'Ciao.'
'Ciao.'
'Posso
sedermi?'
'Certo.'
'Grazie.'
'Non
mi aspettavo ti avrei mai vista qui. Sulla sua tomba.'
'...Era
anche amico mio.'
'Non
me ne sarei mai accorto, se non me l'avessi detto.'
'Non
sono il tipo di persona che esterna facilmente i propri sentimenti.'
'Mmm.
L'avevo notato.'
'…'
'…'
'...Mi
dispiace.'
'…'
'A
cosa pensi?'
'...mi
chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato al suo posto.'
*
Il
fantasma di Marco si sedette sul suo letto per la prima volta due
giorni dopo che le pire funebri erano state spente, e le lapidi dei
giovani della 104esima divisione conficcate nel terreno, in mezze a
quelle degli altri migliaia di soldati morti in quei cento anni di
lotta contro i titani.
Confuso,
Jean era rimasto in silenzio ad ascoltare i singhiozzii sommessi,
credendo si trattasse di Connie. Non sarebbe stato capace di
consolarlo, non in quel momento. Poi i singhiozzii si erano
interrotti.
'Credevo
saresti stato lì.'
Il
corpo di Jean si era irrigidito sotto le coperte ispide della
caserma.
'Credevo
che saresti stato accanto a me per sempre. Credevo avresti capito che
non hai bisogno che Eren, Mikasa o gli altri ti riconoscano come un
leader. Credevo sarei bastato.'
Jean
aveva sentito sudore freddo colargli lungo la schiena. Si era mosso
appena, alzando la testa verso il fondo del proprio letto, ma il buio
gli impediva di vedere. Aveva continuato a ripetersi che ciò
che stava accadendo fosse impossibile, che Marco era morto, e a quel
pensiero silenziose lacrime avevano iniziato a cadere dai suoi occhi.
Si era portato la mano destra agli occhi e se gli era coperti,
conficcandosi le unghie nella carne.
'Mi
dispiace...'
'Perchè
non eri lì quando sono morto, Jean?'
'Mi
dispiace...'
'Avrei
voluto semplicemente qualcuno a cui parlare, una carezza...'
'...Mi
dispiace...'
'...un
bacio.'
'BASTAAAAAAAARGH!'
A
quell'urlo, qualcuno aveva risposto con un 'Jean, tutto bene?' e le
luci si erano accese di colpo. Connie e Bertholdt erano corsi verso
il suo letto, solo per trovarlo sudato, in lacrime e tremante.
'Jean!
Che è successo?', aveva urlato Connie.
Lui
lo aveva guardato con occhi spiritati. 'Marco...era...era proprio
lì...'
Connie
e Bertholdt si erano guardati; nel frattempo era sceso Reiner, che si
era accovacciato accanto a lui.
'Sono
stati giorni pesanti per tutti, Jean. Devi cercare di dormire. Il
sonno potrebbe giocarti brutti scherzi.'
'Non
è il sonno, lui...lui era proprio lì.'
'Torna
a dormire, Jean. Ti prego.', aveva mormorato Bertholdt.
Si
erano allontanati in silenzio, osservandosi a vicenda. Con orrore,
Jean si era reso conto che quella nei loro occhi non era mancanza di
fiducia o paura: era pietà.
*
'ATTENTO,
JEAN!'
Aveva
scansato la lurida mano di un titano per un attimo, agganciandosi al
ramo più in alto e atterrandovi sopra con la consueta agilità.
Armin, già leggermente più nervoso del solito, gli era
sbottato dietro.
'Si
può sapere che ti prende?'
Non
avrebbe saputo spiegarlo a parole; o meglio, non avrebbe potuto. Chi
gli avrebbe creduto se avesse detto a voce alta che ovunque si
voltasse, in un angolo del suo campo visivo continuava a vedere
Marco?
'Mi
dispiace.', rispose ad Armin, poi si voltò e il cuore gli
saltò un battito. C'era Marco, seduto su quel ramo, le gambe
penzoloni nel vuoto e gli occhi chiusi rivolti verso il cielo. Jean
boccheggiò; quella non era una voce nella notte o
l'impressione di poterlo vedere ovunque: quella era una vera e
propria apparizione.
Tese
una mano verso di lui, sussurrando il suo nome. Marco lo ignorò.
'Non
è mai stato un mio desiderio vedere il mondo esterno, ma lo
apprezzo.', disse. 'Sembra un bel posto. Sono sicuro che un giorno
potranno vederlo tutti quanti.'
'Marco...',
sussurrò Jean.
Lui
si era voltato. Il suo volto era distrutto, mangiato a metà.
Sangue colava attraverso la ferita atroce, mortale, dolorosa anche
solo da vedere. Nonostante la sua bocca fosse andata per metà,
era riuscito comunque a parlare.
