fine
FINESTRE NEL TEMPO
Gideon la odiava nello stesso modo in
cui aveva odiato la bambina e la ragazzina.
Allo stesso tempo non poteva non amare
la giovane donna che era diventata, che stava diventando, che sarebbe diventata
in futuro.
Londra, 2006
La
Rolls-Royce parcheggiò davanti all’Istituto Saint Lennox. Il cortile era
gremito di adolescenti in orribili uniformi. I sorrisi ammiccanti che le
ragazze più audaci gli rivolgevano non invogliavano di certo Gideon a
sgranchirsi le gambe scendendo.
– Charlotte
dovrebbe essere già uscita – osservò Mr George in tono mite. Non sarebbe
bastato quello a riappacificarlo col mondo e Gideon non si diede pena di
assecondarlo.
Trascorsero
due minuti e in effetti Charlotte aprì lo sportello e si accomodò con eleganza
nel sedile di fronte al suo. Era in quella età in cui è da poco trascorso il
momento in cui hanno smesso di considerarti un bambino e non manca molto a
quello successivo in cui verrai chiamato adulto.
Non
era già più una bambina, per modi e aspetto; aveva appena imboccato con grazia
la strada per diventare donna.
Charlotte
arrossì, come da copione, ma non abbassò lo sguardo. Aveva gli occhi verdi come
caprifoglio, come le migliori speranze che l’inverno ripone nella primavera;
portava i capelli sciolti sulle spalle.
La
postura rigida, il modo in cui teneva le ginocchia unite, le mani sovrapposte e
l’espressione sicura e ad un tempo vaga, tutto aveva il potere di intenerirlo e
metterlo curiosamente a disagio, farlo sentire responsabile. Crescendo insieme, pensava, si finisce per sviluppare un amor proprio
anche nei confronti degli altri; si collezionano i premi e i meriti di un
amico, facendosene un vanto come se fossero propri. Quello era anche il
loro caso.
Gideon
guardò fuori per orientare i pensieri verso altri lidi e fu allora che la vide:
la ragazzina dai capelli neri e gli occhi senza tempo. Forse avvenne un
cambiamento di espressione sul suo viso, una scintilla di curiosità ad animarlo
o un guizzo d’interesse, o forse fu solo l’intuito che il luogo comune
attribuiva alle donne.
Charlotte
seguì la direzione del suo sguardo e nella sua espressione fu disperatamente
evidente l’emozione contro cui lottava. Gli occhi non sembrarono più di un
verde positivo e raccolto, ma carico di cose meno misteriose e più umane.
-
Mia cugina Gwendolyn – pronunciò, accusatoria. – Ormai è sempre assieme a quella
sua amica laburista. Lexie, mi pare che si chiami. –
-
Cosa sta facendo? – domandò Gideon, volutamente neutro. In cuor suo era
divertito da quella ragazzina, eccentrica come un fiordaliso in un mare di
rose.
A
tutta prima era una normale ragazza che dopo la fine delle lezioni si trattenga
a parlare con un’amica sui gradini della scuola, ma la torsione del busto, il
gesticolare che accompagnava il flusso ininterrotto delle sue parole, il
fatto che l’amica – rossa e lentigginosa – l’ascoltasse parlare con interesse e
che il suo volto fosse rivolto al punto che l’altra stava osservando e con cui
stava discutendo così animatamente…
-
Parla con l’albero – osservò Gideon con un sorriso esterrefatto.
-
Ah, sì – replicò Charlotte in tono di aperto biasimo. – Vorrebbe far credere di
essere capace di vedere fantasmi, spiriti e Dio sa cos’altro. –
-
Una sorta di medium. –
-
Esatto. – Charlotte annuì con aria di trionfo. – Non lo trovi un tentativo
infantile e goffo di richiamare l’attenzione? –
La
ragazza non sembrava tenere in considerazione cosa pensassero di lei gli altri,
tanto più che il risultato, dopo la prima reazione generale di interesse e
stupore, era di derisione a quella manifestazione di stramberia. Era da
scartare a priori che fosse quella la ragione di un comportamento tanto
bizzarro.
Charlotte
era in attesa. Sembrava che fosse stranamente importante per lei che lui
confermasse che sua cugina era strana, che andava compatita.
Non
gli fu difficile comprendere il reale sentimento dietro la maschera di
facciata. Era lo stesso che aveva provato anche lui in passato, rivolto a suo
fratello. Invidia, rancore, nostalgia di
una normalità mai avuta, di cose mai provate. Capire che anche Charlotte
potesse nutrire gli stessi sentimenti lo riempì di una rabbia frustrante.
Ancora una volta, sentì quasi di odiare quella ragazza, così preferì dare per
scontato che fosse sciocca e immatura, superficiale e frivola.
Gideon
annuì con deliberata lentezza. – Immagino che sia difficile non covare una
certa invidia nei tuoi confronti, Charlotte. Viaggi del tempo a parte. –
Charlotte
gli rivolse un sorriso radioso, gratificata dal complimento e Gideon tornò ad
osservare vacuamente il paesaggio fuori dal finestrino mentre la macchina
procedeva verso Temple, la promessa di un noioso pomeriggio di lezioni e
salamelecchi.
Scottish
Borders (Scozia), Melrose, 2000
La
tenuta di campagna dei Montrose era in Scozia e il tragitto da Londra richiedeva
diverse ore in macchina. Ciò era dovuto non tanto alla distanza in miglia
quanto alla strada accidentata che erano costretti a percorrere per
raggiungerla.
Gideon
cercava di godersi il più possibile il viaggio e guardava con occhi spalancati
il paesaggio fuori dal finestrino: declivi scoscesi, ripidi e pietrosi; oltre
le nuvole sprazzi del cielo più azzurro che avesse mai visto.
