Castello
di vetro.
Graceland
è deserta.
Mike
si trascina con fatica fino
all’interno, chiude la porta alle sue spalle e lascia che i
suoi occhi si
abituino lentamente all’oscurità che regna
nell’ingresso. Si ripete mentalmente
che ora è casa sua, ma in realtà sa che non
riuscirà mai ad accettare l’idea.
Quella non è casa sua e le sei persone che vi abitano non
sono una famiglia. Ci
sono troppi segreti racchiusi nelle quattro mura delle stanze di
ciascuno di
loro e lui non ne è esule. La ragione stessa per cui si
trova lì è sufficiente
a non farlo sentire a suo agio. È un ratto, una talpa, uno
schifosissimo
traditore. Ricorda il primo giorno in California e quanto si sentisse
diverso:
la sua prima assegnazione, il primo vero incarico di
responsabilità dopo
l’addestramento. Le bugie sono il
tuo
lavoro. Le parole di Briggs gli rimbombano in testa in tutta
la loro
contorta ironia. Lui ha ingannato tutti: era sotto copertura ancora
prima di
arrivare a Graceland.
Avanza
piano sul pavimento
dell’ingresso, strascica i passi fino al soggiorno. Le luci
sono spente, il
divano è libero – Charlie ha finito di fare la
guardia alla sua salsa –, riesce
a camminare senza il rischio di inciampare, grazie ai flebili raggi di
luna che
passano attraverso la vetrata del salotto. L’oceano fuori
è tranquillo, si
avverte soltanto il rumore di deboli
onde che si infrangono contro la battigia e bagnano la sabbia della
riva.
Mike
respira forte e ciondola fino
alla cucina, sforzandosi di non far trasparire quanto vuoto si senta in
quel
momento. Sa che Briggs potrebbe essere ancora sveglio. Non sono tornati
insieme, è stato trattenuto per fare rapporto
sull’operazione appena terminata
e lui ha usato il pretesto dell’appuntamento con Abby per
filarsela più
velocemente possibile. Si appoggia al bancone davanti ai fornelli con
entrambe
le mani chiuse a pugno e inspira ed espira a intervalli regolari.
Intorno
a lui, la cucina è un
disastro. Come previsto, piatti e posate sono sparsi un po’
dappertutto, in
attesa di essere lavati. È il suo turno, il suo weekend di
pulizie. Soltanto qualche
ora fa ha fatto notare ai suoi coinquilini che le grandi cene vengono
sempre
programmate quando tocca a lui sistemare tutto. Ora è
immensamente grato di
aver qualcosa da fare, qualcosa che lo distragga dal pensare,
rimuginare su
quanto è accaduto nel pomeriggio. Ed è contento
di poterlo fare in solitudine,
senza in sottofondo i battibecchi scherzosi tra Johnny e Jakes o le
chiacchiere
tra donne di Charlie e Paige. Sono tutti a dormire, dopo la cena in
famiglia
che purtroppo lui e Briggs hanno mancato. Contando quello, sono tre i
pasti di
fila che salta, ma Mike ora non sente il minimo accenno di appetito. Ha
lo
stomaco chiuso.
Si
è quasi deciso a cominciare a
ripulire, quando sente dei passi alle sue spalle. Non ha bisogno di
voltarsi
per capire di chi si tratti.
-
Vuoi una mano con quelli?
La
voce di Briggs lo raggiunge da
dietro il bancone e allude alla pila di piatti e posate che gli altri
hanno
lasciato sulla cucina.
-
No. Penso di voler restare da
solo.
Non
gli importa se ci impiegherà
ore a ripulire quel caos, ora qualsiasi cosa è utile per
distrarsi e dare alla
propria giornata una parvenza di tranquillità.
-
Ho visto che ti hanno lasciato un
piatto.
-
Pensavo che non rimanessero degli
avanzi…
Charlie
è stata categorica quella
mattina, ma ora Mike si rende conto che forse è stato uno
dei suoi tanti
tentativi di tenere uniti gli inquilini della casa, di dar loro almeno
l’illusione di essere una famiglia, con usi, abitudini,
tradizioni proprie. Sa
che le piace essere un punto di riferimento a Graceland, giocare a fare
la
mamma di quel gruppo sconclusionato di agenti dalle infinite vite
parallele.
-
A Charlie piaci. – Paul si
avvicina e gli dà una pacca sulla spalla, prima di andarsene.
-
Ehi, Briggs, – lo trattiene Mike.
– Perché non lo mangi tu? Non ho fame.
-
No, amico, riscaldalo domani.