'Non
sentirti in colpa, Jean.'
Lui
era svenuto.
*
'Colpiremo
da destra.', esclamò Eren, indicando un punto sulla mappa. Il
comandante Rivaille era riuscito a fatica ad alzarsi dalla propria
sedia, ma vi era ricaduto con un grugnito insoddisfatto.
'Al
diavolo questa maledetta sedia. Arlert, portami le stampelle.'
Armin
annuì secco e fece un cenno al ragazzino che gli stava dietro,
che corse a recuperare le stampelle del comandante.
'Tutto
considerato, non dovrebbe essere un'operazione particolarmente
rischiosa.', mormorò il comandante. 'Gli ultimi superstiti
della razza dei Titan Shifter sono occupati a difendere la loro
capitale dagli attacchi guidati dal capitano Ackermann...'
Eren
deglutì, nervoso; il comandante sembrò divertito da
quella reazione.
'Nervoso
all'idea di non avere la mogliettina a fianco per questa volta, eh,
Jaeger? Tranquillo, Ackermann se la cava bene. Non che mi aspetti
altro dalla mia elitè scelta.'
Le
stampelle erano arrivate. L'assistente di Armin gliele aveva posate
accanto alla sedia, e nonostante il moncherino alla gamba, il
comandante si era issato da solo, le aveva afferrate e si era alzato
in piedi. Aveva indicato Jean, alla sua sinistra, il volto scuro e
una barba di qualche giorno sfatta.
'Capitano
Kirschtein, guiderai la cavalleria. Sottosterai al caporale Jaeger,
che si muoverà inizialmente tra le tue truppe. Jaeger, oltre a
te ci saranno altri sei dei nostri Shifter nascosti tra la
cavalleria. Sapete come muovervi. Arlert, nella retroguardia. Avverti
i caporali Braus e Springer di muoversi in caso ci fosse bisogno di
rinforzi.'
Jean
aveva annuito, e così Eren e Armin, facendo il saluto
militare. Il comandante si era ritirato nelle sue stanze; sul suo
volto era fin troppo visibile la smania di tornare a combattere,
nonostante le mutilazioni. Non scendeva sul campo da sette anni.
'Non
riesco a credere che ci siano voluti ventotto anni.', aveva sospirato
Armin, guardando il cielo fuori dalla finestra. 'Ventotto anni e
decine di migliaia di morti solo per arrivare a scoprire che tutte le
persone inghiottite dai titani venivano semplicemente portate via per
rinforzare le file dei ribelli.'
L'idea
rendeva chiunque fosse nella stanza nervoso fino all'inverosimile;
tutti loro avevano perso qualcuno durante quella guerra.
Marco
posò una mano spettrale sulla spalla di Jean. Quest'ultimo
nemmeno si voltò; erano rari i giorni in cui il vecchio,
defunto amico non fosse venuto a fargli visita, ma in ventotto anni
non era mai riuscito a parlarne a nessuno. Oggi, constatò Jean
con la coda dell'occhio, era uno di quei rari giorni in cui il corpo
di Marco non gli si mostrasse in putrefazione o mutilato. Oggi sul
volto dell'amico, rimasto ragazzino innocente, c'era un sorriso
aperto e brillante.
'È
quasi finita.', aveva esclamato.
Guardandolo
e ricordando, Jean si sentì improvvisamente vecchio. Vecchio e
stanco.
(La
prossima volta che ti vedrò sarà tutto finito e tu
sarai libero di andartene)
Aveva
accarezzato la spada al suo fianco.
(E
anch'io.)
*
Lacrime
di disperazione scivolavano sul volto degli uomini, le donne, i
bambini e gli anziani rinchiusi sottoterra. Jean guardava Armin,
sotto shock. Le persone passavano davanti a loro, ringraziando,
inginocchiandosi, riparandosi dal sole che non vedevano da tanti anni
o che addirittura non avevano mai visto.
'Li
hanno rinchiusi come bestie...', sussurrò Armin.
Jean
aveva stretto le spade nelle mani. Non aveva mai odiato così
tanto la razza dei Titan Shifter ribelli, nemmeno quando aveva visto
Ymir morire uccisa dai propri simili, nemmeno quando il Culto delle
Mura aveva deciso di offrire tutti loro al Dio Titanico tramite un
omicidio di massa; era allora che Rivaille aveva perso una gamba,
Eren un occhio e il comandante Erwin era morto. No, nemmeno allora.
Correvano
disperati fuori da quell'inferno, cercando un volto amico, una mano
da stringere, qualcuno da abbracciare. Correvano fuori, liberi, dove
la battaglia si era conclusa con la carneficina dei ribelli.
