The Pontguard Road

di Lopsycho
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La notte dell'anno seguente - come molte altre notti dello stesso periodo -  si teneva un rave organizzato su larga scala da un gruppo di anarchici locali, ma l'invito era stato inoltrato e accettato da molta gente, anche dabbene, proveniente dalla città; e come special guest: un sacco di pusher che vendevano la roba più ricercata ai prezzi più stracciati e competitivi. Non si poteva mancare.
Sulla strada del ritorno, la Pontguard Road 499, un ragazzo alticcio e allucinato sfrecciava non al di sotto di 140/h. Faceva freddo, e la nebbia e la pioggerella rendevano impervio quel tragitto. Ma ecco che da poco lontano si scorgeva una ragazza in giacca di pelle e vestitino corto che chiedeva l'autostop. Doveva essere proprio sfigata per congelarsi a quella maniera sul ciglio di una strada. Lui ovviamente la scambiò per una puttana ma in uno o nell'altro caso, l'avrebbe fatta salire con piacere.
Inchiodò illuminandola di scorcio a un palmo da lei, e per poco non le finiva addosso. Lei non si preoccupò di scostarsi per evitare un urto diretto al suo addome.
«Come ti chiami, bellezza?» disse il ragazzo. La ragazza si chinò verso di lui dicendo solo «Portami a casa per favore, sono stanca di aspettare quì... al freddo. Abito a 14 miglia».
Sotto effetto di stupefacenti, il ragazzo era molto intrepido e sicuro di sé e, mentre faceva accomodare quella ragazza, pensò già ai mille modi di sbattersela una volta arrivati fin sotto casa sua, per farla sdebitare del favore.
«Come ti chiami?» disse lei.
«Victor..»
«Piacere di conoscerti.»
I due cominciarono a farsi le solite domande canoniche e parlavano. Parlava quasi sempre lui, con apprezzamenti e disquisizioni procaci circa lo spacco del suo vestitino che le lasciava intravedere la coscia.
Dopo un lungo silenzio da parte di lei si rivolse a lui lamentandosi della sua guida: «Non ti sembra di correre un po' troppo? Rallenta, no?»
«So quello che faccio» rispose lui, non avendo ovviamente la minima intenzione di apparire una fighetta.
«Scusami ma la velocità mi mette un po' d'ansia. Potresti decelerare?»
«Ma di che hai paura? Tanto non passa nessuno quì! Fidati»
«Ho imparato a non fidarmi di chi ha le cose sotto controllo... non credo più alle favole: per favore rallenta e mettiti la cintura... sennò me ne vado».
«Dove te ne vai tu che siamo in corsa? Dove te ne vai!?»
«Ti prego.»
«Senti troietta, adesso mi stai stancando: se non era per scopare ti potevo anche lasciare lì dov'eri. Stai zitta e fammi un pompino piuttosto» sghignazzò. Lei non rispose.
«Come hai detto che ti chiami?» disse lui.
Ma lei continuava a trincerarsi in una cortina di silenzio. Era come impassibile, rassegnata... ancora una volta. I capelli neri e increspati le scendevano sul volto, rendendolo imperscrutabile.
«Cosa c'è, ti sei offesa? ...Non ci pensare, dolcezza, siamo quasi arrivati a casa.. ci penso io adesso farti tornare il sorriso, eh?»
«Sei come tutti gli altri.»
«Oh no.. io sono meglio.. non te ne pentirai, troietta.»
Una lacrima cominciò a rigarle il volto.
Victor si girò verso di lei, ma si concentrò un attimo sul suo aspetto fisico: era rivolta verso il finestrino, quindi si vedeva solo un lembo della guancia, emaciato, tumefatto, color rosso vivo.
«Ehi ma ..Che diavolo hai?»
Udì dei singhiozzi.
«Che cazzo hai in faccia? Parla!» disse.
Lei, con voce tremante gli sussurrò: «Che cosa ti costa darmi retta?»
«Cosa??»
«Io volevo solo aiutarti...»
«Adesso ti faccio scendere, puttana, se non mi dici che cazzo vuoi.»
«Ti pare giusto finirla in questo modo? A due soli esami dalla mia laurea!?»
«Puttana, guardami in faccia quando dici stronzate!». Prese ad afferrarle i capelli, ma se ne vennero tutti a ciocche, e rimasero solo pochi peli ancora attaccati alla cute che sembrava ustionata.
Victor si fece scappare un gemito simile ad un conato per lo spettacolo raccapricciante: una testa e un corpo completamente desquamati privi di pelle, gli occhi erano orbite cave, piene di vermi e di mosche che ci deponevano le larve.
Lo sbattè sul finestrino opposto, macchiandolo di rosso. Non gli sembrava vero .. no, non lo era !! Erano i suoi occhi allucinati a mentire, pensò in un lampo di lucidità. Ma non c'era lucidità che tenesse a giustificare quello scempio umano, quel connubbio schifoso tra Munch e Picasso. In quello stesso momento non fece in tempo a riposizionare le mani al volante che si vide davanti a sé un tronco posto a mezz'aria che gli sbarrava la strada e la visuale, e che in nonnulla era sul cofano e poi sul parabrezza, e il suo corpo si accartocciò.

Sul suo torace venne trovata una cicatrice profonda ma netta che formava delle lettere, una frase, che recitava queste tre parole: "You killed me" - ovvero - "Mi hai ucciso".




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