Cap 3
Dolce Flirt ~
Shadows
Scusate se il capitolo si legge piccolo ma credo che mi sia partito NVU.
Vi chiedo di avere un po' di pazienza con me e il mio vecchio pc e, per questa volta,
di accontentarvi dell'opzione d'ingrandimento messa a disposizione da EFP.
Grazie a tutte coloro che, nonostante questo disguido, leggeranno la storia.
Capitolo Tre.
Changes.
Uscii dal bagno, sperando di essermi tolto quell'imbarazzante
faccia da schiaffi che pensavo di avere. Mi sentivo tremendamente a
disagio in quel posto così poco consono alla mia persona, eppure
l'idea di averci messo piede non mi dispiaceva affatto. Non avevo mai
provato certe emozioni né pensieri poco adeguati erano affiorati
in modo così insistente nella mia mente. Avevo deciso di
rinfrescarmi il viso e, nel lussuoso bagno dello strip club sembravo
essermi calmato. Addirittura, il comodo divanetto che per uno strano
motivo era stato posto all'interno dei servizi, si era rivelato il
punto chiave per la mia calma. Eppure, una volta appoggiato il palmo
sudacchiato contro alla porta di legno massiccio che sembrava proprio
essere mogano, l'ansia e l'inadeguatezza mi tornarono addosso come
mosche sul miele -per non dire altro. Il primo istinto fu di rigirare i
tacchi ancora una volta e rifugiarmi nel bagno così puro e
accogliente, ma una cameriera mi assalì in modo inaspettato. Le
sue unghie smaltate si chiusero attorno al polsino della mia camicia
bianca, facendone risaltare i colori più disparati. La prima
cosa che focalizzai di lei fu il pollice rosso al contrario delle altre
dita, colorate di un giallo acceso che sembrava un pugno in un occhio,
che mi ricordarono molto la nuova tinta, miele principesco, di mia sorella.
Poi passai al rossetto, di un rosso profondamente marcio e quasi
scrostato dalle labbra screpolate che si aprivano e chiudevano
ritmicamente mostrando al mondo il suo ruminare di cicca. Trattenni una
smorfia schifata solo grazie ad una punta di autocontrollo che, grazie
al cielo, sopravviveva in me.
Perché tra tutte, proprio lei?
Mi sorrideva in modo complice, continuando maleducatamente a masticare
la cicca, come se si aspettasse qualcosa da me. Lanciando una rapida
occhiata in giro, non riuscii a trovare il mio accompagnatore e mi
sentii perso, ma potei comunque notare le belle ragazze che affollavano
il locale, libere o intente a soddisfare un cliente. Seppur non mi
soffermai a guardarle tutte una ad una avrei potuto giurare che fossero
molto più attraenti di quella che, trentina d'anni passati, mi
stava bloccando all'uscita della toilettes. Il solo fatto che si fosse
imposta me la fece detestare; senza contare il seno visibilmente
raccimolato in un push-up poco efficace, le evidenti rughe sul collo e
ai lati della bocca, e per non parlare anche di quello strano modo in cui usava
la lingua attorno a quell'informità rosa acceso. E il vestito
che indossava? Doveva sembrare sexy, ma anche sforzandomi non pensavo
che ad una delle amiche di mia sorella invecchiata; fine che,
probabilmente, avrebbe potuto fare, continuando su certe strade.
Socchiusi appena le labbra. Per sbaglio inspirai una zaffata di quello
che sembrava profumo scadente, riuscendo a sentire le particelle
decisamente tossiche sopra alla lingua e contro il palato, quando una
ragazza molto più giovane venne in mio soccorso, chiamandomi.
«Signor
Nathaniel!» trillò con una vocina che mi sembrò
così soave da rappresentare la salvezza; come una sirena che
salva il povero marinaio da una perfida arpia -ovviamente non nella
versione pensata da Omero. Si avvicinò leggermente imbarazzata a
me e alla cameriera, titubante sui tacchi alti che slanciavano la sua
figura decisamente più bella da vedere rispetto a quella che i
miei occhi avevano sopportato -per pochi secondi- fino a quel momento.
Si chinò leggermente in avanti, lasciando che la sua lunga
chioma castano scuro le ricadesse oltre le spalle nude, facendomi
desiderare di essere anche un semplice e fine capello. Chiuse gli
occhi, lasciandomi vedere solo un paio di lunghissime ciglia che
risaltavano sulla guancia arrossata e, sempre in quella posizione,
cominciò a chiedere scusa alla sua collega anziana: il cliente
con cui ero venuto -probabilmente parlavano di Castiel- aveva chiesto
di me e mi aveva fatto cercare. Smisi di ascoltare le sue parole,
beandomi solo del loro suono armonioso e concentrandomi sulla profonda
scollatura a cuore risaltata anche dalle braccia di lei che, strette in
avanti, comprimevano i già abbondanti seni non lasciando altro
punto focale sul suo corpo. Notai, infatti, le sue gambe solo al suo
arrivo e il suo eccitante sedere sculettante solo dopo che l'arpia
decidette, a malincuore, di mollare la presa su di me. Quasi non notai
l'espressione scocciata di quest'ultima nell'allontanarsi lasciando un
appetibile cliente in mano ad una sbarbatella appena arrivata, né pensai più a quella una volta che la giovane mi disse di seguirla.