Scappavano per tornare a vivere, loro, già morti una volta.
'JEAN!'
Jean
si era voltato. Un uomo si faceva largo a fatica in mezzo alla folla;
era magro, e lunghi capelli gli ricadevano sul volto; gli occhi
sembravano aver visto più di quanto un uomo possa sopportare.
'JEAN,
SEI TU! JEAN! JEAN KIRSCHTEIN!'
E
Jean aveva capito, e aveva sorriso, tremante. Sarebbe stato così
facile correre incontro a Marco, abbracciarlo, rivelargli ciò
che aveva solo potuto sussurrare a se stesso in ventotto anni di
incubi. Ma sarebbe stato troppo facile, sarebbe stato troppo bello.
Non
voleva correre incontro a quello che sapeva essere frutto del suo
senso di colpa.
Estrasse
la spada e se la puntò al cuore.
Nessuno
si voltò a guardare.
'JEAN!
NO! SONO IO! SONO MARCO! MARCO BODT! JEAN! JEAAAAAN!'
Era
caduto in ginocchio. Non faceva male, si disse; probabilmente non
quanto aveva fatto male a Marco. Era come addormentarsi, senza
pensieri, dopo tutti quegli anni. Aveva sentito due mani ruvide
afferrarlo, voltarlo. Un rivolo di sangue gli colava dalla bocca.
'Jean...'
E
in un lampo di improvvisa lucidità, il primo dopo quasi
trent'anni, Jean aveva capito di essere un pazzo disperato, e aveva
capito che l'uomo che lo stringeva in quel momento era davvero il suo
amico d'infanzia. Aveva sorriso, quasi disgustato dal proprio
destino. La vita era sempre stata beffarda con lui, ma mai avrebbe
pensato di morire tra le mani della persona che lo aveva tormentato
per tutti quegli anni.
Era
riuscito ad alzare una mano, la sinistra, e ad appoggiarla sulla
parte destra del volto di Marco. Il solo sentire la sua presenza, la
sua concretezza gli aveva dato la forza di parlare ancora, e aveva
mormorato le uniche parole che gli erano venute in mente, le uniche
parole che sentiva sarebbe stato giusto dire.
'Mi...dispiace...Marco.'
'No...Jean...no!
AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI!'
Aveva
chiuso gli occhi, sorridendo.
*
Mikasa
era scivolata verso Marco in silenzio. Si erano scambiati uno sguardo
grave, triste, uno sguardo che parlava da solo e diceva tutto ciò
che non sarebbe stato possibile dire a parole. Eren, Armin e gli
altri se n'erano andati dopo la cerimonia funebre; lui era rimasto.
Il
mantello di Mikasa era ancora sporco di sangue. Era appena tornata
dalla missione.
'Ciao.',
aveva sussurrato lei.
'Ciao.',
aveva risposto Marco.
'Posso
sedermi?'
'Certo.'
'Grazie.'
'Non
mi aspettavo ti avrei mai vista qui. Sulla sua tomba.'
'...Era
anche amico mio.'
'Non
me ne sarei mai accorto, se non me l'avessi detto.'
'Non
sono il tipo di persona che esterna facilmente i propri sentimenti.'
'Mmm.
L'avevo notato.'
'…'
'…'
'...Mi
dispiace.'
'…'
'A
cosa pensi?'
'...mi
chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato al suo posto.'
Dopo
quelle parole, Marco si era alzato. Gli avevano detto che quello era
il luogo in cui era stato seppellito il suo corpo, o meglio, ciò
che il Titano aveva lasciato cadere del suo corpo. In realtà,
lui era sopravvissuto dentro il corpo del Titano, il suo corpo si era
formato per essere quello di un Titan Shifter, come era successo a
quello di tutte le altre persone morte mangiate dai Titani, e ciò
che era stato seppellito di lui era solo un fantoccio, ma era lì
che aveva chiesto di poter far seppellire Jean, in un atto di egoismo
puro.
'Credo
che sarei impazzito.', aveva continuato, senza guardare Mikasa. Lei
non aveva risposto.
Marco
aveva avuto l'impressione che, dall'angolo del suo campo visivo, di
fianco all'anonima tomba di un soldato qualsiasi, Jean lo stesse
guardando.
C'è
solo una cosa che posso dire...
E, sì, quella sono io.
Scusate, ma erano giorni che l'idea mi girava per la testa, non potevo ignorarla. Aspettatevi un sacco di angst nel capitolo 2, una BeruAni.
Sono una persona allegra.
Tanto allegra.
Se voleste rebloggare il photoset a inizio pagina, da me fatto, potete trovarlo qui: http://what-a-joice.tumblr.com/post/67272380436/tell-me-you-love-me-come-back-and-haunt-me
Alla prossima!
- Joice