Mr
George, nel sedile al centro, gli sorrise con aria benevola. – Ti piace la
Scozia? –
Gideon
annuì, entusiasta. – La casa di Lord Lucas è molto distante? –
Mr
George gli assicurò il contrario e lui tornò a premere il naso contro il vetro.
Avrebbe voluto abbassarlo, ma il dottor White era stato chiaro al riguardo
quando, sventato un primo e unico tentativo, lo aveva redarguito su raffreddori e altri
malanni fastidiosi che un comportamento del genere – scellerato, era stato il suo giudizio - avrebbe potuto causargli.
Poi, come se avesse cambiato idea, aveva sbuffato e con malagrazia gli aveva
offerto una Granny Smith, affermando che al loro arrivo avrebbe avuto modo di
godere del panorama e dell’aria salubre del luogo.
Nonostante
la compagnia bizzarra che Mr George e il dottor White formavano insieme, Gideon
non era mai stato così felice di essere un portatore del gene dei viaggi del
tempo come in quel momento. Felice ed eccitato.
Perché
quella non era una gita di piacere. Non si trattava nemmeno di una vacanza
riposante o di una visita di cortesia. Quello era il giorno in cui l’undicesimo
viaggiatore avrebbe incontrato la sua compagna di viaggio, la fine del cerchio.
Viaggiatore che riconosceva viaggiatore.
Il
tempo si dilatò fino al momento in cui la Rolls-Royce posteggiò nel piazzale di
ghiaia davanti alla residenza, una tipica casa di campagna inglese: linee
eleganti e snelle, circondata da un parco con sentieri per le passeggiate.
Gideon
si sentiva tanto nervoso che, scendendo, si strofinò i palmi sul tessuto dei
pantaloni, tanto per fare qualcosa. Al contrario di Londra l’aria era nitida, rarefatta
in un silenzio friabile.
–
Benarrivati, vi attendevamo. Lord Lucas è nel parco con il resto della
famiglia. – Il maggiordomo aveva gli occhi di un gufo e li accolse con
un’occhiata indecifrabile e un inchino impeccabile.
- Grazie, Mr Bernhard – rispose Mr George. Si tamponò il retro del collo e la
fronte con il fazzoletto che portava nel taschino. – Sarebbe tanto gentile da guidarci?
–
Mr
Bernhard fece un cenno ossequioso e la piccola comitiva seguì il maggiordomo attraverso
un corridoio pieno di quadri, un salone di rappresentanza e infine in un accogliente
salottino che tramite grandi porte-finestre immetteva nel giardino.
Il suono
di risate infantili e il tintinnio delle tazze era inconfondibile. Dopotutto
era l’ora del tè.
Mr
Bernhard non li fece andare oltre e Gideon intuì la ragione. Non c’era modo di
farsi più avanti senza necessariamente annunciare la loro presenza e questo non
sarebbe successo finché lui non l’avesse individuata.
L’altra viaggiatrice del tempo, la
seconda della loro generazione, l’ultima dei Dodici.
-
Ora tocca a te, Gideon – disse Mr George, mettendogli le mani sulle spalle e
spingendolo avanti.
Il dottor
White borbottò qualcosa, probabilmente quanto sciocca e ridicola fosse l’intera
faccenda. Erano giorni che non faceva altro, da quando suo zio Falk gli aveva
comunicato la decisione dei Guardiani di metterlo alla prova.
Per
un interminabile secondo Gideon pensò a suo zio, a quello che gli aveva detto. “Intendono verificare se sia possibile da
parte di un viaggiatore riconoscere un suo simile senza conoscerne in
precedenza l’identità. Tu non hai nulla da obiettare in proposito, vero Gideon?
D’altronde non vedo come questo piccolo esperimento possa nuocerti.”
Gideon
non aveva trovato nulla da ridire. La curiosità, in effetti, aveva superato di
gran lunga qualsiasi altra emozione, compresa la noia delle lezioni. Gettò
un’occhiata fuori.
Nell’ombra
del sole calante, circondata da frasche e rampicanti, c’era una nicchia
occupata da un tavolino apparecchiato attorno al quale quattro signore eleganti,
due giovani e due un po’ più in là con gli anni, stavano bevendo il tè e
mangiando scones. Poco distante, su un telo steso sull’erba, un signore
distinto dai capelli d’argento leggeva a due bambini dai capelli rossi mentre
un’altra, dai lunghi crini corvini e una strana voglia sulla fronte, prestava
attenzione un poco discosta. Qualcosa nel suo atteggiamento, solo l’apparenza
della sottomissione, colpì Gideon.
Si
teneva le ginocchia contro il petto con aria accigliata, gli occhi di un
azzurro vivido fissi davanti a sé. Di quando in quando lanciava occhiate intimidite
in direzione del tavolo e delle quattro signore, muovendo le labbra con fretta
agitata, come se stesse parlando con qualcuno e cercasse, se poteva evitarlo,
di non farsi scoprire.
Anche
il signore doveva essersene accorto. Smise di leggere, posò giù la bambina che
aveva in braccio e si avvicinò. La bambina bruna smise di parlare e arrossì, ma
il signore le sorrise affettuosamente, le disse qualcosa di rassicurante e le
accarezzò la testa.
Tranquillizzata,
lei gli presentò il posto vuoto e il signore fece un inchino affettato all’amico
invisibile col quale stava discorrendo. La bambina ricominciò a parlare senza
più nascondersi e trascinò nella conversazione anche gli altri due bambini che
batterono le mani, entusiasti, ponendo una miriade di domande al fantasma
immaginario, a cui la bambina più grande rispose con garbo e calma. Il signore
si voltò verso il lato più estremo del giardino e chiamò qualcuno per invitarlo
a unirsi a loro. Solo allora Gideon si accorse della presenza di un’altra
bambina, seduta all’ombra di una betulla a leggere per conto suo, anche lei con
i capelli della stessa tonalità di tutti gli altri: rossi come il fuoco. Come un rubino. Li teneva legati in una
treccia ordinata, stretta. Rivolse un breve sguardo al gruppetto, declinò
l’offerta e tornò alla lettura.
