanza da
trasformarsi poi in un tale odio, se calpestato. Forse arriva qualcuno a
cercare di dividerci, Seth che prende lui per le spalle, Dean che trattiene me
per la vita, ma sono deboli e molli legacci. Le parole non si fermano,
esplodono, scoppiettano, spandono veleno attorno.
Per fortuna, quelle invece le scorderai. Ti
dimenticherai le sue di parole e le tue, come se non fossero mai esistite.
Sarà persino facile, semplice, in confronto a
quello che stai per passare.
Buona fortuna, Hermione Granger.
Scuoto
il capo, come se fossi disturbata da un insetto che continua a ronzare nel mio
cervello, mentre mi preparo a rispondere all’ennesima accusa di Draco. Poi,
d’improvviso, io e lui precipitiamo al suolo, seduti, cascando sulle ginocchia
e poi restando immobili a terra, come pupazzetti addomesticati. Uno strano
senso di gelida calma mi trapassa il petto, si espande come una melma nera e
corrode le mie vene riarse, anestetizzandomi e rendendomi insensibile. Non
capisco che cosa diamine mi stia succedendo, è come essere stata drogata, non è
assolutamente piacevole come sensazione, sebbene sia stata bruciata dalla
rabbia fino a pochi secondi fa e questo dovrebbe darmi pace. E’ come calare un
corpo ustionato nell’acqua ghiacciata: il respiro rallenta fino quasi a
scomparire, il volto mi torna gelido, persino la febbre sembra svanire. Le voci
dei miei amici tacciono tutte assieme. Guardo Draco senza capire, cercando nei
suoi gesti rallentati la risposta all’uguaglianza che sento nei miei, ed anche
lui è sconvolto, atterrito, sbigottito, incapace di fare una cosa qualunque,
fosse pure guardarmi con odio.
“L’empatia
non è solamente un bel trucchetto di cambio estetico del colore degli occhi…”
la voce di Helder suona così cupa e remota che mi fa tremare di freddo, sembra
d’improvviso antichissima e solenne come quella di una dea o di una regina
“Usiamo di rado il nostro vero potere perché è ingiusto controllare le emozioni
degli altri. Credo di averlo fatto due volte nella mia vita… con questa. Non costringetemi a farlo di nuovo…”. Sento lentamente il giogo
ghiacciato della calma forzosa allentarsi, il respiro tornare ad accelerare, la
rabbia riprendere a mulinare, la febbre fiaccarmi di nuovo i sensi.
“…
vedete di trattenervi, entrambi, per il bene di vostro figlio…” soggiunge Helder con
voce un po’ più acuta e meno bassa, più simile alla sua. Riesco finalmente a
vederla in viso, ruotando leggermente il collo, ha le palme sollevate e rivolte
davanti a sé, fisse nella nostra direzione. Gli occhi sono spaventosi: senza la
benché minima espressione, l’iride e la pupilla sono annegate nel bianco
dell’occhio sparendo. Forse, per la prima volta, mi rendo davvero conto di che
cosa sia il potere di un Empatico… e quanto essa sia letale e pericoloso,
qualora decidessero di usarlo appieno e per fini sbagliati.
La
stretta della calma imposta inizia a passare piano, così come l’espressione
luciferina di Helder che riacquista colore in viso, nelle labbra e sulla pelle
delle braccia, che prima erano trasparenti come vetro. I suoi occhi tornano
scuri mentre riabbassa le palme e si rivolge a me, un guizzo d’oro nelle iridi
della stessa tinta delle mie: “Questa… non sei tu.
Devo forse ricordartelo io chi sei davvero?”. La calma si è disciolta del
tutto, con essa adesso scompare anche la rabbia, ma con l’empatia non c’entra
granché. Sono io che provo autentico imbarazzo per quello che mi sta dicendo,
tanto che mi chiudo nelle spalle a disagio, distogliendo lo sguardo da lei e
fissandolo sulle mie ginocchia ancora poggiate sul pavimento. Ha ragione, lo
so, inutile anche che lo pensi. Mi sono trasformata in poche ore in tutto
quello che ho sempre aborrito… tutto, da quando mi hanno tolto Alex. Un
singhiozzo mi si incastra in gola, lo ricaccio indietro con fastidio.
“…
sono stata con te cinque anni in Italia e hai sempre avuto bene in mente chi
era il nemico contro cui dovevi combattere…” riprende Helder, chinandosi alla
mia altezza e guardandomi ancora fisso negli occhi gemelli dei suoi, poi fa un
cenno alle mie spalle verso qualcuno, che capisco essere Draco dalle parole che
subito sussurra quieta: “E non è mai stato lui… ma Karkaroff.
Se vuoi riprenderti tuo figlio… devi usare le tue forze contro Dimitri, non
contro il padre di tuo figlio… e credimi, avrai bisogno di tutte le
tue forze…”. Annuisco come una bimbetta scornata, e lei mi aiuta
silenziosamente ad alzarmi in piedi. Si avvicina furtiva al mio orecchio e mi
bisbiglia lievemente, senza farsi sentire da nessuno: “Tu sei quella della
scatola di latta azzurra che non si chiudeva, mentre la mettevi in valigia…
devo ricordarti anche questo?”. Arrossisco, sento il viso andarmi a fuoco e la
guardo con gli occhi sbarrati, convinta d’improvviso che le sia successo
qualcosa, che abbia nuovi poteri, forse anche di telepatia.
La scatola di latta azzurra… nascosta nel fondo
della valigia… con il coperchio accostato e non chiuso, perché era troppo piena
per poterci riuscire…
Le novecento tredici lettere per Draco.
Mi
ha visto scrivere ogni mattina, appena alzata, mi sedevo in veranda e scrivevo
a lui. Socchiudo gli occhi, quasi travolta dai ricordi della luce afosa della
Sicilia e dell’odore pungente dei limoni e delle arance, mentre Alex mostrava a
Ron qualche altro dei suoi giochi… e torna quel senso acquoso di riscatto che
avvertivo scrivendo a Draco, raccontandogli di che cosa facesse suo figlio, di
come una piega del suo volto fosse inaspettatamente simile alle sua, di quanto
ancora lo amassi, di quanto fossi così piena di domande per lui da poterci
riempire carta su carta. Riapro gli occhi, tornando a guardare Helder che ha
un’espressione pacata ma seria. Sapeva che le lettere erano per Draco, credo
che me l’abbia anche chiesto, probabilmente avvertiva il sentimento per lui,
può anche supporre che mi sia portata quel pacco di corrispondenza mai inviata…
ma che ne sa di dove sia? Che ne sa della scatola? Ma soprattutto… e questo mi
dà un brivido caldo alla schiena, mentre lo spazio tra i polmoni punge
irrisolto… perché me lo sta dicendo adesso? Non sente quanto
sono lontana da quello che ha animato quelle lettere? Non sente quanto anche
Draco lo sia? Non capisce che è finita?
Helder,
però, ignora bellamente il mio sguardo interrogativo e sconvolto, rivolgendosi
alle mie spalle, verso Draco, con voce molto più ferma. Adesso i suoi occhi
sono grigio tempesta, come quelli di Alex e Draco, ma la loro espressione è
persino più dura di quella degli occhi del loro legittimo ed originario
proprietario, specie mentre chiosa seria: “Devo poi davvero fare prediche ad un
uomo che minaccia di togliere un figlio a sua madre, quando il suo peggiore
terrore è che i Greengrass vengano a riprendersi la sua di figlia, avendone
tutte le ragioni legali e nessuna d’amore ed affetto? Faresti a tuo figlio
quello che temi che facciano a Serenity… ed anche nel tuo caso, il nemico è
Karkaroff, non lei… la donna che in ogni caso ti ha dato un figlio e l’ha
protetto per cinque anni…”.
Quando
Draco riprende a parlare, sebbene non lo guardi, capisco che anche nel suo caso
che le parole di Helder lo hanno colpito e ferito. Solo io, ma sicuramente
anche lei con l’empatia, distingue quella sfumatura tremula nella voce
arrogante che chiede sarcastico: “E in nome di quale diritto dovrei ascoltarti?
Quello di un’altra amichetta della Granger?”.
“In
base a molti diritti…” enumera apparentemente spensierata Helder, facendo
qualche passo avanti ed indietro e contando sulla punta delle dita “Vediamo…
punto uno, sono un’emissaria del ministro e sono a conoscenza dei sospetti dei
Greengrass su tua figlia, dato che hanno chiesto di riaprire le indagini sulla
morte di Helena Diggory… ergo, potrei persino aiutarti con questa situazione, o
chiedere al Ministro di farlo… o sei stato davvero così sciocco e presuntuoso
da credere che non avrebbero mai scoperto nulla?”, il silenzio alle spalle mi
avvisa dello sconcerto misto a preoccupazione ansiosa che Draco sta cercando di
trattenere, mentre Helder prosegue ironica: “Punto secondo, sono la sola al
momento in grado di dirti come salvare l’altro tuo figlio, anche se dubito
grandemente che tu possa riuscirci con questo collaborativo stato d’animo…
punto terzo, e qui vado vagamente sul personale, sono la figlia dell’uomo che
tuo padre ha torturato fino alla follia… e non nego di essere grandemente
attratta dalle seduzioni ricattatorie verso una coscienza non propriamente
pulita… e vediamo un po’… punto quarto…”, esterrefatta, esattamente come penso
sia Draco alle mie spalle, vedo Helder chinarsi di nuovo per terra e toccare
con la bacchetta una manciata di frammenti di ceramica, distrutti dall’impeto
di Draco di poco fa. Dopo un veloce Reparo, i frammenti si
rinsaldano assieme, assumendo la forma del più ordinario dei souvenir londinesi,
una riproduzione dozzinale del Tower Bridge. Aggrotto le sopracciglia ancora
vagamente confusa, mentre Helder lo soppesa nella mano aperta, quasi con
affetto, prima di sussurrare, gli occhi grigi quasi incattiviti: “Ed ecco il
punto quarto… non è un po’ strano che uno che ha vissuto anni a Londra si tenga
in casa un souvenir del genere?”.
“Ho
capito… possiamo darci un taglio…” la voce di Draco l’interrompe velocemente,
mentre lui fa qualche passo febbrile e mi sorpassa, mormorando che ha bisogno di
un po’ d’aria prima di fare qualsiasi cosa. Si sbatte la porta alle spalle nel
più assoluto dei silenzi, mentre io continuo a non capirci niente.
Helder
sorride tra sé e sé, muta alle mie domande silenti, mentre gli occhi tornano i
suoi e cinguetta, la voce da uccellino: “Dio, quanto amo l’empatia…”.
L’arrivo
di Helder è una boccata d’aria fresca.
Letteralmente.
In
cinque anni, in Italia, ho già abbondantemente chiarito che è lei la persona
che ho avuto più vicina, e che quindi ha sempre avuto il dono di rendermi
maggiormente calma e lucida, al punto da farmi concretamente pensare che usasse
l’Empatia su di me per controllarmi: questo, prima della scena di stamattina,
in cui ho avuto modo di appurare che cosa accade quando davvero uno
con i suoi poteri condiziona i sentimenti altrui.
E non parlo solo della calma ghiacciata che ci ha
fatto rovinare addosso… ma delle sue parole… a me… e a Draco…
Che
io l’abbia ascoltata, bè, non è così assurdo. Ma che l’abbia ascoltata lui,
specie nello stato in cui era, dove non ha esitato persino a spintonare Seth
che cercava di calmarlo… è autenticamente un miracolo. Non ha sa nemmeno che
cosa abbia in mente per aiutare Alex. Si è fermato e basta.
Specie quando ha parlato di quel souvenir… che
diamine sarà? Che cosa poteva esserci sotto, da averlo convinto così d’un
tratto? Come se… temesse… che lei dicesse qualcosa di troppo…
Quelle
considerazioni mi accompagnano mentre, meccanicamente, sistemo il salotto della
casa di Draco, agitando pigramente la bacchetta che va a ricomporre quadri,
vasi e tessuti lacerati. Con l’altro mano, sorseggio piano un decotto all’anice
stellato che dovrebbe farmi abbassare la febbre, anche se in realtà non sembra
che abbia un grande effetto.
Sbatto
le palpebre un paio di volte, cercando di snebbiare la vista, anzi la febbre sembra persino salire sempre di più.
Helder
ha chiarito che ha delle novità molto importanti che ci potrebbero aiutare con
i Karkaroff e con Alex, ma ha asserito convinta che non ne parlerà fino a
quando non metteremo ordine “fuori e dentro di noi, che
non posso stare a fermare sedizioni e rivolte ogni tre secondi”. Insomma, morale
della fiaba è che, quando ci avvertirà compiutamente calmi e pronti alla
collaborazione, si deciderà a sputare il rospo. Sebbene quindi lo stomaco mi
ribolle dall’ansia e dalla preoccupazione, senza contare l’odio per Draco e per
quello che si è permesso di dirmi qualche ora fa, cerco di tenere la mente
occupata in faccende futili, così da tenere fuori le sensazioni negative che mi
pregiudicherebbero l’aiuto di Helder. Lei, al momento, è uscita con il monito
di starcene buoni, perché “se iniziate a distruggere
altri pezzi di mobilia, me ne accorgerò a chilometri di distanza”. Ho storto il
naso, annuendo, la sensazione scomoda di essere una mocciosetta in castigo. Ma,
mentre appunto sistemo il salone, la testa un po’ meno ingolfata dai pensieri
rabbiosi ed ansiosi, non posso fare a meno di ripensare a quello che è appena successo.
La scatola azzurra di latta… e il souvenir del
Tower Bridge…
Anche
se non so che cosa Draco nasconda in quell’oggetto, deve essere per forza di
cose qualcosa di emotivamente rimarchevole, se lei se n’è accorta. E certo, ne
sono curiosa, come negarlo, specie perché con la sola allusione ad esso, lui si
è istantaneamente convinto a collaborare. Che diamine
sarà? Sembrava un oggetto così comune… qualche altra cosa su Raissa, che non
so?
Figuriamoci, allora, che se ne sarebbe fregato di
farmelo sapere… magari me l’avrebbe sputato in faccia apposta…
Eppure,
nonostante la mia curiosità, la cosa maggiore che al momento non capisco, è
come Helder si sia accorta di tutto questo e di come abbia sentito anche la mia
scatola, nascosta in valigia al piano di sopra. Non aveva tali poteri quando ho
lasciato l’Italia: le sue percezioni sono sempre state forti, d’accordo, ma
sempre limitate alle persone… non agli oggetti. Ed adesso sente anche le cose?
E poi, rifletto massaggiandomi la tempia destra… il potere che ha usato su di
noi e l’avvertimento che adesso può sentirci anche a chilometri di distanza…
c’è qualcosa di diverso in lei, decisamente. Non è mai stata così… forte.
L’Empatia è sicuramente un potere misterioso ed inspiegabile, antico ed ancora
poco conosciuto, quindi ci sono ancora tantissime dimensioni di queste capacità
che non conosco e che magari non è nemmeno facilissimo per lei spiegare a
parole, come mi ha sempre fatto sottintendere… ma ci sono stata accanto per
cinque anni e non era così, non lo è mai stata. La mia mente ripercorre
febbrile tantissimi episodi di vita assieme di questi cinque anni, e ne enumero
decine dove era evidente che Helder non possedesse un potere del genere.
Mi
siedo sul divano al centro della stanza ormai in ordine e faccio mente locale
su quello che può essere il piano di Helder. Anche su quello, diversi punti non
tornano. Ha detto che doveva uscire per mettersi in contatto con il Ministro e
con altre non meglio identificate persone, cosa che quindi presuppone che Harry
sia pienamente a conoscenza della situazione. E fin qui, più o meno, ci possiamo
ancora essere. Ma la cosa strana è che ha chiesto che Dean rintracciasse
immediatamente Ilai, asserendo che dovrebbe tornare immediatamente e che ha
bisogno di tutti coloro che sono coinvolti in questa storia. E qui, la cosa
particolare è che, da come ha parlato, sembrava pienamente consapevole persino
di quello che è successo tra me e lui e della necessità che lui si allontanasse
da qui: mi ha lanciato uno sguardo obliquo, mentre lo diceva, una strana nebbia
negli occhi dello stesso colore dei miei, a metà tra la preoccupazione e il
rimprovero silente. Ancora non ci ho capito granché, certo le mie sensazioni
possono averle comunicato qualcosa, ma non tutto nei particolari, l’Empatia non
ha mai funzionato in questo modo. Ilai non era nemmeno qui, quando è arrivato:
come ha fatto a sentire quello che è successo? L’Empatia è sempre stata una
serie di frammenti di sensazioni captate, non di interi pensieri e memorie. Avrebbe
potuto capire un legame tra me ed Ilai ma poco della sua natura, e poco delle
decisioni che abbiamo preso poche ore fa. Ed anche in quello, lo sguardo
preoccupato non avrebbe motivo di esistere… di che cosa si preoccupa? È Draco
che può farmi del male, non Ilai… ed invece lei, in sfregio completo del mio
cuore e dei miei sentimenti che pure sembra sentire così bene, mi ha ammonito
di ricordare la donna che si struggeva per il primo in Italia, e mi ha
rimproverato silenziosamente sul mio attaccamento al secondo. Non è un
comportamento tipico di lei, che non si è mai minimamente permessa di giudicare
i miei sentimenti, nemmeno quando ne avrebbe avuto ogni voce in capitolo, visto
che viveva a strettissimo contatto con me e Ron, e poteva benissimo esprimere
perplessità su questo matrimonio fasullo. Inoltre, non è che sia mai stata una
grande fan di Draco stesso, anzi: quando ero scomparsa, rapita da Dimitri, non
aveva esitato a dirmi di aver avuto il sospetto che Draco potesse avermi
ucciso. E nemmeno si era fatta eccessive remore nel dirmi dello Zahir, proprio
perché capiva quanto mi lacerasse amare proprio lui.
Perché,
invece, ora ha reagito in questo modo?
Ma la
ciliegina sulla torta è stata che ha chiesto a Seth di contattare Kevin, il suo
ragazzo, dato che avremmo bisogno anche di lui. Seth, ovviamente, è saltato
sulla sedia entusiasta, finalmente partecipe dei piani d’azione che lo fanno
sentire come James Bond. Ma, naturalmente, io ho continuato a non capirci
nulla: cosa diamine c’entra il ragazzo di Seth, babbano fino al midollo, con i
Karkaroff? E perché sta coinvolgendo tutta questa gente? Dimitri è me che
vuole. Ammazzerà chiunque si metterà tra me e lui, compreso Alex. È davvero
necessario che così tante persone rischino per colpa mia? Già non sopporto che
ci siano Dean e Pansy, che è pur sempre incinta… ed Ilai, ovviamente, che Tatia
voleva che io proteggessi…
E Draco.
Con
un groppo in gola che mi impedisce di respirare agevolmente, mi lascio cadere
sul divano, chiudendo gli occhi e prendendomi la testa tra le mani. Al momento,
vorrei solamente che lui fosse dall’altra parte del mondo, dell’Universo tutto.
Il male che mi ha fatto pulsa ancora nelle profondità di me stessa, come un
punto fiammeggiante che non cessa mai di ardere: e quindi, mi pare ovvio il
sollievo che proverei se fosse lontano. Ma in realtà non è solamente questo. Adesso,
nonostante sia accaduto nella maniera peggiore possibile, lui sa di Alex. Sa
che è suo figlio, sa di essere suo padre.
Ed ancora, nonostante tutto, mio figlio è più
importante di ogni cosa. Vorrei Draco al sicuro… perché vorrei che Alex lo
fosse, qualora mi accadesse qualcosa.
Mi
porto indietro i capelli, le mani che mi tremano senza sosta, un improvviso
senso di panico e disagio allo strambo piano di Helder. Quest’impotenza e
questa attesa mi stanno facendo diventare pazza… senza contare la febbre, che
non ne vuole sapere di lasciarmi in pace. Poggio la tazza ormai vuota sul
tavolino, sfiorandomi distrattamente la fronte, è inutile, la temperatura non
cala. Ci mancava anche questa, adesso. Devo essermi davvero debilitata in
queste settimane, di solito non ho mai la febbre. Le mie riflessioni sono
interrotte dall’ingresso di Pansy che, con aria scocciata, si siede accanto a
me sospirando forte, prima di esordire velenosa, asciugandosi la fronte in modo
teatrale: “Capisco se avessi contagiato Radcenko con tutto quello
sbaciucchiamento clandestino… ma Malfoy come cavolo ha fatto a prendersi anche
lui l’influenza, adesso?!”.
“Eh?!”
commento instupidita, non seguendo le sue parole, ho i pensieri talmente
annegati in una melassa di ragionamenti contorti, che faccio fatica a capire le
cose più basilari.
Al
che Pansy, con la calma di un insegnante saccente che si rivolge ad una bambina
scema, mi spiega che era andata a portare Charisma e Serenity a casa di una
vicina, che a quanto pare fa spesso da babysitter a Serenity stessa. Ed in
giardino, ha visto Draco seduto sotto un albero, rosso in viso, che batteva i
denti per il freddo. L’ha portato in casa e messo a letto controvoglia, mentre
lui inveiva, dato che vuole ovviamente conoscere il piano per salvare Alex. Gli
ha promesso che lo chiamerà per tempo, gli ha ingiunto di riposare e ha dato
anche a lui una pozione all’anice stellato.
Con
un brivido, mi rendo conto che quindi anche lui ha la febbre alta.
“Non
ti pare… strano?” mi inalbero sospettosa, la febbre che ancora mi
provoca un capogiro e mi costringe a chiudere gli occhi per fermarla.
“E
che cosa non è strano, quando si tratta di voi due?” borbotta Pansy annoiata,
sistemandosi i capelli con nonchalance “Vi fate venire anche le malattie
contemporanee, adesso…”. Non do voce ai miei pensieri, ma mi chiudo nel mio
silenzio colmo di un’accozzaglia di riflessioni. La febbre mi fa sentire
completamente distrutta, mi spezza le ossa, ma per il momento almeno lascia in
pace il mio cervello. Sta succedendo qualcosa… e qualcosa di strano. Non può
essere un caso tutto quanto.
Questa…
febbre… non è normale.
È
magica.
Non
ci vuole tanto per capirlo… è immune ai rimedi più comuni e colpisce solo me e
Draco. Che siano Raissa e Dimitri? Che stiano cercando di indebolirci? Ma
allora… dovrebbe averla anche Ilai, colpirebbero anche lui. Anzi, al momento,
sono anche convinti che io e Draco non ci riappacificheremo mai, magari anche a
ragione… che motivo avrebbero di colpire lui? E poi… non è il loro stile.
Decisamente. Sceglierebbero una cosa ben più mortale, questa febbre… è solo fastidiosa.
Che
cosa diamine può essere?
Più
ci penso e più la febbre sembra liquefarmi il cervello, martellandomi i
pensieri come un picchio.
Nel
momento in cui mi lascio andare ad un sospiro frustrato, sento provenire dalla
stanza accanto il rumore sordo di una Smaterializzazione, immediatamente
seguito da un tramestio di passi. Dean varca la soglia con un sorriso rivolto
prima a Pansy e poi a me, poco prima di sedersi accanto alla moglie di cui
accarezza il viso in modo tenero. Dietro di lui, vedo comparire la sagoma
conosciuta di Ilai, cosa che mi manda in fiamme il viso e mi fa alzare in piedi
d’istinto prima ancora che me ne renda conto. Ilai mi guarda timidamente per
qualche secondo, salutandomi a bassa voce, poi si avvicina piano e mi chiede
sommariamente come sto e come è la situazione. Mi limito a scrollare le spalle,
imbarazzata dal fatto che Dean e Pansy ci stiano guardando, e replico
velocemente che stiamo aspettando che torni Helder. Sollevo piano lo sguardo,
cercando quasi di fargli capire solo con gli occhi che Draco adesso sa tutto di
Alex e che questo è successo nel modo peggiore possibile; probabilmente
distingue un barlume di tristezza rabbiosa della mia espressione che gli fa contrarre
la mascella, intuendo che sia successo qualcosa. Ma naturalmente, così come
abbiamo deciso e così come conviene per il fatto che non siamo propriamente
soli al momento, sussurra una tenue rassicurazione dicendomi che andrà tutto
bene, sistemandosi accanto alla finestra, la schiena poggiata alla parete e le
braccia conserte. Le ginocchia di pastafrolla, mi siedo nuovamente sul divano
accanto a Pansy, cosciente sia della presenza silenziosa di Ilai dietro di me,
che di quella ghignante di Dean ed insinuante di Pansy. Ho appena il tempo di
pensare che la situazione da imbarazzante diventerà surreale con tendenze allo sterminio, quando Draco
scenderà dal piano di sopra, che sento la porta d’ingresso aprirsi. Scatto di
nuovo in piedi, convinta che si tratti di Helder, ma invece si tratta
dell’ennesima tessera del mosaico denominato “portiamo
Hermione Granger all’ipertermia per vergogna”. In poche parole, è Seth.
Per
fortuna, mi rendo subito conto che stavolta Seth non è minimamente interessato
a prorompere in uno dei suoi consueti commenti riguardanti la mia vita
sentimentale, cosa che di solito avviene nel beato menefreghismo che uno dei
suoi protagonisti è presente nella stanza ed ha ancora un apparato uditivo
funzionante, e il secondo è al piano di sopra, non quindi propriamente in
Olanda a guardare i mulini a vento. Stavolta, Seth è preso dalla sua di vita
sentimentale, considerando che entra in casa dando il braccio ad un ragazzo,
che riconosco immediatamente come Kevin, il suo fidanzato, anche se è la prima
volta che lo vedo. Di lui, però, grazie alla bocca larga di Seth, so
praticamente tutto, mi ha anche mostrato delle sue fotografie. Quindi non mi
stupisce né il fatto che sia notevolmente alto, né il colore chiaro degli occhi
oltremare, né tantomeno l’espressione dura ed arcigna che cela, in realtà, un
ragazzo autenticamente d’oro. Mentre gli porgo la mano presentandomi, non mi
stupisce nemmeno la divisa della polizia che indossa, sapevo del suo lavoro. E
visto come mi guarda, con una piega tra l’affettuoso e il costernato negli
occhi, capisco che anche lui sa tutto di me. Seth quasi saltella come un
bambino piccolo, parlando a raffica e dicendo che lui stava già venendo qui per
chiedermi se avessi bisogno di aiuto, considerando che c’è di mezzo la sparizione
di un minore. E quindi, come ovvio che sia, inizia a cianciare di destino, di
fili rossi dell’amore, di telepatia e di tutta una serie di altre scempiaggini,
che costringono me a sospirare in debito di pazienza, Pansy a reprimere le sue
risposte taglienti e Dean a trattenere un’espressione sbalordita per la
quantità di parole che può stipare in un minuto. Poi succede il miracolo. Kevin
si limita semplicemente a ruotare il capo, guardandolo con un sopracciglio
inarcato, e Seth sorride in colpa, si stringe nelle spalle e biascica
imbarazzato, con gli occhi luccicanti d’amore: “Scusami, tesoro… tu volevi
parlare con Herm, giusto?”.
