Il risveglio di una vita
Mi sentivo cadere, potrei dire di essere caduto all'inifinito per un sacco di tempo, ma era tutto così confuso.
Non è la mia lingua a parlare, nè la mia testa, ma il mio
spirito, quella parte di anima che non prova vergogna, nè rabbia
o allegria, solo la parte sincera, che racconta i fatti come sono
realmente andati e per questo racconto della mia storia, la storia
dello spirito incatenato di un uomo all'interno di una bestia.
Tutto ciò che posso dire è che la mia vita è cominciata dalla fine, proprio dalla fine.
Avvertivo la testa pesante e mi girava di continuo, lo stomaco sempre
più vuoto e leggero lo sentivo espandersi in me come fà
la paura e la certezza di ciò che stava accadendo, una certezza
che però andò via via disperdendosi con la mia memoria;
il mio cuore era così in alto da non lasciarmi quasi la
possibilità di respirare, eppure lo sentivo battere così
velocemente.
Avvertivo un bruciore che mi percorreva la pelle tanto da farmi sentire
freddo, un freddo gelido e un'infinità di lame pungevano con
un'audacia crudele braccia e gambe; le sentivo sulla schiena, ai
fianchi e sul collo fin sopra le guance; non vedevo nulla, erano
soltanto sensazioni.
D'un tratto un dolore mi colse del tutto senza preavviso, mi dimenticai
di tutto ciò che provavo prima e da quel punto non sentivo altro
che dolore, dolore e un freddo torbido e mortale.
Non riuscivo a respirare, a quanto ricordavo non sapevo neppure di
essere nato, eppure sentivo la morte avvicinarsi velocemente
appropriandosi prima di tutto del mio corpo, poi dei miei sensi, ma il
mio spirito lo sentivo lì dov'era.
Nonostante le mie paure e preoccupazioni non sentivo di rischiare
nè la mia vita, nè la mia anima e mentre pensavo questo,
tutto rallentò; mi ritrovai in un limbo, un oscuro oblio di pace
che non mi sarei mai aspettato.
Per un attimo mi sono sentito fuori di me, ma ecco che lentamente la
mia testa tornava a farsi pesante e il freddo pungente ricominciava a
farsi calore ingovernabile.
I miei sensi riaffiorarono per poco come una palla spinta troppo in
profondità nell'acqua; per un momento le mie orecchie
avvertirono un brusio, un suono basso che si ripetè per un po'.
Decisi di aprire gli occhi, le palpebre erano pesanti come macigni;
ombre e luci fatue governavano la mia vista, attorno a me vedevo
fluttuare delle luci accecanti circondate dal buio più immenso.
Il suono si ripetè ancora, ma col tempo si fece più
distinto; da prima pareva un'imponente flusso di vento, basso, profondo
e impetuoso, poi pensai a un orso, un lupo o un grosso cane che
abbaiava rimbombante ai miei timpani e infine eccola, una candida voce
che mi parlava; in quel momento mi pareva la cosa più bella che
avessi mai sentito.
"Come ti chiami?"
Gridava la voce sempre più femminile al mio udito.
"Hey, mi senti?!"
Dopo un attimo di estasi tentai di rispondere, ma mi sentìi bloccato.
"Riesci a rispondermi?! Come ti chiami?!"
Niente, nessuna risposta provenì dalla mia bocca, lottai con
tutto me stesso, ma le tenebre ritornarono e sprofondai in un profondo
sonno di ricordi perduti, non puoi sognare, quando non hai ricordi.
Il dolore passò con il tempo e le tenebre l'accompagnarono, il
silenzio regnava attorno a me, ma non un silenzio di tomba, come quello
provato prima, no; un silenzio caloroso, avvertivo lo scorrere
dell'acqua nelle vicinanze, il suono di lievi cinguettìi qua e
là e dei passi, leggeri che scivolavano lenti sul terreno e
risuonavano prima a destra, poi a sinistra.
Ero ancora piuttosto stanco, non ricordavo perchè lo fossi ma lo
ero e lottai con tutto me stesso per spalancare gli occhi.
Ricordo di essere stato seduto, quasi sdraiato con la nuca poggiata contro una parete e forzai la schiena per alzarmi un po'.
"Nnnngh!"
Feci un lungo lamento mentre mi muovevo ma non mi curai quasi per niente del dolore che provavo.
Raddrizzai la schiena e passandomi una mano dalla fronte al mento per ritornare in me aprìi gli occhi.
Mi trovavo in un angusta topaia, niente stanze nè finestre, solo
4 pareti fatiscenti; a dire il vero, non si trattava nemmeno di vere e
proprie pareti, solo una decina di assi di legno componevano un lato
dell'abitazione, il resto era costruito una roccia sull'altra.