Senza
volerlo, Gideon si ritrovò a confrontare la bambina dai capelli neri e arruffati
come un piccolo corvo e quella dai capelli rossi e l’espressione da fata, il
sorriso spensierato dell’una e quello assorto dell’altra. Il modo in cui una gesticolava
e quello in cui l’altra teneva la schiena dritta contro la corteccia
dell’albero in modo innaturale, facendolo apparire normalissimo.
Gideon
guardò l’una e l’altra. La bambina che si teneva da parte, fuori dal mondo,
immersa in un libro più grande di lei e quella che invece rideva, strappando
risate di divertimento al signore distinto, ai due bambini più piccoli, immersa
nel mondo, parte di esso. Aveva gli occhi azzurri come il cielo sopra di lei:
l’inizio e la fine del tempo.
Lui
non ricordava di aver mai riso così, con tanta leggerezza, o almeno con nessuno
che fosse rimasto a ricordarlo. Con suo
padre forse? Ma era stato tanto tempo prima. Troppo per fare paragoni.
-
Cosa guardi, Gideon? –
Una bambina, un rubino, una come me e
una che non lo sarà mai.
Gideon non rispose. La indicò. La bambina dai capelli neri.
Una
parte di lui desiderava che fosse lei il rubino con la stessa intensità con cui
voleva che non lo fosse. Perché se fosse stato vero, se fosse stata lei il
rubino, presto non avrebbe più sorriso così. Le lezioni del mistero le
avrebbero tolto ogni desiderio di ridere, la scherma le avrebbe dato quella
compostezza che a lui faceva tenere la schiena rigida anche ore, giorni dopo.
L’avrebbero plasmata, educata, ingabbiata. E della buffa espressione da monella
non sarebbe rimasto che un ricordo.
Quando
il dottor White sbuffò dietro di loro, dichiarando apertamente l’insensatezza
dell’esperimento e Mr George sospirò e indicò l’altra bambina, quella simile a
lui, già istruita a dovere, Gideon combatté tra delusione e sollievo. – Oh –
disse soltanto. Non si accorse di avere gli occhi lucidi, di avere stretto i
pugni.
Si
sentiva sommerso da troppe emozioni, troppe informazioni, troppo di troppo.
Voleva
il sorriso di quella bambina. E più di ogni altra non voleva invidiarla.
Rendersene conto gliela fece quasi odiare.
-
Lord Lucas – disse Mr George.
Gideon
smise di fissarsi la punta delle scarpe e arrischiò una rapida occhiata alla
porta dello studio. Il signore distinto dai capelli d’argento e il cravattino
era proprio Lord Lucas, il Gran Maestro. Era la prima volta che gli capitava di
vederlo da così vicino, senza il nugolo di guardiani della cerchia interna ad
attorniarlo.
Dall’altro
lato della stanza Lord Lucas gli rivolse un sorriso gentile e Gideon riprese a
contare le trame del tappeto persiano.
Sentì
Mr George spiegare che qualcuno non l’aveva presa bene, che l’esperimento era
stato un completo fallimento. Gideon chiuse gli occhi e serrò le mani. Stavano
parlando di lui. Il fallimento era lui.
Il
dottor White aggiunse qualcosa, ma Lord Lucas dichiarò con voce ferma: – Ho sempre ritenuto che si trattasse di un
azzardo, ma era espressa indicazione del conte che il primo incontro del diamante
con il rubino avvenisse in queste circostanze atipiche, per cui non ho potuto
oppormi, qualunque fosse la mia opinione in merito. –
Mr
George abbassò la voce per dire qualcos’altro che Gideon non riuscì a sentire.
Poi fu costretto a guardare di nuovo verso l’alto.
–
Gideon. – Lord Lucas si era avvicinato alla sedia. Gli si inginocchiò di
fronte e gli prese le mani. – Non c’è nulla di cui tu debba vergognarti. –
- Ho
fallito – ammise Gideon, deglutendo il groppo amaro che aveva in gola e che gli
scavava nel petto. Cosa avrebbe detto di lui lo zio Falk? Cosa avrebbe pensato?
Che aveva disonorato il nome della famiglia? – Non l’ho riconosciuta. –
Le
labbra di Lord Lucas si contrassero e Gideon vide un lampo attraversare gli
occhi azzurri, indecisione o rimprovero rannuvolargli il volto stanco.
– È
quello che stavo dicendo. Ha indicato la piccola Gwendolyn invece di Charlotte
– intervenne Mr George.
-
Non mi sembra il caso di farne un dramma – ribatté Lord Lucas. - I memoriali
non fanno parola di un viaggiatore che sia riuscito a riconoscere un altro
viaggiatore senza le debite presentazioni e ricerche. Lo stesso conte – ma qui
si fermò e tacque, dopo un respiro profondo che cancellò ogni traccia
dell’irritazione che aveva manifestato appena un istante prima.
-
Guardami, Gideon. –
Gideon
obbedì e di nuovo non vide rabbia negli occhi del Gran Maestro, solo dolcezza.
– Non devi fartene una colpa, ma dimmi, in confidenza, perché hai creduto che
fosse Gwenny? –
Gideon
non avrebbe saputo spiegarlo, non a parole almeno. Era qualcosa che aveva
sentito dentro, veloce, violento, un fiotto di calore. – Per via dei suoi… - si
sentì arrossire - occhi. –
Lord
Lucas annuì con l’aria di un cospiratore mentre un largo sorriso gli spianava
le rughe e ne creava altre di tipo diverso. – Sono sempre quelli a fare la
differenza, vero? Ci imbrogliano nei loro segreti. –
Gli
occhi sono lo specchio dell’anima, ricordò Gideon.