Mi portò ad un divanetto posto in un angolo tranquillo e
riservato del locale dove ritrovai il rosso beato e felice nel suo
harem di donne disposte a servirlo. Una, in intimo, gli
lasciò un bicchiere ghiacciato con qualche gocciolina che
scendeva sulla superficie di vetro oltre la quale intravedevo un
liquido che non avrei saputo riconoscere, andandosene dopo avergli
lanciato un bacio con la mano, come facevano le bambine ai loro
fidanzatini, ma in modo molto più complice. Lui era comodamente
stravaccato sulla superficie di velluto rosso e leggermente consumato
come se quel posto fosse sempre stato suo. Le braccia aperte e distese
lungo lo schienale che lasciavano libero accesso a due donne
avvinghiate al suo corpo. Quella alla sua destra, dai lunghi capelli
biondi, lo fissava insistentemente, come una ragazza sovrappeso, messa a dieta, guarda un piatto di cioccolatini, accarezzandogli il torace e
aspettando un suo cenno per potersi fiondare di più sul corpo
del ragazzo. Il vestito bordeaux si fermava a metà coscia, per
niente coperta da uno spacco che faceva vedere un piccolo filo di stoffa
rossa. Sotto di esso, solo autoreggenti a metà coscia che
avvolgevano perfettamente le gambe. L'ombelico era seducentemente messo
in mostra da un ben pensato pezzo di stoffa mancante.
L'altra donna era invece molto più composta. Le gambe
accavallate mostravano delle calze a rete che lasciavano intendere ben
poco sulla sua professione, come del resto i pantaloncini di jeans
molto molto corti e una maglietta stracciata che passava benissimo come
top o anche come straccio per la polvere che di poco copriva un terzo
del provocante reggiseno leopardato che indossava. I capelli corti
erano raccolti in una piccola coda di cavallo alta, eccezion fatta per
un paio di ciuffi ai lati del viso che le facevano risaltare i grandi
occhi azzurri. Sembrava a proprio agio di fianco a Castiel e, al
contrario della sua collega, non sembrava avere alcun interesse per
lui, limitandosi a compiere il suo lavoro con la sua sola presenza.
Ogni tanto sistemava le gambe accavallate o controllava che le unghie
fossero perfettamente smaltate.
«Dove
ti eri cacciato?» chiese il rosso non appena arrivai. Dal suo
tono capii che la domanda era retorica: non gli fregava proprio niente
di me ma il suo sguardo sembrava comunque aspettar qualcosa. In un
territorio non mio, con il mio peggior nemico a fingersi un compagno
non potevo che cercar di mimetizzarmi in quel luogo. Ma non ebbi, di
nuovo, il tempo di dire qualcosa che venni anticipato. «Te
la sei fatta sotto?» ghignò Castiel, piazzandosi il suo
solito ghigno sul muso. Scostò la bionda per allungare il
braccio davanti a sé a prendere il drink portatogli poco prima.
La ragazza sembrò quasi risentirsi per quel gesto, dal momento
che stava facendo di tutto per attirare la sua attenzione senza
evidente successo, mentre la sua rivale rimaneva la preferita pur senza
batter ciglio. Sorseggiò il liquido dal colore indefinito mentre
il mio viso assumeva una smorfia offesa, subito calmata dal trillio
della ragazza in tubino rosso che mi aveva condotto lì. «Allora
io vado. Prego» mi sorrise e con un inchino, che fece
immancabilmente cadere il mio sguardo sul suo seno, si
allontanò. Rimasi a guardarla mentre si allontanava nella
direzione da cui eravamo venuti quando una risatina sommessa del mio
compagno attirò la mia attenzione. «Lei
è una di quelle che non si possono avere» disse, senza
troppe spiegazioni, per poi far tintinnare il bicchiere sulla
superficie di vetro liscio del tavolino davanti a lui. Fece poi un
cenno alla bionda con la testa e questa si illuminò per un
secondo. «Portagli
Candy» le ordinò, spegnendole lo sguardo. Ma prima ch'ella
potesse alzarsi, il rosso aveva infilato la sua mano nella tasca dei
pantaloni di pelle e ne aveva estratto il rotolino di banconote. Lo
allungò alla bionda sussurrando qualcosa che non riuscii a
capire, afferrando solo parole come Lui e un Mi raccomando piuttosto sentito.
