Baciò quei piccoli, soffici
seni che solo ora riusciva finalmente a vedere, rivelando la femminilità a
lungo celata della ragazza, privilegio che ella avrebbe concesso soltanto a lui. La sentì tremare e risalì a sfiorarle la
fronte con la bocca, il viso con le mani. I loro occhi si incrociarono,
timidi e al contempo ardenti di una passione per troppo tempo trattenuta,
mentre una domanda ancora li faceva tentennare: era giusto?
Si amavano, si amavano
da sempre; e dinanzi a questa potente, meravigliosa realtà, perché farsi del
male continuando a far finta di ignorare quei sentimenti che crescevano
sempre più di giorno in giorno? Non erano che due ragazzi come tutti gli
altri, in fondo, semplici esseri umani con un disperato bisogno di amare e
di sentirsi amati.
Le labbra del giovane
tornarono a sfiorare quelle di lei, tenere, delicate, schiudendole senza
alcuna forzatura, trovando, in quel bacio, una timida, dolce complicità. Un
nuovo abbraccio, così diverso da quelli soliti che dovevano scambiarsi di
nascosto, rifuggendo gli sguardi degli altri… I loro petti nudi si unirono,
mostrando così tutta la differenza che vi è fra uomo e donna. Lei nascose il
viso nell’incavo del suo collo, le braccia strette attorno alle sue spalle;
lui affondò la bocca fra i lunghi capelli della ragazza, ora sciolti, e ne
ispirò il profumo, inebriandosi di lei, avvolgendola in un abbraccio che
aveva in sé tutta la sua adorazione nei confronti dell’amata.
Rimasero ad ascoltare
l’una il cuore dell’altro per diversi lunghi istanti; infine, fu lei a
scivolare via dalle sue braccia, segno che, nonostante l’evidente imbarazzo,
aveva deciso che era davvero arrivato il momento. Gli prese le mani nelle
sue e lentamente si stese all’indietro, guidandolo su di sé, gli occhi negli
occhi. Lui le sussurrò le parole più sacre del mondo, lei sorrise quasi fra
le lacrime: nessun ripensamento. E di nuovo le loro bocche si cercarono, le
dita si intrecciarono, così come per la prima volta facevano le loro gambe.
Nuovi baci, nuove carezze, nuovi abbracci.
Quindi, l’amore, la
vita, la gioia.
Le scoccò un bacio sulla
tempia, che lei finse di non gradire, facendolo ridere. Ora che quell’ultima
barriera che si ergeva fra loro era stata abbattuta, potevano tornare a
respirare.
Scivolò al suo fianco,
trascinandola più vicina a sé ed avvolgendola ancora fra le braccia. Lei
poggiò la fronte contro la sua spalla, lasciando che il giovane le baciasse
ancora il capo, i lunghi e sottili capelli scuri sparpagliati sulle spalle e
sul cuscino. Si strinse nel suo abbraccio, concedendosi ancora qualche
minuto di tenera indolenza prima di tornare a fingere di non gradire le sue
attenzioni. La bocca del suo amante scese a baciarle la bianca spalla
scoperta, per risalire poi al collo, facendola ridere e rabbrividire per via
del solletico, tanto che la ragazza fu costretta a fuggire per non subire
ancora quella tortura. Si stese supina, richiamando così ancora il giovane
su di sé, che subito le intrappolò gentilmente i polsi ai lati del capo. Una
nuova risata, gli occhi splendenti di luminosa gioia che soltanto
quell’unione a lungo desiderata poteva far nascere.
Nessun pentimento: era
loro sacrosanto diritto godere di quell’amore tanto puro quanto immenso.
«Mio signore, perdonate
l’orario, ma vi cercano urgentemente al telefono.» La sommessa voce di Iori
cadde fra di loro come il più classico e spietato dei fulmini a ciel sereno.
Akira, che fino a quel
momento era rimasta aggrappata al collo del suo innamorato, lasciò ricadere
le braccia lungo i fianchi, giacendo a peso morto fra quelle del giovane, la
schiena inarcata, il capo ributtato all’indietro, un’espressione seccata sul
bel volto che non aveva fatto altro che sorridere, quella notte.
Takumi sospirò,
fissandola con rammarico: mai un attimo di vera pace, in quel palazzo. «Mi
dispiace…»
Lei ruotò le iridi scure
nella sua direzione. «E’ il prezzo che devo pagare per rimanerti accanto» lo
rassicurò, mentre la sua espressione si raddolciva con fare comprensivo.
«Mio signore?» si sentì
ancora chiamare oltre la porta.
«Arrivo, Iori-san» alzò
la voce il giovane. Tornò a rivolgere la propria attenzione alla fanciulla
fra le sue braccia. «Saprò farmi perdonare» le promise, baciandole il viso
con tenerezza.
«Lo spero per te» celiò
lei, regalandogli un sorriso e scivolando via dal suo abbraccio, seppur a
malincuore. Si tirò su a sedere ed i capelli le ricaddero sulle spalle,
arrivando poi a coprirle parte delle candide rotondità quando si chinò a
raccogliere i primi indumenti da indossare, gesto che anche Takumi dovette
presto imitare.
Quando quest’ultimo uscì
dalla camera, trovò Iori, mortificato, pronto a scortarlo lungo il corridoio
che li avrebbe condotti a quell’odioso apparecchio telefonico che gli aveva
impedito di addormentarsi stringendo la propria felicità al petto. Dietro di
loro, l’immancabile guardia del corpo dello shogun, ancora intenta ad
intrecciarsi i capelli; gesto che fece sorridere Iori, subito apostrofato
dagli occhi furiosi di lei, in preda all’imbarazzo per quella tacita
ammissione di esser finalmente riuscita a vincere la timidezza e a prendersi
il posto che le spettava da tempo, nella speranza che prima o poi anche il
loro amato popolo ed il resto del mondo avrebbero accettato, o quanto meno
compreso, quell’amore disperato e devoto che avrebbe infine portato una
sposa al loro principe.