Quelli
di Lord Lucas e anche della bambina che non possedeva il gene non avrebbero
viaggiato come lui nel tempo, non avrebbero visto molte delle cose che invece lui
avrebbe visto, ma possedevano comunque una loro bellezza, qualcosa che i suoi
non avrebbero mai ottenuto malgrado tutti i viaggi che avrebbe fatto. Che cosa
fosse restava un mistero.
-
Mio caro bambino, che rimanga tra noi, ma sono proprio contento che alla mia
piccola sia stato tolto l’onere di questo fardello. Non è qualcosa che è pronta
a portare, non ancora. Viaggiare nel tempo è un dono, ma comporta altresì doveri
e obblighi - si lisciò i baffi. - Per non contare il numero increscioso di
responsabilità da adempiere. Ormai è richiesta una preparazione, la conoscenza
di nozioni che le negherebbero l’infanzia felice che io mi auspico che abbia.
Ha già ricevuto abbastanza dispiaceri considerata la giovane età. –
Gideon
non era certo di aver capito. Mr George intervenne con aria turbata: - Avevo
sentito della malattia di tuo genero, ma non avevo dato adito alle chiacchiere.
Che cosa terribile. Grace deve essere distrutta. –
Il
dottor White era una statua di sale, il volto grigio e tirato.
Lord
Lucas, di nuovo in piedi, prese la mano che Mr George gli aveva porto e la strinse
con forza, quindi si voltò verso il dottore con aria afflitta.
–
Jake, mi scuso se ho involontariamente innescato ricordi dolorosi. –
Il
dottore doveva essere in una delle sue disposizioni d’animo particolarmente
brusche. - Non dirlo neppure per scherzo, Lucas, o giuro sull’amicizia che ci
lega che niente mi esimerà dal mandarti al diavolo. -
- Vi
ringrazio entrambi – disse Lord Lucas in tono commosso. – Se non vi dispiace,
ho una richiesta da farvi. Occorre che mi lasciate solo con Gideon. Ci sono
cose urgenti di cui dobbiamo discutere in privato. –
Se
il dottore White annuì, imperturbabile, Mr George parve a disagio. – Sai bene
che il protocollo non prevede –
Lord
Lucas non gli diede l’opportunità di concludere, raddrizzò le spalle e quel
semplice gesto parve infondergli autorevolezza. – Il lato positivo della carica
che rivesto è che ho la piena facoltà di scavalcare la prassi. Non volevo
metterla in questi termini, ma in qualità di Gran Maestro vi esonero dalla
tutela del diamante per i prossimi – gettò un’occhiata all’orologio a cipolla
appeso al suo panciotto – quindici minuti. Mr Bernhard vi scorterà nel patio
dove sono più che certo che mia moglie vi delizierà con il migliore tè corretto
da Glasgow a qui. –
Dopo
che Mr George e il dottor White furono usciti, scortati da Mr Bernhard, Lord
Lucas si voltò verso di lui con fare concitato. - Bene, abbiamo poco tempo e si
sa com’è il tempo: fugit. Perciò Gideon,
presta la massima attenzione a ciò che sto per dirti. –
Il
bambino annuì, confuso.
–
Tra poco arriverà, forse sarebbe più esatto dire che apparirà. Ebbene, apparirà
qualcuno. Devi promettermi che non griderai e che ascolterai ciò che questa
persona avrà da dire fino in fondo. Sopra ogni altra cosa devi promettermi che,
qualsiasi cosa succeda, nulla di tutto questo uscirà da queste quattro mura,
che non ne parlerai con nessuno per nessuna ragione al mondo. Ho la tua parola?
–
Gideon
non rispose. Lord Lucas lo incalzò. – Gideon, ho bisogno della tua parola. Da
questo dipenderà gran parte del futuro degli anni a venire e suggellerà
definitivamente il passato. Ne va della vita di molte persone, compresa quella
di mia nipote Gwendolyn. Mi dai la tua parola? –
Al
sentir nominare la bambina dagli occhi di cielo, Gideon si riscosse. – Avete la
mia parola. –
Lord
Lucas assentì, rasserenato. – Sei un bravo bambino e diventerai anche un brav’uomo,
come tuo padre. –
Fu
in quel momento che si udì un forte rumore. Qualcuno comparve dal nulla, urtò
la monumentale poltrona davanti al caminetto e fu sul punto di cadere.
L’uomo
era alto e giovane, sulla trentina. Aveva i capelli scuri e gli occhi verdi, un
volto stranamente familiare. Aveva anche un brutto taglio sulla tempia e gli
abiti sporchi di fango. Imprecò mentre si raddrizzava. Lord Lucas lo accolse
con una risata che spazzò via l’espressione tesa. – Buon Dio, ragazzo, per
quanto piacevole sia ricevere tue visite, ogni volta rischio di rimetterci un
pezzo di mobilio. -
L’uomo
si buttò indietro i capelli scarmigliati per sorridergli di rimando. - L’ultima
volta era un Luigi XV, se non sbaglio. –
-
Non sbagli. Arisa non mi ha rivolto la parola per due giorni. –
- Ne
sono addolorato. –
-
Mio caro ragazzo, senza ulteriori indugi ti presento Gideon. Gideon, questo
signore è un amico, un viaggiatore come sarai tu stesso un giorno. –
Gideon,
che aveva fissato la scena a bocca aperta, la richiuse. – Vieni dal futuro,
giusto? Da quando di preciso? – domandò.
