Si schifava, e schifava ogni cosa.
Non avrebbe
forse dovuto? Non avrebbe dovuto schifare tutto ciò che lo circondava? D’altro
canto, un tutto in cui lui poteva muoversi e respirare, cioè esistere, c’era, e
avrebbe dovuto essere grato al cielo solo per quello. Si guardò intorno.
Si trovava
su di una spiaggia, una spiaggia tanto bianca da parere luminescente e quasi
ultraterrena. Era notte fonda, ma il cielo era talmente trapunto di stelle da
illuminare il paesaggio perfettamente, ma di una luce neutra, fredda e
impersonale. Il cosmo, sopra di loro, pareva gettare uno sguardo imparziale
sulla scena che gli faceva da cornice. L’oceano, fonte primaria di ogni essere
vivente, era divenuto una tavola rosso sangue, in tutto e per tutto un’immagine
di morte, e gettava sulla riva una risacca di quello stesso colore alienante. Un
arco apparentemente sterminato, anch’esso rosso, si apriva sulla volta celeste
fino a raggiungere la Luna, attraversandola. Enormi sagome scure si trovavano
qua e là in quel mare allucinante, piantate come pali di segnalazione, poste
come se fossero crocifisse. A coronare il tutto, a suggello di quel quadro
soprannaturale, una testa, all’orizzonte, alta più di qualsiasi montagna,
dall’espressione folle. Sembrava squadrare quel mondo morto, quell’immagine di
pazzia, mentre sulla sua metà longitudinale si apriva una crepa e metà di quel
volto scivolava su quella sottostante fino a inabissarsi.
Non avrebbe dovuto
essere nauseato da quella vista?
Probabilmente
sì, e infatti ne era sconvolto. Ma lo nauseavano di più il suo stesso corpo, i
suoi stessi pensieri, le sue stesse azioni. Solo il più feroce e inumano
assassino avrebbe attaccato un individuo ferito, tanto più se conosciuto e
caro, e lui l’aveva appena fatto. Ora piangeva come un idiota, o meglio, come
verme senza spina dorsale, bagnandole il volto con quelle sue lacrime prive di
dignità.
D’improvviso,
lei sospirò e chiuse gli occhi. A Shinji saltò il
cuore: ecco, era morta anche lei, come tutto il resto, come tutti gli altri. Le
lacrime uscirono copiose dai suoi occhi increduli e stremati, ma sorse in lui
un barlume di raziocinio. Il suo petto di muoveva ancora, seppur flebilmente,
quindi doveva essere ancora viva. Le mise due dita sul polso, senza metodo, ma
percepì un lento battito. Era solo svenuta.
Alzò ancora
la testa per osservarsi intorno, non vedendo altro che devastazione, amplissimi
spazi completamente vuoti e inceneriti. Ma anche, all’orizzonte, le rovine di
alcuni edifici.
Prese la sua
decisione, e se ne stupì. Pur sentendosi stanco, abbattuto e svuotato di ogni
scopo, si alzò in piedi e, con uno sforzo che gli parve immane, issò Asuka svenuta sulle proprie spalle. Poi, faticando a ogni
passo, cominciò ad arrancare in direzione di quelle sagome di edifici,
attraverso quel terreno brullo e privo di vita.
Mentre
camminava pensava, cosa che al momento era contro ogni sua volontà, ma non
poteva reprimere la tendenza della sua mente a rivivere quanto era successo
nelle ultime ore. Aveva pensato che fosse tutta un’allucinazione e che fosse
accaduto tutto dentro la sua testa, ma il mondo era testimone del contrario.
Forse
qualcun altro era rimasto. Dopotutto, gli era stato detto che questa
eventualità era possibile. E inoltre c’era Asuka,
quindi doveva essere vero. Ma come poteva saperlo?
l’unica possibilità era continuare a
vagare e cercare di sopravvivere … ma non ce l’avrebbe fatta. Asuka era ferita, e non possedevano alcun genere di prima
necessità, e non ne avrebbero trovati, perché tutto era raso al suolo.