Intravidi un tavolo, un paio di sedie e poco più a destra vidi
divampare un piccolo fuoco, forse un camino, ma in lontananza le
immagini erano ancora sfocate.
Una figura mi passò di fronte un paio di volte prima che la
potessi distinguere, era piccola e curva e non ero ancora abituato alla
luce del tramonto che traspirava da sinistra, non muovevo neppure le
pupille, il mio sguardo era perso nel vuoto anche se io ero presente.
"Come ti senti?"
Fece quella figura, una figura scura che ancora non distinguevo.
"Mmmh?"
Fù tutto ciò che riuscìi a dire poggiando la mia testa sul palmo della mia mano per la fiacchezza.
"Era ora ti svegliassi, hai preso una bella botta lì fuori."
Feci ancora un lungo verso animale prima di forzarmi a dire qualcosa e
con voce bassa e fiacca e lo sguardo basso per prima cosa chiesi:
"Dove sono?"
"Ti trovi a casa mia, cerca di non muoverti troppo."
Rispose frettolosa la mia ospitante mentre raccoglieva qualcosa da
terra e la gettava tra le fiamme del bracere, probabilmente ceppi di
legno per alimentare il fuoco.
Non me ne curai, volevo sapere cosa stava accadendo, così tentai di alzarmi e feci:
"Perchè dovrei? Oh!"
Una fitta si manifestò nuovamente e ora capìi da dove
proveniva; attorno la spalla sinistra si trovava una sorta di straccio
marrone di seconda mano, era vecchio, ma in buone condizioni anche se
piuttosto ruvido.
Caddi seduto dove mi trovavo pochi secondi prima ed ella si avvicinò per soccorrermi.
"Tu non mi ascolti giovane uomo. Hai una brutta ferita, ho cercato di
medicarla ma se non lasci riposare la spalla non guarirai mai."
Ero chino su me stesso e lei si inginocchiò proprio di fronte a me così potei finalmente vedere il suo viso.
Era un'anziana signora, molto vecchia e gobba, le rughe era ben segnate
sulla sua pelle pallida e le segnavano da parte a parte il viso
raggrinzito, pochi capelli grigiastri sbucavano dal panno che teneva
legato sulla testa e gli occhi, pallidi anch'essi e sbiaditi dal tempo
mi incutevano una strana irrequietezza, quasi mi informassero della
mancanza della sua anima.
Le sue vesti erano vecchie almeno quanto lei e usurate come un foglio
di carta bruciacchiato, ipotizzai gli insetti ci avessero probabilmente
allestito un banchetto per l'arco di un intero secolo; erano scure e
sporche di terra come i suoi piedi nudi, eppure lei sembrava trovarsi a
suo agio in quegli stracci perciò non commentai.
Mi massaggiò lentamente la spalla e poi il braccio; sentivo i
suoi palmi ruvidi e freddi su di me, io nel frattempo la fissavo
turbato, come se non avessi mai visto un'anziata vecchietta in vita mia.
Ero combattuto sul come comportarmi, ma alla fine mi accontentai di dirle con fare impacciato:
"Grazie."
Incredibile, inconsciamente avevo la sensazione di poter avere il
controllo di ogni cosa, mi sentivo in dovere di farmi rispettare in
qualche modo da chiunque, specialmente una semplice vecchia, eppure
quella persona mi bloccava la lingua.
Con calma ritrasse le sue mani ossute e si rialzò in piedi per tornare alle sue faccende.
La guardai avvicinarsi al camino e ci misi un po' di tempo prima di
disincantarmi e chiederle cosa stesse succedendo, perciò
asserì:
"Non mi avete risposto, anziana signora."
Lei si avvicinò al camino e raccolse qualcosa che era poggiato
lì, un bastone, non molto alto, ma abbastanza da superarla in
altezza e raccolto il mio commento si voltò incuriosita
poggiando il suo gracile peso sulla contorta asta di legno.
"Sapete dirmi dove mi trovo?"
Domandai con rispetto.
"Ti ho risposto, sei a casa mia."
Rispose facendo un piccolo cenno col bastone per mostrarmi la sua casa.
Cercai di essere educato, ma dato che ella mi diede del tu, così feci anch'io:
"E tu chi saresti di grazia?"
Chiesi alzando il tono della voce spazientito e timidamente offeso, ma
così come lo fù lei, ribattè brontolando:
"Si dà il caso che io sia la persona che ti ha salvato la vita!"
Riflettei un momento, ma non ricordavo e con tono di sufficenza e alzando le spalle asserì:
"Non ho memoria di questo."
"Dici di non ricordare giovane uomo?"
