I Swear
I
Swear
Il giovane salì a passo svelto le
scale per entrare nel portone.
Estrasse le chiavi dalla giacca
di pelle lucida e con le mani fredde cercò di centrare il buco della
serratura.
Imprecò a denti stretti
rendendosi conto che le mani insensibili peggioravano il lavoro.
Infine con un gesto veloce e
spazientito riuscì ad aprire il portone e ad entrare nel calore dell’atrio.
Fuori il cielo si stava
rovesciando sulla terra in grosse gocce di acqua fredda.
Il giovane si tirò giù il
cappuccio della felpa e liberò i capelli.
Si asciugò i piedi fradici sul
tappeto all’entrata e infine si diresse verso l’ascensore.
Passando davanti a uno specchio
si rese conto che le gocce di pioggia gli avevano sbavato il trucco.
“Fa niente, tanto ormai sono
arrivato”
Schiacciò il tasto per chiamare
l’ascensore e attese guardandosi intorno.
Più il tempo passava e più non
riusciva a capacitarsi di come la sua vita fosse cambiata nel giro di 12
mesi.
Viveva da solo, in pieno centro
di Berlino, con due dei suoi migliori amici, in un attico fantastico.
Qualche volta si rendeva conto
che alcuni ricordi di quella che lui chiamava “la sua vita precedente”gli
sfuggivano.
Finalmente l’ascensore segnalò il
suo arrivo con un “ding” sonoro.
Il ragazzo fece l’unico passo che
lo separava dall’entrare in ascensore, sempre pensieroso.
Schiacciò il tasto dell’attico e
attese, gli occhi persi nel nulla.
In pochi secondi arrivò a
destinazione.
Uscendo dall’ascensore si fermò
ad osservare il panorama che si estendeva davanti ai suoi occhi.
Appoggiò le mani piccole e curate
contro la vetrata.
Rimase così, per alcuni minuti,
osservando la sua città, le sue luci,la pioggia, i lampi in lontananza.
La sua nuova vita.
Si staccò riluttante dal vetro
per dirigersi verso la porta dell’appartamento.
Iniziava ad aver freddo.
“Stupida pioggia” pensò, mentre apriva
la porta di casa.
La casa era avvolta in un buio
spettrale.
Sembrava non ci fosse
nessuno.
Diede una ditata all’interruttore
della luce e osservò il materializzarsi dell’attico davanti ai suoi occhi.
La cucina era un autentico
disastro.
Al solito, dopo cena, nessuno si
era preoccupato di pulire.
Raggiunse il salotto dove buttò
la giacca fradicia sul divano.
La play station 3, comprata due
giorni prima, giaceva dimenticata accesa per terra.
La spense, alzando gli occhi al
cielo.
Quei due messi insieme erano
peggio di un tornado se lasciati soli a casa.
Si diresse verso la sua stanza,
ma all’ultimo momento cambiò idea, dirigendosi invece verso la stanza vicino al
bagno.
Tese l’orecchio.
Voleva capire, se per caso fosse
in casa, e in caso, se stesse dormendo.
Sentì dei movimenti, dei
rumori.
Dei rumori che non gli piacquero
per nulla.
Sembravano….sembravano
gemiti.
Il suo cuore accelerò
immediatamente.
Sentì il rombo del suo cuore
impazzito nelle orecchie.
Di colpo non sentì altro.
Con la mano insensibile aprì
lentamente la porta.
Aveva paura di quello che avrebbe
potuto trovare nel buio di quella stanza.
Aveva paura perché sapeva che il
suo cuore si sarebbe spezzato.
E lui, come sempre, avrebbe
sofferto.
Una volta aperto uno spiraglio
nella porta, rimase immobile in ascolto.
Rumori, gemiti, ansiti.
Sentì il suo cuore mancare di un
battito.
“Non ti farò mai soffrire Strify, te lo
giuro”
Quella voce, nella sua testa.
Era la voce di Yu.
Una sera come tante, mentre si
trovavano a riparo da occhi indiscreti, il chitarrista gli aveva preso il viso
tra le mani e gli aveva fatto questa promessa.
La disperazione si trasformò in
furia cieca.
Spalancò la porta, fissando
l’interno della stanza con occhi fiammeggianti.
La scena che si trovò davanti non
era proprio quella che si sarebbe aspettato.
Sul letto enorme a due piazze
c’era effettivamente Yu.
Ma in sua compagnia c’era
Kiro.
E si stavano baciando.
E non come facevano duranti i
concerti.
Quelli in confronto erano bacini
sulle guance.
Erano nudi.
Kiro era seduto a cavalcioni su
Yu.
Gemeva lentamente, mentre Yu gli
leccava dolcemente un capezzolo.
Kiro lo teneva per i capelli,
stringendolo gelosamente a sé.
Le mani di Yu percorsero tutta la
schiena del giovane bassista, accarezzandolo vogliosamente.