Continuò a
proseguire seguendo la costa per altre cinque ore. Giunse infine, stremato, a
quelle rovine. Lamiere metalliche e muri semidistrutti si alternavano su un
rialzo del terreno alto come una collina, che pareva essersi generato in
seguito a un sisma di immane intensità. Cercò di salire tenendo Asuka sulle spalle, ma era troppo stremato. Trovò una conca
sufficientemente profonda nella parete verticale della china, e vi adagiò la
ragazza. Lui si sistemò di fianco, rannicchiato e sconvolto.
Un colpo di
tosse.
“Asuka!”
Shinji si gettò su di lei, ansioso. Gli pareva indifesa, e
percepire che il proprio potente impulso era quello di proteggerla gli fece
disprezzare ancor più quanto le aveva fatto qualche ora prima.
“Stai … stai
bene?”
La ragazza
lo fissò con l’occhio libero dalle bende, e la sua espressione era colma di
disprezzo. Un disprezzo profondo per ciò che li circondava.
“Come posso
stare bene?” – disse, la voce tagliente come un rasoio.
“Sei svenuta
per ore”
“Che
meraviglia. Dove diamine siamo?”
“Vicini a
delle rovine”
“Come ci
siamo arrivati?”
“A piedi. Ti
ci ho portata io”
Asuka non rispose subito, ma richiuse gli occhi e poi li
riaprì, sospirando profondamente nel frattempo.
“Non fa
alcuna differenza. O qui o lì, farà sempre schifo”. Cercò con fatica di
mettersi seduta, e respinse bruscamente il tentativo di aiuto del ragazzo.
Quando si fu posata alla parete interna della conca, proseguì. “Non c’è più
nessuno. Sono morti tutti. Siamo rimasti solo tu e io, in un mondo distrutto e
morto. Tra tutte le persone che potevano restare … tu”.
Shinji si sentì, se possibile, ancor più abbattuto, ma un
barlume di un sentimento non ben identificato gli salì al petto. Forse
compassione.
“Non sono
proprio … morti”
“E cosa
allora, genietto? Hai visto che il mare è pieno di
sangue?”
“Sì, ma …
ecco, quello non è il sangue delle persone. Il mare è fatto di LCL. Sono tutti
… tutti dissolti nel LCL”
Asuka si fermò un momento, sorpresa.
“Ma chi ti
credi di essere? Come puoi essere sicuro di una cosa del genere?”
Un guizzo di
ribellione pervase il ragazzo. “Perché mi ci sono sciolto anche io, per due
volte!”
“Ah già” –
proseguì Asuka sarcastica – “Dimenticavo. Il tuo modo
preferito per scappare”
“No!” –
esclamò Shinji – “Non questa volta! Io … io ho voluto
tornare, come hai fatto tu!”
“Non essere patetico”
Shinji represse la voglia di girare sui tacchi e andarsene.
“E’ la verità. In quel mare è disciolta ogni persona. Se avranno la volontà di
tornare potranno farlo, come noi due”
“E pensi che lo faranno?” – chiese la ragazza in tono canzonatorio. “No, non lo
faranno, stupido. Tu ci sei rimasto dentro un mese e ci sei tornato anche
adesso, e hai voluto tornare solo perché volevi me!”
“Ma” – disse
Shinji, attonito e sconcertato – “Io … cosa? Come sai
che …?”
“C’ero anche
io, stupido” – rispose secca Asuka – “In mezzo a quel
mare, mescolata a tutta quella gente schifosa. E ho voluto vivere, perché non
sono una smidollata come tutti gli altri. E ti ho sentito, sai? Ho capito che
volevi tornare perché ci sarei stata di nuovo”
“E con
questo?”
“Come ‘e con
questo’? Non ci arrivi? Hai voluto tornare solo perché volevi me. Sei sempre il
solito egoista”
“Io …
egoista! Io ti ho tirato su da quel mare disgustoso! Io ti ho bendata, perché
il tuo braccio è ferito e il tuo occhio è tumefatto! Io ti ho portata fino a
qua in spalla!”
“E hai
cercato di strozzarmi”
Shinji tacque per un secondo. “Ero sconvolto. Sono sconvolto. È stato un impulso
sbagliato”
“E comunque
mi hai salvata solo perché mi vuoi”
“E tu,
scusa?” – contrattaccò Shinji – “Tu, perché sei
tornata? Perché tutti gli altri ti facevano schifo e volevi liberartene! Anche
tu sei un’egoista!”