L’uomo
sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchissimi. – Cosa te lo fa
credere? –
- I
tuoi vestiti – ribatté il bambino con prontezza. – E comunque chiunque sa che
il viaggio nel tempo è unilaterale: si
può trasmigrare solo dal futuro nel passato. –
L’uomo
fischiò. – Per carità, non ricordavo di essere così saccente. Già all’epoca non
ero certo quel che si definisce un bravo soldatino. –
Gideon
ammutolì e l’uomo annuì, picchiettandosi la tempia. – So cosa stai pensando. Lo
ricordo. Benvenuto nel remoto futuro non prossimo, Gideon. – Stirò le labbra in
un sorriso rapace, spalancando le braccia affinché potesse vederlo meglio. – Io
sono quello che sei destinato a diventare. –
Lord
Lucas gli posò una mano sul braccio per frenarlo. – Basta così, Gideon. È solo
un bambino, bada a quello che dici e al modo in cui lo dici. –
- Il
bambino è me e dal mio punto di vista l’incontro è già avvenuto. Venti anni fa
per la precisione. Ricordo ogni parola come se ce l’avessi impressa nella
memoria. Ti prego, Lucas, so quel che faccio. –
Lord
Lucas lo lasciò andare a malincuore. – Lo spero per te, ragazzo. Come sta la
mia nipote preferita? –
– Sta
bene, ma il viaggio l’ha stancata più di quanto ammetta. Con la gravidanza il
suo umore è diventato più instabile che mai. –
Lord
Lucas sembrava divertito. - È una Montrose. Meravigliosa tre quarti del tempo e
impossibile in quello che resta. –
- Il
tempo nel nostro caso c’entra ben poco. È tutta questione di tempistiche.
Tempistiche a me troppo spesso contrarie. Lucas, l’Alleanza ci sfida come mai
prima d’ora aveva osato. Ci è alle costole. –
Lord
Lucas annuì. – Lo so. Me lo hai raccontato l’ultima volta che ci siamo
incontrati a Temple. È stato un mese fa. –
Gideon
vide il se stesso futuro trapassarsi i capelli, frustrato. – Mi fa piacere
saperlo. Nel mio caso quell’incontro deve ancora avvenire. Inutile che ti dica
che è necessario che l’Alleanza venga sgominata prima dell’approssimarsi della
nascita del bambino. Ormai manca poco e tenere Gwenny all’oscuro supera ogni
mia capacità. Ora è sotto la custodia di persone fidate, ma sai com’è fatta,
quanto è impulsiva. –
-
Brutta, brutta faccenda. – Lord Lucas
cominciò a fare avanti e indietro nella stanza. Era lui, ora, a sembrare un
leone in gabbia. – Purtroppo tutte le ricerche che ho condotto mi hanno portato
in un vicolo cieco. Sembra che nessuno sappia niente al riguardo o piuttosto
che nessuno voglia ammettere di sapere qualcosa di utile. Dobbiamo ritardare la
consegna. Nel frattempo dovrei riuscire ad inventarmi qualcosa. –
Il
Gideon versione adulta scosse la testa. – Un mese non è abbastanza e la
consegna non può essere rimandata. L’unica opzione ragionevole è che tu stesso
vada in Italia. –
Lord
Lucas ci ragionò. – Potrei motivare il viaggio con le future trasmigrazioni di
Gideon lì, per quando dovrà recuperare il sangue di Cecilia Woodville. -
-
Ottima idea – approvò Gideon. Poi fece una smorfia. – Manca poco, Lucas. Gideon
– si voltò verso di lui, gli occhi e la striscia rossa della ferita fresca erano
l’unica nota di colore nel volto cereo.
– Non ti fidare di Mr Whitman. Tienilo
a mente. Quell’uomo sarà un –
Era
scomparso.
Lord
Lucas andò al carrello dei liquori, si versò un bicchiere di scotch e si
sedette nella poltrona di pelle contro cui il futuro se stesso si era
scontrato, si sarebbe scontrato?, immerso
in cupe meditazioni. Gideon aveva una miriade di domande e tanti di quegli
interrogativi che non riusciva a scegliere quale porre per primo. – Perché era
necessario che io assistessi? –
Lord
Lucas rialzò la testa, lo rimise a fuoco a fatica. All’improvviso sembrava
stanco e incredibilmente vecchio, dimostrava ogni capello bianco e ogni anno
che aveva. – Sei stato tu, intendo il te del futuro, a chiedermelo. Se avessi
saputo che arrivato a questa età la mia vita sarebbe stata ingarbugliata a tal
punto, forse da giovane mi sarei lamentato meno della quiete del periodo di
apprendistato alla Loggia. Per quanto scarrozzare Lucy e Paul nel passato possa
rientrare in qualsiasi definizione distorta del termine ‘quiete’. –
Gideon
deglutì. Sentiva la testa gonfia come una mongolfiera. Se avesse allentato la
presa sarebbe volata via, in balia delle correnti d’aria. - Non capisco. –
-
Non ti do torto. Io stesso al momento ci capisco ben poco. È la maledizione dei
viaggi del tempo: colossali mal di testa e l’impressione costante di aver perso
pezzi di conversazione per strada. –
Scomparso
Gideon, entrambe le versioni – bambino e adulto -, fu la versione futura di sua
nipote a comparirgli di fronte, improvvisa e incantevole come la fioritura
fuori stagione di un fiore.
Lord
Lucas sollevò il bicchiere con lo scotch in un brindisi silenzioso. – Dei
tutti, chinate il capo al cospetto di mia nipote – la lusingò, indicandola – il
Genio fatto a persona. –
- Un
vecchio trucco messo a punto negli anni. - Lei cercò di schermirsi, ma era un
libro aperto. Compiacimento a parte, rimaneva una vista benefica per gli occhi
e per il cuore.
