Si
chiuda il sipario, si alzino le luci.
Si
applauda forte, lo spettacolo è finito.
Dal palco, vedo persone con
facce tutte uguali che battono le mani, che sorridono,
che dicono “Bravo, Fay,
bravo”.
Grazie
a tutti, siete troppo buoni.
Lo
spettacolo è piaciuto, l’attore è entrato nella parte e ha fatto emozionare.
In
prima fila applaudono più forte, perché le luci sono su di loro, e quando i
fari impietosi del ritorno alla realtà ti sono puntati addosso, l’ipocrisia si
fa più necessaria e marcata.
Le
conosco bene, le regole del gioco.
Discostato sulla sinistra,
in piedi come gli altri, ma immobile,
solo tu non applaudi.
Perché,
Kurogane?
Perché
solo tu tieni le braccia incrociate contro il petto, e mi guardi severo?
Perché hai tutta l’aria di
volermi sgridare?
La
trama, la trama era bella, era avvincente, era ben accompagnata da musica e
canti. C’erano effetti di luce, prodigi tecnici, divinità che volavano, appese
a invisibili fili.
Non
sono stato bravo, non ho reso al meglio le mie possibilità? Non ti è piaciuto,
il personaggio che ho interpretato?
Eppure,
mi sono impegnato tanto, per dare un equilibrio ad ogni aspetto. Non te li
ricordi, i diversi colori dei sorrisi che ti ho sottoposto senza stancarmi mai,
da quelli scanzonati a quelli più dolci?
Una parola d’apprezzamento,
ti prego.
Avresti
dovuto lasciarti andare anche tu all’atmosfera incantata della mia tragedia, e
sognare che tutto ciò che hai visto e sentito fosse vero, invece che startene
lì a studiarmi, aspettando soltanto che io commettessi qualche errore.
Così,
ti sei perso tutto il bello.
Non lo sai? A teatro si
guarda il personaggio, non l’attore.
Ho
provato a lungo, quel sorriso, fino a sentirmelo cucito addosso. Così da essere
sicuro di salire su quel palco e recitare il mio copione come se ogni parola
fosse mia per davvero.
È
una brava persona, vero, il mio personaggio? Mi piacerebbe tanto essere come
lui.
Solo tu ti sottrai al
gioco, Kurogane, perché?
Ripercorro
mentalmente ogni passaggio, ogni gesto che ho compiuto, ogni parola che ho
pronunciato.
Sono
stato convincente, so di esserlo stato, perché sai, mi è costata molta fatica,
e prove su prove, davanti ad uno specchio che ogni giorno di incrinava un po’
di più.
Ringraziando
per l’ennesima volta il mio generoso pubblico, mi inchino, e intanto affondo la
mano con naturalezza sul mio cuore: batte furiosamente, da quando si è accorto
del tuo ringhio distaccato.
Batte come se volesse
esplodermi qui, fra le dita.
Come se tu gli facessi
paura.
Adesso,
lo spettacolo è finito, e io non posso replicare, non più.
Non
lo vedi? Il sipario è già chiuso, io ho già fatto gli inchini di rito, e ormai
non c’è più tempo.
Questi
applausi rumorosi che scrosciano su di me sono un sottofondo inutile, perché tu
non batti le tue mani?
Perché, Kurogane, la tua
espressione accigliata
mi dice che sei deluso?