Nessuno
fa tacere Seth e Kevin ci riesce solo con un’occhiata nemmeno di minaccia, ma
solo di constatazione amichevole.
Questi
due si sposano, sono fatti per stare assieme.
Kevin
sorride dolcemente a Seth annuendo, prima di dire con tono contrito: “Mi
dispiace per quello che ti è accaduto, Hermione… come puoi immaginare, Seth mi
ha raccontato tutto… di Alex e della faccenda dei Karkaroff… vorrei davvero
poter essere d’aiuto, e quindi chiedimi davvero tutto quello di cui hai
bisogno…”. E qui ovviamente viene la parte difficile: io non ho
assolutamente bisogno di Kevin. O perlomeno, penso che sia così. È Helder
che sembra aver bisogno di lui. Quindi non so assolutamente che cosa diamine
gli debba rispondere: anzi, l’istinto e la mia tendenziale voglia di fare tutto
da sola, senza mettere in pericolo gli altri, mi spingerebbero anche a dire a
Kevin di tornarsene a casa sua, magari portandosi dietro Seth. Però, in fondo a
me stessa, mi fido di Helder. È la sola giunta qui con un vago senso di
sicurezza su che cosa sia necessario fare per salvare Alex… devo avere fiducia
in lei. Perciò, con riluttanza, allargo le braccia impotente e sussurro a
Kevin: “La mente del piano, al momento, non è ancora tornata, è lei che ha
chiesto il tuo aiuto… vorrei dirti di più, ma non so nemmeno io granché…”, poi
con un sorriso aggiungo: “Ma ti ringrazio di esserti precipitato qui. In fondo
nemmeno mi conosci…”.
“…
ma ti conosce Seth, e ti vuole bene…” soggiunge lui con espressione tenera,
come se fosse ovvio che lui corra per aiutare una persona amata dal suo
ragazzo, Seth sorride a sua volta e gli mette affettuosamente una mano sul
braccio, mentre Kevin continua: “Probabilmente non sarò granché utile, ma sono
contento di esserci…”. Nonostante tutto, però, mi affretto a dirgli che, in
ogni caso, sarà mia premura che non succeda nulla né a lui, né tantomeno a
Seth, e che in qualsiasi momento sono liberissimi di andare via, se avessero la
sensazione che tutto sia semplicemente troppo per loro. In fondo, è un mondo
completamente sconosciuto per loro, Seth fa ancora certe facce grigiastre e
sconvolte quando ci vede usare la magia. Una vertigine mi fa tacere
all’improvviso, la febbre ancora non ne vuole sapere di lasciarmi in pace,
traducendosi adesso in un vago senso di confusione mentale che somiglia a
centinaia di persone che parlano nello stesso momento, trasformandosi in un
ronzio fastidioso ed irritante. Mi accascio nuovamente sul divano, questa
stramaledetta sensazione sta diventando così invalidante che mi sta portando
alla nausea. Ilai si stacca dal muro e si viene a sedere accanto a me,
gettandomi un’occhiata preoccupata ed ansiosa, prima di toccarmi la guancia con
due dita e sussurrare quieto: “Hai ancora la febbre…”.
Mi
stringo nelle spalle, un rossore che stavolta non ha a che fare con la febbre
mi incendia il viso, ma per fortuna Pansy e Dean sono presi dalla conversazione
con Kevin, che ha appena rivelato di conoscere qualcosa del mondo della Magia,
perché sua cugina era una strega. Respiro quindi di sollievo e mi lascio
lievemente andare alla carezza di Ilai, annuendo alla sua domanda.
“Anche
Draco ha la febbre…” aggiungo con nervosismo, la mano di Ilai si stacca dal mio
viso e si contrae agitata, mentre l’appoggia su un ginocchio.
“Strano…”
commenta lui, guardando davanti a sé, gli occhi scuri una folla di domande
senza risposta “E non è nemmeno la più comune delle febbri… si dovrebbe essere
già abbassata, adesso…”, lo sguardo di Ilai si illumina e mi dice convinto:
“Perché non chiedi alla tua amica Empatica? Magari lei ci capisce qualcosa di
più di noi… Dean mi ha detto che riesce a sentirvi anche a distanza, ora… forse
puoi chiederglielo anche adesso…”. Ha ragione, ultimamente davvero sto perdendo
ogni nozione di giudizio autonomo.
Non
faccio nemmeno in tempo a provare a contattare mentalmente Helder che lei si
affaccia con prepotenza nella mia mente, la voce squillante che mi trapana i
neuroni.
“La febbre è magica, Herm… probabilmente ho anche
il modo di farla passare…” mormora lei concitata, facendomi ancora chiedere come diamine faccia a
sentirmi con tale chiarezza adesso. Naturalmente, lei sente anche questo,
perciò si affanna a sorridere e a sussurrare: “E
tranquilla… appena la febbre sarà passata, non vi sentirò più come vi sento
adesso… ammetto che sia divertente, specie con la mente contorta di Malfoy… ma
siete troppo visibili così…”.
“Visibili?!” chiedo, non capendo e sbattendo le palpebre un
paio di volte. Ilai mi guarda confusamente, le sue dita abbandonate sulla gamba
sinistra sembrano quasi formicolare, mentre si trattiene dal toccarmi anche
solo per richiamare la mia attenzione. Pansy, Dean, Seth e Kevin continuano a
parlare tra loro, ignari di tutto.
“Già… diciamo che al momento siete visibili a
tutti gli Empatici del mondo… ogni vostro barlume di pensiero e sensazione è di
dominio pubblico…quindi ne guadagnerà anche la vostra privacy, oltre alla
vostra sicurezza…”. La
voce di Helder suona quasi dispiaciuta ed imbarazzata ed il mio viso
semplicemente esplode di calore. Al momento, non sono granché interessata al motivo per
cui questo stia succedendo… ma a quello che sta succedendo in sé, a quello che
è successo da quando ho questa febbre. La conversazione con Ilai, il bacio, lo
scontro con Draco… tutti i miei pensieri e sentimenti, per chissà quale assurdo
motivo, sono stati letti e sentiti da tutti gli Empatici del mondo?! Non
saranno propriamente quindici miliardi, ma anche solo che li abbia sentiti
Helder… già è insopportabile. Figuriamoci se penso a centinaia di persone
sconosciute, che mi hanno sentito nei momenti peggiori della mia vita, in ogni
aspetto più delicato ed intimo di me stessa. Mi affloscio come un palloncino
sgonfio, sopraffatta dalla frustrazione di non sapere che cosa diamine stia
succedendo e che cosa questo possa portare in termini di salvezza per Alex… e
la mia prima inconscia reazione è chiudere gli occhi, serrare la mente,
proteggerla e cercare di tenere fuori quanti più pensieri possibili. Ma
l’Empatia non è Legilimanzia, è più forte. E io non sono mai stata una brava
Occlumante, nemmeno a scuola.
“Mi dispiace Herm…” sussurra contrita Helder nel mio
cervello, avverto ogni goccia del suo dispiacere “Ma posso consolarti dicendo che solo adesso, con l’aumento
della febbre, ti posso sentire in modo più preciso… e così tutti gli altri… fino
a ieri non eri così visibile e Malfoy non lo sentivamo proprio… erano solo sparse
sensazioni… ma, appena torno, lo mettiamo a tacere, tranquilla…”.
“Che cosa c’entra tutto questo con Alex?” chiedo, ancora
con l’assurdo tentativo inconscio di nascondere alla platea che mi ascolta
silente ed invisibile ogni traccia di angoscia ansiosa per mio figlio.
“C’entra, Herm… la febbre, a suo modo, è una cosa
buona… cinque anni fa non ha fatto in tempo a… ma ti spiegherò tutto meglio
dopo. E’ chiaro, però, che rallenta la tua mente, ti rende troppo visibile… e
ci manca soltanto che se ne accorgano Raissa e Dimitri… o qualsiasi altra
persona, che abbia ottenuto qualcosa da Adamar…” enumera lei mentalmente, in modo
veloce, non riesco ancora a seguire nulla del suo ragionamento, né di che cosa
diamine c’entrino le persone che hanno ottenuto qualcosa da Adamar. Helder se
ne accorge naturalmente, e mi rassicura con voce dolce: “Non ti preoccupare… appena torno, ti spiego tutto… tra poco
sarò lì…”. Deve
evidentemente sentire qualche altra cosa in fondo a me stessa, qualcosa che
nemmeno io avverto compiutamente e che può essere solo insicurezza e non totale
fiducia in quello che sta accadendo, e su cui non ho il benché minimo
controllo. Difatti aggiunge con un filo di voce, incerta e d’improvviso
spossata: “Herm… so che è difficile, ma fidati. Fidati di
te… e fidati di lui, di Draco soprattutto. Fidati delle persone che ti
circondano… e fidati anche di me, se puoi… credimi, non vorrei portarti a
questo, ma è l’unico modo. E’ la vostra sola arma, al momento…”.
Poi,
come colta da un’ispirazione improvvisa, soggiunge allegra, con un trillo della
voce: “C’è una persona in tutto questo, su cui non hai
mai avuto dubbi… mai, nemmeno per un istante…”.
“Chi?”.
“Tatia Krasova…”. Sobbalzo, sentendo quel nome
nella testa, la presenza silente di Ilai accanto a me si traduce in un
ulteriore brivido lungo la schiena.
Helder
prosegue, adesso certa di avere tutta la mia attenzione: “Hai fatto un sogno qualche giorno fa… lo vedo nella tua
testa…”. E
d’improvviso, come se la mia mente si schiarisse e si liberasse, come se
diventasse bianca e nivea da corvina che era, rivivo in pochi fotogrammi quel
sogno strano che avevo persino seppellito nella mia mente, fino a cinque
secondi fa. Il deserto, le parole di Tatia, i suoi avvertimenti, il canto
infernale delle altre anime… è come afferrare al volo un oggetto, prima che
cada e rovini al suolo, distruggendosi.
L’arma,
qualsiasi essa sia, non è il ciondolo.
Helder
annuisce nel mio cervello, quasi sorridendo e dandomi implicita conferma ai
miei pensieri, mentre ricordo finalmente le esatte parole della nenia delle
anime dannate.
“L’arma… è la Solutio damnationis”.
Quando
Helder torna, è passata solo mezz’ora dalla nostra conversazione mentale,
eppure mi sembra passata un’eternità di tempo.
Una mezz’ora stancante e sfiancante, perché
contrariamente a quanto sono abituata da tutta la vita, ho fatto di tutto per
non pensare né al piano di Helder, né alla connessione che ho al momento con
gli Empatici, né tantomeno alla fantomatica Solutio damnationis, descrittami in
sogno da Tatia. C’è un perimetro di vita che deve restare mia e non di
centinaia di persone legate, chissà come e chissà perché, alla mia mente:
perciò, sebbene mi causi un cerchio alla testa sempre più pressante, trascorro
il tempo ascoltando le chiacchiere di Seth che ci racconta ancora come ha
conosciuto Kevin e di come si sono innamorati, compreso l’ennesimo ricordo
dell’arrampicata sulla torretta della centrale di polizia, che stavolta però si
colora anche dei particolari descritti dall’altro protagonista, il quale la fa
molto meno eroica di quanto l’avesse fatta Seth. Ascolto anche Pansy raccontare
di come Charisma sembra andare d’accordo con Serenity, sebbene sia più piccola
di lei, e non spingo la mente nel limo dei rimpianti e delle amare
considerazioni che farei sulla distanza incuneatasi tra me e Draco. Non sfioro,
né parlo con Ilai, perché anche questo aspetto deve restare solo mio. E quando
l’ansia per il mio bambino e per il tempo che passa, mi riassale, stringo forte
il ciondolo di Tatia tra le mani, convincendomi che lei mi sta guardando da
qualche parte e non mi lascerà sola neanche adesso.
Questo si
traduce, inevitabilmente, in un mio perdurante silenzio che, però, per fortuna,
nessuno in modo caritatevole e comprensivo si sogna di disturbare. E sebbene il
cerchio alla testa per lo sforzo sia opprimente e mi porti alla nausea, noto
che la febbre, di fronte a plastificate e insensibili riflessioni, diventa meno
rovente, artigliandosi invece come un giogo di fuoco se mi avventuro su altri
pensieri più coinvolgenti del mio cuore. La testa semplicemente diventa lava e
magma se mi azzardo a pensare, anche solo per errore o associazione di idee, a
Draco.
Quello è il
momento in cui, davvero, ho l’impressione che mi stia evaporando il sangue dal
cervello, per quanto sia diventato bollente.
Un moto di
curiosità mi assale in modo involontario, avendo come conseguenza immediata che
la maledetta febbre ardente si artigli in modo più snervante attorno a me,
spingendomi persino a respirare a fatica, mentre non trattengo l’inevitabile
domanda su come stia Draco, invece, e su che cosa stia pensando. Ovviamente,
non può avere pensieri limpidi e cristallini su di me, coronati da arcobaleni
ed unicorni… come nemmeno ci riesco io, mi pare ovvio. Vorrei quasi salire di
sopra, verificare come stia, ammonirlo sulla febbre e sul fatto che tutti gli
Empatici possono sentirci adesso… e vorrei persino dirgli di non pensare a me,
se vuole avere la friabile illusione di non scoppiare di calore. Ma, poi, il
fiume di parole ed insulti che ci siamo scambiati mi rovina come una cascata addosso
e resto incollata al divano.
Credo che sia
un’abitudine preoccuparmi per lui, un riflesso condizionato, un movimento
istintivo che probabilmente mai riuscirò a sradicare da me stessa, e che
adesso, oltre ad associarsi ad una sferzata di odio e rancore frammisti ad
orgoglio rabbioso, si manifesta in un ulteriore aumento della mia temperatura
corporea, così da farmi sentire davvero come se fossi in fiamme. Quindi, lo
sedo velocemente e facilmente, come un animale che associa un particolare
evento a qualcosa di negativo, imparando a non farlo più.
Helder
sta per tornare, la febbre passerà anche a lui. Io la sopporto da quasi dodici
ore. Può sopportarla anche lui per un po’.
Respiro di
sollievo rinfrancata, avvertendo la fronte più fresca e la vista più chiara.
Sto riprendendo
a forzare me stessa per ascoltare con quanta più calma e freddezza possibile, i
miei amici che chiacchierano amichevolmente, che d’improvviso, quasi con un
rombo di tuono, compare al centro esatto del salone Helder, il mantello oltremare
smosso dal contraccolpo della Smaterializzazione, i capelli lievemente
increspati ed un’aria seria e compunta. Mi alzo dal divano nel silenzio
generale, facendomi vicina a lei ed interrogandola nervosamente con lo sguardo;
ma Helder solleva piano il palmo, spingendomi all’immobilità e al silenzio in
modo riverente, mentre lei si stacca dalla cintura un sacchetto di velluto
nero, che osservo senza capire.
“Titanca…”
soggiunge lei, seguendo ed indovinando la direzione del mio sguardo “Non è
facilissima da trovare come puoi immaginare, fiorendo solo ogni cento anni… e
tendenzialmente allora se ne fa incetta tra ricettatori e pozionisti…”. Sgrano
gli occhi sconcertata, replicando con un moto istintivo di autodifesa: “La
Titanca… è il fiore che ha usato Dimitri per fingersi morto e non essere
percepito neanche da te come vivo… che cosa c’entra con me?”. Helder afferra la
bacchetta e fa comparire sul tavolo alle mie spalle due bicchieri di cristallo,
finemente intarsiati d’argento: sono pieni di un liquido scarlatto, che
rilascia un vapore di condensa dall’invitante odore di frutti di bosco. Con
eleganza disinvolta, svuota il contenuto del sacchetto in entrambi i bicchieri,
una polvere di colore argenteo che rende il liquido scintillante. Pensosamente,
Helder mi fa cenno di afferrare un bicchiere e di berne il contenuto, mentre
spiega: “Tecnicamente, la Titanca non induce una finta morte… dosi eccessive
possono avere questo effetto, richiedendo quindi voltaggi elevati che
riattivino il cuore mediante stimolazione elettrica… sicuramente Dimitri ne
deve aver ingurgitata parecchia. Ti ho già spiegato che chi ha ottenuto
qualcosa da Adamar, non viene sentito dagli Empatici, se non con moltissima
difficoltà… ma per quel poco che si può sentire restano scolpiti nella mente.
Come lui è rimasto scolpito nella mia, dopo averlo sentito… quindi aveva
bisogno di qualcosa che fosse persino più forte di questo…”, Helder fa una
pausa per riprendere fiato, mentre io afferro il bicchiere con mano malferma:
“In realtà, la Titanca in piccole dosi, non quelle eccessive che deve aver
assunto Dimitri per andare sul sicuro, tendenzialmente annulla solo l’Empatia,
rendendo chi la assume praticamente impossibile da percepire per un Empatico…
certo, altre parti della pianta hanno altri effetti, ma i petali sminuzzati
hanno solo questo… ”.
“Rendermi cieca
agli Empatici… farà passare la febbre?” chiedo dubbiosa, le labbra accostate al
bicchiere che non svuoto.
“Sono la stessa
cosa…” mormora Helder, piegando la testa di lato “La febbre… è solo un segnale.
Per gli Empatici. Un segnale… di
quello che vi sta accadendo. E
quello che vi sta accadendo… ha a che fare con la connessione aperta con gli
Empatici stessi. Chiusa la connessione, passa la febbre…”.
“Io continuo a
non capirci niente…” borbotto con nervosismo, tendendomi come una corda di
violino, poi mi rilasso sussurrando: “Ma se questo intruglio può farmi passare
questa maledetta febbre…”, ghigno sarcastica e sollevo il calice con aria
pomposa: “Alla salute”. Lo vuoto in un solo sorso, ha un sapore fruttato
piacevole e rinfrescante, e scivola nella mia gola come ghiaccio sciolto.
Immediatamente, mentre penetra nel mio corpo, sembra portare un’aria fresca di
tramontana: la febbre cala d’improvviso, lasciandomi scariche di brividi ghiacciati
sulla schiena, ma anche una sensazione di forte chiarezza mentale come non mi
accadeva da giorni. I pensieri si snebbiano come la mia vista, la pelle torna
tiepida come sempre, il respiro si calma, la spossatezza sparisce e si
trasforma in forza e maggiore coraggio. Dal riflesso della porta del salone e
dall’aria sollevata di Helder, capisco che anche il mio aspetto torna
decisamente più florido e sano.
Guardo Helder
con gratitudine, pronta contemporaneamente anche a sommergerla di domande, ma
lei ancora previene le mie rimostranze, dicendo con tono accorato: “Lo so, lo
so, ti spiegherò tutto… quello sguardo lo conosco, non c’è bisogno
dell’Empatia… però sii clemente, è già una storia terribilmente complicata…
fammela dire solo una volta, ok? Ed al momento ho ancora alcune cose da
sistemare… e per queste cose, mi serve immediatamente l’altro malato…”, si
guarda attorno con nervosismo, poi getta uno sguardo in direzione del soffitto,
facendomi presagire che naturalmente sente ancora Draco. “Qualcuno potrebbe
chiamare il padrone di casa, per favore?” biascica stancamente Helder,
massaggiandosi il collo. Poi, quando già Seth si sta muovendo per andare di
sopra, Helder sgrana gli occhi e mormora seria, il volto improvvisamente
cinereo: “Meglio che ci vado io di sopra… Malfoy sta decisamente peggio di te…
dubito che riesca ad arrivare qui…”. Un alito di vento e si Smaterializza al
piano di sopra. Vorrei davvero evitare alla mia gola di articolare quel suono
duro, gutturale, strozzato, simile a quello di una bestia presa al laccio,
mentre le vie respiratorie si contraggono e faccio fatica ad inalare ossigeno.
E vorrei anche evitare al mio cuore di battere forte, sordo, terrorizzato, al
pensiero che possa essere persino vicina a perderlo. Vorrei davvero non considerare
estranee le mani di Ilai che, adesso, mi sfiorano la vita cercando di
rassicurarmi. Vorrei che tutto questo non ci fosse… e per fortuna faccio in
tempo a negarlo a me stessa. Perché dura tutto solo pochi secondi.
Draco scende le
scale di corsa, i capelli spettinati, l’aria affannata, gli occhi grigi accesi.
Si ferma davanti a me, ha il colorito acceso, il fiatone, ma sta bene. Soppesa
il mio viso, lo studia ed io studio il suo, abbeverandomi della sua salute. Poi
sbatto le palpebre, ricordandomi tutto, allo stesso modo in cui anche lui si
ricorda tutto. Lancia un’occhiata torva ad Helder che lo segue sorridendo, mentre
Draco distoglie il viso da me, incrociando le braccia e borbottando qualcosa. A
mia volta, guardo Helder confusa, ha le mani incrociate dietro la schiena e
saltella spensierata.
Ci sta
manipolando.
La rabbia a
quel pensiero raggiunge le mie mani facendole tremare di nervosismo a stento
represso: non so quale sia il fine di Helder, non so quale sia il suo piano, ma
sto esattamente, adesso, che cosa sta facendo. Sta manipolando me e Draco, come
due marionette. Si è ripreso troppo in fretta per pensare che stesse davvero
così male, come mi ha detto… e lui… aveva un’espressione troppo sconvolta,
scendendo, come se avesse pensato a sua volta che io stessi malissimo. E certo,
d’accordo, posso essere ancora maledettamente felice che, nonostante tutto, non
desideriamo ucciderci a vicenda, ma è una cosa abbastanza scontata, credo. È
sempre il padre di mio figlio. Sono sempre la madre del suo. Ci mancherebbe.
Ma che lei stia
sfruttando il germe di questo attaccamento, non mi va proprio. C’è troppa gente
che si insinua, o si è insinuata tra me e lui. E spesso non faccio altro che
pensare che sia stato anche questo a far andare tutto a scatafascio tra me e
lui. Quindi, anche adesso che le cose sono chiuse, anche ora… anzi, forse soprattutto ora… gli altri, compresa Helder, devono stare fuori
da questa storia, specie per provocare discutibili reazioni per i propri ancor
più discutibili scopi. Senza nemmeno un attimo di esitazione, annebbiata ed
innervosita, afferro Helder per il polso con malagrazia, trascinandomela dietro
in giardino, sotto lo sguardo ovviamente atterrito degli altri. Non mi
interessa, prima chiarisco questa storia meglio è.
Il sole è
forte, il contrasto con la penombra dell’interno mi fa bruciare gli occhi e non
mi fa mettere bene a fuoco. Inoltre la calura è asfissiante, le cicale
friniscono impazzite. Ma la mia voce tintinna netta e chiara, mentre sibilo:
“Si può sapere che cosa diamine hai in testa? Credi forse che siamo all’asilo?
E che mi devi chiudere in una stanzetta con Malfoy, così facciamo pace con il
mignolino?”, Helder mi guarda con un impercettibile sorriso e le spalle
afflosciate, come se fosse semplicemente preoccupata, e questo mi fa salire
ancora di più l’acido in gola: “Questo… tutto questo casino tra me e lui… sono
affari miei e di nessun altro. Puoi aiutarmi con mio figlio? E allora non farmi
perdere tempo con queste stronzate, ok? Non me ne frega niente degli Empatici,
della connessione, della febbre… e tantomeno mi interessa al momento dimostrare
a qualcuno che posso ancora sentirmi legata a Malfoy… non c’è niente tra me e
lui, meno di quello che c’è mai stato… quindi se puoi aiutarmi con Alex, bene,
parla. Altrimenti, se sei qui solo per fare la consulente matrimoniale… puoi
tornartene da dove sei venuta…”. So che sono stata dura, e forse anche
ingiusta, la voce mi trema e mi manca persino il fiato, ma adesso mi sento
decisamente più lucida, da quando è passata la febbre che mi stava tormentando.
Mi annacquava i pensieri, li scoloriva, mi impantanava nel disastro di non avere
più forza e coraggio. Adesso che mi sento meglio, ogni secondo che sto qui a
fare altro che non sia salvare mio figlio, è un secondo in cui farei una
strage. Anche delle persone a cui voglio più bene al mondo.
Helder, però,
non è minimamente sconvolta dalla mia reazione, anzi ancora si stringe nelle
spalle, sorride e si chiude in sé stessa a farsi più piccola e minuta. Quando
già sto per urlarle di nuovo contro, volge il viso alla sua destra, in
direzione del vialetto d’ingresso della casa di Draco, e dice solamente: “Ve
l’avevo detto che ci sarebbe voluto più tempo del previsto…”.
Quando guardo
dove sta guardando lei, il cuore mi martella nel petto con un sentimento
frammisto di angoscia, ansia, preoccupazione, e poi sollievo, gioia, felicità
rapprese che mi esplodono addosso, come insolenti fuochi d’artificio. Come
facessero a starsene lì, tutti, in silenzio completo, senza nemmeno respirare,
è un mistero, ma appena mi accorgo della loro presenza, è come se semplicemente
non li potessi ignorare più, non potessi più distogliere il viso da loro.
I primi che
riconosco sono Harry e Ginny, forse perché inconsciamente desideravo così tanto
rivederli, da averli immediatamente tracciati nella mia vista non appena sono
comparsi. Certo, Harry veniva a trovarmi ogni tanto in Italia, ma le sue erano
sempre visite rapide, timorose, istituzionali, nel timore che qualcuno potesse
seguire i suoi spostamenti. E Ginny… sebbene mi sentissi con lei regolarmente tramite
lettere e con telefonate e spesso la vedessi anche attraverso il camino, non la
vedevo di persona da anni, esattamente da quando mi impedì di partire per
cercare Draco, quando ero ancora incinta di Alex in Italia. Era troppo
pericoloso per lei venire a trovarmi, ovviamente, nonostante insistesse tanto
con Harry. E poi, anche lei è diventata mamma di tre figli: si diventa
ragionevoli, quando si ha qualcuno che dipende completamente da te. Tre bambini
che mi chiamavano zia nonostante tutto, quando parlavo con loro al telefono… ma
che non avevo mai visto.
E che adesso,
finalmente, vedo, cosa che mi provoca una nebbia di lacrime negli occhi che
cerco di ricacciare indietro, per poter fissare nella mia mente ogni
particolare.