Castiel non degnò più di uno sguardo la ragazza che,
risentita per il suo ingrato compito, avrebbe preferito starsene tra le
braccia del ragazzo. Ella se ne andò ticchettando con gli alti
tacchi il pavimento, evidentemente offesa. Aveva nascosto abilmente
quella che sembrava proprio essere una mazzetta tra i due seni,
approfittando della loro abbondanza, dirigendosi verso una parte del
locale a cui praticamente nessuno sembrava poter accedere. Ripensando a
ciò che era successo nel cortile del liceo, cominciai a pensare
che quei soldi potessero davvero appartenere a quell'uomo, e che quindi
Castiel mi aveva mentito. Pensai anche ad un qualche pizzo o un saldo
di qualche conto strano. Mi piaceva riflettere sulle situazioni per
arrivare poi ad una conclusione, come un abile detective, ma per sapere
la verità dovevo anche avere la conferma dall'indiziato circa le
mie congetture. Mi voltai quindi verso il mio compagno ma non potei
chiedergli niente. La mia gola, ormai inutilizzata, stava cominciando a
scocciarsi di quel continuo richiamo all'azione senza che però
andasse a parare da qualche parte. Castiel, invece, stava facendo
lavorare la sua lingua nella gola della ragazza che sembrava un pochino
più sciolta di prima. Le gambe sempre accavallate con fare quasi
regale, erano l'unico dettagli immutato della sua figura. Del viso
coperto dai capelli di lui si riusciva a vedere solo qualche brandello
di pelle e, ogni tanto, lingua. Le sue piccole mani si stringevano al
colletto della giacca di pelle di lui mentre quella di Castiel
accarezzava ogni centimetro non coperto dai vestiti. La vidi che ormai
aveva superato la coscia e, passando per il ventre con gli addominali
contratti per la posa leggermente inclinata all'indietro, finì
sul modesto seno ben reso provocante dagli abiti indossati. Dapprima si
limitò a toccarglielo da sopra il tessuto ma, incurante delle
altre persone, decise di darci dentro, bypassando la stoffa e
spostandole la coppa preformata dalla fantasia leopardata. Intravidi un
capezzolo turgido della ragazza e improvvisamente il mio disagio
tornò a bussare alla porta della mia mente. Deglutii un groppo
d'imbarazzo e, ancora in piedi davanti a loro, mi sentii totalmente
fuori luogo. Non avevo mai visto il seno nudo di una ragazza, eccezion
fatta per mia sorella fino ai dieci anni, quando ancora mi permetteva
di entrare in camera sua o facevamo il bagno insieme, anche se non sono
sicuro che valga come esperienza. Ma perché mi ero messo a
pensare a queste cose infantili mentre due persone, davanti a me,
stavano per copulare? Mi sembrava di trovarmi davanti ad un film porno
senza schermo, dove io potevo solo essere la comparsa -non che
avessi visto un porno, eh. La cosa, stranamente, cominciò a non
dispiacermi del tutto. Ero imbarazzato, sì, ma una parte di me
non voleva andarsene, rimanendo per vedere il finale.
Cominciai a sentire un rigonfiamento nei miei pantaloni. Era normale
provare una simile reazione nei confronti di quella scena? Da che ero
entrato, il mio amico si era fatto sentire più volte,
soprattutto all'arrivo di quella leggiadra ragazza che mi aveva
salvato, ma perché ora sembrava premere più di prima?
L'imbarazzo crebbe a dismisura e decisi che dovevo finirla lì,
subito. Mi girai, convinto a non voltarmi indietro fino a che non fossi
uscito da quel posto peccaminoso, ma una figura seducente mi si
parò davanti. Una donna dai lunghi e mossi capelli neri che si
morsicava provocante il labbro inferiore. Le mani appoggiate sui
fianchi proporzionati al vitino stretto e al seno prosperoso. Sul
reggiseno rosso di pizzo vi era una molletta o spilletta a forma di
caramella e solo allora pensai a ciò che aveva detto Castiel:
lei doveva essere Candy. Non
feci in tempo a squadrare tutto il suo provocante outfit che una sua
mano andò a poggiarsi sopra la mia erezione contenuta e, con
sguardo malizioso, mi abbassò la zip. La vidi avvicinarsi e per
qualche istante inspirai un dolce profumo alla fragola. Chiusi gli
occhi e la sua presenza scomparve davanti a me. Sentii solo la cintura
slacciarsi e la sua voce, più armoniosa di quanto mi aspettassi,
cantilenare
«Vedo che si può cominciare».
Da quanto tempo non aggiornavo?
Chiedo scusa a tutte coloro che hanno dovuto radersi la barba cresciuta per l'imperdonabile ritardo.
Ma questo nuovo capitolo arrostisce e accende un po' le cose. Spero possa piacervi.
Prendetelo anche come un augurio per queste feste che stanno passando velocemente.
Poi avrei cose da specificare.
Per prima cosa, l' "idea" mia: Candy è un tributo alla spogliarellista di American Pie 6 - Beta House.
Nathasha, la bionda che sparisce con la mazzetta è stata disegnata da ParadiChloroBenzene_ alias Ayu,
e l'outfit per l'altra donna senza nome è stato comunque ispirato ai suoi disegni.
Inoltre, un particolare ringraziamento a lei per avermi corretto il labbro nero e altre schifezze in questa storia.
Un buon slinguazzamento con Castiel a chi apprezza, altrimenti, chi preferisce Nathaniel... Aspetti il prossimo capitolo!
Scusa, Jessie... Ricordati che la storia ti piace!
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