Briggs
sa che il nuovo arrivato ne
ha un disperato bisogno. È soltanto uno stupido piatto di
pasta col sugo, ma è
la cosa più vicina alla normalità che Warren
potrà avere nell’intera giornata.
-
No, – insiste però l’altro. –
Hai
perso la serata della salsa anche tu.
-
Già, – si arrende. – Ma è
solo
salsa, Mike.
E
Mike rimane solo, a contemplare
il caos che ha davanti e dentro di sé, mentre dei singhiozzi
gli scuotono il
petto.
Quel
che resta della salsa di
Charlie scivola lentamente dalla pentola al lavandino. Stringe la
spugna e
strofina più forte, il rosso del pomodoro che gli schizza
sulle mani e non gli
permette di smettere di pensare. La scia rossa sembra impiegare un
eternità
prima di scendere nello scarico, imbratta le pareti del lavello, il
bancone
della cucina, appanna la lucidità che lui vorrebbe tanto non
avere questa sera…
Mike si ferma di colpo a fissare le sue mani, sporche di quel sugo
denso che
gli ricorda troppo il sangue che qualche ora prima ha visto sgorgare
dalla
testa di Eddie, riverso sull’asfalto. È conscio di
aver rischiato a sua volta
di morire. Quando Eddie gli ha puntato contro l’arma, ha
pensato che fosse
finita. In quegli interminabili secondi, nella sua mente si sono
accavallati
ricordi, speranze, sogni… si è visto direttore
del Bureau, ad un appuntamento
al ristorante insieme ad Abby, attorno ad un falò
improvvisato sulla spiaggia
insieme ai suoi coinquilini che lo prendevano in giro per la faccenda
degli
orsi di peluche. Poi Eddie ha cominciato a piangere silenziosamente,
nonostante
l’occhio sfregiato dal fuoco di una fiamma amica. Mike
l’ha visto impugnare la
pistola e infilarsela in bocca, l’ha visto esplodere un colpo
che lo ha ucciso
all’istante. Ha urlato un no! strozzato
che gli è rimasto in gola, consapevole di non aver alcuna
chance di fermarlo:
fedele a Bello fino alla morte.
La
morte di Eddie è colpa loro.
Sua, di Briggs, di Charlie, dell’intera FBI.
L’hanno incastrato. L’hanno illuso
che ci fosse una scappatoia per lui, lunga dalla California
all’Arizona, gli
hanno dato in mano il biglietto di un bus e gli hanno offerto
un’occasione per
scappare, pur sapendo che da tipi come Bello non si può
fuggire. Quelli come
lui ti scovano in capo al mondo, quelli come lui ti piantano piombo
fuso nelle
pupille sulla base del sospetto di
un
tradimento.
-
Oh, mio Dio…
Non
c’è tempo per le emozioni per
un agente federale sottocopertura. Non c’è spazio
per elaborare uno shock. Mike
è disgustato da se stesso mentre pronuncia quelle tre parole
che hanno il solo
scopo di far capire a Paul in collegamento audio che non è
lui la vittima del
proiettile esploso. È soltanto Eddie.
Un criminale da due soldi, l’agnello sacrificale per giungere
un passo più
vicino a Bello e al suo impero criminale. Un male necessario, morto
suicida con
disonore per una colpa di cui non era nemmeno responsabile.
Continua
a sfregare, strofinare, si
accanisce su ogni macchia di sugo che si è incrostata sulla
cucina, come se
bastasse quello ad eliminare le tracce del sangue di Eddie da dentro di
sé.
La
spiaggia di notte è bella e
inquietante. La sabbia tra le dita dei piedi, il rumore assordante
delle onde,
la rassicurante presenza della luna riflessa nel mare lo fanno sentire
attore e
al contempo solo spettatore di qualcosa di molto più grande
di lui. Come il
gioco in cui è finito, incastrato tra bugie, omicidi,
coperture, solo con i
propri segreti.
Si
siede davanti all’oceano e
ripensa a come ha fatto a finire lì, in California, a
Graceland, circondato da
persone che non lo conosceranno mai davvero, a cui sta mentendo dal
primo
giorno e che magari stanno facendo la stessa cosa con lui. Nonostante
tutto,
ama il suo lavoro, anche se è difficile da troppi punti di
vista. Il rischio fa
parte del mestiere e non sempre è sufficiente conoscere il
manuale a memoria.
Non sempre è sufficiente saper maneggiare una pistola con la
stessa facilità e
abilità con cui lo sa fare lui. È preparato a
tutto, ma in fondo non è
preparato a nulla.