Lord
Lucas si alzò e la strinse in un caloroso abbraccio, badando a non stringerle
l’addome. – Fatti guardare, nipotina. Un attimo fa ero in giardino ad
ascoltarti parlare con il mio trisavolo Thomas ed ora eccoti qua: alta quanto
me e in dolce attesa. Misteri del tempo o bizzarrie della vita, mi sento un
uomo molto fortunato in questo momento. –
Gwendolyn
sorrise con una dolcezza nuova e squisita. La dolcezza di una donna che si
scopre capace dell’amore massimo, infinito: quello materno. – Mi sei mancato,
nonno. –
- Lo
spero bene. Sembra passata un’era da quando avevi sedici anni e ti consolavo
per le pene di cuore. –
Gwendolyn
si sedette nella poltrona accanto, tenendosi la curva pronunciata della pancia con
un braccio, delicatamente. – In effetti sono trascorsi più di dieci da allora.
–
-
Poco fa Gideon è stato qui. Se fossi arrivata con pochi secondi di anticipo
avresti incrociato la sua versione più giovane mentre usciva con idee
molto confuse riguardo ciò a cui ha assistito. –
La
notizia la deliziò. – Oh, che amore! Non potresti richiamarlo? Potremmo fingere
che io sia Violet Purpleplum o anche quell’orribile Hazel, se proprio ci tieni.
–
Lord
Lucas non nascose un sorriso divertito. – Hazel è morta due anni fa e per
quanto mi alletti l’idea di vederti cinguettare amene sciocchezze a tuo marito
quando era un moccioso, devo rifiutare. In giardino ho le tue zie e una moglie
che penserebbero le cose peggiori se dovessi presentarmi sotto braccio ad una
sconosciuta tanto avvenente. –
Gwendolyn
imprecò con vigore. – Zia Glenda ne sarebbe di certo capace. –
Lord
Lucas smise l’aria svagata. – Come vanno le cose nel futuro? Non ho mai capito
se la tua parlantina sia un segnale di calma o un’avvisaglia di pericolo. –
-
Temo entrambe le cose, nonno. Secondo Xemerius, il demone-doccione di cui ti ho
parlato, ricordi?, sono l’umana più chiacchierona che abbia incontrato in
cinque secoli di vagabondaggio. –
-
Non mi riesce difficile crederlo. –
-
Nonno! – Gwendolyn rise.
- Ti
vedo tranquilla e, più importante ancora, felice. Dopo tanti affanni, deduco
che il pericolo imminente di cui ho discusso poc’anzi con tuo marito sia già un
trascorso del passato. –
Gwendolyn
annuì, con cipiglio deciso. – L’Alleanza è morta e sepolta. –
- Ne
sono lieto. E dimmi, hai già deciso come chiamare il mio bisnipote? –
-
Avevo pensato al nome del padre di Gideon, se sarà maschio e se invece fosse
femmina… Arisa. –
Nonostante
tutto quello che sapeva, Lord Lucas sentì una trafittura contrargli il petto.
- Mi
dispiace, nonno. –
-
Non devi – disse burberamente e le batté un buffetto sul dorso della mano. –
Quando avrai vissuto quanto me, capirai che la morte non è il male peggiore che
si possa patire. La perdita di chi ami, sapendo che non potrai seguirli, quella
è la peggiore delle punizioni e grazie a te so da tempo che mi sarà risparmiata.
-
Gweeny
aveva gli occhi lucidi e le tremavano le labbra. – Ti voglio bene, nonno. –
Glielo
ripeteva spesso, ad ogni incontro, come se ogni volta temesse che potesse
essere l’ultima occasione per dirlo. Prima o poi, pensava lui, sarebbe stato
così. Anche per un viaggiatore del tempo, il tempo, così prolifico di eventi e
poco lineare, finiva con l’assumere un ché di definitivo, sapeva di commiato
preventivato.
Scottish
Borders, Melrose, 2019
Nel
presente la tenuta di campagna aveva un aspetto assai meno curato rispetto al
periodo in cui suo nonno era vivo. Lo studio aveva accumulato anni di disuso in
cui a chiunque, inclusa Lady Arisa, era stato vietato l’accesso. Oltre lo
strato di polvere si percepiva ancora, come il profumo acre e stantio di sigaro
che permane nell’aria dopo che si è fumato, la presenza del suo proprietario.
Socchiudendo
gli occhi, Gwendolyn aveva l’impressione di vederlo ancora, dietro lo scrittoio
sommerso di documenti e carte, con gli occhiali rotondi di tartaruga a
ricadergli sul naso, intento a rileggere e studiare, fare ricerche e
complottare per il bene della famiglia alle spalle di tutti.
- Me
l’hai fatta sotto al naso. –
Gwendolyn
non sussultò e quando dalla penombra emerse Gideon, si limitò a sospirare, più
per il fastidio che per reale dispiacere. – Come mi hai scoperta? –
Gideon
si appoggiò al davanzale della finestra. Non sembrava un fantasma in procinto
di scomparire e dell’arruffata criniera che aveva sfoggiato per mesi non era
rimasto che il ricordo. Ora erano tagliati dietro le orecchie e la barba era rasata.
Anche i cerchi attorno agli occhi erano scomparsi del tutto. Appariva composto
e tranquillo, un fiero leone nero che si gusta il banchetto della vittoria.
Solo lo sguardo, pensò, covava qualcosa di più profondo della semplice inquietudine,
rimandava al ricordo autentico e vivo della disperazione e della solitudine,
fiammeggiava come i fuochi fatui delle leggende popolari, quelli che
accompagnano la Morte e che precedono la notte più cupa, gli incubi e la luna
nera.
-
Leslie? – chiese Gwenny e si sfilò i guanti. Il fuoco nel camino era acceso, ma
il centro della stanza era freddo nel punto in cui lei era riapparsa.
