Morte, prendimi a te

di Valvonauta_
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Morte, prendimi a te
 



Voglio morire. Voglio morire.
Questo diceva a se stessa mentre fissava, sul cornicione, il vuoto di fronte a lei, quei 45 metri che la separavano dal duro asfalto.
Mia madre è morta, mio padre è scappato chissà dove con l'amante: non voglio vivere. Basta. Basta.
Un manipolo di persone si stava sempre più ingrossando, sotto di lei, a debita distanza dal luogo del possibile lancio, e c'era chi le urlava di stare calma, di non buttarsi, chi la indicava, chi rimaneva a bocca aperta, chi col cellulare, ne era sicura, chiamava i parenti per raccontare loro la figaggine della situazione, chi la riprendeva col cellulare convinto che, una volta venduto il filmato del suo spiattellamento a terra, avrebbe fatto molti soldi. E non vedeva l'ora di accontentarlo. Almeno la sua esistenza sarebbe servita a qualcosa, oltre a contribuire, nel suo piccolo, all'alto tasso di suicidi che il suo paese vantava.
La polizia e le tv non erano ancora arrivate, anche se poteva già sentire in lontananza alcune sirene.
Cosa sto aspettando?  Erano cinque minuti che era lì, su quel cornicione, completamente nuda, esposta al gelido freddo svedese.
In fondo neanche lei lo sapeva.
Qualcuno, un puntino ai suoi occhi, con un megafono, sicuramente un fanatico di serie tv americane, preso dallo spirito di iniziativa e dalla voglia di finire sul giornale, le parlò con voce salda: "Non fare cretinate, bella ragazza! Ora arriva la polizia e ti porta giù..."
Bella ragazza? Lo ignorò nella sua mente come si fa con un moscerino.
Si costrinse a fissare giù, senza staccarvi gli occhi.
Iniziò ad ansimare forte. L'adrenalina circolava nel suo corpo sempre più velocemente. Il cuore pompava sangue a ritmi frenetici. La paura la eccitava, galbanizzandola peggio di una siringata endovenosa di eroina, che ormai negli ultimi tempi era diventata la sua migliore amica, l'unica. Si ricordò di quante volte era andata dallo spacciatore di fiducia di uno che aveva conosciuto in discoteca e, ottenuta la magica polverina bianca, si era rinchiusa a chiave nella casa di famiglia ormai vuota, aveva sciolto l'eroina nel succo di limone e, messasi il laccio emostatico, si era bucata.
Perché? Perché era l'unica soluzione, l'unica ad una solitudine senza rimedio e paralizzante, perché ciò che cercava disperatamente negli ultimi tempi era una cosa, una sola: sentirsi viva.
Tutti mi dicono che sono una morta? Beh, guardatemi ora, ora che sto per morire, nei pochi attimi prima che il mio corpo esploda in mille pezzi nell'impatto contro il terreno umido di pioggia mi sento viva, viva come non mai, come voi non potrete mai essere.
Portò un piede davanti a sé, nel vuoto, e lasciò la presa dal marmo della finestra dietro di lei. Era in bilico, bastava un piccolo sbilanciamento in avanti per cadere per sempre.
Si, lo voglio.
E non erano le dolci parole di due amanti sull'altare. Era l'accettazione della Morte, quella autoindotta.
Addio mondo.
L'ultimo flash che ebbe, avvicinandosi al terreno, fu quello dello sguardo impaurito e stupefatto di una anziana, una signora sui novant’anni, che, col rosario in mano, la guardava borbottando una preghiera.
Poi nel suo sguardo solo tanto, tanto cemento.


***

Spero abbiate gradito questa breve storia.
Critiche costruttive sono sempre bene accette.
Un abbraccio,
Francisca
 




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