Non
sono brava con le parole - ironia della sorte -, ma ci proverò.
Ciao,
fidato lettore.
Oddei,
non ho idea se tu sia o meno un fidato lettore; magari sei capitato
qui per caso.
In
qualunque caso, ti prego, rimani. Rimani almeno perchè io
abbia il tempo di dirti grazie. Di dirti che mi dispiace. Di dirti
che ti voglio bene per aver letto – che te ne vorrò
sempre.
Mi
avete resa migliore. Mi avete fatto tornare la voglia di scrivere.
Vi
voglio bene.
Grazie
a Giulia – soprattutto a Giulia, creatrice di questo mini mini
mini mini micro fandom -, a Monica, a Silvia, a Muffin, Mattie,
Mokona, Elena, Zazzy, ANCORA a Giulia (...ho sentito bene? COSPLAY?),
a tutti gli altri. A tutti coloro che hanno creduto in me e che hanno
fatto sì che provassi sulla mia pelle cosa vuoldire far
provare dei sentimenti a qualcuno.
È
tempo del gran finale. Delle ultime rivelazioni. Degli ultimi dolori.
Grazie.
Per Marco. Per Jean. Per Ymir. Per la Maschera.
Per
tutti gli altri.
Per
Venezia.
Vita
e Morte a Venezia
Nel caso vogliate sentire ciò che ho ascoltato scrivendo questo finale.
Il
cappuccio alzato sul volto, svoltò l'angolo passeggiando
tranquillo sotto i portici.
Mancavano
pochi metri a Ponte Sant'Angelo.
*
In
quei giorni, non era comune che a Venezia arrivassero visitatori. La
città era ancora debole, ferita, e solo recentemente i
cittadini avevano finito di spostare via dalle strade principali le
macerie causate dalle esplosioni di cinque mesi prima.
Ma
nessuno fece domande vedendo l'uomo camminare attraverso la Giudecca;
il suo non era il volto di uno sconosciuto. Alcuni marinai e
commercianti azzardono addirittura un saluto nella sua direzione, e
un sorriso. Entrambi vennero restituiti cordialmente.
L'uomo
si diresse verso la locanda dello Zudeo; era sceso dalla nave da
poco, e sentiva il bisogno di bere. La sua meta non sarebbe
scappata.
Una
graziosa ragazzina, armata di ramazza, sostava di fronte alla
locanda, impegnata a giocherellare con un gatto nero. Vedendolo
arrivare, il gatto scappò via. La ragazza si voltò.
'Un
soldo per i pensieri di questa belle giovane.' sorrise l'uomo.
Lei
alzò un sopracciglio. 'Sarebbe un soldo sprecato. Siete
approdato da poco?'
'Torno
ora dalla bella Istanbul, dopo una breve sosta a Roma per accertarmi
della salute di un caro amico. Come lo avete capito?'
Il
volto della ragazza si illuminò quando sorrise. 'Ho occhio per
queste cose. Profumate di sale e d'avventura.' si alzò,
spolverando il grembiale. 'Conosco solo un'altra persona che profumi
d'avventura, ma lei non sa di sale. Lei sa dei tetti di Venezia. Di
sudore e sacrificio. Siete qui per vedere Ymir, non è così?'
'Un
altro sì.' sorrise lui, compiaciuto. 'E voi sareste?'
La
ragazza aprì la porta della locanda. 'Historia.' arricciò
il naso in un modo che gli ricordò anche troppo la sua amica
Volpe. 'La sua amata.' aggiunse, con una punta d'orgoglio. 'E voi siete Antonio.'
'Di
nuovo corretto.'
Historia
entrò nella locanda, seguita da Antonio. Ymir stava dietro al
bancone insieme a un grosso uomo, impegnato a tagliare bruschette.
Avvicinandosi, Antonio si rese conto che il coltello le scivolava fin
troppo spesso dalle mani, risultando in tagli e imprecazioni sempre
più frequenti. Sorrise. Non sembrava essere passato un giorno
da quando l'aveva conosciuta, sfrontata e orgogliosa e terribilmente
sola.