Harry non è
cambiato di una virgola: veste lievemente più elegante adesso che è Ministro,
ma la sua aria scanzonata ma al contempo sempre un po’ triste non cambia mai. È
in piedi, le gambe magre coperte da un paio di pantaloni kaki, sotto una polo
bianca che fa risaltare in modo quasi molesto gli occhi verdi. Sorride nel
guardarmi, piega le spalle sotto il peso di una bambinetta minuscola che ha
sulla schiena, addormentata. Lily.
Ha tre anni adesso, e Ginny
me l’ha sempre descritta come un terremoto. Adesso, però, dorme sulle spalle
del suo papà, ha i capelli rossi annodati in due treccine e l’aria pacifica sul
viso tondo. Accanto ad Harry, con una smorfia impertinente e le braccia
conserte da piccolo adulto scornato, sta un bambino della stessa età di Alex:
ha due profondi occhi azzurro chiaro, capelli neri scarmigliati e l’aria di chi
già conosce tutti i segreti del mondo civilizzato. James. Mi viene ancora da sorridere, ricordando di quando Ginny mi
aveva detto che, alla nascita, sembrava aver già suggerito il suo nome,
mostrandosi come il ritratto perfetto del suo defunto nonno. Il mio sguardo si
sposta ancora, inquadrando invece adesso la mia amica, cosa che, appunto, dopo
cinque anni, mi fa scoppiare a piangere senza ritegno. Lei mi si avvicina,
abbracciandomi forte, le lacrime che curvano anche il suo viso, mentre cerca
scherzosamente di consolarmi. Mi stacco da lei con un sorriso mesto,
asciugandomi il viso imbarazzata: in lei nulla pare cambiato. È diventata certo
più morbida nell’aspetto, meno ossuta, e ha un’aria più dolce del viso, ma i
capelli sono sempre una fiamma d’autunno che brilla al sole e gli occhi azzurro
chiaro hanno lo stesso bagliore che avevano da ragazzina. Stringe la mano di un
bambino magro e mingherlino, dall’aria più timida e spaurita rispetto a suo
fratello maggiore. Albus.
Sorrido, accarezzandogli la
testa, era con lui che spesso parlavo di più al telefono e, ascoltando la sua
voce stridula ed acuta, me l’ero immaginato esattamente così, somigliante nei
colori a suo fratello James, tranne che per gli occhi, verdi come quelli della
nonna Lily e del padre Harry.
La visione
della meravigliosa famiglia del mio migliore amico, per un attimo, mi distrae
da tutto il resto e mi consola, facendomi dimenticare persino l’accesso di
rabbia verso Helder che mi ha portato ad uscire in giardino. Quella sensazione
scomoda, però, ritorna immediatamente, non appena mi rendo conto di chi altro è
comparso nel vialetto e che, di primo acchito, rallegratami alla vista di
Harry, Ginny e dei bambini, non avevo notato. È una sensazione di soggezione ed
imbarazzo, perché si tratta di persone con cui non ho mai avuto eccessiva
confidenza e che quindi adesso mi vedono in un momento di fragilità. Mi affretto
quindi a raddrizzare la schiena e ad asciugarmi gli occhi con il palmo della
mano. Messa maggiormente a fuoco la situazione, mi esplode dentro un senso
indiretto di disagio e di preoccupazione protettiva, nei confronti di Dean,
Pansy e Charisma.
Di fronte a me,
infatti, imperturbabili come statue greche ed ugualmente bellissimi, se ne
stanno i coniugi Zabini, Blaise e Daphne.
Il loro
contegno aristocratico non è minimamente mutato nel corso degli anni: Blaise ha
semplicemente tagliato i capelli che ricordo lunghi, quando veniva da Pansy.
Gli occhi sono sempre due lame blu-verde, affilate come quelle di un gatto che
sezionano chiunque gli stia davanti, emergendo foschi nel contrasto con la
pelle abbronzata del viso e con i capelli corvini. Porta un lungo mantello
nero, dalla fodera azzurra, sebbene la giornata sia calda ed afosa. Accanto a
lui, così perfetta ed immobile che non sembra nemmeno respirare, se ne sta
Daphne, il corpo sottile coperto da un lungo abito grigio con decori d’argento.
I capelli sono tirati all’indietro, biondi e lisci come sempre sono stati, e
gli occhi azzurri splendono della solita freddezza. Mi appare solo un po’
affaticata… e triste, ecco. Di primo acchito, lo imputo al fatto che
ha di fronte l’artefice indiretta della fine di sua sorella minore Astoria, e
sta per incontrare il responsabile anch’esso indiretto della morte della
sorella maggiore Helena, cioè Draco. Ma, dopo qualche istante di
considerazione, capisco che non è quello: è qualcosa che si è proprio attaccato
a lei, una tristezza interna che sembra vecchia di mille anni e che non ha
nulla a che vedere con la dipartita delle sue sorelle. Credo anche che nemmeno
le interessi come siano morte e per mano di chi. Ricordo le parole di Helena sul
fatto che, per le donne purosangue, il matrimonio sia tutto. Me le aveva fatte
sentire Draco, mostrandomi i ricordi che aveva di lei.
Con il
matrimonio, cessa ogni rapporto con la famiglia d’origine. Helena, dopo le
nozze, infatti, aveva visto allentarsi enormemente i rapporti con le due
sorelle minori.
Quindi, Daphne probabilmente
non si sente nemmeno più una Greengrass.
Cercando il motivo
di quell’espressione, noto finalmente che Daphne tiene in braccio un neonato di
soli pochi mesi, avvolto in vestitino azzurro che mi fa supporre che sia un
maschio. Lo tiene come se fosse… infetto. Sembra non toccarlo neppure. Il bambino, dal canto suo, se
ne sta immobile, un pugnetto chiuso in bocca e un’espressione meditabonda negli
occhi neri socchiusi.
Guardo Helder
con nuovo nervosismo irritato, chiedendomi che cosa diamine le sia saltato in
mente per chiamare anche loro, ma lei fa un cenno timoroso del capo alle spalle
di Daphne e Blaise, ignorando il mio risentimento. Seguo la direzione del suo
sguardo e lì l’irritazione si affloscia così come era nata, sostituita da
vergogna e amarezza.
Helder, che
stavolta non ha alcun genere di giustificazione riguardo agli Zabini e Pansy di
cui ovviamente non poteva sapere nulla, ha richiamato indietro anche Ron, di
cui invece sa tutto.
La guardo
inorridita per qualche secondo, era in Italia con me, sa perfettamente che cosa
abbiamo vissuto per cinque anni e come sia stato lacerante per me, nonostante
tutto. Vedere Ron qui, adesso, dopo tutto quello che è accaduto, dopo quello
che sta accadendo, mi fa sprofondare il cuore in una morsa dolciastra di
rimorso e senso di colpa. Non mi guarda in viso, si guarda le scarpe, ha le
orecchie in fiamme e gli occhi fissi al suolo, ma tutto di lui mi fa sentire
vittima di un rimprovero silente che sento di meritare appieno. È ancora qui
per aiutarmi, e io me ne sono andata dall’Italia per inseguire un uomo che si
era già rifatto una vita. Con lui, avevo una casa, un tetto, una routine di
abitudini persino confortanti… una
sedia rossa in cucina dallo schienale mezzo rotto, un post it
fucsia sul frigorifero con gli orari del ritiro della spazzatura, una coppia di
amici con cui giocare a tennis nel weekend, un barattolo di pesche sciroppate
sull’ultimo ripiano della dispensa che nessuno mangerà mai… ed io ho buttato all’aria tutto per il miraggio
di un grande
ed eterno amore. Adesso, in
questa situazione, con Alex lontano e in pericolo, tutto quello che rigettavo
di quella vita, paradossalmente, è miele e ciliegia dolcissima. È proprio vero
che si è sempre insoddisfatti di quello che si ha e si è sempre irriconoscenti
seriali… con lui, non mi sono mai sforzata di cercare il benché minimo
contatto, convinta che mai potesse capirmi e risoluta a mantenere sempre una
distanza tra lui e mio figlio, che doveva restare il figlio di Draco e mai il
suo. Forse, in fondo a me stessa, mi sono persino sentita superiore a lui.
Sempre… in modo peggiore di quanto
accadeva ad Hogwarts o di quanto accadeva quando stavamo assieme. Io sola avevo
davvero amato qualcuno, io sola capivo di che cosa avesse bisogno mio figlio,
io sola potevo sapere lo strazio di amare una persona tanto diversa da me, io
sola ero depositaria del bene assoluto. Ed intanto, fino a quando sono stata con lui, Alex
è stato al sicuro. Poi, da
povera idiota, mi sono legata ad un perfetto sconosciuto come Ilai senza
nemmeno rendermene conto, e ho scoperto che Draco poteva essere padre, solo
odiando me.
Vorrei davvero
parlargli, adesso, chiedergli scusa, implorare un mondo in cui possiamo ancora
essere amici, senza che null’altro si metta in mezzo. Ma, adesso, come tante
altre cose, sento di non averne il diritto. O forse è semplicemente troppo
tardi. È come cercare l’origine di una slavina che ha devastato una valle,
seminando morte ghiacciata. Sulla vetta, deve essere stata solo una piccola
palletta di neve sporca, ma dopo, con la gravità che incalza e il tempo che
scorre, difficilmente potresti capire che cosa ha creato tutto. Raccogli ciò
che hai seminato, metti toppe alla devastazione e ti sforzi di dire che andrà
meglio, un giorno. Ed il mio sforzo è soltanto un sorriso debole, grato,
infinitamente riconoscente verso di lui. Ron, quello goffo, imbranato,
insensibile e superficiale… lo ricambia, stringendosi le spalle.
Accanto a lui,
vedo una persona che non avevo notato, una ragazza non molto alta, esile come
un giunco, che mi sembra di conoscere. La guardo meglio, ha lunghi capelli
liscissimi castano chiaro, sottili, e due grandi occhi verde chiaro, è vestita
in modo semplice e colorato. Mi sorride anche lei, ha le guance rosse come due
mele, tanto da avere l’aria di una bambina. Le mani sono strette su un
passeggino, al cui interno distinguo un bambino di pochi anni, forse tre o quattro.
Ha i capelli spettinati castano scuro, e non so come un bambino possa sembrare
già così serio ed arcigno. Studia pensosamente un sonaglio che ha in mano, come
se stesse cercando di scoprire il segreto di una formula quantistica. Quando
torno a guardare la ragazza, improvvisamente mi sovviene chi sia.
Natalie
McDonald, un ex Grifondoro di qualche anno più piccola di me… l’avevamo persino
sospettata tra le spie di Astoria al Ministero, dato che era nell’entourage di
Harry.
La sua presenza
vale a rendermi ancora più confusa, mi volto con le braccia conserte e sempre
più innervosita verso Helder, nello stesso momento in cui i bambini,
naturalmente, giudicano sufficiente il loro contegno così a lungo trattenuto.
James dà quindi una pacca sulla schiena di Albus che inizia a piagnucolare,
cosa che fa svegliare Lily, che smania per essere messa a terra e per poter
correre nel giardino. Come era naturale, il bambino di Daphne inizia a sua
volta a strillare, richiamando attenzioni, lei lo culla distrattamente come se
stesse pensando a tutt’altro. Il piccolo, invece, di Natalie se ne resta
tranquillamente al suo posto, ipnotizzato dal suo giochino, persino incurante
di Lily che lo osserva da vicino, facendogli delle domande con vocetta
stridula. Ginny cerca di dividere Albus e James, Harry e Ron mi si avvicinano
prodighi di spiegazioni, Zabini smania per entrare in casa… e io guardo Helder,
la sola artefice di questo caos, con la voglia di commettere un omicidio.
“Ammazzami
dopo, cortesemente…” gorgheggia lei allegra, mettendosi le mani dietro la
schiena con noncuranza “Manca ancora il secondo atto …”.
Non faccio
nemmeno in tempo a chiedere che cosa diamine voglia dire, che comprendo che il secondo atto non è null’altro che l’aumento esponenziale
della confusione, quando tutti coloro che erano all’interno della casa, pensano
bene di uscire nel giardino, evidentemente richiamati dalle voci oppure dal
fatto che io non sia ancora rientrata. Quindi, negli stessi cinque metri
quadrati, si ritrovano persone che non si vedevano da anni e che, nella
migliore delle ipotesi, si ignoravano. Il più calmo di tutti è naturalmente
Kevin, che non fa assolutamente una piega. Ilai appare sospettoso, ma avendomi
vista relativamente tranquilla, si calma a sua volta anche lui e si siede
pigramente accanto a Kevin, sui gradini della casa. Seth, la cui giovialità è
direttamente proporzionale al numero di persone presenti in una stanza, diventa
semplicemente indemoniato e se ne va in giro, stringendo mani ed abbracciando
spalle, soprattutto quando naturalmente rivede Harry e Ginny, che conosceva dai
tempi del Petite Peste. E fin qui, tutto sommato, siamo alle reazioni pseudo
normali.
Le peggiori
sono, naturalmente, quelle di Pansy, Dean e Draco.
La prima, non
appena vede chi c’è nel giardino ed incrocia lo sguardo improvvisamente attento
e serio di Blaise, sgrana gli occhi ed impallidisce. La sua mano corre veloce
al basso ventre, stringendo forte la presa sul bambino che porta in grembo.
Giurerei persino che abbia avuto un capogiro e giurerei persino che se n’è
accorto anche Dean che, alle sue spalle, corre immediatamente a reggerla per il
gomito, guardando in cagnesco Blaise e Daphne. Quest’ultima, ancora, non dà
segni di alcuna reazione, resta bella ed impassibile, persino dell’espressione
del marito, che sembra al contempo illuminata e sofferta, tesa e rilassata,
felice e dilaniata. Questi, però, sono Serpeverde: in capo a pochi secondi,
ritornano l’emblema dell’aplomb e dell’impassibilità. Dean, naturalmente, no.
Continua a stringere il gomito di Pansy, la tiene stretta a sé ed ha
un’espressione che vorrebbe essere di minaccia, di rimprovero, ma sembra solo inquietudine
irrequieta. Come
se gliela volesse portare via. Sarebbe
lo sguardo che forse io, anni fa, avrei avuto se avessi incontrato Helena. Al destino, magari si scappa pure, ma
se ti si ripresenta davanti, crederai sempre di essere stato solo fortunato. Dean, però, sebbene non lo capisca, non è
stato solo fortunato… la conosco Pansy ormai, capisco le sue reazioni anche se
le nasconde dietro strati di menefreghismo cinico. Ha reagito male,
probabilmente le è scoppiato il cuore, ha il viso lievemente rosso e la pelle
lucida e bianca… ma si è subito stretta al bambino che porta dentro, al figlio
di Dean. E, contrariamente a quanto farebbe sempre, non si sta divincolando
dalla presa di lui, non gli ingiunge severa che non è una paralitica e che può
camminare da sola. Lascia che lui la sorregga, lascia che lui la stringa. Non si farà mai portare via.
Mentre in pochi
secondi si consuma tutto questo, l’altro che ha naturalmente una pessima
reazione, essendo a pieno titolo il Principe delle pessime reazioni, è Draco. La sua replica alla massa di gente
comparsa, è come sempre calma, misurata, assolutamente serafica. E non starò
ancora qui a dire quanto questo significhi tutto il contrario di quello che
pensa. Respinge al mittente lo sguardo torvo di Ron e quello evidentemente
scocciato di Harry e Ginny, non presta attenzione alla situazione di Pansy, non
alza gli occhi al cielo per Seth, non mostra curiosità alcuna per i bambini che
giocano.
La sua reazione
è pessima, perché, in tutto questo marasma, guarda me. Ed è pessima come reazione, perché io già lo stavo guardando.
Gli occhi sono
socchiusi, fissi, implacabili. Mi tagliano il respiro. E so già che cosa vuole,
che cosa sta pensando, che cosa chiede. Perché lo sto pensando anche io.
Ed è quello che
dico ad Helder, sfibrata, cinque secondi dopo: “Lasciando stare l’opportunità o
meno di fare questa allegra riunione…”, respiro e guardo con riconoscenza
Harry, Ron, Ginny e Natalie, meno Blaise e Daphne “Si può sapere che cosa
diamine c’entra tutto questo con Alex?”. Draco sospira, incrocia le braccia e
distoglie lo sguardo da me.
Helder,
finalmente, piega la testa di lato, ha gli occhi colmi di scintille colorate,
scommetto che le si è fritto il cervello con tutti questi sentimenti
contrapposti. Poi, con serietà, fa tornare gli occhi del suo colore normale e
dice compunta: “Per quello che abbiamo intenzione di fare… per quello che
dovrete fare per salvare vostro figlio… serve il più grande numero possibile di
maghi e streghe, credetemi. Al momento qui ci sono solo le persone che potevo
concretamente contattare… e che sapevano del fatto che Draco Malfoy fosse
ancora vivo…”. Helder getta uno sguardo a Draco, che assorbe il colpo e guarda
la gente riunita, finalmente ammutolita. Ovviamente i suoi occhi, così come i miei,
si concentrano su Natalie che non sappiamo ancora cosa diamine ci faccia qui,
ma qui è Ron che interviene, le orecchie sempre più rosse, facendo un minuscolo
passo verso di lei: “Eravamo assieme quando Helder mi ha contattato. E quando
ha capito che era in pericolo il figlio di Hermione… è voluta venire con me…”.
Non mi soffermo
su quell’ “eravamo
assieme”, sarebbe così
maledettamente stupido ed ingrato da farmi sentire un’imbecille… ed inoltre,
credo sul serio che, se avesse una connotazione sentimentale, mi metterebbe a
posto la coscienza in un modo che non posso ancora concedermi. Quindi sorrido a
Natalie e dichiaro, dolcemente salda: “Grazie…”.
“Tu sei sempre
stata gentile con me… è il minimo…” sorride lei gaia, sotto lo sguardo soffice
di Ron.
“Ma non bastiamo…”
riprende Helder con vigore, guardandosi attorno ponderatamente “Non siamo
ancora sufficienti…”, deglutisco a disagio, chiedendomi perché le serva tutta
questa gente, compreso un babbano come Kevin. La paura di quello che sto per
affrontare si mescola venefica al coraggio e alla consapevolezza che, così,
potrei davvero salvare mio figlio.
“Per questo, ho
bisogno del tuo, diciamo, permesso, Malfoy…” prosegue Helder, ritornando a Draco
“Se tu hai intenzione di rivelare che sei ancora vivo, di rinunciare alla tua
copertura come Danny Ryan… potremmo chiamare molta più gente, ci serve più
aiuto possibile… e tu ed Hermione siete stati così tanto stimati in due
ambienti così diversi, come quelli dei Serpeverde e dei Grifondoro, degli Auror
e degli ex Mangiamorte, che potremmo davvero avere molte più persone disposte
ad aiutarci…”, Helder respira forte nel silenzio di Draco, che non ha per nulla
mutato espressione del viso, poi prosegue atona: “Qui siamo ben oltre il
concetto semplice di bene
e male, così come
l’abbiamo sempre conosciuto… le vecchie barricate sono morte. E credo che lo
sappiate tutti voi, in questo giardino, considerando le relazioni che vi
uniscono tra voi… e con il figlio di Draco Malfoy ed Hermione Granger…”. Tutti,
con mia grande sorpresa commossa, annuiscono, persino Ron o Daphne o la stessa
Ginny. Nessuno di loro ha mai accettato che io stessi con Draco, nessuno l’ha
mai capito… ma da quando è nato Alex, le cose sono cambiate. E tutta questa
gente, tutte queste persone, sono disposte a mettersi a rischio, pur di salvare
mio figlio. E’
come se, nella sua esistenza, Alex fosse un simbolo. Il perno di un mondo che
potrebbe cambiare e a cui tutti, dopo Voldemort, vogliono davvero credere.
“Mi avevi già
convinto alla parola permesso,
Empatica, senza bisogno di
questa pappa sociologica…” mormora arrogante Draco, serrando le braccia al
petto, prima di aggiungere in modo epigrafico: “Una volta sola ho cercato di
fare tutto da solo e ci sono andati di mezzo Helena ed Amos. Non rifarò lo stesso
errore con mio figlio… fai pure quello che serve…”.
In un
altro momento, in un’altra vita, in un altro mondo, adesso ti avrei stretto le
dita, avrei riscaldato la tua mano, dandoti quel coraggio da leone che tu non
hai. Avrei letto la tua voce fratta, avrei seguito le tue labbra strette, avrei
distinto netto ed evidente quel barlume di incertezza che ti ha oscurato lo
sguardo. Ti saresti aggrappato a me, forte, ma non così angosciosamente da far
sì che qualcuno se ne accorgesse. Avresti solo accarezzato piano le mie dita,
strette nelle tue, così che tutti pensassero che la debolezza fosse la mia e
non la tua, che oggi uccidi Danny Ryan.
Uno
schermo, un’identità posticcia, un falso nome…
ma comunque un ricovero, un asilo, una capanna in mezzo alla tempesta,
un salvagente a cui mai avresti voluto rinunciare, specie ora, specie adesso,
per la salvezza di un figlio.
Che
vale tutto, tutto.
Lo so
e lo capisco: è nelle ossa che lo chiamano ininterrotte, nel respiro che piange
l’assenza, nel sangue che invano scongiura. Lo sento anche io, come sento quel
dilaniamento a cui, ancora, ti sottoponi. La scelta di un figlio sull’altro.
Anni
fa, implicitamente, senza saperlo, hai scelto di salvare Serenity e condannare
Alex, tenendo Raissa qui.
Adesso,
esplicitamente, con ogni coscienza, hai rotto la promessa con Helena che voleva
Serenity cresciuta tra i babbani.
Hai
scelto di salvare Alex e condannare Serenity, tornando ad essere te stesso ma
restando suo padre.
Hai scelto
di sfidare apertamente i Greengrass, tornando alla vita con l’erede della
fortuna dei Diggory.
In un
altro momento, in un’altra vita, in un altro mondo, adesso ti avrei detto che
troveremo una strada, che Serenity resterà con noi e riporteremo Alex a casa.
Ed
invece in questo momento, in questa vita, in questo mondo… so solo chiudere gli
occhi, serrare le spalle e respirare forte, distogliendo lo sguardo da te.
“Se si tratta di
andare a fare l’ambasciatrice credo di potermene occupare io…” asserisce
convinta Ginny, prendendo per un braccio James e per l’altro Albus che
continuano a bisticciare “E ne approfitterei anche per scaricare questi marmocchi
nel Gran Canyon e sperare che siano sbranati dai coyote…”.
“E Lily?”
chiede Harry, preoccupato, dato che la bambina al momento è impegnata nella
ricerca spasmodica di vermi nel terreno, cosa che ha ridotto il suo vestitino
azzurro in una collage di macchie d’erba e terreno. Sentendo il suo nome, Lily
solleva il capo e fa un grande sorrisone sdentato.
“Non abbiamo
fatto un accordo prematrimoniale… ma credo che ci fosse la divisione equa dei
compiti, no?” mormora Ginny, arricciando il naso “E ringrazia che il numero dei
nostri figli sia dispari, sennò te ne toccava anche un altro…”. Harry incassa
il colpo e tace, recuperando la figlioletta prima che si infili qualche
lombrico in bocca.
Ginny, dopo
avermi salutato con affetto ed avermi rassicurato che contatterà quante più
persone possibili, si Smaterializza con James ed Albus, ancora impegnati a
darsi calci negli stinchi. A quel punto, Daphne rompe il silenzio algido che
aveva tenuto fino a questo momento, per sussurrare flautata e mesta che ha
intenzione anche lei di andare a cercare aiuto, molto probabilmente dalle
persone che, per ovvi motivi, Ginny non potrebbe contattare. Serpeverde. Mangiamorte più o meno
pentiti.
Non riconosco
la sua voce, è terribilmente bassa e sottile. Sentendola, mi provoca una fitta
allo stomaco, mentre Blaise non reagisce minimamente, resta perso nell’immagine
di Pansy e Dean davanti a lui, ancora stretti l’uno all’altra. Blaise li continua
a studiare senza ritegno e senza nemmeno tentare di nasconderlo.
È Pansy,
allora, a reagire, raddrizzando la schiena e dicendo greve: “Grazie Daphne… non
frequento più alcune persone del nostro vecchio… gruppo… e non credo di poterlo fare personalmente…”. È anche lei
terribilmente cortese ed impersonale, senza alcuna sfumatura scherzosa o
irritata, segno evidente che non è sincera e non è sé stessa. Dean la guarda
preoccupato, non lasciando mai però il viso di Blaise, di cui analizza ogni fremito
di palpebre. Helder stessa serra gli occhi, diventati per un attimo del colore
di quelli di Daphne, reprimendo una smorfia di dolore.
“Non ci sono
problemi…” risponde lei con distacco, agitando noncurante la mano “Ne
approfitterò anche per riportare Jacob a casa dalla sua balia…”. Fa un gesto
indolente in direzione del bambino che ha in braccio, che ha preso a
giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi e lucidi. Lei ne sembra
quasi infastidita per un attimo, trasale e rabbrividisce, ma poi lo lascia
fare.
“E’ un bel
bambino…” commenta educata Pansy, il silenzio attorno a loro è immenso,
completo, impossibile da rompere nemmeno volendo. Tutti fingiamo di non stare
ascoltando, ma nessuno riesce davvero a dire qualcosa, neanche Seth che si è
andato a sedere mogio accanto a Kevin. Daphne reagisce in modo incomprensibile
ancora una volta, serra le spalle ed annuisce piano, a disagio, aumentando in
me la curiosità su che cosa diamine le sia successo. Poi Pansy fa un commento,
scivolatole fuori quasi per caso, e Daphne ha ancora un comportamento
incomprensibile. Impallidisce, gli occhi le si fanno lucidi, la presa sul
bambino trema al punto che temo che lo faccia cadere a terra.
Pansy ha solo
detto con voce casuale: “Non so perché, ma ero convinta che Jacob fosse più
grande… ero sicura che fosse coetaneo o poco più grande di Charisma…”.
“Ti sarai
sbagliata…” ingiunge duramente Blaise, parlando per la prima volta ed
abbandonando l’espressione mollemente assente che aveva, assumendone invece una
scavata e fiera, che fa da contrappunto a quella terrorizzata ed
incomparabilmente malinconica della moglie. Pansy annuisce a disagio, sembra
stordita, ma nei suoi occhi qualcosa è spuntato improvvisamente.
Un… sospetto.
Daphne, in
fretta, fa quindi per congedarsi, dicendo che tornerà quanto prima, portandosi
dietro tutti coloro che vorranno aiutarla. Andando via, prima di
Smaterializzarsi, guarda Pansy e Dean e, per un attimo, le spunta un sorriso
debole ed inespressivo, ma comunque un po’ più caldo di qualsiasi espressione
che abbia avuto fino ad ora.