Sbuffai e riflettei ancora forzando la mia mente, ma nulla; ero nervoso
e di conseguenza mi spazientì sempre di più.
"No, non ricordo e non chiamarmi così! Io ho un nome donna."
Feci portando un pollice al mio petto che si aprì spavaldo e pieno d'orgoglio.
"Va bene, favoriscilo."
Propose lei sarcasticamente.
Mi bloccai, non avevo risposte da dare, mi guardai attorno
freneticamente spostando lo sguardo a destra e sinistra sperando di
ricordare qualcosa, ma alla fine mi chinai piano piano con la testa che
scese fino a penzolare giù nell'estremo tentativo di non
impazzire e un lungo sbuffo d'aria uscì fuori dalle mie grandi
narici.
Ella attese, e attese ancora e la consapevolezza di ciò che
stava accadendo sembrava la rendesse quasi più felice, forse era
una mia impressione, ma provavo sempre più disprezzo per quella
donna la quale continuò.
"Non ricordi nemmeno questo?"
La guardai con rabbia e degradazione ed ella proseguì:
"Bhè, ci dovrà pur essere qualcosa che ricordi della tua vita."
Lottai interiormente per non accettare questa mia nuova, terribile
realtà, ma infine, con un dispiacere che mi fece stringere i
denti fino a farmi male, feci cenno di no.
Un silenzio imbarazzante si propagò nella stanza per qualche
secondo, lei se ne stava lì in piedi di fronte a me a fissarmi
poggiata a quel suo maledetto bastone senza dir niente e io,
bhè, senza alcun ricordo a cui aggrapparmi non avevo proprio di
nulla di cui parlare; solo domande, domande a cui solo quell'anziana
donna poteva darmi una risposta.
Tante, troppe domande affollavano la mia testa, tante da non sapere da
dove cominciare e prima che io potessi dire nulla lei ruppe il silenzio
presentandosi per prima.
"Rispondendo al tuo quesito: Il mio nome è Claire."
Provai a trattenermi, giuro che ci provai con tutto me stesso, ma
l'umiliazione che provavo era fin troppo grande, non so rispetto a
quale pensiero presi questa decisione, lo sentivo dentro di me e basta.
Successivamente la vergogna si tramutò velocemente in rabbia e ciò che replicai fù:
"Questo non mi aiuta vecchia, devo sapere cosa è successo e perchè non ricordo niente della mia persona!"
Gettai un'occhiataccia alla donna e lei restò sbigottita e
rattristata tanto dalla mia risposta quanto dal mio repentino cambio
d'umore.
Non riusciva neppure a trattenere lo sguardo su di me, tantò di rispondere intimidita:
"Io... non lo so, ti ho travato sulla riva del fiume. Eri svenuto, perciò ti portai qui e..."
"Bhè a quanto pare non mi servi a un granchè!"
Restammo nuovamente in silezio, lei pareva offesa e lievemente impaurita per ribattere.
Provai ad alzarmi ancora contro ogni possibilità di riuscita; il
dolore era insostenibile perfino per il mio fisico imponente.
"Hai ancora bisogno di riposo."
Disse lei preoccupandosi con una lieve forma di paura che identificai nella sua voce, ma non mi importava in quel momento.
"Non mi occorre riposo, me la caverò benissimo, come me la sarei cavata prima di risvegliarmi in quest'angusta topaia."
"Prima che ti SALVASSI eri in fin di vita!"
Precisò lei.
"Bhè avresti potuto lasciarmi lì dov'ero! Per quanto mi riguarda. Non mi sei stata di grande aiuto, sai?"
Commentai beatamente tentando di sminuire le sue buone intenzioni.
Riuscìi a rialzarmi espirando fino a svuotarmi i polmoni, poi
guardai in basso; non sapevo se le vesti che indossavo fossero le mie;
portavo addosso una larga maglia bianca macchiata qui e là
di terra e un paio di pantaloni scuri e niente scarpe, ma non volevo
abbassarmi a chiederlo ad una vecchia contadinella, perciò mi
diressi verso l'uscita.
"Dove stai andando giovane uomo?"
Le concessi un'ultimo minuto, ma non volli voltarmi, pensai ne andasse
del mio orgoglio; non so perchè, ma questo fù ciò
che mi balzò in testa, poi le dissi:
"A trovare delle vere risposte."
"Ma non hai dove andare!"
Mi disse, ma non volli ascoltare ragioni e canzonai:
"Forse è così, forse no, grazie mille per
l'ospitalità anziana signora, ma qui le nostre strade si
separano."
E senza aggiungere altro, mi congedai sicuro esteriormente, ma più che inquieto dentro.
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