CAPITOLO PRIMO
Fuoco, fumo che toglieva il respiro, urla, paura, gente che correva.
L'incendio distruggeva i velluti delle tende e lo stucco delle
decorazioni barocche del lussuoso teatro dell'Opera...
Ma alla donna non importava cosa fosse successo e perché. E
non le importava nemmeno di salvarsi dall'incendio che stava per
devastare la sala.
Aveva appena assistito a una scena del tutto surreale, era andata a
teatro per la rappresentazione di un'opera in musica, il “Don
Juan Trionfante” di un autore anonimo. La rappresentazione
era partita bene, Christine Daae, la graziosa soprano, aveva dato prova
di una grande bravura, nonché di grandi capacità
interpretative nella parte di Aminta, nel bel mezzo della prima scena
lei e l'uomo che interpretava don Juan si erano lanciati in un duetto
talmente sensuale che aveva messo in imbarazzo i ricchi e raffinati
signori del pubblico. A lei, a Diane de Valois, quel ballo e quella
musica erano piaciuti, non era una donnina subdola e maliziosa, anzi ne
sapeva fin troppo poco della passione per poter immedesimarsi nei
personaggi che avevano preso vita sul palco, ma forse fu per questo che
quelle scene portarono particolarmente in alto i suoi sogni quella
sera. Del resto era per questo che lei andava a teatro.
Ma all'improvviso la soprano aveva smascherato il suo compagno, sotto
la maschera nera era apparso un volto deformato da una grossa piaga che
si stendeva su tutto il lato destro del viso. Quello spettacolo aveva
avuto l'effetto di strappare dalla platea un'esclamazione collettiva di
disgusto che si era tramutato in vero e proprio terrore quando l'uomo
aveva tagliato una corda e il grosso lampadario che illuminava il
teatro era crollato ai piedi del palco provocando un incendio che aveva
preso piede con la stessa rapidità con cui l'uomo e la
ragazza erano spariti...
La gente aveva preso a scappare in ogni direzione, sul palco la Daae e
l'uomo erano scoparsi inghiottiti da una botola, il visconte de Chagny
era corso dietro le quinte con aria concitata, alcune persone si erano
unite ai poliziotti e si scambiavano proposte sul come trovare
“il mostruoso carnefice”...
Ma di tutto questo a Diane importava ben poco in quel momento.
Era venuta a teatro con Vivianne, sua figlia. La bambina aveva solo sei
anni e quando aveva visto la madre uscire di casa aveva insistito per
andare con lei, così Diane l'aveva portata con sé
a teatro, quando la gente aveva cominciato a correre via la bambina era
stata trascinata dalla folla e sua madre l'aveva persa di vista.
A costo di bruciare insieme al teatro, Diane non si sarebbe mossa di
lì fino a quando non avesse avuto la certezza che la piccola
era in salvo.
“Venite via madame!- disse una voce spaventata -Signora
marchesa, venite via, vi prego!”
Diane continuava a guardarsi intorno cercando di scorgere tra il fumo e
gli sbuffi di cenere il volto di sua figlia. Due mani forti e ruvide
l'afferrarono indelicatamente per le spalle e la trascinarono via.
*
La donna non voleva sapere, adesso si voleva concedere il lusso di
avere paura ed essere debole, comunque sarebbe andata a finire... e
sarebbe finita presto, in un modo o nell'altro.
Eloise Giry sapeva che il palcoscenico non è l'unico luogo
dove la gente recita, dove nasce la finzione... lei aveva recitato la
parte della donna assennata per una vita intera, ma il fuoco che stava
devastando il teatro era una prova evidente di quanto poco senno ci
fosse in ciò che aveva fatto.
Si poggiò con le spalle contro la parete del corridoio e
sospirò. Era evidente che aveva sbagliato qualcosa... aveva
sbagliato a proteggere lui o a non riuscire a proteggere gli altri?
Ma tra LUI e gli altri non aveva mai saputo scegliere... e forse era
questa la sua colpa più grande.
Un senso gelido e pungente di angoscia le attanagliò lo
stomaco, tanto che desiderò che il suo cuore bruciasse
insieme con il teatro per non dover più sentire niente.
Eppure, anche lì da sola, in quel corridoio buio che portava
alle sue stanze madame Eloise riuscì a trovare il contegno
necessario ad evitare le lacrime. Tra le mani stringeva la maschera
nera del Don Juan, l'aveva raccolta dal palcoscenico prima che fosse
sommerso dalle fiamme. Parigi intera avrebbe potuto continuare a
reputarlo un mostro, ma il ricordo che lei avrebbe conservato di Erik
sarebbe stato il ricordo di una persona a cui aveva voluto bene. Anche
se ora non voleva saperlo... non voleva sapere cosa ne era stato di
lui... di Christine Daae che considerava una seconda figlia, di Raoul
de Chagny...
Continuò a camminare poggiandosi al muro, nel buio vide
un'ombra proprio davanti alla porta della sua stanza.