Alzò
il volto verso di loro, succhiando il dito ferito e rivolgendo un
sorriso a Historia.
No,
decise Antonio; almeno la solitudine era scomparsa. Le rivolse un
inchino divertito.
'Devo
chiamarti dama?'
'Non
azzardarti, vecchio.' Ymir conficcò il coltello nel legno del
bancone e vi girò attorno, raggiungendolo per un abbraccio
rispettoso e qualche pacca sulla spalla.
'Come
va la vita?' chiese Antonio, sorridente.
Ymir
strinse un braccio attorno al fianco di Historia, affondandole il
muso nei capelli. La ragazza sorrise. 'Tranquilla. Noiosa. Stiamo
mettendo da parte il denaro necessario a partire. Per andare dove,
non lo sappiamo.' si incupinì. 'Sei tornato per...?'
Antonio
annuì, serio. Il sorriso sparì rapido dal volto di
Historia.
'Ci
siamo scritti per tutto questo tempo. Ho fatto il prima possibile, ma
affari mi hanno trattenuto un po' a Roma. Ve ne parlerò nel
dettaglio più avanti. Nel frattempo, vi prego, servitemi del
buon vino. Ho bisogno di recuperare le forze prima di affrontare un
incubo durato cinque anni.'
*
Scoprire
che c'era ancora qualcuno che trasportasse le persone in gondola fu
una piacevole sorpresa. Il ragazzo che Antonio fermò aveva
un'aria vagamente familiare, ma era troppo giovane per essere uno
qualsiasi dei gondolieri di cinque anni prima. Gli chiese di
trasportarlo a Dorsoduro.
Durante
la traversata, il ragazzo gli lanciò occhiate sempre più
frequenti e inquisitorie.
'Tutto
bene?' chiese Antonio.
'Io...sì.
Tutto a posto.' rispose, calando il cappello sul volto.
'Non
sei un po' giovane per fare il gondoliere?'
Il
ragazzo sorrise. 'Non siete un po' vecchio per andarvene in giro
senza rischiare di spaccarvi l'osso del collo?'
Antonio
si strinse nelle spalle, poi scoppiò a ridere. 'Ah! Quanto mi
è mancata questa città! Voi giovani peggiorate di
generazione in generazione. Ma davvero, cosa ti spinge a fare questo
lavoro? Alla tua età io non facevo altro che ubriacarmi e fare
a botte.'
'Sbagliato.
Alla mia età sei scappato dalla casa di tuo padre per
intraprendere una vita da trafficante di merci.'
Antonio
rimase in silenzio, esaminando quel volto abbronzato dall'esposizione
al sole. Il ragazzo non smise di remare.
'Faccio
questo.' mormorò a un certo punto. 'Per sposare la donna che
amo e vivere con lei. Una ragazza con gli occhi color tramonto e i
capelli come corteccia d'albero. E non riesco a rivolgere queste
parole a lei perchè sono l'ultimo degli imbranati.'
'Non
lo sei.' rispose Antonio. 'Sei un uomo.' e poi, dopo qualche attimo:
'Tu e Sasha avete la mia benedizione.'
Connie
sorrise, tirando una corda contro un piolo e avvicinandosi alla
terraferma.
*
Antonio
passò di fronte alla libreria dell'anziano Arlert, ancora vivo
e vegeto nonostante il grande spavento provato, lanciando un'occhiata
distratta al ragazzo biondo seduto lì fuori intento a divorare
un libro e una mela.
Passò
anche davanti allo studio del dottor Jaeger, trattenendo il fiato e
osservando i resti della casa rasa al suolo dal terremoto e dalle
fiamme.
'Mi
scusi.' chiese alle guardie che passarono in quel momento. 'Che...ne
è stato degli abitanti di questa casa?'
Una
delle guardie si voltò; era una ragazza con corti capelli
rossi. Guardò la casa, poi sorrise triste.
'I
ragazzi che vi abitavano sono andati via dopo la morte del padre.
Qualcosa riguardo a Bologna...o era Firenze? Auruo, era Firenze?'
Auruo
si massaggiò la mano destra. 'Informazioni confidenziali.