Stende
le braccia dietro di sé,
puntellandosi sulle mani immerse nella sabbia. È umida e
compatta, ma sente
comunque qualche granello infilarsi sotto le unghie. Rimane in quella
posizione
anche quando, dopo un tempo eterno, gli arti cominciano a
informicolarsi; forse
l’unico modo per smettere di continuare a rivivere
l’orrore di quella sera è
procurarsi altro dolore su cui concentrarsi.
E
poi, all’improvviso, un’ombra
sfuggente a pochi metri da lui lo fa voltare di scatto. Un sagoma
femminile,
minuta e familiare si ferma davanti a lui.
-
Calma, Levi, sono solo io.
Charlie
gli si siede accanto,
incrociando le gambe al petto e circondandole con entrambe le braccia.
Indossa
una felpa col cappuccio e un paio di pantaloncini e Mike vede
chiaramente
l’effetto che la brezza notturna ha sulle sue gambe nude: il
freddo le ha
increspato la pelle scoperta.
-
Non riuscivo a dormire…
– si giustifica, senza bisogno che lui le
chieda niente. – Con la scusa che mi sono presa dei giorni di
malattia, e
grazie al Vicodin, ho dormito troppo e ora sono sveglia. E poi volevo
controllare
che avessi mangiato la salsa della bisnonna della bisnonna della mia
bisnonna.
-
I conti ancora non tornano, –
ribadisce lui, con un sorriso appena accennato.
-
Oh, sta’ zitto. – Gli dà una
spallata, ma non riesce a trattenere una risata. Poi si fa subito
seria. – Stai
bene?
Mike
si chiede come lei possa
sapere, ma si risponde che probabilmente a quell’ora lo sa
già tutta l’FBI. La
guarda per svariati secondi e poi non riesce a non essere sincero.
Certe volte
Charlie gli rende così facili le cose: parlare con lei
è come parlare ad una
vecchia amica, una che ti conosce talmente bene da non doverle spiegare
nulla.
-
No.
Mike
abbassa lo sguardo e si chiede
se anche Johnny, Jakes o soprattutto Charlie e Briggs si sentirebbero
così. E,
mentre se lo domanda, già conosce la risposta: no. O almeno
lo saprebbero
nascondere meglio. Non può fare a meno di sentirsi una crepa
in quel castello
di vetro perfetto e delicato che è Graceland. Un castello di
bugie, ma pur
sempre una fortezza. E non riesce ad impedirsi di vedere se stesso come
l’anello debole.
-
Forse, un giorno, al centesimo
omicidio che si consumerà di fronte ai miei occhi,
sarò diventato abbastanza
cinico da non stare così male…
Charlie
rimane in silenzio,
incrocia le gambe e guarda fisso davanti a sé,
all’oceano che rumoreggia
pacifico, incurante della loro presenza.
-
A certe così non ti abitui mai.
Impari soltanto a mascherare quello che provi davanti agli
altri… come facciamo
tutti, Mike. Siamo agenti federali, non robot senz’anima.
Nessuno
dei due fiata per qualche
minuto, perché ci sarebbero così tante cose da
dire, ma nessuna sembra quella
giusta. Alla fine Mike prende un respiro profondo e si alza in piedi.
-
Vuoi stare da solo? – gli chiede
Charlie.
Lui
dà un’alzata di spalle e
annuisce.
-
Penso di sì.
-
E io avrei voluto che tu e Briggs
ci foste a cena, a mangiare la salsa che io
ho cucinato per tre giorni.
Evidentemente non sempre otteniamo ciò che vogliamo.
Lo
afferra per la tasca dei
pantaloni e lo
trascina di nuovo accanto
a sé, seduto sulla sabbia, ignorando i suoi lamenti. Si
aggrappa ad un suo
braccio e appoggia la testa sulla sua spalla.
-
Non ti lascio solo. E guai a te
se salti la salsa un’altra volta!
Mike
sorride della cocciutaggine di
Charlie e si gode quell’istante di illusoria
tranquillità, perché non può
davvero prometterle che non mancherà anche la prossima salsa
night e lei lo sa
bene. Ma per quell’attimo gli sembra che siano solo loro due,
una coppia
normale, con una vita normale su una qualunque spiaggia nel cuore della
notte.
E
in quell’attimo, forse solo per
un secondo, si sente bene. A casa.
Per
la serie “Ogni tanto risorgono”, here I am. Giusto
una fanfiction breve che
avevo promesso e che mi sono decisa a finire.
Il
titolo deriva da “Castle of glass” dei Linkin Park.
Grazie
a Nessuccia per aver betato. Si shippa Marlie fino alla fine!
S.
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