“Sarà una
bambina…” sussurra solamente, guardando la pancia di Pansy, che se la stringe
piano, gli occhi lucidi che vanno subito a cercare Dean, che finalmente si
rilassa e chiede a Daphne spiegazioni su come se ne sia accorta. Blaise serra
la mascella, fa qualche passo nervoso, si appoggia al tronco di un albero,
sembra improvvisamente più stanco.
“Intuizione
puerpera, un potere di
premonizione delle gravidanze che hanno molte Purosangue… specie nella mia
famiglia…” sorride lei, stavolta in modo più aperto “Helena l’aveva più forte
di me… ed Astoria invece doveva sempre usare una bacchetta… ma l’abbiamo
ereditato tutte e tre…”. I nomi delle sue due sorelle sono come una spada sulla
testa mia e di Draco, ricordo improvvisamente l’incantesimo all’odore di rosa
che Astoria mi fece al castello di Dimitri, mostrando la mia gravidanza. Una
donna che non poteva avere figli… ma era perfettamente in grado di capire
quando li avessero gli altri… che dono crudele. Draco contrae le braccia, resta immobile e apparentemente
indifferente quando sente il nome di Helena, ma persino io sento il suo respiro
farsi irregolare. Daphne, però, sebbene la sua voce sia tornata il flebile e
gelido alito di vento di poco fa, sembra quasi calmarci tutti, dicendo prima di
sparire: “Non vi do alcuna colpa per la morte delle mie sorelle… nessuna di
nessun tipo. Entrambe hanno scelto la loro strada ed io la mia. Ed in quanto alla
bambina, alla figlia di Amos ed Helena… quella che hai nascosto alla mia
famiglia per cinque anni, Draco… non me ne interessa assolutamente nulla. Sono
una Zabini, adesso…”.
L’eco di
quell’ultima frase, dal tono così risoluto ma al contempo così tremendamente
triste da sembrare la pronuncia di una condanna a morte, si spegne nell’aria,
mentre Daphne si Smaterializza, portandosi dietro il figlio Jacob.
Finalmente,
sistemate quelli che erano gli aspetti più impellenti della matassa che ci
circonda, possiamo conoscere il piano di Helder. La guardo in attesa assieme
con Draco, e lei accenna ad un gazebo di legno color ciliegia approntato nel
giardino. Pansy decide di non seguirci, dice di volersi occupare di Lily e del
figlio di Natalie che apprendiamo chiamarsi Elias, ma è evidente che vuole
stare da sola e magari raccogliere i pensieri e le emozioni all’imprevisto
incontro con Blaise. Quest’ultimo la osserva crucciato, Dean invece la lascia
andare comprensivo all’interno, gli occhi ancora umidi al pensiero della
bambina che farà compagnia a Charisma. Seth si offre immediatamente di
accompagnarla, aggiungendo che comunque lui è abbastanza inutile e che Kevin
può dirgli comunque tutto dopo. Dean lo ringrazia in modo pacato, sapendo che
almeno farà compagnia alla moglie. Natalie, però, gentile ma ferma, dice che è
meglio che Elias resti con lei, quindi il bimbo, che ancora non ha dato nessun
segno di interesse a nulla se non il suo giocattolo, rimane con noi. Ci sediamo
nel gazebo, all’ombra la temperatura è molto più fresca, specie sotto gli
alberi. Draco rimane in piedi, poggiato con la schiena ad una colonna, mentre
io scelgo prudentemente di sedermi in una posizione neutra, ossia tra Harry e Dean.
Al momento, per la mia salute mentale, meglio stare equidistante sia da Draco,
che da Ron ed Ilai.
Helder prende
un profondo respiro prima di cominciare e sussurra come preambolo: “Fatemi il
piacere di interrompermi il meno possibile… e di perdonarmi se inizio da molto
lontano… è una storia davvero complicata, dove voi due paradossalmente siete
solo gli attori finali… ed è una storia che riguarda gli Empatici ed Adamar… ma
dovete avere chiaro tutto per capire che cosa dovete fare…”.
Annuisco
ancora, quasi affascinata da questo nostro collegamento con segreti più vecchi
della Magia stessa, e spio con lo sguardo Draco che, contrariamente a me, non
ha ancora minimamente mutato espressione. La voce di Helder risuona
d’improvviso nella mia testa, molto più debole e fioca di quanto fosse prima
quando riusciva a leggermi nel pensiero, mentre sussurra: “E mi dispiace se purtroppo nel mio
discorso ti farò soffrire o ti metterò in imbarazzo… ma credimi non c’è altra
scelta…”. Sebbene
preoccupata, annuisco silenziosamente al suo indirizzo, esortandola a
continuare.
Helder respira
ancora, e finalmente comincia: “Partiamo dalla cosa più ovvia… la febbre che vi
ha colpito e che ho provveduto a farvi passare… ed il fatto che, assieme ad
essa, si fosse aperta una connessione con tutti gli Empatici del mondo, così
che i vostri pensieri più intimi e le vostre sensazioni fossero percepite anche
a chilometri di distanza da tutti coloro che avessero questo potere… non è una
cosa così ovvia, nemmeno scontata e tantomeno naturale per la nostra gente, ma
ha un suo nome, un suo motivo ed una sua spiegazione. Si chiama Segno di fuoco. È un avviso… ecco. Per gli Empatici. A
trovarvi… ed è già successo cinque anni fa…”.
“Non avevamo
nessuna febbre cinque anni fa…” l’interrompe prontamente Draco, con voce
dubbiosa e caustica “Me ne ricorderei… non è stata una passeggiata al luna
park…”. Lo guardo storto, meno male che Helder aveva detto di non
interromperla. Ma lei non ne sembra disturbata, anzi annuisce tra sé e sé in
tono riflessivo, e sussurra: “Era iniziata in realtà… ma non ebbe grandi
effetti su di voi. Il segno di fuoco aveva due fasi, la prima che riguardava
solo noi Empatici, la seconda che avrebbe riguardato voi due… e voi, cinque
anni dopo, avete vissuto questa seconda fase quando vi siete rincontrati. Comunque
andiamo con ordine…”. Helder, a quel punto, si rivolge a me, quasi isolandosi
da tutto il resto e mi guarda fisso negli occhi, chiedendomi: “Cinque anni fa,
quando tu e Draco vi siete messi assieme… io ti ho parlato di una sensazione
che avevo provato assieme ad altri Empatici, ricordi?”. Faccio velocemente
mente locale, cercando di rendermi impermeabile all’imbarazzo e al dolore per
quei ricordi, poi facilmente ricordo cosa mi aveva detto telepaticamente quando
mi aveva liberato dalla prigionia di Dimitri. Era una cosa che negli anni mi
era sempre rimasta impressa.
Non credi che un amore così, sia
qualcosa di semplicemente… troppo… anche per un Empatico? Tu hai rotto lo
Zahir… lui ha battuto Adamar… due segreti vecchi come la Magia stessa… noi
Empatici… io e gli altri, anche a grandissima distanza… vi abbiamo sentito
ininterrottamente, come si sente il fuoco di un incendio quando si è avvolti
dalle fiamme… sono settimane che ho il cervello che brucia…
Annuisco tra me
e me guardandola e lei riprende con più energia, rivolgendosi di nuovo agli
altri: “Tutti noi Empatici, soprattutto nei dieci giorni che loro hanno
condiviso a casa di Pansy, provavamo una strana sensazione. La sensazione che il
cervello andasse a fuoco, che bruciasse, ecco… era una cosa che nessuno aveva
provato mai prima, che nessuno sapeva descrivere, che sembrava nutrirsi di loro
due ed averne in loro origine e spiegazione. Di storie d’amore su questa terra
ne sono esistite tante, decine di migliaia, era impossibile pensare che la
motivazione fosse solo questa. Io, che vi conoscevo, l’ho collegata alla forza
del vostro legame ed al fatto che aveste battuto Adamar e lo Zahir. Ma quando
decine di Empatici mi hanno riferito in quei giorni la stessa sensazione, anche
se erano distanti migliaia di chilometri da voi… abbiamo capito, tutti, che
c’era qualcosa che non andava come doveva. C’era qualcosa di strano in tutto
questo. D’accordo vivevate un forte sentimento, che era stato travagliato, ma
come poteva questo provocare delle conseguenze in tutto il mondo, a migliaia di
persone che non si conoscevano tra loro e che tantomeno conoscevano voi?”.
Helder
fa ancora una pausa, come se raccogliesse i pensieri tra sé e sé, il silenzio
attorno a lei è assoluto. Draco, finalmente, ha sciolto le braccia che teneva
strette al petto, ho sentito il suo sguardo addosso, ma non mi sono premurata
di rispondergli. Non adesso che tutto, in me, pulsa e batte forte di ricordo.
“Ma
poi la sensazione è passata, siete stati divisi, il fuoco si è spento…”
riprende Helder, giocherellando con le dita con l’orlo della sua veste “Ed io
in cinque anni non ci ho quasi mai più pensato… fino a quando qualche settimana
fa, ho ricevuto una chiamata. Eravamo ancora in Italia… c’eri anche tu…”,
ancora si rivolge direttamente a me, guardandomi dritto negli occhi: “E non ti
ho detto nulla, perché in fondo non serviva a nulla per te saperlo… era una
cosa degli Empatici, solo nostra. E tu eri solo una causa accidentale di tutto
questo…”, Helder di nuovo distoglie lo sguardo da me e riprende: “Noi Empatici
siamo organizzati in una specie di consiglio, si chiama Senato celeste, ma
onestamente l’ho sempre trovata una cosa abbastanza folcloristica e
nient’altro. Gavril, l’uomo che mi ha chiamato… è a capo di questo Consiglio.
Mi chiese se ero io Helder Cassidy Bode, se ero con
una donna chiamata Hermione Granger, se era stata lei a creare uno Zahir
qualche mese prima, se era stato l’amore per un tale Draco Malfoy a creare lo
Zahir poi distrutto, se era anche vero che quest’uomo aveva affrontato e
battuto Adamar… ovviamente incuriosita, confermai tutto. Al che, mi fu chiesto
se avevo provato anche io quel fuoco nella testa… me ne fu detto il nome, mi fu
detto che era un segnale, mi fu detto che non era stata una coincidenza che si
fosse acceso allora e mi fu detto che aveva un motivo ben preciso, legato a voi
due. Mi fu persino anticipato che molto probabilmente, a lungo andare, avrebbe
provocato delle conseguenze anche a vostro carico: malessere fisico,
rallentamento a livello celebrale, ipersensibilità emotiva, febbre altissima
che non si sarebbe placata con nessuno dei rimedi più conosciuti. Ma
soprattutto l’apertura di un canale privilegiato con i vostri pensieri e
sensazioni, per tutti gli Empatici del mondo. Gavril mi disse di raggiungere
immediatamente Hermione, quando avessi iniziato a sentire i suoi pensieri anche
a distanza. Questo è successo più o meno ieri mattina... e, allora, dopo aver
saputo da Harry del rapimento di Alex da parte di Dimitri ed aver finalmente
udito tutta la storia da Gavril, ogni pezzo è andato a posto. E quindi sono
partita subito per raggiungervi…”.
Ieri mattina… la febbre è iniziata allora…
“Mettiamo
che mi interessi tutta questa faccenda di questa febbre misteriosa…” ancora
Draco interviene, le mani contratte a pugno e gli occhi accesi di rabbia,
guardando Helder. È come se improvvisamente qualcosa si fosse rivoltato in lui,
imponendogli di prendere di nuovo la parola “E mettiamo ancora che io mi voglia
sentire tutte queste menate empatiche… che cosa diamine c’entra tutto questo
con nostro figlio?”. Il cuore mi fa improvvisamente tanto male da darmi
l’illusione che stia volando fuori dal petto, mentre fa una capriola buffa. È la prima volta che dice nostro figlio.
Mi
schiarisco silenziosamente la gola, facendo passare la morsa che la stringe
forte. Ilai, di fronte a me, sembra intuire qualcosa dal mio sguardo, ma non lo
guardo in viso per non esserne smascherata.
Helder si fa serissima, guarda prima Draco e poi
me, la sua voce riassume il tono caparbio ed autorevole che aveva quando ci ha
parlato e rimproverato, non appena ci ha visti litigare: “Non sto raccontando questa storia per mio personale divertimento,
ma per un motivo molto semplice. Che è questo: non salverete Alex in nessuna
delle maniere che credete di poter utilizzare…”. Annaspo, il respiro si ferma,
mi chiudo il petto tra le braccia e mi mordo il labbro, colma di angoscia.
Draco, a sua volta, diventa livido, bianco, i pugni tremano serrati. Helder,
con nuova decisione, prosegue: “Non lo salverà il ciondolo di Tatia Krasova,
non lo salveranno interventi magici dei più potenti e non lo salverà nemmeno
ricorrere a rimedi babbani. Certo, potreste avere fortuna, potreste ingannare
Dimitri al punto da liberare Alex e fuggire… ma non cambierebbe nulla. Non
credo che il ciondolo possa sciogliere l’assimilazione, e, anche se lo facesse,
Dimitri ci metterebbe tre secondi a ripristinarla, stavolta magari facendosi
davvero del male. E in ogni caso… pensateci… anche se doveste riuscire a
salvarvi, anche se doveste riuscire a salvare vostro figlio… passereste una
vita in fuga. Perché loro, i Karkaroff, non si fermeranno mai. E prima o poi,
arriveranno a voi e ad Alex. Anche se esiste una scappatoia non sarete così
fortunati in seguito… il potere dato da Adamar è assoluto, fortissimo, senza
scampo. Non ci sono rimedi ad esso…”, Helder sospira nel nostro silenzio
angosciante, improvvisamente stanca, prima di aggiungere faticosamente: “O
meglio… non ci sono rimedi conosciuti ad
uomo, per esso. Un rimedio, il solo, esiste. Ed è talmente pericoloso
anch’esso che solo suggerirvelo per me è sbagliato. Specie… nelle condizioni in
cui siete adesso…”, la guardo disperata, senza capire, gli occhi che mi
pizzicano, non riuscendo minimamente a comprendere che cosa voglia dire. Poi
lei fa vagare gli occhi da me a Draco, come a descrivere un’improbabile ellisse
che ci unisca, quando invece non siamo mai stati così distanti. Ed allora
capisco di che situazione parla. Parla di noi due, dei nostri sentimenti, di
che cosa proviamo adesso. Persino i suoi goffi tentativi di unirci, adesso, e
quelli di mostrare disappunto riguardo ad Ilai, mi sembrano improvvisamente più
chiari. Ho improvvisamente un senso di soffocamento, fortissimo, che mi porta quasi
a tossire per liberarmi di un blocco che non esiste.
Ma non lo faccio, me ne resto ferma con la bocca
impastata a fermare i pensieri che franano da una parte all’altra, sempre più
convinta che il piano di Helder prevede me e Draco in una forma che adesso non
abbiamo, in un sentimento ed una fiducia che neanche nei sogni, forse, abbiamo
avuto. E per la prima volta, davvero, con un senso di stordimento che mi fa
sentire soffuse le altre voci, ho davvero terrore di non poter salvare Alex.
Helder, intanto, ha continuato a parlare nel mio
momento di assenza, confermando tutto quello che da sola avevo già intuito:
“Però non mi perdonereste mai, se non ve lo dicessi, se non vi parlassi di
questa possibilità… la sola che abbiate… conosco il vostro cuore, conosco il
sentimento che lega un padre ed una madre al loro figlio. Fareste di tutto per
salvarlo. E quindi tanto vale che ve ne parli io adesso… il rimedio, l’arma… lo
conosce solo Adamar. Non è mai stato scritto da nessun uomo, perché è un
rimedio Empatico, e, come forse sapete, loro sono sempre poco avvezzi alla
scrittura. Difatti la sola pecca che hanno Dimitri e Raissa nella loro
Conoscenza Assoluta, è proprio l’Empatia… ma questo, ecco, rimedio, forse, non
sarebbe stato scritto comunque, anche se non fosse stato Empatico, perché
semplicemente è troppo antico… è nato con gli Empatici e con Adamar stesso,
affonda nella loro storia ancestrale, era già scritto nel momento della
creazione di quel demone. E gli Empatici non hanno mai potuto davvero tramandarlo…
lo capirete presto… quindi se n’è persa ogni traccia nel corso degli anni…”.
Helder fa ancora una pausa, si mette una ciocca
di capelli dietro le orecchie e bisbiglia, proseguendo con voce ferma: “Questo
rimedio… è una condizione stessa dell’esistenza di Adamar, non può opporsi,
qualora sia scagliato nei suoi confronti, se ce ne sono le condizioni… deve
subirlo e basta. Ma non per questo vuol dire che, siccome non può impedire che
usiate quest’arma, l’avreste vinta con lui… significa solamente che deve
accettare di giocare, non che è
destinato a perdere… tutt’altro…”.
“E’ normale che non ci sto capendo niente?!”
borbotta Dean, roteando gli occhi ed incrociando le braccia. Helder sorride ed
annuisce, dicendo che sarà tutto decisamente più chiaro quando avrà finito di
parlare. A quel punto, aggiunge lapidaria, rivolgendosi alla silenziosa platea
che l’ascolta: “Il rimedio si chiama Solutio
damnationis, lo scioglimento della dannazione. Ed in realtà ha un effetto
semplicissimo, anche se di portata cosmica… se funzionasse… se ci riusciste… Adamar cesserebbe di esistere. Ogni
desiderio oscuro da lui esaudito verrebbe estinto, persino nell’aldilà… le
anime l’aspettano da secoli… Tatia te l’ha fatto capire chiaramente in quel
sogno, Hermione… e devo ammettere che sentire anche lei premere in questa
direzione, leggendo i tuoi pensieri, mi ha spinto a rivelarvi tutto…”.
Ilai ha ovviamente uno scatto improvviso,
nervoso quasi, e torna a guardarmi, chiedendomi implorante: “Hai sognato…
Tatia?”. Ha il volto acceso, angosciato, lontano anni luce dall’immagine calma
e tranquilla che ho sempre di lui. Per un attimo, vedo Draco guardarlo,
stringere gli occhi grigi e restare in un’attesa pensierosa, che non so che
cosa lasci presagire. Poi, con un maledetto senso di angoscia, penso che
probabilmente si è sentito simile ad Ilai per una volta, penso che forse
immagina che avrebbe avuto la stessa reazione se io avessi parlato di Helena a
lui.
Sei solamente il rimpiattino delle donne
morte che cercano una sostituta innocua per i loro fidanzatini e maritini.
Prima Helena, e adesso Tatia. Non te lo sei mai chiesto, Granger? Non ti sei
chiesta come mai tutto questo interesse dall’alto dei cieli? Non sei niente di
speciale in fondo… ed è questo il punto… sanno che resteranno indimenticabili.
E scelgono te per avere questa certezza.
Le parole malevole
di Raissa rimbombano nel mio cervello, le mando fuori dalla mia testa con
nervosismo, mentre annuisco ad Ilai, raccontando
sommariamente il contenuto del sogno a cui non avevo dato molto peso, alle
parole di Tatia che mi ammonivano sul fatto che avessi già tutto quello che mi
serviva, alla nenia infernale che ripeteva le parole Solutio damnationis, al
fatto che Tatia sembrava la messaggera di qualcosa che milioni di persone
sembravano condividere, ma che non avevano potuto comunicarmi, cosa che invece
aveva potuto fare Tatia.
“Se Adamar cessasse di esistere, quindi…”
completa alla fine Harry, quasi mettendo una chiusa a tutto il ragionamento “Raissa
e Dimitri Karkaroff perderebbero la loro Conoscenza assoluta, tornando due
maghi ordinari… e sarebbero decisamente più gestibili… potremmo persino
arrestarli, no?”. Draco fa un’espressione così scettica che capisco
perfettamente che non avrebbe alcuna intenzione di consegnare i Karkaroff alla
giustizia ordinaria, ma per fortuna Harry non se ne accorge. Non credo che, al
momento, sopporterebbe facilmente le sue intemperanze. Spesso, in Italia,
parlando di Draco, in Harry emergeva chiaro l’avversione che avesse per lui, ed
io, stavolta, non c’entravo niente. Harry si è sempre sentito tradito dalla sua
sparizione cinque anni fa, visto che lo stava aiutando da anni di nascosto da
tutti. Se è qui, adesso, non è per lui, ma per me ed Alex. E se Draco non si è
mai mostrato riconoscente con Harry stesso, io non smetterò mai di esserlo.
Helder annuisce, rivolgendosi ad Harry ed
aggiungendo stoica: “E dubito che Raissa e Dimitri, se maghi normali,
potrebbero avere storia con il traditore di Voldemort e l’ex Capo degli Auror,
impegnati a salvare il loro unico figlio…”.
“Una cosa, però, non mi è chiara…” chiede
Natalie, che fino a questo momento era rimasta in silenzio, spingendo avanti ed
indietro il passeggino di Elias, Helder la guarda in attesa e con un piccolo
sorriso, già come se prevenisse la sua domanda “Se questo rimedio esiste da
secoli, se è agognato persino nell’aldilà, se Adamar non potrebbe rifiutarsi di
subirlo… perché allora voi Empatici non l’avete usato prima? Perché avete
dovuto aspettare il segno di fuoco di Malfoy ed Hermione?”.
“E qui che la questione si complica… ed è qui
che capirete perché questo rimedio, in realtà, è pericoloso al pari di Adamar
stesso…” riprende Helder con un profondo sospiro, più simile ad un singhiozzo
che la scuote dall’interno “E capirete anche perché ho avuto bisogno di
convocare così tante persone e tante ancora me ne servono… perché questo
rimedio è stato già usato una volta, con conseguenze disastrose. E quando è
stato usato, ha comportato una pena salata per tutti gli Empatici e per Adamar
stesso… usarlo implica la quasi certezza del fallimento. E non solo perché Adamar
è quello che è ed è con lui che dovete vedervela… ma perché la Solutio
damnationis, specie se fallisce, comporta conseguenze planetarie… potrebbero
perdere la vita decine di migliaia di persone ed è già successo… e voi due
sareste semplicemente i primi a morire…”, un brivido mi scorre lungo la
schiena, mi stringo nelle spalle mentre cerco di fermarlo “Per anni la Terra
dovrebbe fare i conti con gli effetti di tutto questo. Ed io, come rappresentante
degli Empatici e del Senato Celeste, ho l’obbligo morale di impedire che
persone innocenti perdano la vita. Ma al contempo ho anche il dovere di dirvi
della Solutio damnationis che appunto è l’unico modo concreto di salvare Alex,
liberandovi dei Karkaroff e di Adamar… e liberando il mondo stesso da quel
demone empio…”.
“Parla, Bode…” la voce di Draco è dannatamente
ferma, molto più di quella che avrei io, se avessi dovuto chiederle di
proseguire. Lo ringrazio mentalmente, guardandolo intensamente, i suoi occhi
trovano i miei, prima che ne scappi ancora. Helder annuisce con comprensione,
poi inizia finalmente a raccontare: “Per farvi capire bene tutto, devo
raccontarvi del modo in cui sono inscindibilmente legati gli Empatici ed
Adamar. Un modo di cui nessuno di noi aveva memoria, fino a qualche mese fa. Quando
il fuoco si è spento, cinque anni fa, quando voi due siete stati divisi, io,
come tutti gli Empatici, ho iniziato ad avere sogni strani. Cose di poco conto,
in persone come me, che nel Senato celeste avevamo una posizione marginale. Non
ci avevo dato peso nel modo più assoluto: vedevo solo un’inondazione e basta,
la distruzione di una grande città, desolazione e morte. Poteva essere un sogno
come tanti altri, indottomi dalla mia paura per Hermione, Alex ed Hayden, dato
che ero in Italia con loro. In persone, invece, con più potere, quei sogni
erano stati ben più nitidi ed intensi, colmi di particolari raffrontabili tra
di loro. Dopo cinque anni, la cerchia più alta del Consiglio era stata in grado
di ricostruire una storia che ci appartiene da decine di migliaia di anni, ma
che ci era stata cancellata dalla mente fino appunto al Segno di fuoco di
cinque anni fa, che aveva dato origine allo snebbiamento della nostra memoria
mediante quei strani sogni. Avevamo solo delle teorie, sebbene abbastanza
attendibili, specie quando gli altri Empatici mi hanno contattato ed è venuta
fuori la faccenda vostra e dei Karkaroff, e quindi hanno capito che avevate
ancora, in qualche modo, a che fare con Adamar… ma quelle teorie sono diventate
certezza adesso, quando il Segno si è riacceso con il vostro incontro di pochi
giorni fa, con la febbre e la connessione aperta. Anche io ho potuto ricordare
tutto. E, come me, tutti gli altri. C’è voluto del tempo… ben cinque anni… e la
consultazione con diverse persone per giungere a tale storia, il Segno di fuoco
era durato solo poche settimane e non aveva potuto far recuperare completamente
la memoria. Ma, mettendo assieme i pezzi provenienti da diversi sogni e le
leggende che comunque si conoscono e sono tramandate oralmente riguardo ad
Adamar, il Senato era già giunto ad un elevato livello di chiarezza,
confermatoci pienamente quando il Segno di Fuoco si è riacceso ieri mattina…”.
“Come si fa a scordare un’intera storia?” chiede
Ron perplesso, mi ero dimenticata completamente di non essere da sola, rapita
com’ero dal racconto di Helder.
“… ma soprattutto…” aggiunge ancora Dean
meditabondo, grattandosi una guancia e inarcando un sopracciglio “Come fa
un’intera storia, a sparire dalla mente di centinaia di persone? Che io sappia…
gli Empatici non sono proprio pochissimi al mondo… e poi tutto è tornato per
qualcosa che riguardo Malfoy ed Hermione, che nemmeno sono Empatici?”.
“Strano, vero?” commenta leggera Helder, il
vento le scompiglia i capelli e la fa apparire molto più giovane di quanto mi
sia mai sembrata “Ma credetemi, ragazzi… è decisamente possibile… ho memorie
nette e ricordi di un intero popolo… e non li avevo fino a ieri. I miei stessi poteri
sono cambiati…”, Helder sorride tra sé e sé ed aggiunge gioviale: “E’ la magia… di che cosa altro vi sorprendete
ancora?”.
“Di nulla in effetti…” mormora Kevin, che se n’è
stato in silenzio fino ad ora e che si porta le mani ai capelli, reprimendo un
sorriso di circostanza, maschera di un’incredulità difficilmente reprimibile.