“Stupido …”
– sibilò la ragazza – “Ancora non capisci? Io ho voluto tornare perché volevo vivere, vivere davvero! E anche se
questo mondo fa schifo, anche se ogni giorno rischierò di lasciarci la pelle,
io non rimarrò sciolta come un verme smidollato in un mare nauseabondo! A costo
di essere l’unica al mondo!”
Il ragazzo
la osservava, rapito e arrabbiato insieme. Il puzzo metallico del sangue
invadeva il loro naso, ma Shinji al momento quasi non
se ne preoccupava.
“Io devo
vivere” – proseguì Asuka – “E visto che hai avuto la
sciagurata idea di farti trovare qui, adesso devi vivere anche tu”
“Ma come,
come? Non c’è acqua, non c’è cibo, è tutto sfasciato e tu sei ferita … “
“ … Idiota! Io guarirò! Ti sei accorto che non sanguino nemmeno più? E per
quanto riguarda il resto, abbiamo ancora un sacco di carte da giocare prima di
perdere la partita! Setacceremo, anzi, tu setaccerai ogni edificio rimasto qua
intorno, o troveremo il modo di depurare l’acqua di questo mare, o chissà
cos’altro, ma dobbiamo vivere! Se non
vuoi vivere per te stesso, allora fallo per me!”
Asuka fu scossa da un brivido.
“Accidenti,
fa freddo. Come fai a startene in camicia?”
“Beh, non ho
altro”
“Certo,
figuriamoci. Allora vorrà dire che mi scalderai tu”
Asuka si alzò in piedi con sorprendente fluidità,
nonostante le bende, e si accoccolò senza preavviso tra le ginocchia di Shinji, poggiandosi al suo petto.
“Prova solo
a mettere le mani dove non devi e ti uccido”
Shinji era tanto stordito da non aver nemmeno pensato di
provarci. La spossatezza calò su di entrambi come un pesante velo, e nel giro
di qualche minuto furono entrambi addormentati.
*
Si
risvegliarono qualche ora dopo, alle prime luci dell’alba. Asuka
non era ancora sveglia, ma oramai Shinji era desto.
Un sole rosso spuntava da un mare dello stesso colore, illuminando senza alcuna
pietà la devastazione che li circondava.
Il ragazzo
pensava a quanto fosse appagante divenire “una cosa sola” con le entità che
avevano dato origine all’umanità, o agli angeli. Egli stesso l’aveva provato, e
solo dopo un intero mese aveva deciso di ritornare; la seconda volta, il giorno
precedente, non era stato semplice. Sua madre Yui,
oltretutto, non tornò mai. Che speranze potevano avere di trovare qualcun
altro?
Il tempo era
ora caldo e umido, quasi tropicale, e rendeva difficoltoso il riposo. Shinji si alzò e con delicatezza stese Asuka.
Gli dispiacque di non avere alcunché per coprirla o per farla stare più comoda.
La ragazza
si svegliò di soprassalto. La luce del sole le feriva gli occhi, nonostante
fosse appena spuntato. Si mise seduta, e si accorse che Shinji
non era con lei. Che fosse scappato? Non se ne sarebbe stupita. Non era certo
la prima volta che il ragazzo fuggiva.
Alzandosi,
si accorse di essere affamata, ma la desolazione che regnava intorno a lei non
le dava molte speranze di poter trovare dei viveri nelle vicinanze. Cominciò a
sentirsi un po’ abbattuta e, tanto per fare qualcosa, scese con attenzione dal
costolone dove avevano dormito e si mise a vagare alla ricerca del ragazzo.
D’improvviso,
udì dei suoni. Sembrava una sorta di clangore metallico. Inizialmente pensò che
il vento stesse facendo sbattere qualche pezzo di lamiera, ma tale vento era
completamente assente. Così si mosse in direzione del suono, che si faceva via via più intenso e ritmico, finché giunse nei pressi della
spiaggia.
A un
centinaio di metri dalla stessa, sopra un dosso di terra compatta, c’era
qualcuno, ed era Shinji. Asuka
si sorprese nel vederlo tanto indaffarato. Stava lavorando molto alacremente,
spostando ampie lamiere di metallo (non
le avevo sognate, si disse lei), tubi di recupero e quelli che parevano
brandelli di tessuto. La ragazza sentì la collera montare in lei: quello sforzo
le pareva esagerato e francamente inutile. Si avvicinò, finché il ragazzo la
vide.