Sobbalzò,
“Sei tu?...” disse con un filo di voce
l'ombra non rispose
“Erik?...” domandò ancora la donna
sicura di non essersi ingannata, lei aveva imparato a riconoscerlo
persino dal silenzio delle sue apparizioni furtive,
l'uomo venne avanti, fu come se la sua figura emergesse dal buio mentre
raggiungeva il cono di fioca luce proiettato dalla luna che filtrava
attraverso una piccola finestra, il volto continuò a restare
in ombra, madame Giry pensò che nemmeno lei lo aveva
più visto senza maschera dalla notte in cui lo aveva portato
con sé all'Opera.
“Odiami anche tu, così potrò andarmene
senza rimpianti” sibilò la voce di Erik priva di
emozione,
“Non ti odio... e in questa faccenda non sei il solo ad avere
delle colpe, ho colpe anche io” rispose la donna,
lui non disse niente, lei gli porse la maschera
“Pensavo di conservarla, ma forse ne hai bisogno”
aggiunse. Per l'uomo fu quasi un sollievo poterla indossare di nuovo,
quando l'ebbe allacciata dietro la nuca permise alla pallida luce di
illuminargli anche il volto mascherato,
“Potrei lasciarmi prendere, e sarebbe tutto finito, sarei
morto nelle loro mani prima di domattina” disse
“E di me, cosa ne sarebbe?- rispose la donna spaventata da
quelle parole- i miei sensi di colpa sono già abbastanza
grandi, non sopporterei l'idea di non saperti in salvo”
“Hai passato la vita a proteggermi, all'insaputa di tutti,
perfino di tuo marito, ma non sono più un ragazzino
impaurito, Eloise”
“Ho passato la vita a prendermi cura di te, è
vero... e l'unica cosa che puoi fare per ripagarmi di quello che ho
fatto per te ora è metterti in salvo”
Erik annuì
“Addio, Eloise” mormorò, e prima che la
donna avesse tempo di rispondergli sparì inghiottito dal
buio, proprio come un fantasma.
*
Il braccio di Raoul sanguinava ancora mentre sul suo collo si stava
illividendo un solco violaceo in corrispondenza del punto in cui il
cappio lo aveva stretto, come le impronte delle dita della morte
passate sulla sua gola.
Con l'altro braccio il giovane uomo cingeva le spalle della ragazza...
finalmente solo sua, finalmente libera, finalmente in salvo.
“Sarà
per sempre in me...” pensò di nuovo
Christine premuta contro il velluto del sedile della carrozza che
saettava nella fresca sera parigina.
Il silenzio dopo la musica lascia sempre l'opaca sensazione del
risveglio da un sogno. E ora si che non ci sarebbe stato nient'altro
che silenzio.
Lei scrutò il viso di Raoul, la tensione che si stava
allentando rendeva le palpebre pesanti, gli occhi bruciavano.
Era strano come la sensazione di sicurezza si confondesse con
l'angoscia. L'Angelo della Musica l'aveva lasciata andare.
Christine era giovane e inesperta, ma non abbastanza da non sapere che
ogni scelta comportava sempre una rinuncia. Lei aveva scelto ma sapeva
che il ricordo della persona a cui aveva rinunciato non le avrebbe mai
lasciato pace. Dopotutto la scelta le era sembrata facile... era la
rinuncia che le avrebbe pesato con l'andare del tempo, non si
può pensare di fare a meno di un pezzo della propria anima.
“Christine ti
amo...” glielo aveva detto cantando, e l'idea
che il suono di quella voce d'angelo si perdesse nella memoria le
faceva intravedere la prospettiva di una vita diversa, più
serena e radiosa ma più vuota... più silenziosa.
Non avrebbe dovuto voltarsi verso di lui prima di andare via, ora
sapeva che il ricordo di quelle lacrime non le avrebbe mai lasciato
tregua se mai si fosse trovata sola con i suoi pensieri. Nell'angolo
più remoto della sua mente si augurò che il
Fantasma dell'Opera fosse morto. Quell'uomo non avrebbe mai avuto pace
su questa terra, e lei preferiva saperlo morto e in pace, che in vita e
dannato... dannato a causa sua.
*
Dietro le macchie nere lasciate dalla cenere il volto di Diane era
pallido,
“Vivianne... bambina mia...” singhiozzava,
ripetendo ossessivamente il nome di sua figlia con la voce ormai
ridotta a un rantolo confuso.
L'avevano portata via dal teatro e l'avevano condotta fuori,
all'aperto. Sul piazzale dinnanzi all'Opera si era riversata tutta
Parigi, gente volenterosa di aiutare a placare l'incendio o
semplicemente curiosi richiamati dalle fiamme. I cavalli erano
imbizzarriti e i cocchieri faticavano a calmarli. I passeggeri delle
carrozze chiedevano di affrettarsi a domarli e di tornare a casa al
più presto per poter dimenticare una serata fin troppo
movimentata.
