Come un petalo di fiore di pesco si fa trasportare dal flebile
vento di primavera, mi lasciai andare alle tue carezze, ai tuoi baci. Mi
scioglievo alle tue dolci parole, come candida neve al torrido sole.
Mentre mi cingevi la vita, mi sentivo sicura, protetta. Non
contava nulla al di fuori di noi…
Ero felice, serena, sentivo che ero finalmente riuscita a
trovare un equilibrio mai raggiunto prima, ma molto ambito nella mia
instabilità.
E poi… ti vidi…
Quel giorno, quell’orribile giorno d’estate.
Faceva caldo, troppo caldo, più caldo delle fiamme dell’Ade.
Cercavo disperatamente un posto all’ombra per ripararmi dai
bollenti raggi del sole.
Lo trovai, ma quanto desiderai non averlo fatto: tu eri li. Sarei
stata contenta… se non fosse stato per la ragazza che era accoccolata tra le
tue braccia e che appoggiava placidamente la testa sulle tue gambe. La stavi
imboccando con degli acini d’uva e sorridevi, quel sorriso che non ti avevo mai
visto esibire se non in mia compagnia, venduto, anzi, regalato alla prima
ragazza che avevi visto…
La guardai bene e poi mi osservai a mia volta: si, era decisamente più bella di me. Le mie onde castane non
erano niente in confronto alle spighe di grano purissimo che portava sul capo
con orgoglio; le mie forme appena accennate non potevano competere con le sue,
molto generose; la mia pelle color dell’ambra era terriccio in confronto al suo
manto bianco che sembrava troppo fragile e prezioso per essere umano. Ma una
volta che mi avvicinai meglio, scoprii che la cosa che ti aveva rapito di più
erano i suoi occhi, occhi silvestri del colore dell’erba, mentre i miei erano
semplici e comunissimi occhi marroni, color di corteccia.
Dei mille singhiozzi nei quali mi stavo perdendo, ne uscì
uno più acuto degli altri. Fu quello che ti fece accorgere finalmente della mia
presenza. Ti scostasti la giovane venere dalle gambe più velocemente che potevi e
cercasti di spiegare quella scena alla qual avevo assistito… Come avrei potuto
crederti? Come, dopo quello che avevo visto?? Dimmi
come! Non volli sentire alcun suono provenire dalle tue labbra bugiarde e corsi
via, in preda alle lacrime.
Ed ora eccomi qui, a scrivere una lettera ad un misero uomo
che mi ha rovinato gli anni dell’adolescenza, quelli che sarebbero dovuti
essere i più belli della mia vita.
Sai che ti dico? In verità, ti scrivo questa lettera solo
per vendicarmi: scommetto che, dopo che corsi via, quella ragazza ti ha chiesto
chi fossi e tu non hai saputo rispondere, rimanendo solo, magari anche con il
segno di cinque dita rosse impresse su una guancia. Le donne ateniesi sono
molto orgogliose, caro mio, peccato non averlo saputo prima, vero? Scommetto
che non le avevi detto di avere un’altra. Io invece, ho finalmente trovato il
MIO uomo, colui che mi ha saputa rendere felice e che mi rende la donna più
felice del mondo, tutt’ora, dopo 5 anni dal nostro matrimonio. Lui sì che è un
uomo fedele, gentile, dolce e generoso. Secondo me, tu ora sei solo, senza
nessuno: un verme come te non può aver trovato l’amore, anche perché non sai
cosa significhi questa bellissima parola. Beh, quando eravamo io e te pensavo di saperlo, ma mi rendo conto solo ora di quanto
mi sbagliassi…
Se, a differenza di come ho detto prima, hai trovato la
donna della tua vita, uccidila: nessuna pena è più grande che stare con te, nemmeno
il regno degli inferi e poi, le affretteresti solo il destino inevitabile di
una vita con te, una morte per il troppo dolore struggente. E tu, giovane,
eventuale sfortunata capitata a questo uomo, se non vuoi
essere uccisa (soluzione che devo riconoscere io stessa ingiusta per te),
scappa da lui: te lo suggerisce una donna che ha sofferto una vita per colpa
dell’uomo al quale sei congiunta, una donna che ha avuto paura d’amare per anni
per colpa dell’uomo con il quale sei sposata.
Non dirmi che sono una donna malvagia, lo sai come sono e se
non te lo ricordi arrangiati: hai avuto l’occasione di conoscermi. Io sono
così, tra i mille capitoli del mio carattere, c’è anche il veleno per la
vendetta e non intendo cambiare questo lato di me.
Con tutto il mio odio e la mia sete di giustizia.
Megara