-
Bentornata, mammina. Il bel ragazzo qui ha fatto il diavolo a quattro quando ha
scoperto il tuo viaggetto fuori programma. – Xemerius era accovacciato ai suoi
piedi e il freddo, per quanto acuto, diventava sopportabile se ad accompagnarlo
era la voce insolente del demone, il suo grifo ghignante. – Ho provato ad
urlargli che non poteva entrare, che avevi un incontro supersegreto, ma non mi
ha ascoltato. Oh, credo che abbia anche forzato la serratura dello scrittoio in
cui conservi i tuoi diari, ma non ne sono sicuro. Ero di là a controllare che la
tua amichetta non facesse esplodere la cucina. –
-
Mmm. –
-
Non dici altro? – Gideon si staccò dalla rientranza ad arco della finestra e in
pochi passi le fu di fronte, scuro in volto. – Io non so più che fare con te,
Gwendolyn. Ogni volta mi convinco di essere riuscito a dissuaderti dal
commettere qualche sciocchezza e poi ecco che tu la compi, alle mie spalle e
con la complicità di –
Gwenny
non gli diede modo di completare. – Lascia Raphael e Leslie fuori da questa
storia. –
Incredibilmente
lui non reagì. Le mise le mani sulle braccia, poco sopra i gomiti e poggiò la
fronte contro la sua. – Non capisci che mi fai impazzire? Letteralmente. Impazzisco
per la preoccupazione e per la frustrazione. Dieci anni e ancora non sono
riuscito a fare in modo che ti fidi di me. Dieci anni e ancora mi nascondi i
tuoi pensieri, le tue intenzioni. –
Gwendolyn
gli accarezzò la guancia, sentendosi un mostro di colpevolezza e lui le prese
la mano, la voltò e le baciò il palmo, l’interno del polso.
–
Era solo una visita a mio nonno – disse in tono pentito.
-
Quando? – chiese Gideon senza lasciare la presa.
Non
rispose e lui smise di fare quello che stava facendo per guardarla in faccia,
serio, e poi, mentre la comprensione faceva capolino, stupito. – Quel giorno? – domandò. – Gwenny, perché
spingersi a tal punto? – Le sfiorò le palpebre, le ciglia umide e quando lei le
chiuse, gliele baciò.
-
Dovevo vederlo un’ultima volta prima che… - non riuscì a terminare la frase,
scoppiò in singhiozzi e lui la abbracciò. Gwendolyn lasciò che la
trascinasse fino alla poltrona di fronte al camino e lì sprofondasse con lei
seduta sulle sue gambe, come una bambina troppo cresciuta o più probabilmente
mai davvero cresciuta in realtà.
-
Bleah. Moccio e minaccia di altri baci nell’aria – commentò Xemerius
disgustato, da un punto impreciso dietro di loro. – Io vado a farmi un giro.
Chissà che nel frattempo la tua amica non sia riuscita a cucinare qualcosa di
commestibile per la cena. Tanto intelligente e alla fine non riesce a cuocere
un uovo. Perlomeno il francese prepara delle omelette fantastiche. –
Gwenny
soffocò un altro singhiozzo, questa volta rassomigliava ridicolmente ad uno
sbuffo.
– È
ancora qui? –
Gwendolyn
riemerse dalle pieghe del suo maglione e tirò su con il naso. – Chi? –
Gideon
alzò gli occhi al soffitto, poi li volse in giro per la stanza, trapassando gli
angoli bui, come se nascondessero diavoletti con corna e bastoni appuntiti. -
Il tuo segugio fantasma. Scommetto che ti ha già raccontato di come ho sottratto
furtivamente i tuoi diari. –
Gwendolyn
non negò.
-
Avresti potuto parlarmene. –
-
Per dirti cosa? – domandò lei, giocando con il ciondolo che portava al collo. –
Che segno ogni viaggio nel tempo per sapere esattamente quanti giorni mi
rimangono da trascorrere con la mia famiglia? Che su un altro indico tutte le
volte in cui lascio Leslie, mia madre, zia Maddy, Nick e Caroline da soli, così che in
futuro una versione più vecchia di me possa andare a trovarli? Suona patetico.
–
-
Suona umano – ribatté Gideon. Le toccò i capelli.
Gwendolyn
appoggiò la testa contro la sua spalla, premette la guancia sulla lana morbida
del vecchio maglione che lui indossava, un primo e maldestro tentativo di
lavoro a maglia che aveva realizzato molti anni prima, quando era ancora una
liceale svampita.
-
Non ti terrorizza mai? Il pensiero del futuro, l’idea che noi saremo ancora qui
quando tutti gli altri non ci saranno più. -
Gideon
smise di accarezzarle i capelli. – No, perché tu sarai con me. –
- E
i nostri figli? E i figli dei nostri figli? – Il panico rendeva la sua voce
graffiante.
-
Gwenny, guardami. – Lei obbedì. Gli occhi di Gideon riflettevano lo stesso tipo
di sgomento che lei sentiva sottopelle: piccole serpi e sanguisughe di calore.