“Nulla sarà mai come uno come Potter che
sconfigge davvero Voldemort… dopo
quello, mi sono fatto il vaccino alle cose assurde…” biascica Draco
sarcasticamente, Harry lo guarda minacciosamente, prorompendo in una parolaccia
che spero che Alex non impari mai. Ma, paradossalmente, tutti scoppiano a
ridere con tono leggero e vivace, persino Ron e Dean, costringendo persino me a
scuotere il capo incredula con un sorriso sbieco. Draco non si unisce alla
risata collettiva, ma le sue spalle si rilassano, il respiro si allenta, gli
occhi diventano più chiari. E mi guarda ancora, per un attimo solo, dritto
negli occhi, come se dovesse constatare di persona se quell’attimo di apparente
distrazione abbia fatto bene anche a me. Lascio stavolta che il mio sguardo non
lo abbandoni troppo presto, lascio stavolta che i pensieri non mi affollino la
mente, chiudendomi le palpebre di orgoglio e rabbia. Stavolta è lui a
sfuggirmi, voltando il capo e rivolgendosi di nuovo ad Helder: “Andiamo alla
favoletta, Cantastorie…”.
L’atmosfera rilassata torna d’improvviso
concentrata e tesa, mentre Helder, dopo essersi sistemata meglio, a sedere,
ricomincia pacata: “La storia che avevamo scordato è la storia della nostra
stessa razza e di come un tempo, Adamar, fosse stato uno di noi, un Empatico.
Migliaia di anni fa, gli Empatici vivevano tutti in un regno che molti di voi
conoscono anche solo di nome e di fama… e che una persona, qui, ha già sentito
nominare quando ha creato lo Zahir… il regno di Atlantide…”.
Naturalmente, ho immediatamente addosso gli
sguardi di tutti, cosa che mi fa sentire a disagio e nervosa.
Atlantide… e lo Zahir. La Regina Artemisia… lo Zahir d’amore, il primo,
l’unico, a parte il mio. La fine di un Regno, per un amore trasformato in odio.
Speravo di non dovermene più ricordare, dello
Zahir intendo. Il più grande errore della mia vita. Non ne ho fatte molte di
scelte assennate in questi anni, ma quella credo che sia stata la peggiore.
Ancora, spesso, sogno che quel fiume d’odio mi ritorni nel sangue. Mi scorro
lentamente l’indice sul polso, dove si chiudeva quell’infernale serpente e dove
la cicatrice gemeva e pulsava prima di sparire.
Il serpente… che credevo avrebbe preso il posto
di mio figlio, quando ero incinta.
Quella paura… sorda e cieca… che Ron mandava via, abbracciandomi e
dicendomi che avevo il cuore di una leonessa.
Ron è seduto esattamente di fronte a me, tra
Natalie ed Ilai, e Draco è alle sue spalle, immobile come una statua. Persino
adesso, non posso guardare Ron, senza incontrare gli occhi di Draco o quelli di
Ilai. E mi fa male terribilmente, perché vorrei ancora renderlo partecipe della
gratitudine che provo assieme al senso di colpa. Però, per un attimo, ho come
l’impressione che segua le mie dita che torturano la pelle del polso e neghi
impercettibilmente con il capo, ammonendomi di fermarmi, ancora a convincermi
che quella cicatrice non c’è più.
Come faceva cinque anni fa, accarezzandomi la
pancia che cresceva e nutriva Alex.
La mia mano si stacca subito dal polso e respiro
forte, mentre Helder, dopo una pausa, continua a raccontare: “Le leggende hanno
trasmesso l’idea che questo regno, Atlantide, fosse un autentico paradiso
terrestre e questa non era una bugia. Lo era sul serio. Si trattava di un’isola
lussureggiante, cresciuta dalla terra ed amata dall’acqua, la cui architettura
ricordava molto quella della nostra odierna Venezia. Era praticamente un’isola
strappata al mare… dagli Empatici. Era un paradiso non solo naturale, ma anche umano. Dato che era appunto abitata da
gente in grado di sentire i sentimenti degli altri, non esisteva guerra,
dolore, sofferenza, invidia, odio. La gente, sentendo cosa poteva provocare con
i propri sentimenti negativi, semplicemente evitava il male e lo censurava
persino dai propri pensieri. Ed Atlantide conosceva prosperità e fortuna,
sebbene si isolasse dal resto del mondo, percepito come ostile e crudele.
Atlantide era una monarchia costituzionale, la prima della storia: c’era un
sovrano, coadiuvato nei suoi poteri e prerogative da un Senato celeste, che aiutava
la Corona a reggere il peso del Regno. Il sovrano, infatti, doveva essere il
più potente tra gli Empatici, in grado quindi di prevenire i desideri della sua
stessa popolazione, e doveva vertere sempre in una posizione di pace ed
equilibrio interiore, tale per cui potesse svolgere al meglio il suo compito e
non far riflettere alcun sentimento negativo su Atlantide e sulla sua gente. I
sovrani erano giovani, vergini, imberbi adolescenti che regnavano per pochi
anni, al massimo cinque o sette. Si consumavano presto, come candele bruciate
dal fuoco, a causa della miriade di sentimenti che provavano e del controllo
che ne dovevano comunque avere. Il Senato impediva che morissero, aiutandoli a
reggere il loro potere e sostituendoli presto, ma in ogni caso era decisamente
troppo per una persona sola. All’avvento della 45° dinastia, fu proclamata
Regina di Atlantide una ragazzina nobile di soli quindici anni, figlia di uno
dei più grandi dignitari del Regno: si chiamava Artemisia, era intelligente e
vivace, forte del fulgore della sua giovinezza. Negli stessi anni, fu eletto
capo del Senato celeste uno degli uomini più potenti del regno, fratello del
padre della Regina. Il suo nome era Adamar Varsos,
conosciuto in tutta Atlantide per la sua saggezza e chiarezza di pensiero.
Sotto la guida congiunta di Artemisia ed Adamar, Atlantide conobbe per alcuni
anni il periodo più florido della sua storia: Artemisia ruppe l’isolamento del
Regno, che poté finalmente aprire le frontiere commerciali a città stato
potenti e forti come Atene e Sparta, guadagnandone in ricchezza e benessere
della gente. Adamar, d’altro canto, uomo di grande ingegno ed acume finissimo,
riuscì a mettere a punto tutta una serie di sistemi e stratagemmi che
consentissero che l’energia magica della Regina non si esaurisse
prematuramente, visto quanto era rigoglioso il suo governo. Il risultato fu
che, a venticinque anni, Artemisia era ancora Regina ed Atlantide era al
massimo del suo splendore. Ma i problemi e la crisi del Regno erano già dietro
l’angolo, legati invariabilmente alla circostanza per cui la Regina non era più
adolescente, scevra da sentimenti forti e da passioni brucianti… Atlantide aveva
retto perché governata da una bambina. Sarebbe crollata perché ormai retta da
una donna.
“La fine di Atlantide venne per mano di un
commerciante di sete e broccati, di nome Ferele. Un Ateniese bello, giovane, ma
spregiudicato ed ambizioso, il cui ruolo di piccolo commerciante stava stretto.
Arrivò ad Atlantide ed irretì la giovane ed inesperta Regina, che se ne
innamorò perdutamente. Ferele cavalcava molto l’onda di questa cotta della
sovrana, ne rideva con gli amici, la sfruttava per ottenere dei vantaggi di
natura economica per la sua patria, cosa che gli valse molti riconoscimenti in
Grecia. Atlantide iniziò una forte parabola di decadenza, specie nei rapporti
commerciali dove veniva sempre favorita Atene a discapito di Atlantide stessa,
che divenne quasi suddita della città greca. Ferele, maliziosamente,
consigliava male la regina, sempre più isolata dal suo Regno e dalla sua gente.
Si giunse ad un punto tale di rottura, che alla fine il Senato celeste decise
di intervenire nella persona di Adamar, appunto, che escogitò un sistema per
liberare la Regina dal suo sentimento malsano di attaccamento a Ferele. E
questo sistema fu lo Zahir…”.
Non fu Artemisia a sceglierlo, non fu lei a volerlo… lo dovette… subire.
Le strapparono letteralmente quell’amore… per il benessere della sua gente.
Ripenso alla sensazione orribile dello Zahir che
mi lacerava dentro, come un artiglio che brandisce la carne e, senza fretta
alcuna, sbrindella la cosa a cui tenevi di più al mondo. Avverto, come se fosse
di nuovo mio, lo strazio che deve aver subito Artemisia che, contrariamente a
me, lo viveva senza volontà e da parte delle persone di cui si era sempre
fidata… in fondo Adamar era anche suo zio.
Riprendo ad ascoltare Helder con una stretta
allo stomaco: “Sapete ormai perfettamente come funziona uno Zahir: un
sentimento ossessivo viene estirpato dall’anima di una persona, dandone forma
di un oggetto. Con il tempo, però, tale sentimento se nutrito ancora dalla
vicinanza con la persona che suscita quell’emozione stessa, si trasforma nel
suo contrario, contaminando l’anima e diventando ugualmente devastante. Questo
processo, per ovvi motivi, è più forte e lacerante con gli Zahir d’amore che
non si possono rompere se non con molta difficoltà, e che si convertono in
odio. Un odio irrazionale, corrosivo, cancerogeno. Solo due persone hanno rotto
uno Zahir d’amore: una sta seduta di fronte a me e l’altra… fa parte di questa storia, quindi non ne avevamo memoria
fino a qualche giorno fa...”.
“Un’altra persona… ha rotto uno Zahir d’amore?”
chiedo perplessa, con l’assurda speranza che questa persona sia stata Artemisia
stessa, visto che cosa era stata costretta a subire. Ma Helder, dopo un primo
accenno di assenso, mi smentisce con decisione: “Questa persona, però, non era
Artemisia: dopo qualche tempo di calma interiore e sollievo, prese ad odiare
Ferele, riflettendo il suo rancore verso Atene, al punto da dichiarare guerra alla
città dell’uomo che amava. Voleva distruggerla dal mondo, cancellarla,
annientarla. L’ondata di sentimenti negativi iniziarono a riversarsi su
Atlantide, che conobbe criminalità e corruzione, omicidi e prostituzione,
ladrocinio e mistificazione. Persino la terra iniziò a marcire, gli alberi a
non dare frutto, il bestiame a morire, mentre diverse sciagure naturali
cominciarono a sconquassare l’isola. Quando la guerra con Atene iniziò,
Atlantide era già allo stremo. Atene ebbe facilmente la meglio su un regno
sempre abituato alla pace e alla non belligeranza. La distrusse in pochissimi
giorni e la Regina Artemisia fu trucidata da Ferele stesso. I pochi superstiti
rimasti sull’isola e non deportati ad Atene perirono in una feroce inondazione,
che annientò Atlantide dalla faccia della Terra, dopo che l’ondata di
sentimenti negativi aveva completamente devastato l’ecosistema.
“Adamar, suo malgrado, sopravvisse, trascinato
in catene e schiavo ad Atene. Dovette persino subire di vedere Atlantide
sprofondare negli abissi mentre una nave lo deportava, consapevole di averci
lasciato sua moglie e i suoi cinque figli nel vano tentativo di salvarli dalla
prigionia. Distrutto nell’orgoglio e nell’animo, traboccante di dolore e lutto,
era diventato un servo della peggiore specie, destinato a morire presto nei
feroci giochi olimpici dei Greci o nei loro tributi sacrificali. Ardeva del fuoco
di quella che chiamava giustizia, di quello che definiva ordine, di quella che
chiamava pace… aborriva la fragilità umana, la debolezza dei sentimenti, il
cambiamento futile delle anime che amano ed odiano con la stessa intensità,
finendo per distruggersi, e sognava un mondo che forse lui non avrebbe visto,
ma dove agli uomini sarebbe stato posto un freno per impedire di diventare
facili prede dei propri sentimenti. Sognava la pace che lo Zahir aveva dato ad
Artemisia prima che tutto virasse verso la tragedia… sognava quella che,
invece, era solo morte. Però, qualcuno ascoltò questa sua preghiera…
“Il mondo è un continuo dondolo tra luce ed
ombra, bene e male, bianco e nero. A volte sembra prevalere uno, a volte
l’altro. Ma, semplicemente, non vince mai nessuno. Vince sempre e solo
l’ordine, l’equilibrio, la compensazione tra le due anime dell’Universo. A
tutela di quest’ordine, esistono delle entità che, dopo la fine di Atlantide,
decisero di intervenire. Si potrebbero chiamare Angeli, si potrebbero chiamare
Dei, si potrebbero chiamare Custodi ed io, per semplicità, li chiamerò così. Custodi dell’ordine. Queste entità,
addolorate dalla fine tragica di Atlantide e dalla perdita di tante vite,
decisero che questa sarebbe stata l’ultima volta che l’uomo si distruggeva
così: Adamar sarebbe diventato censore dell’uomo, dei suoi sentimenti, delle
sue passioni, della sua stessa vita. Gli diedero i poteri assoluti che ben
conosciamo, la capacità di realizzare desideri e di imbrigliare in tal modo
sentimenti divenuti troppo molesti e pericolosi, fossero essi buoni o malvagi, gli
lasciarono lo Zahir come mezzo di controllo… sono entità che non si possono
definire malvagie, né tantomeno buone. Hanno solo a mente l’ordine e il
disordine e perseguono il primo. Basta. Ad un gesto malvagio, ne deve
corrispondere uno buono e viceversa, ed il mondo, per loro, deve appiattirsi
nell’assenza di emozioni che distruggano. I Custodi dell’Ordine, delusi
dall’uomo, diedero ad Adamar una vita lunghissima, quasi eterna, ma ad una condizione.
Anche lui, un giorno, doveva morire, come tutte le altre cose. Anche il mondo,
un giorno, doveva essere restituito agli uomini e ai loro sentimenti, e questo
quando sarebbero stati in grado di controllare le loro passioni e
sconvolgimenti dell’anima. Questo momento di restituzione sarebbe stata appunto
la Solutio damnationis: se lo stesso
sentimento avesse sconfitto Adamar per ben due volte, egli avrebbe avuto
l’obbligo di concedere una prova al detentore o ai detentori di tale sentimento
puro. Garanti di tale correttezza sarebbero stati gli Empatici superstiti: alla
seconda sconfitta di Adamar subita dal medesimo sentimento, si sarebbe acceso
il Segno di fuoco che ormai conoscete, così che gli Empatici riconoscessero chi
era riuscito in tale arduo compito e lo avrebbero preso in custodia, fino alla
prova scelta da Adamar. Se tale prova fosse stata superata ed Adamar quindi
fosse stato battuto per la terza volta, avrebbe cessato il suo compito e i
Custodi avrebbero lasciato la Terra di nuovo agli uomini, come ai tempi prima
della fine di Atlantide. Adamar avrebbe cessato la sua lunga vita e si sarebbe
sciolto ogni giogo posto da Adamar stesso agli uomini, compresi quelli già
morti e successivamente dannati per la loro debolezza. Anche costoro avrebbero
raggiunto la pace.
“Adamar, all’inizio, non prese molto seriamente
il suo compito: i primi anni della sua vita assolse quel compito in modo quasi
indolente, stanco, affaticato. Era ancora un uomo, la distruzione della sua
gente e il fallimento della sua politica ad Atlantide, gli gravavano dentro al
punto di non sentirsi giudice di nulla. Successivamente però, venendo sempre
più in contatto con gli uomini, ne comprese la fragilità lunatica e la forza
masochista, comprese che, se lasciati liberi, potevano solo uccidersi a
vicenda. Iniziò a considerarli inferiori, deboli, sciocchi, e dismise tutta la
sua umanità. Era convinto che dovevano essere comandati, guidati, resi schiavi
docili della volontà superiore. Questo senso di distacco fece evaporare ogni
sentimento di vicinanza alla razza umana. Diventò sempre più asservito all’idea
che fossero malvagi e corrotti nell’anima, impossibili da redimere. Moltiplicò
la Terra di Zahir, dai maggiori ai minori, ma evitando quegli d’Amore le cui
conseguenze devastanti potevano risvegliare i Custodi dell’Ordine, specie
adesso che la popolazione umana stava crescendo di numero e un sentimento
d’odio avrebbe ucciso molta più gente, se non controllato. Si lasciava invocare
da centinaia di persone solo per dimostrare quanto potesse essere facile
devastare un cuore umano ed esaudiva desideri anche di dittatori e tiranni, i
quali conoscevano impunita fortuna grazie a lui, che aveva appunto a mente solo
l’ordine ed il discutibile modo di raggiungerlo. Sono imputabili ad Adamar
tantissimi conflitti e guerre, morti, stragi. L’assassinio di Giulio Cesare, la
caduta dell’impero romano, un paio di crociate. Pensiamo persino che sia
ascrivibile a lui l’invenzione dell’Horcrux, ma è solo un sospetto. È certezza
che, invece, abbia creato lui i Dissennatori che, se ci pensate bene, hanno un
potere a lui simile: assorbono sentimenti, perlopiù positivi. Li mandò in giro
sulla terra a sbrigare le faccende che considerava inezie. Nulla sfuggiva al
suo insindacabile giudizio onnipotente: divenne un demone, logorato dal potere
ed oramai dimentico del primario scopo della sua vita. Viveva e vive tuttora per
dimostrare che la razza umana merita solo la dittatura morale di qualcuno di
migliore, e quel qualcuno sarebbe lui e lui soltanto. Mette a tacere ogni voce
più forte nel coro umano, o perlomeno cerca di farlo. Talvolta qualcuno sfugge
al suo controllo e gli dimostra che gli esseri umani sono ancora degni di onore
e fiducia: ci sono state persone che hanno rotto degli Zahir, o che hanno
rinunciato a ciò che prometteva all’interno delle sue prove, o che, sebbene
sappiano di lui, non hanno mai sentito dentro il desiderio di invocarlo. Ma
questo serviva solo a dimostrargli che siamo deboli, non nobili, indegni del
libero arbitrio. Proprio per questo, anche al fine di controllare meglio
l’uomo, prese un’abitudine attorno al Medioevo, a cui si è malauguratamente
assuefatto e a cui ormai non rinuncia più: quando esaudisce un desiderio,
quando uno Zahir viene creato ma non distrutto, lascia una parte di sé nel
cuore della sua vittima, così da poterne sempre avere controllo ed influenza.
Di uomini che vivono così, al mondo, sempre pronti a poter essere da lui
manovrati e condizionati, ce ne sono al momento un milione e duecentocinquanta
settemila…”.
Rabbrividisco, distraendomi per un attimo dalle
parole di Helder. Il racconto sulla storia di Adamar è così oscuro e malvagio,
che non posso fare altro che chiudere gli occhi, serrarmi nelle spalle,
ripensare alla folla di persone che possono essere controllate da questo demone
e che, chissà quante volte, ci passano accanto nella nostra vita.
1257000 vite mutilate, che hanno sacrificato la cosa più preziosa che
avevano per un desiderio, smettendo di disturbare Adamar con il cicaleccio dei
loro sentimenti, qualsiasi essi siano.
Helder mi guarda, come a sincerarsi che io la
segua ancora, e prosegue la sua spiegazione: “Sono persone cieche all’Empatia,
con l’anima sfregiata e il cuore in rovina. Se a questi aggiungiamo coloro che
sono già nell’Inferno, comprendete di quanto si sia allungata l’ombra di Adamar
su questa terra nel corso dei secoli. Tra queste persone, ovviamente, ci sono
anche Dimitri e Raissa. Sono loro stessi, certo, hanno una loro individualità e
coscienza, lui è stato davvero ossessionato da Tatia ed adesso lo è da
Hermione. Lei è veramente innamorata di Ilai. Ma Adamar può sempre controllarli
e condizionarli in qualche modo, spingerli in una determinata direzione,
smorzarli o accenderli in quello che provano. Inoltre vede e sente quello che
vedono e sentono loro. Per questo era importante spegnere il Segno di fuoco.
Una persona qualunque che abbia ottenuto da lui qualcosa, qualora se ne fosse
accorta, lo avrebbe messo in allarme. E, se sono ciechi all’Empatia,
difficilmente noi stessi possiamo sentirli, a meno che non siano molto vicini e
ci imprimano una sensazione negativa che ci permette di ricordarci di loro… abbiamo
davvero bisogno, dalla nostra parte, dell’effetto sorpresa… o farete la fine
delle persone che hanno provato la Solutio damnationis, anni fa…”. Non chiedo
la fine che hanno fatto queste persone, mi sembra abbastanza logico da tutto il
preambolo di questo discorso, che probabilmente sono state distrutte da Adamar
stesso. E, con la gola riarsa, mi rendo conto che questo probabilmente aspetta
anche me e Draco.
Una prova, a cui sottoporre un sentimento puro. Il nostro già è morto
per la vita normale. Come potrebbe resistere ad una prova sovraumana? E poi…
esiste davvero ancora qualcosa che possa essere sottoposto ad una prova?
È in questa direzione che sta andando il
discorso di Helder. Ha detto chiaramente che la Solutio damnationis è la nostra
sola risorsa. E io continuo, invece, a volerla ignorare, dicendomi che deve
esserci dell’altro che possiamo fare. Qualcosa che eviti che io pensi
compiutamente a quanto io e Draco, ormai, siamo distanti anni luce. Qualcosa che
non metta mio figlio nel mezzo di una guerra millenaria con un demone. Ma per
il momento scanso i miei pensieri, rimandando il momento in cui dovrò davvero
pensarci, e continuo ad ascoltare Helder: “Mentre Adamar era al massimo del
potere e dell’onnipotenza, gli Empatici hanno sempre cercato il modo di
sciogliere il suo potere, di invocare la Solutio damnationis. Consideravano
riprovevole quello che Adamar faceva, in quanto non distingueva dal bene o dal
male e perché spesso agiva anche in situazioni, dove non vi era alcun rischio concreto
di disordine, insensibile alle conseguenze delle sue azioni. Ma, per quanto
facessero, nulla attivava il Segno di Fuoco, nessun sentimento umano, nemmeno
quelli più semplici, riuscivano a sconfiggere Adamar per ben due volte. Si andò
avanti in questo modo fino al 1774, anno della creazione del penultimo Zahir
della storia antica.
Era uno Zahir di Dolore e fu creato dalla Regina
Maria Antonietta di Francia, pochi anni dopo la salita al trono. Ancora una
Regina si poneva di traverso sulla strada di Adamar, infastidito dal sordo
dolore di fondo della sovrana, trascinata quattordicenne in Francia per
contrarre matrimonio con un uomo che non amava affatto. La Collana di Zaffiro
della regina Maria Antonietta di Francia la rese, di riflesso al dolore,
insensibile alle esigenze della sua gente, trasformandola in una creatura
capricciosa e viziata. E ciò provocò quella che conoscete tutti come la
Rivoluzione Francese. Anche quando lo Zahir venne distrutto dalla Regina
stessa, la Rivoluzione rimase in piedi, sobillata dal carico di frivolezza e
vizio che aveva avvolto la sovrana agli occhi del suo popolo. Sapete tutti,
poi, come andò a finire, Maria Antonietta venne ghigliottinata e la monarchia
crollò. Le conseguenze per anni furono devastanti e il carico di vittime fu
notevole.
“Fu la goccia che fece traboccare il vaso: gli
Empatici Francesi, nella persona del Capo del Senato celeste, Laurence Dubois, decisero che non si poteva più attendere il
naturale corso degli eventi, sperando che un giorno qualunque qualcuno fosse
degno del Segno di Fuoco. Così compirono il più grande crimine che un Empatico
possa compiere…”, Helder si ferma, improvvisamente ha sul viso un’espressione
addolorata, imbarazzata, sconvolta. E non è che fino ad ora il suo racconto sia
stato propriamente un bagno caldo al termine di una giornata stancante. Sembra
sentirsi lei stessa improvvidamente complice di questo crimine ancestrale, di
cui non aveva neanche memoria fino a ieri. Il volto è cinereo, le labbra
bianche e gli occhi sono spenti. Respira a fondo, sembra guardarci come a
cercare una sorta di perdono, e poi riprende a spiegare con voce smorta: “Nelle
lezioni elementari di Magia, quando si studiano i filtri d’amore o
l’Amortentia, ci viene detto che possono solo creare l’illusione dell’amore, ma
mai un vero sentimento. I sentimenti sono quanto di più complesso l’uomo
possegga, ma al contempo anche la cosa più preziosa che ha. È lì il fulcro del
libero arbitrio, è lì ciò che ci distingue gli uni con gli altri. Lo stesso
oggetto, la stessa persona, può provocare odio in una ed amore in un’altra…
Adamar agisce in modo profondamente errato perché pretende da qualcosa di
diverso dall’uomo stesso, che questi sentimenti siano messi a tacere, perché
potenzialmente pericolosi. Gli Empatici, però, non sono stati migliori. Li
hanno esaltati, pontificati, beatificati, considerandoli come fonte di potere
immortale… un uomo che ama può fare tutto. Questo si sono detti, sempre, e
questo si sono detti soprattutto due secoli fa… ma siccome nessun sentimento
nasceva con la possibilità, davvero, di potere tutto… ne hanno creato uno”.
“Ma non avevi detto appena adesso che non è
possibile creare un sentimento?” la interrompe volutamente Dean, piegando la
testa di lato.
“Non è esatto… o perlomeno non è completamente esatto… un sentimento non può
essere creato dal niente da un Mago comune… ma non da un Empatico…” spiega
sommariamente Helder ed è un attimo prima che comprenda livida la dimensione di
questa cosa e irrompa con voce tremula: “Quello che hai fatto poco fa… a me e a
Draco… la calma che sentivamo... era una cosa simile?”. Draco resta ancora
completamente indifferente, non guardandomi neppure, come se ricordasse
d’improvviso quella rabbia cieca che provavamo, sedata in un niente.
Helder annuisce esangue, aggiungendo con calma:
“Esattamente. Un Empatico in realtà può creare un’emozione dal niente, fa parte
dei suoi poteri. Solo… che non è strettamente voluto dalle leggi della nostra
gente, né tantomeno da quelle dell’Ordine universale, è un peccato contro
natura, rende l’uomo schiavo e vittima di reazioni più forti di lui. I poteri
di un solo Empatico potrebbero condizionare le sensazioni e questo non sarebbe
visto esageratamente come un problema… nel vostro caso, ho semplicemente
premuto un po’ sulle vostre reazioni, rendendole più tollerabili, ecco… è una
cosa difficile ed anche disgustosa per una come me. Fa male più a me che a voi.