Andiamo, Petra, o il Comandante Rivaille ci farà pulire quel
suo maledetto ufficio. Un'altra volta.' grugnì, per poi
proseguire per la sua strada.
Antonio
scosse la testa, riflettendo su come certe cose cambino troppo
rapidamente.
Ed
eccola lì, la cosa che non era cambiata; il piccolo vicolo
quasi invisibile all'occhio che portava nella casa che aveva abitato
per anni. Lo percorse con calma, misurando i passi, nella speranza
che lui non fosse lì ad aspettarlo.
Ma
lui c'era. Seduto di spalle di fronte al portone d'ingresso, proprio
come aveva detto in quell'ultima lettera non scritta nella sua
grafia. Si voltò verso Antonio, silenzioso, triste.
'Padre.'
sussurrò Marco.
'Hai
ancora la forza di chiamare padre l'uomo che ti ha dimenticato per
cinque anni.' rispose Antonio, commosso. 'Quanto è grande il
tuo cuore, figliolo?'
Marco
si alzò per andargli incontro e stringerlo in un doloroso
abbraccio silenzioso. Antonio lo strinse a sé, quasi in
lacrime.
'Mio
figlio.' lo scostò, guardando il volto diviso a metà.
'Che ti hanno fatto? Come ho potuto dimenticare?'
'Non
fa nulla.' un piccolo sorriso comparve sul volto di Marco mentre
scioglieva l'abbraccio. 'Non fa nulla.' ripetè a se stesso.
Antonio
fece un cenno con la testa in direzione della piccola banchina. Si
sedettero entrambi con le gambe penzoloni verso l'acqua.
'Ho
ricevuto la tua ultima lettera.' spiegò Antonio. 'So che ti è
impossibile scrivere. Chi ti aiuta?'
Marco
guardò il moncherino grigio per qualche secondo, prima di
rispondere. 'Armin. Armin Arlert. Siamo...siamo buoni amici.'
'Capisco.'
annuì Antonio.
Dopodichè
iniziarono a parlare, e a parlare degli argomenti più
disparati. L'incontro con Ymir e Historia. Con Connie. Sasha. Il
destino toccato a Eren e Mikasa. Marco spiegava e Antonio ascoltava,
bevendo ogni sua parola e rispondendo come solo un padre può
fare.
'Marco.'
iniziò a un certo punto. 'Tu sai che faccio parte di una
confraternita i cui membri sono sparsi su tutta la penisola, non è
così?'
Marco
annuì.
'Alcuni
di loro si sono resi utili dopo il disastro di cinque mesi fa,
aiutando i civili e salvando vite, e me lo hanno fatto sapere. Un
caporale in buoni rapporti con la mia confraternita ha fatto sì
di passarci sotto banco tutte le scoperte che siamo riusciti a
sottrarre dal laboratorio di Grisha Jaeger prima che questo fosse
raso al suolo dalle fiamme.'
Frugò
nella tasca interna del mantello sotto lo sguardo vigile di Marco, e
ne estrasse una fiala contenente un liquido verde. Marco si ritrasse
istantaneamente.
'Vedo
che ricordi la piccola bastarda infame.' sorrise Antonio. 'La
principale responsabile di tutti i nostri guai, più del
titanio modificato.'
'Perchè
l'avete portata?' esclamò Marco, stridulo.
Antonio
sospirò. 'Mi guardi con occhi che non sono tuoi, Marco. So
riconoscere gli occhi di mio figlio, e questi sono quelli di un uomo
che ha di mio figlio solo l'aspetto. So cosa ti è successo.
Non lo hai detto una sola volta nelle tue lettere, ma non sei l'unico
con cui ho mantenuto corrispondenza.'
Marco
non rispose, lo sguardo rivolto all'acqua.
'Marco.'
continuò Antonio. 'Vuoi parlarmi di Jean?'
Un
singhiozzò salì dalla gola di Marco. Le spalle
iniziarono a tremare, e la testa si abbassò contro il suo
petto. Non disse nulla. Pianse soltanto.
'Marco...'
insistè Antonio.