-
Nessun genitore dovrebbe sopravvivere al proprio figlio. È contro natura, ma
noi abbiamo un dono e –
-
Non citare Spiderman. Lo so da sola che da grandi poteri derivano grandi
responsabilità. –
Gideon
sorrise. - Sono un nerd. –
- Un
nerd piuttosto sexy – confermò Gwendolyn. – E notizia flash: essere immortali
non è né un potere né un dono. –
-
L’infinito dà un certo senso di finitezza, vero? D’improvviso tutto appare così
fragile. Sembra basti pochissimo perché ti sfugga tra le dita come polvere. È
il vuoto lasciato dal tempo. –
Gwendolyn
non riuscì a trattenere una risata e poi un’altra e un’altra ancora. Prima di
accorgersene stava ridendo fino ad avere il fiato corto. - E questa da dove ti
è uscita? -
-
Almeno hai smesso di fare il salice piangente. –
-
Già, immagino di doverti ringraziare, giusto? –
- Un
grazie sarebbe apprezzato e un bacio è d’obbligo. –
Gwendolyn
sorrise. – Vada per il grazie, ma non credo che ti meriti un bacio. Hai frugato
tra le mie cose. –
Gideon
le sospirò contro la tempia. – Ciò che mio è tuo e ciò che è tuo è mio. –
-
Non pensare di circuirmi, usando la voce di velluto. – Gwendolyn cercò di
alzarsi, ma Gideon la trattenne, agguantandola per la schiena.
- La
prima volta che ti ho vista, avevi sette anni. Era estate e credo che tuo padre
fosse morto da poco. Ti ho odiata da
subito. –
Gwendolyn
tremò. Tutto ciò che aveva di Gideon era quel sussurro convinto nell’orecchio, vicino
e in qualche modo distante; la pelle a sfregare contro la sua; e le braccia con
cui la stringeva, salde come sbarre d’acciaio attorno al pancione, un peso morbido.
-
Sembravi una bambina felice, di fronte a te avevi una vita facile, avevi una
famiglia che ti amava. Come avrei potuto non invidiarti? Era ingiusto che tu
avessi quello che io non avrei mai avuto. –
- E
poi? –
- Sono
passati altri sette anni. Quando ti ho rivista parlavi con un albero. –
Gwendolyn
lo sentì ridere, un suono dolce e familiare che fece scalciare il bambino. Buono, piccolo, lo richiamò con dolcezza. - Ti sarò apparsa come una
pazza. –
-
Eri quanto di più bello avessi mai visto. Eri buffa e divertente, avevi gli
occhi di tutti puntati su di te e sembrava che non te ne importasse niente. –
- Mi
sarebbe piaciuto conoscerti allora. –
-
Anche a me sarebbe piaciuto, ma tuo nonno aveva ragione. Non saresti stata tu,
non nel modo in cui lo sei ora. –
-
Maldestra e incapace. –
-
Genuina, sensibile e perspicace. Posso baciarti ora? –
Il
bacio arrivò e dopo tutto il tempo che era trascorso dal primo, anni e anni,
dopo tutti gli altri che lo avevano seguito, era meraviglioso accorgersi di
quanto riuscisse ancora a sconvolgerla. Risucchiò il vuoto a cominciare dalla
gola e poi dal cranio, da ogni biforcazione e nervo. Il vuoto scomparve, lo
sgomento si attutì, sostituiti da una vampa di calore che sfrigolò come energia brada.
Gwendolyn
sorrise contro le sue labbra e accantonò i brutti pensieri. Se glielo chiedeva in modo tanto gentile
come poteva resistere?
Pensieri
d’autore conclusivi e domande sparse:
Dopo
otto mesi senza internet, finalmente anch’io ho una connessione. Mia, mia, mia –
che parola meravigliosa! - e senza dover rubacchiare quella altrui, incrociando
le dita perché non salti o andare a scuola da mio padre, con tutto il casino
che i bambini riescono a produrre come atipico sottofondo xD
Gioisco
della mia gioia, per quanto assurdo suoni pensarlo, dirlo, ohibò, ancora di più
scriverlo.
Non pubblicavo
da maggio, giugno forse? Nel frattempo non ho smesso di scribacchiare, solo che
a rileggere ora tutto quello che ho scritto durante questo luuungo lasso di
tempo, non mi piace più come prima. Anche lo scritto qui sopra non è che mi
soddisfi pienamente, ma tant’è. Si migliora per tentativi e produzioni.
Melrose
è un piccolo paesino della Scozia. L’ho scelto perché mi piaceva la vaga assonanza
con il nome Montrose.
Laburista
è un partito politico britannico che si oppone a quello dei conservatori. Per ulteriori
informazioni consiglio la Treccani, se siete pigramente attivi quanto me anche
wikipedia va bene XD (E sì, Charlotte sbaglia di proposito il nome di Leslie)
La
Rolls-Royce dà meno nell’occhio della limousine ed era d’obbligo. Come si
potrebbe viaggiare nelle terre selvagge e brulle della campagna inglese,
preservando l’eleganza?
Granny
Smith è una tipologia di mela: buccia verde e polpa croccante, io personalmente
la adoro.
Finestre
nel tempo nasceva più per gioco che per altro. Inizialmente dovevano essere
scene d’infanzia – una sola, sull’adolescenza, quella all’inizio – di Gideon. Poi
come spesso accade, la piccola cosa che era nella mia testa si è ingigantita su
carta e mi sono ritrovata a fare i conti con il punto di vista di Gwenny che, reso
in terza persona, non la rispecchia in pieno, temo.
Sì,
Gideon non ricorderà l’incontro o forse sì, a voi l’ardua sentenza. Sì, quello
è il giorno in cui Lord Lucas ha un infarto e muore. Sì, nel futuro, Gideon e
Gwenny sono felicemente sposati e in attesa di un bebè e Raphael spera di
convincere Leslie a dirgli di sì, prendendola per la gola o per sfinimento. Credo
che avrà la meglio la prima opzione, d’altronde come dice Xemerius, fa delle
ottime omelette xD Sì nel futuro Lady Arisa è morta da un paio d’anni.
Uhm,
non mi sembra ci sia altro da aggiungere/spiegare. Nel caso ci fosse, però, non
vi astenete dal porre domande. Non vi lincerò ;)
Un
abbraccio forte a tutti, godetevi una tazza di cioccolata con il pensiero e una
fetta di millefoglie. <3
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