Ma la cosa buona è che un solo Empatico può farlo solo per pochi minuti e,
difficilmente, se non a costo dei propri poteri e finanche della propria vita,
lascia tracce permanenti nell’animo della persona colpita. Ma, nel 1799 non lo
fece solo un Empatico… ma l’intero Senato
celeste. Immaginate decine di persone, centinaia forse, che concentrano i
loro poteri per creare un sentimento. E non un sentimento qualsiasi, ma il più
forte di tutti. L’amore… poteva essere una cosa sublime e meravigliosa, ma
volutamente fu creato dal niente un Sentimento d’amore, malsano, ossessivo,
patologico. Le vittime furono gli stessi figli del Capo del Senato che si
offrirono volontariamente, considerando un grande onore quello di poter essere
utilizzati per la sconfitta di Adamar. Si chiamavano Angelique e Francois Dubois, erano fratelli e furono spinti ad amarsi di un
amore incestuoso e riprovevole. Una cosa orribile, insana, che li spinse quasi
alla pazzia…”.
Amare il proprio fratello. Considerare un onore logorarsi per
quest’ossessione.
Pupazzi… semplici pupazzi nelle mani degli Empatici, o di Adamar.
Pedine… in un gioco molto più grande di loro.
Lo diventeremo anche io e te, Draco?
Abbasso gli occhi fissandomi le ginocchia,
mentre Helder prosegue: “Angelique creò uno Zahir d’Amore, il secondo della
storia umana, quello che, come vi dicevo, era stato dimenticato da tutti gli
Empatici. Francois si rivolse ad Adamar chiedendo maggior potere magico così da
diventare un uomo potente che poteva ambire ad un conveniente matrimonio e, per
ottenere questo, impegnò l’amore malato per la sorella. Entrambi vinsero: lo
Zahir di Angelique fu distrutto da lei stessa e Francois si ritirò dalla prova,
in quanto entrambi, essendo prima che amanti due fratelli, non volevano
rinunciare all’affetto normale per il proprio consanguineo. Il Segno di Fuoco
fu attivato, gli Empatici cantarono vittoria ed Angelique e Francois furono
addestrati per la prova di Adamar. Quest’ultimo, però, non è mai stato stupido.
Mai.
“Si accorse della stranezza della cosa, della
facilità con cui Angelique aveva rotto lo Zahir prima che tramutasse l’amore in
odio, della richiesta indefinita di Francois di maggiore potere magico che
sembrava chiaramente un pretesto. E i suoi sospetti furono confermati quando li
vide entrambi invocare la Solutio damnationis, bardati di tutto punto ed
evidentemente allenati a qualsiasi prova, fisica o mentale. Non poteva
rifiutare, non avrebbe mai potuto farlo, ve l’ho già spiegato. Ma… si vendicò. Crudelmente,
intenzionalmente, orribilmente. Li fece a pezzi, in ogni senso metaforico e
fisico. I loro corpi non furono mai trovati, non si è mai saputo a che prova
fossero stati sottoposti, ma fu qualcosa di così malvagio e dissennato da
impregnare la terra per anni ed anni, provocando il Terrore rivoluzionario in
Francia ed una serie di altre orrende disgrazie in tutto il globo. Adamar era
diventato deliberatamente malvagio, si era sentito preso in giro ed aveva
reagito nella peggiore delle maniere, perdendo ogni intenzione alla giustizia.
E gli Empatici stessi avevano provocato una tragedia senza pari che sembrava
non avere mai fine e si perpetuava sempre in sé stessa. Laurence Dubois si suicidò… e i Dubois
furono solo le prime vittime…”.
Ed è questo quello che io e Draco dovremmo fare. Gettarci come agnelli
sacrificali nelle fauci di un demonio, che nessuno hai mai sconfitto,
aspettando che ci faccia a pezzi, magari distruggendo anche il resto del mondo
e i nostri figli? Incrocio lo sguardo di Draco mentre sollevo gli
occhi, sempre più convinta che questo piano sia talmente demenziale e
pericoloso che qualsiasi cosa sarebbe meglio, persino consegnarmi a Dimitri.
Non so come e perché Helder me lo stia suggerendo, non capisco se davvero anche
per lei sia più importante sconfiggere Adamar, che salvare mio figlio. Non può
essere la sola cosa che ci è rimasta da fare… e Draco, mentre mi guarda, ha la
mia stessa espressione, i miei stessi pensieri iracondi e nervosi, che si
riflettono nelle braccia contratte e tese. Annuisco silenziosamente al suo
indirizzo, quasi ingiungendogli di aspettare che lei finisca il suo racconto,
così che possiamo dirle di no, senza problemi. Draco sospira rumorosamente,
tanto che Ron si volta a guardarlo schifato.
Helder, intanto, continua, apparentemente ignara
delle reazioni mie e di Draco: “Stavolta i Custodi dell’Ordine non restarono
silenti testimoni, stavolta il danno aveva sconvolto anche i loro perfetti
canoni di ordine, considerando come il mondo era stato mandato nel caos. E
decisero per una pena per entrambe le fazioni. Adamar perse la sua vita
lunghissima e perse il suo corpo, dovendosi accontentare di prenderne in
possesso uno di quelli da lui controllati per la loro intera vita; per questo,
in questa epoca storica, usa il corpo del congiunto di Grindelwald, che
evidentemente si è rivolto a lui in anni passati. Adamar perse anche la formula
dello Zahir, giudicato troppo pericoloso, e la sua formula andò perduta dalla
mente e dal cuore degli uomini, nonché dalla loro tradizione scritta. La
formula fu affidata agli Indicibili, che ne dovettero mantenere il segreto. La
punizione degli Empatici fu quella che vi ho accennato: la perdita della memoria.
Nessuno avrebbe più ricordato questa storia in quel momento e nel futuro,
finché un genuino Segno di Fuoco si fosse acceso ed avesse risvegliato in modo
autentico la memoria degli Empatici allora in vita. Ecco perché nessuno sapeva
questa storia dal diciannovesimo secolo… ed ecco perché voi due ci siete finiti
in mezzo, senza che nessuno potesse preavvertirvi del rischio che correvate… nessuno,
compresa me naturalmente, che diedi ad Hermione la formula dello Zahir con una
leggerezza che ancora non posso perdonarmi. E se fino a poco tempo fa, era solo
il terrore delle conseguenze di quell’oggetto riprovevole, se qualcosa fosse
andato storto ed Hermione non fosse riuscita a romperlo o a vincere l’odio,
adesso so invece che quello fu il primo passo di questa catena di eventi che vi
hanno posto nell’occhio del ciclone, assieme a vostro figlio…”.
“Occhio del ciclone?” chiedo incapace di
trattenermi oltre, il contraccolpo della mia rabbia mi spinge ad alzarmi in
piedi, ormai stanca di questa stupida leggenda “Al momento non siamo
nell’occhio di nessun ciclone… d’accordo, io ho creato uno stramaledetto Zahir…
e lui…”, ed indico con un gesto insofferente Draco, che serra la mascella “… si
è rivolto ad Adamar. Siamo due idioti, si era capito! Ma al momento non ci
interessa rivangare gli errori o infilarci in questa guerra millenaria! Sono i
Karkaroff i nostri nemici, sono loro che hanno Alex… me ne frego di Adamar!
Possiamo anche aver attivato questo… Segno di fuoco, o come caspita si chiama…
ma non abbiamo il tempo, adesso, di pensare ad Adamar e alla sua stupida prova!
E sono certa che se lo ignoriamo, pensando a cose ben più importanti, lui ci
ignorerà a sua volta, lieto che non vogliamo invocare sta maledetta Solutio
damnationis che…”.
“Non vi ha mai ignorato fino ad ora… e tu credi
che inizi a farlo adesso?”.
La voce di Helder è sorprendentemente calma e
misurata, si infrange contro la mia frustrazione stizzosa, lasciandomi
sconvolta ed atterrita, oltre che svuotata. Le ginocchia mi tremano come se
fossero di cristallo e biascico un: “Cosa?” debole e pigolante. Draco, a sua
volta, che se ne era stato in silenzio al mio sfogo, pronto semplicemente a
dare la stoccata finale quando ce ne fosse stato bisogno, si stacca dalla
colonna e fa qualche passo verso Helder, suonando vagamente minaccioso. Ma la
sua voce è solamente tremante, mentre chiosa serio: “Che cosa vuol dire che non
ci ha mai ignorato, Empatica?”.
Helder a quel punto fa qualcosa di strano, che
non ho mai visto e che mi lascia assolutamente senza parole. Estrae la
bacchetta dal mantello, mormora delle parole soffuse e si sfiora con la punta
prima la fronte, e poi il collo, premendo leggermente. Quando riapre bocca, la
sua voce è diversa… sudando freddo, mi accorgo che è la voce di Draco.
Dice solo qualche parola che risuona cupa come
se provenisse dal fondo di un contenitore basso e fondo, come se provenisse da
un lontano tempo e passato. Le sue parole mi risuonano familiari, e ricordo
distintamente di averle già sentite, anche se di primo acchito non ricordo
quando. Poi, rapido come lo sfrecciare di un treno, mi sovviene l’odore delle
rose, la luce calda di un mattino, le braccia di Draco attorno a me e la
sensazione di essere immortale e destinata solo alla gioia. La mattina dopo che era tornato… quando mi
raccontò dell’incontro con Adamar… trasalgo così tanto a quel ricordo, da
lasciarmi cadere sulla panca su cui ero seduta in modo pesante ed impacciato,
come se fossi caduta. Dean mi afferra per un polso, ed Harry mi chiede se mi
sento bene, mentre Helder finisce la sua frase con la perfetta intonazione di
Draco stesso, che la guarda ad occhi spalancati, le iridi diventate mercurio
sfuggevole e metallico.
Adamar mi ha detto che erano anni che mi stava aspettando, da quando ho
tradito i miei genitori… “Eri
sufficientemente debole e stupido da cercarmi, ma purtroppo eri ancora così
legato ad una sciocca ed antiquata moralità per sentire quel bisogno. Dovevi
perdere tutto, per arrivare a me…” questo ha detto. Oramai non sperava
più di vedermi, “credevo che lei ti
bastasse...”. Si riferiva a te…
Helder, prendendo fiato come se fosse stata
sott’acqua, ci guarda entrambi con improvvisa compassione, apparentemente
stanca, snervata, abbattuta. Sussurra lieve: “Non vi ha mai ignorato…”.
I suoi occhi, colmi di una foschia umida,
tornano soprattutto a Draco, mentre mormora: “Con lei, con Hermione… è stata
lei, per colpa mia, ad andarsela a cercare… ma nel tuo caso… lui ha sempre voluto far tacere quel tuo
fastidioso cuore…”. Draco, a sua volta, si abbandona di nuovo contro la
colonna, ha l’espressione persa e sconvolta di un cucciolo abbandonato e farei
di tutto, adesso, per allontanare da lui il fantasma che si è rappreso nei suoi
occhi. Ma resto incollata al mio posto, stringendo la mano di Dean con forza.
Helder si siede daccapo, sospira e riprende, la
sua voce suona impersonale e statica, come se d’improvviso volesse scrollarsi
di dosso e velocemente questa vicenda: “Quando Hermione creò lo Zahir e quando
poi lo distrusse, probabilmente non entrò negli interessi di Adamar… non fu
vista come una minaccia. Era certo, convinto che il suo sentimento non fosse
corrisposto, quindi non poteva esserne minacciato, seguiva Draco Malfoy da anni
perché era convinto di poterlo piegare ad avere bisogno di lui, invocandone
l’aiuto. Sapete come funziona, Adamar deve essere invocato mentalmente ed è
lui, poi, a decidere se si è degni della sua attenzione. Per questo, anche se
il sentimento che lo aveva vinto una volta era legato a Draco Malfoy, era
sicuro che quando Draco l’avesse invocato, l’avrebbe fatto per altro… per
paura, rimorso, codardia, ma mai per amore. E mai, soprattutto, per quel amore
che all’inverso già lo aveva battuto, l’amore per Hermione Granger, una Mezzosangue…”.
Sono passati anni, abbiamo un figlio e,
nonostante tutto, restiamo legati in un modo che difficilmente qualcuno
potrebbe slegare… eppure, ancora adesso, alle parole di Helder che descrive i
pensieri di Adamar sull’impossibilità che io e Draco fossimo innamorati… ancora adesso… impercettibili segni di
assenso e comprensione silenziosa, mi circondano indolenti. Me ne accorgo,
sebbene sia ancora a testa china, con lo sguardo fisso sulle mie ginocchia e
sulla mano che ancora tengo stretta in quella di Dean. E, in questa buffa posa,
in questo gioco delle parti che si allentano ma non muoiono mai, mi sento
ancora imputata e colpevole, condannata innocente al crimine di essermi
innamorata, riamata, di quell’uomo. La mano di Dean nella mia, lui che è
avvocato e vittima della mia stessa colpa, è fredda, ghiacciata, sudata, come
se lui stesso tremasse e fremesse di un processo che sta subendo anche lui.
Sento distintamente la piega viscida della voce di Helder, mentre parla e
descrive quella sensazione assolutamente giustificabile di Adamar, come se
quasi per una volta condividesse il suo operato. Sento lo sbuffo spazientito di
Ron, a cui fa eco il movimento dei piedi di Harry, innervosito, cupo, oscuro.
Distinguo nettamente lo sconcerto imbarazzato di Natalie che, senza necessità
apparente, si china a sistemare qualcosa nel passeggino di Elias. E persino
Ilai e Kevin, che con questa storia hanno ovviamente meno a che fare, sono più
silenziosi di prima, intenti persino a non respirare, come se questo possa
sembrare assenso a quello che è successo.
Poi, feroce ed ostile ma al contempo dolce,
lieve, sottile come un pianto, avverto qualcosa rifrangersi sulle mie spalle,
sui miei occhi bassi, sulla mia fronte… tutto
attorno a me. Come calore, che
sembrerebbe di una fiamma omicida, ma poi diventa solo riparo dall’inverno.
Sollevo gli occhi piano, lentamente, e Draco è ancora lì, nei miei occhi,
l’espressione al contempo spaventata ed astiosa, terrorizzata e spavalda, amara
e delicata. Guarda me e mi uccide negli occhi come fa da stamattina, ma non c’è
più eco di rimprovero o di disgusto per la faccenda di Alex, non è lo sguardo
del padre tradito. Rabbrividisco, la schiena che trasale di pelle d’oca e
brividi fulminei. È uno sguardo odioso, eppure mi fa battere il cuore come mai da
cinque anni a questa parte.
Mi sta rimproverando… perché lo sto lasciando da solo. Perché, a mio
modo anche io, con questi occhi bassi e con quest’aria colpevole, rinnego e
spergiuro i sentimenti che aveva per me.
E quelli che avevo per lui. Rinnego persino Alex, che da quell’amore è
nato, come se fosse incidente ed ostacolo di percorso.
Raddrizzo le spalle, sollevo il mento, lo guardo
con la stessa espressione sua e riprendo a respirare, lasciando gentilmente la
mano di Dean. Li guardo tutti, uno per uno, sfidandoli a proseguire,
minacciandoli in silenzio per il loro giudizio sordo. Perché se adesso siamo
meno di niente, nessuno deve
azzardarsi a pensare che allora non siamo stati tutto.
E non permetterò a nessuno, tantomeno a loro, di
continuare a rimproverarmi per questo… mai più.
Helder si schiarisce la voce, ha un’ombra bizzarra
di sorriso nella voce, poi continua: “Purtroppo per Adamar, però, qualche
giorno dopo la rottura dello Zahir, quando foste imprigionati da Astoria,
dovette scoprire che Draco, invece, era innamorato di Hermione, la
corrispondeva. Certo, Draco ancora non sapeva dell’esistenza di Adamar, non
voleva invocarlo, non aveva il benché minimo istinto in tal senso, quindi la
Solutio damnationis era ancora lontana… ma era Adamar che voleva Draco sin dai
tempi di Voldemort e del suo tradimento. Era attratto dalla sua anima, così
piena di dissidi, lo disturbava, era come un ronzio che si cerca di eliminare
da una stanza perfettamente in silenzio. Con Draco, Adamar fu stranamente
ingordo, tradendo la sua natura ancora mezza umana. Poteva lasciarlo perdere,
poteva rinunciare a lui, ma non sapeva farlo. Lo voleva ugualmente, persino
rischiando la Solutio damnationis. Era così sicuro della sua anima malvagia,
della sua pavidità, della sua indole traditrice che tanto lo avevano irritato
ai tempi di Voldemort, che adesso era convinto che avrebbe sacrificato
facilmente il sentimento per Hermione Granger. Quindi fece in modo che Draco
volesse venire da lui… attraverso i Karkaroff. Erano le sole persone che
controllava, avendo già ottenuto qualcosa da lui, e che erano al contempo
vicine a Draco…”, Helder si interrompe, la sua voce suona più leggera, quasi
casuale, mentre chiede a Draco direttamente: “Ricordi come ti venne in mente di
rifarti al debito che avevi con loro per averli salvati durante la guerra?”.
Draco ci pensa su qualche secondo, poi borbotta
sicuro: “Ero a casa di Pansy… e lessi per caso “La gazzetta del Profeta” dopo
anni… c’era un articolo di Rita Skeeter su Igor
Karkaroff e sulla sua eredità… mi ricordai dei suoi figli allora…”.
Helder annuisce grave, prima di mormorare riflessiva:
“Rita Skeeter, certo… è cieca all’Empatia, me ne sono
resa conto da anni… ha avuto qualcosa da Adamar, chissà cosa…”, non avevo il
minimo dubbio che quella avesse qualcosa di marcio
dentro, adesso ne ho la conferma “Adamar deve averlo reputato il modo più
veloce per arrivare a te, istillandoti l’idea di poter chiamare Raissa e
Dimitri. Lui agisce così, è subdolo, bieco, abietto… e può contare, come
immaginate e come vi ho detto, su persone che manovra facilmente,
condizionandone la mente e il cuore come faceva da Empatico. Comunque Draco
contatta i Karkaroff. Adamar suggerisce a Dimitri di indurre in Draco l’idea di
sottoporsi ad una prova del demone per ottenere più potere per salvare
Hermione. Adamar sottopone Draco ad una prova semplice nei suoi standards… un biglietto di andata e ritorno per il
regno dei morti… ed è sinceramente convinto che Draco, il traditore, la
supererà…”.
“Se quella era una prova semplice…” mormora Harry, improvvisamente partecipe e rimarcando la
parola “semplice”, senza che però Draco dia segno di averlo perlomeno sentito.
“Il grande difetto di Adamar, ormai, è proprio
l’empatia…” prosegue Helder, cercando di spiegarsi “E non intendo il potere che
ho io… ma proprio la capacità di avvertire il dolore delle persone. Lui, ormai,
ragiona solo nel termine di ordine e disordine, ciò che fa troppo rumore va
eliminato. E siccome di Draco aveva fatto sempre più chiasso il suo lato
negativo, era certo che la prova l’avrebbe superata alla grande, sordo al
rimorso e cieco al dolore. Era convinto che lui avrebbe ricacciato indietro
facilmente la gente morta, convinto che la loro morte non era stata colpa sua,
ma che era stata o necessaria alla sua sopravvivenza, oppure conseguenza del
tradimento che aveva primariamente subito. Ma aveva decisamente considerato Draco
peggiore di quanto in realtà sia, così come aveva fatto quando era stato
convinto che non corrispondesse Hermione. La prova lo dilaniò, specie
l’incontro con i suoi genitori, per cui Draco sembrava non aver mai provato
rimorso…”, con la coda dell’occhio vedo Draco muoversi a disagio, distogliere
lo sguardo e fissarlo lontano, come ipnotizzato da un albero di magnolia. Solo
il respiro, veloce ed inquieto, mi fa capire che non è semplicemente distratto,
ma in realtà è profondamente colpito dalle parole di Helder, come quando
ripensa ai suoi genitori o ad Helena. Colpiti, in modo diverso, sono anche gli
altri, come se, ad eccezione di Blaise che, a dire la verità, avevo
completamente rimosso per quanto sembri perso nei fatti suoi, tutti avessero
sempre pensato che lui fosse il perfido e bieco doppiogiochista senza rimorsi,
che Adamar voleva per sé.
Lieta che dopo cinque anni, ci stiano arrivando finalmente.
“Adamar sapeva che cosa sarebbe successo a quel
punto: se Draco si fosse ritirato dalla prova, considerando a quel punto
l’amore per Hermione e i suoi ricordi più importanti della brama di potere, lo
avrebbe battuto. Il sentimento che lo aveva vinto una volta lo avrebbe
sconfitto di nuovo. Si sarebbe acceso il Segno di fuoco ed avrebbe dovuto
concedere la Solutio damnationis, dato che gli Empatici avrebbero ricordato
tutto. Quindi, contravvenendo alle regole, non ascoltò Draco quando urlò di
volersi ritirare… penso che anche tu, Draco, ti sia accorto che stava
contravvenendo al suo codice e sembrava intenzionato più ad ucciderti che ad
altro. Adamar non ne voleva ovviamente fare di Draco la causa della sua rovina.
Però non aveva fatto i conti con i Custodi dell’ordine, che quelle regole le
avevano scritte. Mandarono Helena Greengrass a salvarlo… intromettendosi nella
prova come punizione per Adamar. Difatti, interrompendola, Adamar fu sconfitto
per la seconda volta.
“Il Segno di fuoco si accese al ritorno di Draco
dallo scontro con Adamar, gli Empatici provavano addosso l’amore che vi univa.
Ancora per l’ennesima volta, Adamar trovò facilmente riparo a quella che ormai
doveva essere una sorte segnata. Si accorse che le memorie tornavano
lentamente, gravate dagli anni trascorsi, e capì di avere ancora tempo prima
che gli Empatici si risvegliassero. Ed era certo che Draco Malfoy ed Hermione
Granger si sarebbero distrutti e bruciati da soli, facendo spegnere il Segno di
fuoco prima che la memoria fosse completamente tornata. Esso si alimenta dal
sentimento che lo crea… quindi, se si fossero separati, il Segno si sarebbe
spento e gli Empatici avrebbero avuto per le mani mozzicati cenni di memoria,
insufficienti a ricostruire tutto. Dalla sua parte aveva peraltro Raissa e Dimitri,
poteva sfruttarli ancora come armi: incendiò l’animo del secondo
dell’ossessione che già provava per Hermione Granger, così che potesse
appellarsi al Voto Infrangibile con sua sorella. E… riuscì ad ottenere anche
Astoria Greengrass…”.
“Astoria?” chiedo sconcertata, stringendo le
braccia al petto “Anche lei… ottenne qualcosa da Adamar? E come fate a
saperlo?”.
“Dal suo corpo…” biascica velocemente Helder,
rabbrividendo “Restano delle tracce della possessione di Adamar… impercettibili
se è durata poco, ma in lei anche questi segni infinitesimali c’erano. Penso
che Dimitri, sempre sobillato da Adamar, al momento di allearsi con lei, le
impose questa condizione… aveva bisogno di serrare i ranghi. Adamar aveva il
controllo su Raissa e Dimitri, ma con una terza persona sarebbe andato sul
sicuro. Probabilmente, considerando le sue reazioni successive, penso che abbia
impegnato l’amore che aveva per Draco… in cambio del desiderio impossibile di
avere un figlio da lui… che ottenne quando catturarono Hermione, già incinta di
Alex…”.
Non vi ha mai ignorato… adesso capisco
appieno che cosa vuol dire. Ho paura di chiedere altro, mi accorgo che, senza rendermene
conto, mi sono aggrappata al bordo della panca, mentre le mie unghie scrostano
la vernice secca. Ho paura di chiedere se ha fatto sì che io restassi incinta
proprio allora, così Astoria potesse avere mio figlio. Ed ho paura di chiedere
quanto del destino del mio bambino si sia intrecciato per questo a quello di
questo demone. Non voglio chiedere niente.
Ma Alex, adesso, non è solamente mio figlio. E’
figlio di Draco, che, in silenzio e senza risposte, non sa restare.
Masticando amaro, mormora: “E’ stato per Adamar…
che lei è rimasta incinta proprio in quel momento?”.
“Probabilmente sì…” sussurra Helder e il mio
cuore sprofonda così in basso nella gabbia toracica, da darmi l’impressione di
diventare un pantano umido e soffocante “… ma, in fondo, a voi cambia qualcosa?
Alex sarebbe nato in un altro momento se lui non fosse intervenuto… ma se era
destino che nascesse, sarebbe nato. Basta… non interrogatevi oltre, Alex è nato
dal vostro sangue, da voi e basta… per il bene che volete a vostro figlio… è
importante che, in quel momento, Adamar abbia fatto sì che nascesse prima?”.
Sì che è importante… lo pensiamo sia
io che Draco, quando restiamo in silenzio e non rispondiamo ad Helder. È
importante perché significa che potere ha sulle vite delle persone. È
importante perché significa che non è stato un caso che mio figlio sia stato
messo in pericolo, dalla prigionia di Dimitri. È importante perché è il motivo
per cui Draco non ha potuto conoscere e crescere suo figlio.
È importante perché mi dimostra fino a che punto
davvero non ci ha mai ignorato.
È importante perché mi dimostra quanto
probabilmente non ci ignorerà mai.
Mio figlio sarebbe nato ugualmente, certo, e
lui, dentro, non ha nulla del destino manovrato che l’ha fatto venire al mondo
per assecondare al desiderio di una donna sterile e affamata di potere. Tutto
questo è vero… ma questo pensiero è ugualmente insopportabile. Paradossalmente,
è la cosa che maggiormente non riesco a sopportare al momento.
Al punto che, per la prima volta da quando Helder ha iniziato a parlare
prendo davvero in considerazione la Solutio damnationis.
“Separando Draco ed Hermione, anche fisicamente,
il Segno di Fuoco si spense…” prosegue Helder dopo un po’ “In entrambi c’era
qualcosa di più forte dell’amore reciproco: in Draco era il dolore della
separazione; in Hermione il terrore per suo figlio. A quel punto, Adamar lasciò
fare ai Karkaroff, senza condizionarli ancora. Del resto, avevano la Conoscenza
assoluta, potevano agire benissimo per conto loro, come ha fatto Dimitri quando
ha scoperto che ero con Hermione, ingannandoci per simulare la sua morte con la
Titanca. E credo che, anche adesso, li stia lasciando liberi di agire, perché è
certo che il sentimento sia stato distrutto, come peraltro credo che abbia
pensato quando vi ha visto assieme, stamattina, attraverso gli occhi di Raissa
e Dimitri… ed ha scoperto che Hermione non ha mai detto a Draco di Alex…”, un
fastidioso groppo in gola mi spinge a muovermi sulla panca, come se fossi punta
da una zanzara. Draco chiude i pugni, si rinnova l’astio nei suoi occhi. Helder
segue quelle manovre e, misericordiosa, sussurra le parole successive solo nel
mio cervello, così che almeno mi sia risparmiata la vergogna dei miei amici che
mi fissano curiosi, soprattutto Ron.
