U*N*I*N*S*T*A*L*L

di Osage_No_Onna
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U*N*I*N*S*T*A*L*L

00: Arma Tenebrarum

Era sola, sola e perduta in quel mondo che le era diventato improvvisamente ostile, che l’ aveva pugnalata alle spalle. Meschino e imprevedibile.
Ma l’ errore non era stato delle persone, semmai il suo. Un errore imperdonabile, del resto: si era mostrata “nuda e cruda” in un mondo stereotipato, chiuso, pieno di finzioni e di insopportabili etichette. Come aveva potuto?
Tuttavia aveva ancora una chance, la più dolorosa: rinnegare le proprie convinzioni, stravolgere i propri principi…. Almeno per un po’, per sopravvivere.
Tanto tra poco più di un mese se ne sarebbe ritornata in Giappone, tra i suoi ciliegi, il ramen, i pomeriggi a Shinjuku, le cosplayers di Harajuku, i Musei dei Manga e il silenzio della sua stanza dal pavimento di parquet.
Tutto questo le dava speranza. Fingere per un mese? Poteva andare. Trenta giorni passavano in fretta e avrebbe dovuto dare a vedere di essere un’ altra persona solo per quattro o cinque ore di fila, il tempo che avrebbe trascorso a seguire quelle inutili lezioni (chiamarle lezioni, poi, era esagerato: durante gli ultimi cinque-sei giorni di scuola non spiegava quasi nessuno, si limitavano a fare la classica ripetizione e ad interrogare tutti quelli che ancora galleggiavano nel mare dei pessimi voti, e lei non faceva parte di quella schiera) e con la sua famiglia non avrebbe avuto senso recitare.
E il campus musicale? Beh, per quello si sarebbe arrangiata. 
Se era vero che “Consuetudo altera natura est”, come dicevano gli antichi, le altre settimane sarebbero state un vero giochetto. Tanto al campus non conosceva nessuno e, se avesse mantenuto l’ atteggiamento giusto, avrebbe finito sicuramente per farsi rispettare. Non era difficile, bastava un po’ d’ allenamento e la volontà.
La volontà soprattutto: era il sale di ogni azione.


Aveva deciso: si sarebbe fabbricata una corazza, un’ armatura chiamata “carattere di facciata”, che molto spesso aveva visto essere usata dalle persone: persino i suoi familiari, così gentili e premurosi ma anche severi con lei, di fronte ai loro superiori diventavano umili e docili come agnellini; anche i suoi amici (quelli che si era lasciata indietro partendo per quel paese del diavolo nel quale ora abitava), sempre così quieti e compassati, alle feste diventavano rumorosi, chiassosi, tutto al solo fine di “salvare la faccia”. E se loro ci riuscivano benissimo, perché lei non avrebbe potuto?
Da quell’ attimo in poi disse addio alla sé stessa piagnucolosa e debole: Yumiko Santoro sarebbe diventata fredda, gelida, spietata; i ragazzi tutt’ intorno a lei avrebbero tremato nel sentire il suo nome.  Sarebbe stato un supplizio, certo, ma sarebbe stata finalmente rispettata. Tuttavia, questa non sembrava essere una prospettiva molto allettante.
Certo, meglio essere odiati ed essere sé stessi che essere amati per la maschera che si indossa, ma non esistono proprio persone che ti amano per ciò che sei?
Fece un rapido calcolo: avrebbe dovuto passare centocinquanta ore con quella sua corazza invisibile. Molte di più, invece, sarebbero state quelle di riposo.
Solo centocinquanta ore e poi quell’ incubo sarebbe finito.
Doveva resistere.
La ragazza raddrizzò la schiena e assunse un’ espressione severa. Poi ridacchiò amaramente e ritornò a concentrarsi sulle proporzioni applicate sulle figure umane.





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