“Ciao”, le
disse.
“Ti sembra
davvero la cosa migliore da fare? Giocare con la spazzatura?”
“Io non …”
“Dobbiamo
cercare qualcosa per sopravvivere, stupido! Ammucchiare pacciame è quanto di
più inutile tu possa fare, perché i tubi arrugginiti non si possono mangiare!”
Shinji inspirò a fondo. Poi parlò con inusuale calma.
“Sto
costruendo un riparo. Tu sei ferita e non puoi passare un’altra notte all’aperto.
No” – disse, interrompendo Asuka che aveva aperto la
bocca per protestare – “Non si può stare in quegli edifici laggiù, perché sono
tutti pericolanti, ci sono passato un’ora fa. E già che c’ero ho cercato di
recuperare dei viveri, e fortunatamente qualcosa ho trovato” – concluse,
indicando un mucchio di scatole lì vicino. “Dammi il tempo di finire qui, e se
ci riesco metto insieme qualcosa”.
Asuka era turbata. Da un lato avrebbe volentieri preso a
pugni quel ragazzo davanti a lei, che non si era nemmeno lontanamente
incollerito per la sua provocazione. Dall’altro lato, avrebbe voluto
ringraziarlo, ma qualcosa di molto simile a un mattone nella gola le rendeva
impossibile dirglielo. Scelse un compromesso, e si sedette poco più in là
mentre egli lavorava. Non poteva fare a meno di fissarlo: sudava, si asciugava
la fronte con il braccio, ma non smetteva e continuava perseverante nella sua
opera di costruzione. Per lei.
“Voglio darti
una mano, Stupishinji” – esclamò diretta a lui,
alzandosi in piedi. Il ragazzo si fermò a osservarla.
“Anche se tu
volessi, non potresti. Hai un braccio fasciato, ricordi?”
“Non importa. Senza un braccio sono comunque più brava di te”
“Sicuro. Allora
quando sarà tornato a posto, io dormirò tutto il giorno e tu lavorerai al posto
mio. Ma per ora non muoverti”
“Non osare
darmi ordini!”
Shinji non replicò e si rimise al lavoro, mentre Asuka si risedeva sbuffando, la testa appoggiata alla mano.
Di quando in quando, tuttavia, i suoi occhi cadevano sul ragazzo.
*
A sera,
avevano un riparo. Shinji
pensò che non era molto, ma di certo non vi sarebbe piovuto dentro e riparava
dal vento e dal caldo. Insomma, per loro era una suite di lusso.
“Certo che
potevi anche impegnarti di più” – commentò Asuka,
entrandovi – “Sembra la cuccia del mio vecchio cane”
“Avevi un
cane?”
“No, ma fa lo stesso. Ci faremo le pulci, qui dentro”
“Meglio le
pulci che morire congelati” – ribatté Shinji, e l’affermazione stupì Asuka.
“Guarda, ho anche messo una tendina per separarci, così puoi startene più
tranquilla”
Asuka si bloccò per un momento, in apparente conflitto con
se stessa. Shinji cominciava già a preoccuparsi
quando lei, lo sguardo fisso alla tenda a righe recuperata da un terrazzo
bruciato, disse :”Toglila”.
“Come?”
“Toglila”
“Ma …” –
disse Shinji, stupito – “Pensavo ti facesse piacere
avere più intimità”
“Non è
quello” – cominciò Asuka, lo sguardo sempre
stranamente fisso – “E’ che … non voglio barriere”
“Asuka …”
“Stupishinji, siamo solo noi due. Non c’è nessun altro, e
anche se ci fosse non potremo saperlo. Per quanto tu sia stupido” – strinse i
pugni, ogni muscolo del suo volto si ribellò a quanto stava per dire – “Sei l’unica
persona a essere qui con me”
“E’ solo una
tendina, puoi scostarla quando vuoi”
“Toglila.
Toglila … per favore”
Shinji si turbò più per le ultime due parole che per il
discorso precedente.
“D’accordo”.