Tutta Parigi... e nessuno a cui interessasse di quella madre che
piangeva per sua figlia. Se qualcuno dei presenti chiedeva delle sorti
di qualcun'altro era solo per sapere del Fantasma dell'Opera:
“L'hanno preso dunque quel mostro?”
“Quell'assassino... spero abbia avuto la sorte che meritava e
che sia morto nella sua fogna”
“Spero che lo prendano, voglio vedere la sua testa in mano al
boia, sempre che non lo ammazzino di botte prima...”
affermazioni come queste serpeggiavano tra la gente accorsa nella
piazza.
Ma Diane non prestava ascolto a nient'altro che non fosse la sua
angoscia. Ogni boccata d'aria che respirava le sembrava un furto
commesso ai danni del destino... se il cielo quella sera aveva ancora
bisogno di reclamare qualcuno doveva essere lei, non la sua piccola
Vivianne.
Quando scorse la figura di sua figlia per mano a quella donna, in cima
alle scale del teatro, per un attimo pensò che si trattasse
di un'allucinazione, invece la bambina lasciò andare la mano
della sua accompagnatrice e corse incontro alla madre.
“Vivianne, piccola mia!” esclamò Diane
sollevando la bimba tra le braccia e baciandole il viso delicato,
lei si strinse contro la donna
“Mamma... scusa se ti ho fatto preoccupare... io non volevo,
ho avuto paura e sono scappata” singhiozzò,
“Non importa amore mio, non importa- rispose la madre
accarezzandola, poi guardò la donna che l'aveva
accompagnata- grazie madame per avermela riportata”
“L'ho trovata nelle mie stanze, signora marchesa,
evidentemente era scappata lì per proteggersi
dall'incendio” spiegò madame Giry
“No, ero scappata fuori, nelle stalle- spiegò
Vivianne con premura- ho trovato un signore che mi ha portato
dentro...”
madame Giry aveva intuito che doveva essere stato Erik a portare al
chiuso la piccola, ma preferì non dire niente, se si fosse
saputo i suoi inseguitori avrebbero intuito che lui era ancora nei
paraggi, che era ancora vivo. La marchesa non prestò troppa
attenzione al racconto di sua figlia, sollevata com'era dall'averla
ritrovata sana e salva.
“Grazie ancora, signora” disse Diane guardando
madame Giry con un sorriso cordiale offuscato dalle lacrime che
scendevano piano portandosi via un po' delle fuliggine che le macchiava
il viso,
“Non ringraziatemi, madame, sono una madre anche
io” rispose l'altra donna sforzandosi di ricambiare il
sorriso... tutta Parigi lì fuori e nessuno che immaginasse
minimamente la pena che lei stava provando in quel momento.
*
“E' finita
ora, la musica della notte...”, la musica aveva
lasciato il posto a un silenzio e quell'assenza di suono aveva per lui
un'aria innaturale, lui che aveva il grande dono di trasformare ogni
silenzio in melodia semplicemente sedendosi al suo organo o
imbracciando il suo violino.
Il cavallo correva come un fulmine per le strade di campagna, come se
il tormento dell'uomo che portava in groppa fosse anche il suo, il buio
lo proteggeva dagli occhi di Parigi, dagli sguardi della folla che
avrebbero fatto male più delle bastonate che avrebbe
certamente ricevuto se lo avessero preso. Erik sperava che il vento che
gli soffiava violentemente contro avrebbe portato via un po' del suo
dolore. Anche se in quel momento non riusciva a pensare a niente...
voleva solo scappare. Scappare dal suo teatro che aveva distrutto con
le proprie mani, scappare dal male che aveva fatto e da quello che
aveva ricevuto.
Si fermò nei pressi di un ruscello per lasciare che il
cavallo si abbeverasse e riprendesse fiato.
L'istinto di sopravvivenza è un lato strano della natura
umana, ti costringe a lottare per metterti in salvo anche quando non
hai nessun motivo per andare avanti. Ed Erik di motivi davvero non ne
aveva, e nemmeno sapeva dove cercarli.
Gli tornò in mente la bambina che aveva incontrato, lei gli
aveva chiesto aiuto, per la prima volta in vita sua Erik aveva ricevuto
un ringraziamento per qualcosa di buono che aveva fatto.
L'istinto di sopravvivenza... forse è semplicemente una
dimostrazione del fatto che il cuore di ogni uomo conserva anche nei
momenti peggiori una manciata di speranza.
E l'ultima impercettibile scintilla di speranza per lui si era accesa
nello sguardo dolce di quella bambina, più che nelle ultime
parole che aveva scambiato con Madame Giry.
O forse preferì pensare solo alla bambina per non pensare a
lei, a Christine. In tasca aveva l'anello che lei gli aveva reso prima
di andarsene, lo prese e ne fissò il luccichio facendolo
saltare sul palmo della mano,
“Malgrado tutto, Christine ci apparterremo sempre”
mormorò stringendo il gioiello nel pugno, poi
spronò di nuovo il cavallo e ripartì, incitando
la bestia a correre più che poteva.
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