Come si è accorto, attraverso gli occhi di Raissa, che tu ti stai legando
anche ad un’altra persona, ad Ilai Radcenko…
annuisco, guardandola e ringraziandola silente. Dalla reazione di Draco,
capisco che anche lui ha ascoltato: sbuffa impaziente, guardandosi attorno.
Helder continua a parlare nella mia e nella sua testa, rivolgendosi stavolta a
lui: “Come, peraltro, ha sempre saputo,
del legame che tu avevi con Raissa…”. Mi viene fuori un sorriso sarcastico
e soddisfatto a guardare l’espressione colpita ed irritata di Draco, ecco almeno mettiamo le cose in chiaro,
siamo entrambi responsabili allo stesso identico modo. Helder, a quel
punto, riprende a parlare con la sua voce, rivolgendosi a tutti: “Adamar è
certo e sicuro di aver fatto tutto per dividere Draco ed Hermione attraverso i
Karkaroff, ed è certo e sicuro che, quindi, il Segno di Fuoco non possa
riaccendersi e completarsi. Peccato per lui che esso si sia acceso ieri
mattina, risvegliando le memorie empatiche che erano state messe già in moto
lento, cinque anni fa. Come e perché si sia riacceso, lo sapete solamente voi…”.
Vorrei che avesse detto anche questo solo nella mia testa… mi ritrovo, prima di potermi fermare, ad arrossire e a distogliere lo
sguardo, cercando di rifuggire gli occhi che mi inseguono. Certo, sapere nella
mia testa che posso essere ancora ed in parte innamorata di Draco, è una cosa.
Sapere che questo ha creato questa reazione ancestrale, visibile in modo netto
nella febbre e nella connessione aperta con gli Empatici... è un altro paio di
maniche. È qualcosa di meno negabile, meno trascurabile, meno liquidabile con
retaggi di memoria persa e morta. Non posso dirmi, solidale con me stessa, che
è normale che io provi ancora qualcosa per il padre di mio figlio, e non posso
enumerare sarcastica i momenti in cui posso essermene resa compiutamente conto…
la febbre è salita subito dopo la nostra conversazione su quello che era
successo cinque anni fa… che non si è conclusa in modo idilliaco. Ma la rabbia e il dolore non erano
sufficienti a farmi dire che non ero, dentro, in fondo, contenta che fosse lì
con me, che non ero ancora arsa dal desiderio che mi baciasse, che non ho
ricambiato il suo abbraccio, che non mi macinavo dalla gelosia per lui e
Raissa.
È chiaro che sono ancora innamorata di lui. E’ ovvio che lo sarò sempre.
Però è ben diverso sapere questo in questa
forma. Perché ero innamorata di lui, forse anche di più di adesso, anche cinque
anni fa, quando ero prigioniera di Dimitri. Ma il Segno si era spento, era più
importante la paura per Alex, che Draco. Adesso… di nuovo, l’amore per lui è diventato più importante… dentro quella
conversazione, in cui mi sono persino dimenticata che ero la mamma di Alex,
sono tornata la donna ferita ed innamorata di quest’uomo che mi ha spezzato il
cuore. Ovvio che il Segno si sia riacceso… e ciò mi rende egoista verso mio
figlio ed insensibile verso Ilai e Ron.
Respiro forte, lentamente e profondamente, e
così mi calmo senza premeditarlo. Perché, d’accordo… sarà anche idiota… ma se
lo amo ancora, forse posso uscirne viva da questa storia. E farci uscire vivo
anche mio figlio… e Draco stesso. E poi…
un angolo della mia bocca si piega all’insù, mentre ci penso… forse, nonostante tutto, se il Segno di
Fuoco si è acceso… forse… mi ami ancora anche tu. Forse… non l’ho fatto
riaccendere solo io. Forse… sei stato anche tu.
Mi volto piano, quando sono certa di essere
padrona di me stessa e delle mie reazioni, preferendo non guardare in viso
Draco. Se ci leggessi indifferenza, sarebbe il colpo di grazia, ricaccerei
indietro tutto ciò che di buono ho ancora dentro per lui. Se ci leggessi
imbarazzo, probabilmente lo fraintenderei. Se ci leggessi tenerezza, allora mi
svestirei di orgoglio e forza che adesso mi servono ancora.
“Sapete solamente voi se il male che vi siete
fatti, sia più forte di quel germe d’amore che è ancora sopravvissuto e che ha
fatto sì che il Segno di Fuoco si riattivasse…” Helder lo sussurra quasi in
silenzio, come se avesse paura di disturbare “Ed è su quel germe che dobbiamo
fare affidamento per salvare Alex… perché solo questo, se invocate la Solutio
damnationis, potrà aiutarvi durante la prova con Adamar, è ciò che lui metterà
alla prova, è ciò che cercherà di distruggere… che lui non sappia al momento
che il Fuoco si è riacceso, che gli Empatici sanno tutto e che invocherete la
Solutio damnationis, cambia poco. Fa solo sì che possiamo sfruttare l’effetto
sorpresa, impedire che ancora infranga le regole, magari premendo su Raissa e
Dimitri affinché uccidano vostro figlio, così da farvi lacerare nella rabbia e
nell’odio reciproci…”, e lo farebbe sul
serio… come l’ha fatto nascere, così lo farebbe morire… “Ma quando la prova
inizierà, sarete in sua balia. Completa. Significherà affidare tutto di voi
stessi ad un demone che non vuole assolutamente che vinciate. Significherà
correre lo stesso rischio che hanno corso Angelique e Francois Dubois…”.
“Se è un rischio tale…” chiede Kevin incerto,
come se tentennasse nel parlare di cose che non capisce appieno e fosse
timoroso di fare qualche errore “… perché loro dovrebbero correrlo, Helder?”.
Lei lo guarda senza appunto comprendere di che cosa parli, ed aggrotta la
fronte in modo incerto, ma Natalie afferra il filo dei pensieri di Kevin, che
tace e riordina il suo ragionamento, mentre la ragazza spiega le sue
rimostranze: “Quello che Kevin, credo, voglia dire è… se già duecento anni fa,
la Solutio damnationis è stata provata e fallita da due fratelli Empatici, per
giunta… che speranze hanno loro due di vincere? Non sarebbe meglio… trovare un
altro modo…?”.
“Infatti…” commenta ferocemente Ron, guardando
Draco in cagnesco “Sono incerti su quello che provano, non si parlano neppure…
e devono rischiare la vita di Alex per questo? Per qualcosa che non sanno
nemmeno loro, se esiste ancora? Scommetto che se li chiediamo se si amano
ancora, manco sanno che rispondere…”.
Colpita nel vivo, sto per aprire bocca e
replicare caustica, ma Draco mi precede tagliente: “Weasley, credimi… te lo
dico spassionatamente. Lei in ogni
caso, non ci torna con te a fare la mogliettina frustrata… insomma, non sarà il
caso di rassegnarti un pochino?”.
“E’ ad Alex che penso, razza di bastardo!”
inveisce Ron, alzandosi in piedi ed afferrando rosso in viso Draco per il
colletto della camicia. E diciamo addio,
alla conciliazione e alla pace universale. Dean ed Harry si alzano
immediatamente per cercare di dividerli, cosa che diventa problematica quando
Draco, per nulla intimidito, soffia freddo: “Posso avere anche perso ogni
diritto su quella donna… su quella che era la tua di donna, se non l’avessi tradita con la Brown… ma non ho perso
alcun diritto su quello che è ancora e sarà sempre mio figlio… e non tuo. Spiacente che cinque anni di pausa siciliana
dalla vita ti abbiano reso certo del contrario…”.
“Per cinque anni è stato mio figlio! E tu lo sei da cinque minuti, e già parli di metterlo
in pericolo! Perché non ti suicidi, così Adamar si tranquillizza che non potete
nemmeno provare questa Solutio qualche cosa?!”.
“Ron! Smettila!” urlo a mia volta, alzandomi in
piedi, a cui fa eco la voce di Natalie che cerca di far calmare senza successo
Ron. Continuano a vomitarsi insulti l’uno sull’altro, con la ferocia rabbiosa
di due che hanno solo visto accrescersi negli anni i motivi per cui odiarsi.
Quando ormai sono sicura che, all’ultimo sibilo velenoso di Draco, Ron
risponderà con un pugno in faccia, finalmente la sola in grado di intervenire,
si decide a farlo. Helder ripete la stessa identica scena di stamattina,
inducendo la calma ad entrambi, e di nuovo mi fa così spavento che ringrazio
che stavolta non ne sono vittima io.
“E con questo, fanno due volte in una giornata,
che non rispetto la legge Empatica…” mormora acida, sistemandosi il mantello,
quando Ron e Draco finalmente sembrano normali, solo sbuffanti “Alla terza
volta, a chiunque mi costringa daccapo indurrò un sanissimo e corroborante istinto alla mutilazione genitale…”. La
minaccia sembra aver il risultato sperato, specie negli uomini naturalmente, e
finalmente tutti restano in silenzio, meditabondi. L’eco della domanda di Kevin
e Natalie sull’esistenza di un altro modo per salvare Alex torna agli occhi di
Helder che, più calma, riprende: “Se esistesse un altro modo, non sarebbe stata
mia premura farli conoscere questo… che è rischioso per loro, e per tutti noi. Nulla
varrebbe tanto… e sebbene gli altri Empatici premano perché loro adempiano a
questo destino, in cui, loro malgrado, si sono trovati coinvolti… questo non è quello che penso io. Ho pensato
ad ogni possibile altra soluzione… a tutte, sul serio. E tutte si concludevano
in un vicolo cieco. Raissa e Dimitri hanno la Conoscenza assoluta, quindi
conoscono formule ed incantesimi che io nemmeno posso pensare di immaginare… e
conoscono ogni contromisura. Hanno la pecca della Conoscenza Empatica che è
orale, d’accordo… ma non c’è nulla che possa piegarli definitivamente, o darci
un vantaggio per liberare Alex. La collana di Tatia… è potente, è intrisa di
magia bianca, ma è instabile, come vi ha spiegato Dean, forse persino insufficiente
a sciogliere l’assimilazione di Alex. Senza
contare che poi è un vantaggio trascurabile… abbiamo un solo desiderio. Tolto
quello, se sbagliassimo o fosse manchevole il suo potere, il potere del
ciondolo si esaurirebbe… inoltre, come credo che vi abbia già fatto capire…
ammesso e non concesso che riuscissimo a trovare un modo per liberare Alex, che
al momento non so immaginare… non elimineremmo il problema alla radice. I
Karkaroff ci hanno già dimostrato che fuggire non serva a nulla… ci hanno messo
cinque anni, ma sono tornati ed in una posizione di vantaggio… potreste vivere sempre
con questo pensiero, ammesso e non concesso di liberare Alex? Potreste vivere
con la paura che possano trovare voi e vostro figlio in qualsiasi momento?”,
Helder fa una pausa sofferta, lunga, straziata, mentre quella domanda si
ripercuote nella mia testa che insegue una risposta “… ma soprattutto per forza
di cose… qui, non si tratta dei Karkaroff, potenti quanto lo si vogliano, ma
umani, nonostante tutto… possiamo arrivare ad ingannarli, colpirli, ferirli, ucciderli.
Potremmo metterci anche anni, ma forse… e dico forse ce la potremmo persino fare. Ma qui non sono loro il
problema… ma Adamar. Mettiamo anche che assecondiate le richieste folli dei
Karkaroff, pensiamo anche alla soluzione masochista di Hermione che si consegna
a Dimitri, uccide Ilai Radcenko e libera Alex… pensiamo anche di fare una cosa
del genere per prendere tempo, sebbene credo che per tutti sia una soluzione
francamente assurda e nemmeno concepibile… come andrebbe a finire? Per tutta la
vostra vita, finché Adamar esiste e sa che potreste invocare la Solutio
damnationis, sarete sotto il suo controllo. Un controllo continuo, perenne… vi
ha già dimostrato che può farlo. E lo farebbe anche senza i Karkaroff, ammesso
che riuscissimo a farli fuori. E da lui non si scappa invece, ha troppi
strumenti di controllo, troppo potere, troppa gente che condiziona… e noi
Empatici non possiamo proteggervi. Basterebbe che Hermione ripensi a Draco,
basterebbe che Draco ripensi a lei, basterebbe che Adamar percepisse un seme di
quell’amore che può sconfiggerlo, basterebbe che cominci a temere per sé stesso
e per il suo potere… per uccidere voi e vostro figlio, prima che abbiate il
tempo di invocare la Solutio damnationis. Sarebbe… facile. Ad Adamar non piace condizionare le persone, evita di
farlo… e non per scrupolo morale come gli Empatici… ma perché gli fa schifo,
odia mescolarsi alle pulsioni umane. Ma
in una situazione d’emergenza… credete che non lo farebbe? Credete che non
comanderebbe Dimitri di uccidere Hermione, sebbene lui nel suo modo malato la
ami pure? Credete che non condizionerebbe Raissa a credere che Alex sia
qualcosa di insopportabile, persino da lasciare vivo? E credete che non possa
spingere una persona qualunque, magari un ladro, un rapinatore, un omicida che
ha ottenuto qualcosa da lui… ad
uccidervi entrambi, solo perché passava vicino a voi?”.
Vicolo cieco: si può esprimere in un altro modo questa
sensazione? Il cuore in gola, il sudore freddo, le palpitazioni e il
soffocamento, come se mi stringessero la gola con un paio di mani ghiacciate ed
incredibilmente forti. Non sono mai stata immune alla paura in questi anni e ho
sempre saputo che cosa sia combatterla e vincerla, in virtù di un coraggio
carminio e dorato che un cappello sdrucito, anni fa, scelse per me. Ho
affrontato maghi oscuri tra i peggiori, ho battuto Mangiamorte dei più
temibili, ho incontrato criminali efferati, provando il piacere sottile di
infilarmi io stessa in situazioni che mettessero a dura prova la mia
intelligenza e la mia forza: spesso la morte ha soffiato su di me, beffarda,
gelida, ma sempre restando sufficientemente lontana per non ghermirmi.
Voldemort, gli Horcrux, la maledizione della Luna nuova… sono stati un incubo.
Mi sono trascinata fuori dalla guerra, con la consapevolezza di avercela fatta
forse solo per fortuna, piuttosto che per vera abilità.
Però… avevo davanti sempre qualcuno da
considerare il nemico, e nessuno, dietro di me, di cui essere scudo a costo
della vita.
Adesso, invece, è tutto diverso: tutto deve essere
setacciato dall’amore per mio figlio. Devo pensare a proteggere lui, a
salvarlo. Anche quando dovessi cadere io stessa… deve essere il mio cadavere ad
impedire che si faccia male. Ma soprattutto questa volta… non ho un nemico vero
e proprio davanti. Ho un mostro a milioni di teste, che può raggiungermi in
ogni modo, in ogni momento, con qualsiasi persona che mi scivoli accanto. E,
netto eppure terrorizzante, comprendo che non c’è soluzione alcuna che mi
preservi viva, che questa è una condanna a morte di cui posso scegliere solo il
modo.
Ed il modo, per una come me, sarà sempre la Solutio
damnationis. Inutile che pensi a scorciatoie o che insista per fuggire, o che
mi incaponisca sul consegnarmi, o che ordisca inganni.
Ogni piano avrebbe un buco, un’incognita, una
variabile pazza… che può uccidere Alex. La Solutio damnationis, nonostante tutto,
sebbene metta me e Draco a rischio, dà maggiori garanzie che lui resti vivo.
Specie se riesco a strappare agli Empatici… che
proteggano mio figlio, anche se dovessi fallire.
Chiudo gli occhi e respiro piano, a fondo,
cercando di restare lucida. È questa… la sola strada.
Vicolo cieco.
Perché mi lascia un’impercettibile traccia di
speranza, sufficiente a non farmi impazzire. Perché può salvare altre vite.
Perché può rendere libero mio figlio, anche se non sia più con me.
… e perché, se dovesse andare tutto bene… saremo
davvero liberi e per sempre. Mi ridaranno potere sulla mia vita. Niente più
spiriti che mi manovrano, niente demoni che decidono quando devo restare
incinta, niente sogni premonitori, niente fughe ed esili dalla mia vita, niente
falsi nomi e matrimoni fasulli.
Mi riprenderò tutto… e ci fosse anche solo una
possibilità su un miliardo di riuscirci… ci proverei sempre.
Sollevo il viso, già sapendo che cosa
risponderò, già sapendo che cosa sto per dire, ma avendo a mente che, qui,
adesso, non è soltanto una scelta mia. E’ anche sua, è anche di Draco.
La mia condanna a morte, se sarà la Solutio damnationis, vorrà dire…
morire assieme a te.
Ed in un modo stupido, sciocco, insensato e maledettamente idiota… è
forse l’unico modo in cui accetterei di morire.
Draco ha un’espressione che sembra fredda,
distaccata, lontana anni luce: non ha nulla del mio viso arrossato, dei miei
occhi accesi, delle mie spalle tremanti. Non ha niente che presagisca che abbia
ascoltato qualcosa fino ad ora, sembra solo annoiato e stanco. Ed è così che
appare a tutti, anche ad Helder, che quasi lo interroga impaziente con gli
occhi, arsa dalla voglia di sapere che cosa abbia in mente. Quando parla, un
debole singulto si insinua nella sua voce, rendendola tremula come il fuoco che
si spegne agitato dal vento. E, allora, fulmineo, so che cosa ha deciso, so che
cosa ha pensato.
So che una Grifondoro abbraccia il coraggio ed
un Serpeverde sceglie la furbizia… ma se
amano, se sono genitori… sei di fronte ad una spiccia proprietà commutativa.
Cambiano i fattori… ma il risultato non cambia.
Avrà più paura di me, più ansia di uscirne vivo. Sarà più prudente, più
sottile di me.
… ma la risposta è sempre quella.
Se la Solutio damnationis salverà nostro figlio… è la sola strada
possibile.
Draco parla con la solita voce tagliente e
sarcastica, sembra persino irriverente e scherzoso, ma, dentro, nella voce,
scivola un’onda amara di rammarico e rimorso che le mie orecchie non possono
ignorare e che mi fanno battere il cuore forte ed inumidire gli occhi.
“Allora, Empatica… mettiamo che io sia così
voglioso di darmi alla Sindrome da Prescelto stile Potter…” mormora atono,
gettando uno sguardo obliquo ad Harry che risponde con un’occhiataccia
“Ammetterai anche che dopo il tuo cianciare da Cassandra profetessa di
sventure, non siamo proprio così entusiasti di gettarci in un piano suicida,
senza alcuna rassicurazione di successo e di previsione dei rischi… e se su di me
e la Granger… che scommetto già entrata nell’assetto eroina…”, lo fulmino con lo sguardo, perfettamente ignorata, mentre
Draco prosegue nervoso, trattenendosi dall’urlare di frustrazione: “… ci può
anche stare che rassicurazioni non ne esistano, visto che dovremmo fare gli
agnelli sacrificali di questo fottuto demone e del tuo clan di acrobati emotivi… credi che questo sia
sufficiente a farmi scegliere di adempiere al tuo piano da fantasy di quinta
categoria?!”.
“Malfoy, la connessione con il tuo cervello
putrefatto si è chiusa, ergo non posso più leggere i tuoi contorti pensieri…
potresti essere lievemente più chiaro?”.
“Quello che lui vuole dire… con il suo parlare
da primate…” lo prevengo io, con voce chiara e guardando Draco con tracce di
rimprovero che lui ovviamente respinge al mittente, scrollando le spalle con
noncuranza “… è che abbiamo bisogno di garanzie…”.
“Garanzie?” Helder continua a non capire di che
assicurazioni abbiamo bisogno, se quelle riguardo a noi non ci possono essere
date. Lo sguardo, invece, di Harry è evidentemente colmo di comprensione, così
come quello di Natalie e quello di Ron. I primi due sono genitori, l’ultimo sa
esattamente che cosa significa esserlo.
Tutti e tre sanno a che cosa sto alludendo. Se non ce la facciamo… se, come probabile,
ci lasciamo le penne… Alex che fine fa?
“Sì, sto parlando proprio di garanzie, Helder…”
commento con decisione, la voce ferma “Non farò nulla, di alcun tipo, non
voglio nemmeno iniziare concretamente a pensarci… se non avrò delle certezze…
riguardo ad Alex e a Serenity. Voglio delle garanzie per i nostri figli…”. Helder finalmente comprende e tace, meditando sulla
risposta che deve darmi.
La guardo in attesa e, senza volerlo, i miei
occhi si spostano su Draco, quasi a cercare l’assenso a quello che lui voleva
dire poco fa e che, sono certa, dovrei aver interpretato al meglio. Quando mi
rendo conto che la sua espressione è cambiata in modo impercettibile ma
innegabile, mi rendo conto di che cosa ho detto. I nostri figli. Sgrano gli occhi meravigliata e mi stringo nelle
spalle, mentre lo sguardo di Draco non mi lascia in pace. È la cosa più simile
a quello che eravamo cinque anni fa, rispetto ad ogni sguardo che è intercorso
tra noi da quando sono qui. Non c’è rabbia, non c’è ironia, non c’è dolore e
non c’è nemmeno odio risentito. È lieve, leggero, sfumato di una morbidezza
calda che mi fa sentire il respiro più facile. E mi fa persino pensare che ce
la possiamo fare, adesso, ad uscirne fuori, mi fa persino pensare che, dentro,
in fondo ci amiamo ancora e ci ameremo sempre. Draco piega la testa di lato,
gli sfugge un sorriso sottile mentre scrolla il capo ed ancora mi guarda, ed è
quasi uno sbuffo incredulo e stupito, meravigliato e attonito. Sorrido a mia
volta, piano, timorosa, vergognandomi di come questo sorriso mi nasca incerto e
di come mi nasca comunque, nonostante tutto.
Perché è incredibile che tu, adesso, ancora possa dubitare che consideri
entrambi figli miei. Figli nostri.
Quello che ho messo nelle mie parole, e che a
tutti è sfuggito, lui l’ha sentito perfettamente. Gli altri hanno semplicemente
pensato che io parlassi di mio figlio
e di sua figlia, e li unissi sotto
l’aggettivo nostri.
Lui sa, l’ha letto nel mio imbarazzo schietto e
nella mia consapevolezza istantanea, che io volevo invece dire mio e suo figlio, e mia e sua figlia.
In cinque anni, è la sola cosa che per me non è
mai cambiata.
“Se dobbiamo arrivare a parlare di questo…”
riprende Helder con energia, stiracchiandosi “Vuol dire anche che dobbiamo
arrivare alla parte operativa della Solutio damnationis… a quello, cioè, che
concretamente dovete fare voi… e noi tutti…”.
“Ecco, così magari mi passa il complesso del - non prescelto -… ed inizio ad avere
un’utilità…” biascica Dean acido, incrociando meccanicamente le braccia.
“Mettiti in fila, Dean… io ce l’ho da Hogwarts,
questo complesso…” risponde Ron, scoccando un’occhiata ad Harry che sbuffa,
facendomi sorridere.
“… e comunque, tanto per chiarire…” riprende
Dean, con espressione fintamente offesa e canzonatoria, guardando sia me che
Draco “Non ho capito ancora di che garanzie abbiate bisogno…”, quando sto per
ripetere nervosa ed esasperata che cosa voglio dire, e ciò che cosa dannazione
succede ad Alex e Serenity se noi crepiamo nella Solutio damnationis, lui mi
interrompe e dice stoico: “Nella malaugurata ipotesi che tutto vada male…
pensate che lasceremo Serenity in mezzo ad una strada? Oppure lasceremo Alex
prigioniero dei Karkaroff?”. Lo ripete con una voce talmente sicura e calma da
non indurmi la benché minima rimostranza, anzi mi fa sentire quasi in colpa per
aver fatto una domanda simile. Il suo tono è così convincente che nemmeno Draco
replica nulla, nemmeno quando Dean prosegue: “Io e Pansy… siamo gli unici, qui,
ad essere regolarmente sposati e a non avere una masnada di figli come Harry… se dovesse succedervi qualcosa, se non
doveste tornare… e se a voi va bene, ad entrambi intendo… ci prenderemmo noi
cura di Alex e Serenity… li cresceremmo come figli nostri…”.
È un attimo così forte, così potente che, senza
nemmeno rendermene conto, mi ritrovo ad asciugarmi di nascosto le lacrime dagli
occhi, annuendo con vergogna. Ripenso alle riflessioni di ieri mattina, di come
avessi notato la differenza tra i nostri figli e Charisma, di come avessi
invidiato il modo leggero e spensierato in cui lei è stata cresciuta.
Non ci sarebbe soluzione migliore, se Alex
dovesse restare solo.
Dean è un ottimo padre: è comprensivo, paziente,
giocherellone. Renderebbe la mia perdita più tollerabile per mio figlio. E
Pansy è sufficientemente aspra e sarcastica, da pungolarlo pur di farlo
reagire. Avrebbe Charisma vicino, che vede già come una sorella, e ciò lo
spingerebbe ad accettare meglio anche Serenity. Inoltre, alla nostra morte,
loro dovrebbero essere al sicuro. Adamar, ormai, non dovrebbe avere nessun
interesse a perseguitare Alex e la sua nuova famiglia. Non sono pensieri
piacevoli, non lo sono affatto, specie perché si accompagnano all’ansia e
all’angoscia che potrei morire senza aver rivisto e senza aver di nuovo parlato
con il mio bambino. È questo che mi fa sentire maggiormente condannata, è
questo che d’improvviso mi provoca un’angoscia tale che vorrei solamente
scappare e correre via, codarda ma salva. Il
pensiero di non poterlo vedere crescere, innamorarsi e vivere la sua vita…
andarmene, senza nemmeno provare ad immaginare che cosa diventeranno il suo
viso, i suoi occhi, i suoi gesti, quando non sarà più così piccolo. Forse,
potrei non esserci quando andrà a scuola per la prima volta. Forse, potrei non
esserci quando insisterà per andare a studiare con un’amichetta. Forse, potrei
non esserci quando andrà ad Hogwarts. Forse, potrei non esserci quando si farà
la barba per la prima volta, o quando vorrà imparare a farsi da solo il nodo
della cravatta, o quando non capirà un compito di Pozioni e si lambiccherà il
cervello per venirne a capo. Senza di me, senza me. E senza neanche Draco. E
lui… neanche lo conosce suo figlio.
È quel pensiero che mi sospinge coraggio nei
polmoni.
Draco.
Ricordarmi che non conosce suo figlio per colpa
di Adamar e dei Karkaroff. Ricordarmi che, nonostante tutto, voglio
disperatamente che questa catena di sudditanza a forze più grandi di me, di
noi, si interrompa adesso, fosse anche con la mia morte. Ricordarmi che io,
prima di morire, ho dei ricordi di Alex e persino di Serenity da portarmi
appresso. Lui, di nostro figlio, non ha nulla. Eppure è lì, fermo, saldo, con
solo una patina negli occhi, ad affrontare questa cosa assieme a me. A me che,
comunque la si metta, gli ho fatto così male. Ricambiata, certo.