'È
morto!' urlò Marco. 'Morto per salvare me...'
Antonio
scosse la testa. 'No, Marco, no...non per salvare te.'
'Sì.
È morto e sorrideva e non ho potuto fare niente. Non ho potuto
fare niente...'
Le
parole si trasformarono in balbettii e singulti confusi. Antonio
strinse un braccio attorno alle sue spalle.
'Marco,
io so quanto possa essere duro perdere qualcuno che si ama. Ti offro
una scelta.'
Gli
porse la fiala.
'La
decisione sta a te.'
Marco
guardò il liquido verde con occhi pieni di paura.
*
Ponte
Sant'Angelo si apriva davanti ai suoi occhi. Marco alzò la
testa, osservando le decine di persone che attraversavano il ponte.
Guardò
con attenzione, nella testa gli echi della conversazione avuta con
Antonio settimane prima.
*
'No!'
urlò Marco, spingendo via la mano del padre. 'Siete impazzito?
Che vi hanno fatto a Istanbul, padre?'
'Per
il tuo bene, Marco, prendi la fiala.'
'No.'
sussurrò. 'No.' scosse la testa, deciso. 'Non posso
dimenticare Jean. Non posso. Non mi aspetto che capiate.'
'L'ultima
possibilità, Marco. Poi spedirò questa fiala in fondo
alla laguna.
Marco
si protese in avanti, afferrò la fiala con la mano sinistra e
la lanciò verso il canale.
Quando
si voltò verso Antonio, sul volto del padre c'era un sorriso
pieno, orgoglioso.
'Marco.'
esclamò. 'Devo dirti una cosa...'
*
C'erano
troppe persone. Marco alzò il cappuccio, spaventato all'idea
che potessero vederlo.
Il
cuore. Sentiva il cuore esplodergli.
('durante
gli scavi per estrarre i corpi delle macerie, mi ha scritto un mio
consanguineo della confraternita, hanno trovato qualcosa di molto
particolare. Il corpo di un ragazzo, apparentemente morto, mantenuto
in vita da qualcosa all'interno del suo sangue')
Voltati
a destra.
('il
ragazzo era in condizioni disastrose. Lo hanno trasportato,
identificato grazie all'aiuto del caporale Zoe')
Ancora
a destra.
('abbiamo
convenuto che sarebbe stato meglio se fosse sparito dalla
circolazione per un po'. Il tempo di rimettersi. Il tempo perchè
la guardia cittadina veneziana potesse dimenticarsi della sua
esistenza')
Ora
a sinistra.
('lo
abbiamo trasportato a Roma. Si è svegliato dal coma qualche
giorno fa.')
Diritto
davanti a te.
Eccolo
lì.
('padre,
non capisco... cosa state dicendo?')
(il
sorriso sul volto di Antonio.)
('Hai
superato la prova, Marco. Jean è sopravvissuto grazie al
titanio modificato nel suo sangue. È vivo e ti sta aspettando
a Roma')
Gli
corse incontro, non badando al cappuccio scivolatogli indietro, non
badando agli sguardi delle persone, dimenticandosi persino di
esistere.
Cadde
nelle sue braccia aperte, rifugiandosi in quel calore, toccandolo e
tirandolo a se prepotentemente, come un bambino possessivo.
Jean.
Jean. Jean.
La
sua testa sulla spalla. Le sue mani attorno alla schiena. Jean. Jean
e il suo profumo. Jean e il suo debole sorriso idiota.
E
all'improvviso sentì di avere di nuovo undici anni e si
protese verso di lui per baciarlo con forza.
Per
sentire che era vivo.
Per
sapere che era suo.
'Quella
cosa della fiala per farmi dimenticare di te.' sussurrò.
'Tutta una bufala?'
'Ovviamente.'
'Sei
un idiota.'
'Mmm-mmm.'
'Ti
amo.' fu l'unica cosa che fu in grado di dire, tra le lacrime. 'Ti
amo, ti prego non lasciarmi.'
'Mai
più.' rispose Jean, e Marco potè sentire il sorriso che
gli illuminava il volto sulle sue labbra. Mai, mai più.
FINE