Sentendo la porta spalancarsi,
Kiro si staccò frettolosamente, coprendosi alla meglio con il lenzuolo.
Yu rimase pietrificato,
trovandosi davanti Strify, bagnato e furioso.
Per un momento la furia cieca si
trasformò in confusione.
Strify fissò con gli occhi
impazziti, prima Yu, poi Kiro, poi si fermò su Yu.
“Strify io….” Cominciò il
chitarrista.
Il cantante cominciò a scrollare
il capo, come se volesse negare la realtà.
Un unico, sottile,doloroso,
gemito di disperazione gli uscì dalla gola.
Yu cominciò ad alzarsi dal
letto.
Voleva raggiungerlo, spiegargli
che aveva fatto solo una grandissima cazzata.
“Non ti farò mai soffrire Strify, te lo
giuro”
Con questa frase che martellava
nella testa, Strify uscì correndo dalla stanza.
Yu imprecò sottovoce.
“Rimani qua, con lui sistemo io”
ordinò a Kiro, che si limitò a guardarlo in evidente stato confusionale.
Si infilò in fretta e furia,
pantaloni e maglia e inseguì Strify.
Trovò la porta aperta e
immaginando che fosse uscito di casa lo seguì.
Lo trovò nell’atrio deserto,
seduto sulla fontana che vi spiccava al centro.
Era così tardi che nessuno
avrebbe avuto modo di lamentarsi o di intromettersi.
Si avvicinò piano a Strify, quasi
come se avesse paura che scappasse al minimo rumore.
Prima ancora che si sedesse, il
giovane cantante si voltò.
Il trucco che aveva resistito
alla pioggia, aveva ceduto alle lacrime, e ora due strisce nere gli solcavano le
guance.
Nei suoi occhi cangianti erano
espressi tutti i sentimenti che provava.
Tristezza, rabbia, dolore.
Tutti mescolati insieme.
Yu sentì una fitta al cuore.
Come diavolo aveva potuto fargli
una cosa simile.
Si sentiva uno schifo adesso.
Aveva tradito lui.
L’unico che gli aveva fatto
batteri il cuore in tutti quegli anni.
L’unico che lo faceva stare
bene.
L’unico che lo capiva.
L’unico che lo comprendeva.
L’unico che lo consolava.
E ora?
Tutto perduto.
Più guardava quegli occhi, più si
rendeva conto di non avere abbastanza scuse per quello che aveva fatto.
Strify l’osservava.
Le labbra contratte, gli occhi
stretti.
Sembrava una belva pronta a
mordere.
Yu cercò più volte di cominciare
un discorso sensato, con scarsi risultati.
Sentiva il cantante al suo fianco
singhiozzare,anche se i singhiozzi erano sempre più rari.
Infine timidamente cercò un
approccio al giovane.
Si avvicinò lentamente, non
voleva toccarlo, aveva, in effetti, paura a toccarlo.
Strify si irrigidì.
Il capo ostinatamente chino.
“Strify…Seb…amore?”
“Cosa diavolo facevi con lui?”
chiese a denti stretti il cantante.
“Io…non so cosa mi sia preso,
io….”
Si bloccò, si rese effettivamente
conto di non sapere cosa dire.
Strify alzò finalmente gli occhi,
per incontrare quelli grigi di Yu.
Questa volta fu il bruno ad
abbassare lo sguardo.
“Avevi promesso Yu” sussurrò il
giovane.
“Avevi promesso di non farmi
soffrire, avevi promesso di stare con me, avevi promesso di amare solo me”
Aveva la voce strozzata, le
lacrime minacciavano di sgorgare di nuovo.
Yu alzò lo sguardo.
“Mi dispiace”
Fu tutto quello che riuscì a
dire.
“Vattene Yu, voglio stare
solo”
Vedendo che il chitarrista
indugiava ancora seduto, Strify ripeté la frase.
“Vattene per favore, ti
prego”
Yu si alzò.
Allontanandosi, sentì il portone
del palazzo che si apriva.
Diede una fugace occhiata
all’atrio.
Strify era sparito.
Tornò all’appartamento, dove un
agitato Kiro lo stava aspettando.
“Allora?Dove è Strify?” domandò
andandogli incontro.
“Uscito, voleva stare solo”
Superò senza troppe pretese Kiro
e si andò a chiudere in camera sua.
Si sedette sul letto.
Lo stesso letto dove aveva
passato moltissime notti con Strify.
Dove si erano baciati.
Dove si erano coccolati.
Dove avevano fatto l’amore.
Dove tutto era finito.
E mentre Strify camminava a testa
china sotto la pioggia, Kiro si faceva un esame di coscienza e Yu piangeva
lacrime amare per i suoi errori, fuori cominciava un nuovo giorno.
“Non ti farò mai soffrire
Strify, te lo giuro”
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