Ma sempre più fortunata di lui, sempre.
Annuisco finalmente a Dean, senza dire altro. Era
una speranza che non avrei nemmeno osato concepire, ma sono così grata loro
che, adesso, con questo pensiero mi sento persino più spinta ad affrontare la
Solutio damnationis. Al cenno di assenso silente di Draco, che, senza eccessive
parole, dà anche lui il suo consenso, ci accordiamo in modo rapido e fulmineo
sulla possibilità di firmare dei documenti per la loro custodia, prima di
affrontare Adamar. Harry dice che garantirà lui, naturalmente, impegnandosi al
contempo per far sì che i Greengrass continuino a non sapere nulla di Serenity
stessa, cosa che viene accolta da Draco con sollievo malcelato. Nessuno,
neanche Ron, ha da dire nulla sulla soluzione, Kevin promette che, in quel
caso, lui e Seth daranno una mano a Pansy e Dean. L’unico che sembra
contrariato, è Zabini che, come ho precisato, non è stato molto collaborativo
fino ad ora. Se n’è rimasto seduto sui gradini del gazebo, dandoci volutamente
le spalle. Solo quando sente questa questione, volta lievemente il capo,
incrociando lo sguardo duro di agata di Dean. Ma, comprendo subito, i miei
figli non c’entrano niente. E’ facile capire che cosa lo abbia fatto reagire.
L’allusione a Pansy e Dean, al loro matrimonio. Non lo accetterà mai.
“Mi pare ovvio che, durante la Solutio
damnationis, Serenity sarà fuori da ogni pericolo…” riprende Helder, la voce
più incrinata rispetto a prima “Probabilmente sarà il caso che restino con lei
Pansy e Seth, se siete d’accordo… nel suo attuale stato, Pansy è meglio che
stia del tutto fuori dalla vicenda. Non voglio che si prenda dei rischi insensati
a carico della bambina che porta in grembo…”, Dean annuisce grato con un lieve
sorriso ed ancora una volta Blaise si irrigidisce, ma stavolta non si volta,
restando ostinatamente di spalle “E riguardo a Seth, insomma, ammetterete che è
la soluzione migliore per intrattenere i bambini…”. Stavolta è Kevin ad annuire
con un sorriso, gli occhi blu colmi di luce.
“… per quanto riguarda Alex… probabilmente, se
voi…”, Helder esita e lascia in sospeso la frase, confermando naturalmente che,
con me e Draco morti, Alex non corre nessun pericolo “Insomma, se la Solutio
damnationis, finisce male… i Karkaroff non dovrebbero avere più interesse in
lui… e riguardo ai tempi della Solutio damnationis e a come arginare il
pericolo dell’assimilazione definitiva con Dimitri, ho un paio di idee… ma a
questo punto sarà meglio che vi dica per filo e per segno come ho intenzione di
agire, sempre se voi siete d’accordo, così da spiegare anche il compito di
tutti gli altri…
“Come potete immaginare sulla Solutio
damnationis non abbiamo certezze o conoscenze, i soli che l’hanno subita sono
morti durante la prova, quindi non si può sapere né quanto duri, né in che cosa
consista. Potrebbe durare secondi, come potrebbe durare settimane intere.
Sappiamo, però, che ha delle conseguenze negative, qualora inizi ad andare
male. Viene liberata energia malvagia in forma di sentimenti malevoli, a causa
della corruzione che Adamar cerca di portare sul sentimento puro, indipendentemente
dal fatto che lui rispetti o meno le modalità della prova. Naturalmente, questo
è un rischio che non possiamo correre, nessuno può farlo… se anche la prova
finisse bene, la liberazione di queste ondate di negatività comporterebbe degli
sconvolgimenti mondiali, che potrebbero durare anni. Ed è qui che intervengono
i maghi e le streghe che ho convocato, e che spero arriveranno ancora. Il
principio è creare una barriera magica attorno al luogo della Solutio
damnationis, quanto più grande possibile, così che i sentimenti negativi non
possano diffondersi… e non è complicata da realizzare, se si hanno molti maghi
e streghe a disposizione. Vi ho anticipato che i Dissennatori sono una creazione
di Adamar, delle sue emanazioni che hanno un potere molto simile a lui… il
rimedio ad essi è il Patronus ovviamente, che dà
forma a sentimenti positivi in grado di contrastare il male. Adottando questa
logica, possiamo pensare di conseguenza che una barriera di Patronus
possa ovviare alle conseguenze della Solutio damnationis, preservando la
popolazione innocente. Tanto più saranno i maghi e le streghe… tanto più la
barriera sarà potente. Ed è a questo che servirete voi…”.
Quando finalmente il compito dei miei amici
viene chiarito, mi rassicuro ancora: non si tratta di nulla di pericoloso, o
difficile da realizzare. Tutti sembrano disponibili a tale compito che si
rivela, rispetto a quello che aspetta me e Draco, comunque più facile del previsto.
Naturalmente è sempre meglio che Pansy ne resti fuori a causa della gravidanza,
ma per gli altri non ci dovrebbero essere rischi.
“Ovviamente una tale barriera non è propriamente
discreta ed invisibile… e comunque qualcosa potrebbe filtrare fuori…” prosegue
Helder con compostezza, incrociando le mani sulle ginocchia “Una strega ed un
mago potrebbero anche difendersi… ma un babbano no. Per questo è necessario un
cordone di sicurezza per i babbani. È per questo che ho chiesto a Kevin di
venire qui, è un poliziotto, conosce le procedure, dovrebbe essere più semplice
per lui convincere le forze dell’ordine che ci sia un allarme bomba o qualcosa
del genere… Harry poteva contattare il Ministro babbano… ma i tempi si
sarebbero allungati troppo, ed abbiamo invece poco tempo…”, anche questo
finalmente diventa chiaro, facendomi meravigliare di come Helder sia riuscita a
mettere assieme tutti i nostri talenti e le forze che possediamo. Io, così
abituata a fare sempre tutto da sola, probabilmente non ci avrei nemmeno
pensato. Lei, invece, che fa della capacità di pensare a tutti il suo potere,
ha ovviamente arginato ogni possibilità che le cose vadano male. Kevin,
naturalmente, annuisce convinto, dicendo che non dovrebbe avere problemi
eccessivi.
“Di tempo ne abbiamo davvero pochissimo…”
continua Helder, con voce affrettata ed affannosa “Domani sera scade
l’ultimatum di Karkaroff: alla luna piena l’assimilazione di Alex sarà
completa. Inoltre, dobbiamo stringere i tempi per sfruttare l’effetto sorpresa
ed impedire che Adamar capisca che volete provare la Solutio damnationis… meno
preparato è, più possibilità avrete di farcela…”.
“Tecnicamente, però, noi non sappiamo nemmeno
dove siano…” obietto con un filo di voce “Come facciamo a sorprenderli?”.
“Per quello… per trovarli, intendo… credo che ci
sia il ciondolo di Tatia…” sorride incoraggiante Helder, facendo un cenno verso
la goccia d’ambra che mi brilla al collo “Hai un solo desiderio, no? Il
desiderio di una madre per un figlio… chiedili semplicemente di trovare tuo
figlio. Probabilmente Raissa e Dimitri sono nascosti dalla Titanca… e forse
l’hanno fatta prendere anche ad Alex, così che gli Empatici non lo trovino,
anche se si avvicinassero a lui. Ma non dovrebbe essere complesso e neanche equivoco
per il potere del ciondolo chiedergli di rintracciare tuo figlio…”.
Hai già tutto quello che serve, Hermione Granger… hai sempre avuto
tutto, Hermione Granger. Solo che non lo sai, non l’hai mai saputo. Anche
stavolta sarà così…
Tatia aveva già cercato di dirmi tutto, in quel
sogno. Persino del ciondolo, quando mi aveva ammonito di non toglierlo.
Lo avevo scambiato per un’arma, ed invece era
solo un pezzetto di questo intricato piano.
“Attaccando all’alba, avremo un ragionevole
lasso di tempo, prima che Dimitri completi l’assimilazione…” la voce di Helder
assume un colore più scuro, come se d’improvviso, dopo tutto quello che ci ha
detto, fosse più esitante nel proseguire “Ha bisogno della luna piena per
completarla. E, certo, non sappiamo quanto la prova possa durare, ma dovremmo
avere tempo prima che l’assimilazione di Alex sia completa. E, se si dovesse
protrarre oltre… ho anche il modo per impedire che la completi…”.
“Come?” chiedo, con una strana fitta d’angoscia.
Strana sì, perché non è che fino ad ora, siamo propri stati nel racconto di
un’allegra scampagnata al mare. E c’è l’altissima possibilità che tutto vada
verso la mia prematura scomparsa, visto che io e Draco non ci fidiamo nemmeno
l’una dell’altro e non sappiamo nemmeno fino a che punto ci amiamo davvero o
sia solo un ricordo intriso di rimpianto... quindi non è che mi incammino verso
la Solutio damnationis e verso questo piano, colma di fiducia e speranza.
Eppure, Helder, che è stata sempre chiara fino ad ora e poco incline a farci
illudere, adesso sembra improvvisamente titubante e restia a parlare. E capisco
subito che ciò che deve impedire il completamento dell’assimilazione, non
dipende da me o da Draco, probabilmente già morti o in procinto di morire o
ancora impegnati in questa prova dannata… dipende da qualcun altro, a cui sta
per affibbiare il compito più pericoloso, dopo quello che darà a me e Draco.
E, con un brivido, prima ancora che parli, so
perfettamente a chi lo darà.
“Se dobbiamo ingannare Adamar… dobbiamo ingannare
anche Raissa e Dimitri…” comincia Helder, la sua voce è flebile e sottile “Non
devono sospettare nulla, né notare nulla di strano in voi che li faccia
presagire qualcosa di strano… quindi deve sembrare che siate giunti ad
adempiere alle loro richieste. Sarete distrutti dall’odio e dal rancore,
probabilmente dovremmo anche inscenare che sia Draco a voler consegnare
Hermione. Ma soprattutto…”.
“… soprattutto… io devo essere morto, no?” completa Ilai, dando voce a
tutti i miei sospetti. Le mie mani iniziano a tremare prima ancora che me ne
renda conto, e faccio ogni sforzo possibile per simulare tranquillità e
freddezza, dato che sono sempre di fronte a Draco e a Ron, e non mi pare il
caso di trasformare questo momento in un teen-drama, dove devo dimostrare a chi
tengo di più. Riesco a fingere un’ombrosa calma, perché sono naturalmente
sicura che Helder non può proporre davvero
di uccidere Ilai. Eppure, la pelle sudata del suo volto ed il fatto che i suoi
occhi dardeggiano continuamente nei miei, come a cercare assenso a quello che
sta per fare, mi fanno sentire inquieta e nervosa.
“Sì…” annuisce lei pensosamente, guardandolo “I
Karkaroff si aspettano il tuo cadavere. Quindi vederti morto… porterebbe
decisamente meno attenzione da parte loro a Draco ed Hermione…”.
Ok, adesso arriva la parte dove dice come si finge la morte, in un modo
ancora sconosciuto.
“Devi, però, sapere che quello che ti sto per
proporre, Radcenko…” Helder respira a fondo, con calma, come se si volesse
rassicurare da sola, cosa che porta ulteriormente me a sentirmi andare a fuoco
dall’angoscia “… non è stato mai provato prima… quindi c’è l’altissima
possibilità che tu non ne esca vivo sul serio…”. Mi muovo ancora sulla sedia,
innervosita, tormentata, agitata: non posso sopportare che lui rischi la vita
per me, non esiste. Tatia... le ho promesso che sarebbe stato al sicuro, che
non gli sarebbe successo nulla. Se io e Draco rischiamo la vita… è diverso.
Siamo uniti da questa circostanza, siamo uniti come genitori… abbiamo un legame
che presuppone anche questo. Ma Ilai è qui, per caso, per una fatalità che lo
ha portato qui. Non posso permettere che rischi anche lui, che rischi uno solo
dei miei amici in questa storia. E sto odiando decisamente Helder anche solo
per proporlo. Perché lui accetterà, già lo so. Non si tirerà indietro, non lo
farà. Ed è infatti quello che succede.
Ilai, la mascella serrata, gli occhi tersi,
risponde ad Helder, ma puntando dritto gli occhi nei miei, come se a me in
realtà che stesse parlando. Ha la voce tenue ma sicura, quando dice: “Non mi
terreste fuori nemmeno volendo… quello di cui c’è bisogno… io lo farò…”.
“Stai scherzando, vero?!” chiedo d’improvviso,
non riuscendomi più a trattenere, sebbene sia perfettamente conscia che, così,
ho attirato l’attenzione tanto di Ron che degli altri, quanto di Draco.
Stringendo i pugni, lo guardo assolutamente sconvolta, con il fiato corto e il
viso rosso: “Io… non ti permetterò di rischiare la vita per me…”.
“Qua rischiamo tutti la vita, Granger, o non hai
capito la parte sul fatto che ci potremo lasciare le penne?!” interviene Draco,
con voce affannata e spezzata, guardandomi dall’alto in basso come se volesse
fulminarmi “Non vedo perché Radcenko non debba dimostrare la sua grandiosa utilità…”. Gli lancio
un’occhiata infastidita, prima di replicare a suoni mozzicati: “Perché… in
questa storia ci siamo dentro io e te e basta… io e te siamo i genitori di
Alex, io e te abbiamo fatto scattare questa dannata cosa con Adamar… ed io e te
la dobbiamo finire! Nessuno deve finirci in mezzo, tantomeno lui…”.
“Ah siamo a questo… Radcenko è degradato a terzo
incomodo?” sibila freddamente Draco, fraintendendo volutamente il senso delle
mie parole e pungolandomi sarcastico, prima di rivolgersi con scherno a lui:
“Scusa amico… ma la Granger è una donna molto volubile… solo io resto immutato destinatario del suo amore…”. Lo dice con un
tono talmente tronfio, spavaldo e convinto, che vorrei davvero prenderlo a
pugni, cosa che si palesa fastidiosamente prossima, quando irride anche Ron:
“Immagina tu, quindi, di quanto sei retrocesso…”.
“Malfoy, dobbiamo ripetere la meravigliosa scenetta della calma
indotta?!” lo minaccia Helder, come farebbe con un moccioso dell’asilo che sta
facendo i capricci, salvandolo dalla possibilità che la calma gliela faccia
venire io attraverso il rigor mortis
dopo averlo fatto trapassare, poi con il medesimo tono si rivolge a me,
guardandomi storto: “Radcenko ha il diritto di decidere e di ascoltare la mia
proposta, come avete fatto voi… dopo, quando sarò andata a recuperare la mia
sanità mentale a seguito di quest’estenuante conversazione, sarai libera di
fare a lui le tue rimostranze e di inventarti un altro modo di agire…”. Taccio
nervosa, incrociando le braccia con sussiego, ripromettendomi che la questione
è solo rimandata e che troverò un altro modo di muoverci e che non implichi
mettere a rischio Ilai.
La mia reazione, naturalmente, non passa
indifferente e sotto silenzio: mi rendo conto subito che, adesso,
improvvisamente Ron si è accorto di Ilai, lo squadra dalla testa ai piedi,
probabilmente chiedendosi che cosa nasconda quello che, fino a poco fa,
immaginava essere solo il vedovo di Tatia Krasova. Harry, a sua volta, lo fissa
con la coda dell’occhio e con il tipico sguardo da raccoglitore di particolari
da riferire a Ginny. Ho lasciato naturalmente intendere che ci sia qualcosa tra
me e lui… e le parole di Draco hanno fatto il resto. Se alla mia preoccupazione
potevano obiettare che era una cosa normale e che avrei fatto, ovviamente, lo
stesso per chiunque altro, adesso un sottotesto di sospetto si è insinuato in
loro.
Se Draco Malfoy per una volta mi rendesse le cose più semplici invece
che più complesse, quel giorno sarebbe festa nazionale in tutti e cinque i
continenti.
“Dimitri ha bisogno della luce della luna piena
per completare l’incantesimo di assimilazione di Alex, è una formula che ho
studiato anni fa…” riprende Helder, massaggiandosi le tempie “Ovviamente è una
formula in possesso degli Indicibili, per quello la conosco… e Dimitri la
conosce, perché è scritta, quindi naturalmente è nella sua memoria… la luna
piena sorgerà domani sera, quindi per quello vi ha dato tale ultimatum… ma noi
abbiamo intenzione di attaccare all’alba. Però, non sappiamo quanto la Solutio
damnationis duri… e, del resto, non
sappiamo che livelli di difesa abbia instaurato Dimitri… potrebbe esserci
proibito l’accesso, tranne che a voi… e al cadavere di Ilai Radcenko,
naturalmente… è sostanzialmente cogliere due piccioni con una fava: non far
insospettire i Karkaroff, consegnandogli appunto il corpo di Ilai, e dall’altra
parte avere un basista, una sorta di cavallo di Troia, quando voi sarete
impegnati con la Solutio damnationis… il metodo per creare queste condizioni è
qualcosa di intentato, stupido e rischioso… perché in realtà… non si tratta di
simulare un decesso… ma di ammazzarti sul serio, Ilai…”.
Ovviamente sbianco, aggrappandomi alla sedia e
sporgendomi come se stessi vincolata ad ogni parola di Helder, solo per
impedire di soffocare, come se fosse il solo ossigeno rimasto. Non può stare proponendo sul serio… di
ucciderlo. Ilai, calmo come sempre, si schiarisce semplicemente la voce che
reca comunque una traccia di esitazione, mentre si dichiara disposto a
conoscere questo metodo, esortando Helder a parlare.
“E’ complicato da spiegare, cercherò di farla
semplice con un esempio…” riprende Helder con voce netta, gesticolando con
attenzione “Conoscete il trasferimento di chiamata?”, non riuscendo a capire
dove diamine stia andando a parare questo discorso assurdo, annuisco con il
capo assieme agli altri.
“E’ un servizio offerto da tutti i principali
gestori di telefonia che permette di deviare le chiamate che si ricevono su un
dato numero verso un altro, qualora il primo sia occupato o non disponibile. Al
momento, Hermione e Draco, per gli Empatici, sono come due telefoni muti o
occupati. La connessione stabilita dal Segno di Fuoco esiste ancora
naturalmente… ma con la Titanca ne abbiamo eliminato gli effetti. E quindi, se
mi concentro su di loro… arrivo a loro, ecco, ma non li sento. È come appunto
fare una chiamata, ad un numero a cui nessuno risponde… fino a quando la
chiamata non viene deviata. E ti risponde qualcuno che, invece, non ha la
Titanca nel suo corpo… ed è perfettamente sensibile all’Empatia. Non si può
deviare questa connessione con una persona qualunque… non posso, che ne so,
stabilirla con Dean o con Ron… ma con Ilai questo può riuscire… perché lui ed
Hermione sono… legati, ecco…”.
“Che diamine significa che sono legati, Empatica?!” l’interrompe
nervosamente Draco, staccandosi dalla colonna su cui era appoggiato.
Arrossisco, abbassando lo sguardo, questa
giornata, probabilmente l’ultima della mia vita, sarà anche ricordata come la
giornata più dannatamente frustrante
ed imbarazzante della mia esistenza.
“La
sensazione di conoscere una persona da sempre…” prosegue Helder, guardando
me ed Ilai, io rifiuto anche solo di prendere in considerazione il pensiero di
alzare di poco lo sguardo “L’ho sentita in Hermione, quando avevo accesso ai suoi
pensieri… empaticamente si chiama Assonanza alchemica. È all’origine dei più
diversi rapporti umani, Assonanti alchemici possono essere amici del cuore,
fratelli e sorelle, padri e figli, mariti e moglie, innamorati divisi… per
sempre si sentiranno meglio di qualsiasi altra persona al mondo. Si parla di
sensazioni appunto, poi sta nella vita della persona far fruttificare o meno
un’Assonanza… considerando che spesso non avere schermi, né barriere con
un’altra persona, può anche essere una cosa sommamente sgradita, e per altri
invece infinitamente desiderabile. Comunque, tornando a noi, l’Assonanza è
anche una condizione magica, che consente maggiori capacità nella Legilimanzia,
nella Telepatia… e difatti Hermione ed Ilai hanno combattuto contro Dimitri,
sfruttando inconsciamente questo meccanismo… esistendo quest’Assonanza è
possibile deviare appunto la connessione di Hermione con gli Empatici su Ilai…
sarebbe quindi collegato a noi. E questo collegamento è biunivoco, lo è sempre
stato… solo che ovviamente Draco ed Hermione non se ne sono accorti, o non
hanno fatto in tempo ad accorgersene… aprendo la connessione con Ilai, potremmo
trasmettergli mentalmente tutto ciò di cui ha bisogno… in particolar modo, se
la Solutio damnationis si protraesse ed arrivasse la notte. Esistono
duecentottanta cinque incantesimi, settecento nove pozioni e cinquantadue
rimedi babbani, per nascondere la luna ed impedire così l’assimilazione. Gli
Empatici, come parte dell’accordo se doveste accettare la Solutio damnationis,
si impegnano a liberare ad ogni costo vostro figlio. E quindi stanno studiando
i rimedi contro la luna, proprio in questo momento… Dimitri conoscerà anche il
modo di contrastarli, tutti fino all’ultimo. Ma il modo di fargli perdere tempo
per l’intera notte, lo troviamo. E dovessimo andare oltre la notte… Ilai
sarebbe sempre lì, a studiare la situazione con i suoi occhi… elaboreremmo in
divenire un’altra strategia, passo dopo passo, fosse anche quella di irrompere
in forze nel luogo dove sono nascosti… morirò io stessa, pur di portare Alex in
salvo, quando ormai non sarà assimilato a Dimitri… ma, e qui arriviamo alla
parte peggiore… Ilai potrà entrare in quel luogo, solo se morto. E con morto… si intende morto sul serio, non esistono trucchi con Dimitri e Raissa che non
conoscano per poter simulare la sua dipartita… quindi dobbiamo sfruttare la
connessione con gli Empatici, il loro sapere è la sola pecca dei Karkaroff… non
esiste nulla, però, di Empatico che abbia un effetto di simulazione di tale
tipo. Tranne appunto… ucciderti sul serio…”,
finalmente sollevo gli occhi guardando Helder ancora più sbigottita, un eco
dello sguardo di Draco resta su di me, laconico ed assente, ma cerco a fatica
di ignorarlo. Ilai, in tutto questo, resta pacato, chiedendo ad Helder di
proseguire.
“Il corpo fa ciò che la mente comanda, ciò che
il cuore comanda…” spiega lei con pazienza incerta “Mediante la connessione
aperta, sarà possibile modulare la gamma delle tue emozioni, fino ad indurti
stati di sofferenza, di dolore, di disperazione, di angoscia, in proporzione
tale… da mandarti in arresto cardiaco.
Alternando poi queste sensazioni ad alcune più positive, che avranno l’effetto
di renderti tachicardico, dovremmo riuscire a mantenerti ad un ritmo vitale
molto basso, in modo da far sì che tu non muoia… ma, attraverso i tuoi occhi,
vedremo quando i Karkaroff saranno vicini a te o ausculteranno il tuo cuore… ed
allora ti indurremo l’arresto cardiaco. Almeno fino a quando Hermione e Draco
avranno invocato la Solutio damnationis… dopo… ripristineremo il tuo battito
normale ed il naturale corso delle tue sensazioni. Cercheremo naturalmente di
non tenerti in arresto cardiaco oltre i quattro minuti, che sono il tetto
massimo per non avere danni irreversibili… ma… il tuo cuore… potrebbe non farcela comunque… potrebbe non resistere
a questo sovraccarico di emozioni, come non potrebbe resistere a questi ritmi
forsennati. Ti alleneremo, certo, a sopportarlo, ma dipende dalla forza del tuo
organismo… e tu… potresti morire sul serio, Ilai…”.
Se il discorso su me e Draco, sulla leggenda
millenaria che ci unisce, sulla Solutio damnationis e sullo scontro con Adamar,
mi è sembrato quasi folcloristico ma, dopo tante vicissitudini, quasi
impossibile da non prendere in considerazione come vero, la parte su Ilai, per
quanto me la ripeta nel cervello, è semplicemente assurda. E non riesco nemmeno
a guardare Helder, senza pensare che non doveva nemmeno sognarsi di proporla,
specie sfruttando questa specie di legame incomprensibile che abbiamo. Se morisse… se gli accadesse… probabilmente
lo sentirei dentro, come se stesse accadendo a me.
Ha detto che è un crimine controllare le
emozioni altrui, e con lui vorrebbero farlo, al punto da mandarlo avanti ed
indietro dalla morte? È carne da macello fino a questo punto? Lo siamo tutti,
fino a questo punto? Io e Draco… posso accettarlo, posso accettare di essere
una semplice marionetta. Lo facciamo per nostro figlio. Perché dovrebbe farlo
Ilai? Che cosa c’entra lui?
Se Ilai affronta da solo i Karkaroff… muore. Con un singulto interno, mi
ricordo delle parole di Tatia, della sua lettera: ecco che voleva dire. Ilai
morirà, se affronterà i Karkaroff, accadrà sul serio.
La
sola incognita è se
tornerà indietro.
Non
posso permetterglielo, semplicemente non posso.
Sto
già per aprire bocca, urlando tutto il mio disgusto e sdegno, incurante di chi
mi circonda, quando Ilai si alza in piedi e risponde sicuro ad Helder, ma senza
smettere un secondo di guardare me. Intercetto per un attimo gli occhi di
Draco, fissi di acciaio su di me, ma cerco di non farmene distrarre.
“Se
è il solo modo concreto di aiutare Alex…” risponde quieto e serio Ilai, non una
singola esitazione nella voce “… lo farò. Qualsiasi tipo di rischio vale la
salvezza di quel bambino, specie se la Solutio damnationis va male. In questa
storia… sono in debito… e questo è il minimo che io possa fare… mi allenerai a
sopportarlo, Helder…”.
Ilai
non aggiunge altro, si alza e va via, lasciandomi con un senso di amaro in
bocca che non riesco a mandare via. Tutto questo… è sbagliato. È sbagliato,
maledizione.
Mi
riprometto di parlare con lui, mi riprometto di fermarlo, mi riprometto di
trovare un altro modo…
…
eppure quando Helder mi chiede, alla fine, se proverò davvero la Solutio
damnationis… quando lo chiede anche a Draco…
Entrambi
diciamo di sì.