Il risveglio di una vita
Misi un piede davanti all'altro diretto verso la
luce del tramonto che si affievoliva, poggiai una mano alla piccola
arcata della porta fatiscente, mi diedi un'occhiata attorno e commentai
illuminato:
"Ah! Siamo nella foresta, molto bene."
Non avevo la più pallida idea di dove mi trovavo e così
confermò la megera, la quale tentò invano di dissuadermi
dal partire con la sua infrangibile calma.
"Non è saggio uscire con le tenebre, la foresta è un posto pericoloso."
Però ne dovevo dare atto, la tenacia di quell'anziana era tanta quanto era irritante.
Ma quel dannato pensiero che non voleva uscire dalla mia mente era:
"Perchè dare ascolto ad una donna? Una VECCHIA donna oltretutto!"
Lì per lì mi sembrava una cosa normale, eppure c'era
qualcosa di più, come se lottassi con me stesso senza saperlo,
ma non avevo affatto voglia di perdere tempo pensando a queste
sciocchezze, mi guardai attorno; davanti a me scorreva tranquillo un
fiume scuro e longilineo, percorreva da destra a sinistra l'entrata
della capanna a pochi metri di distanza, tutt'attorno, ai lati e dietro
di me, oltre il fiume e gli avvallamenti che si intuivano in
lontananza, ovunque sul terreno ricoperto di erbacce e qualche foglia
qui e là si trovavano un infinito esercito di alberi; grossi,
alti, dritti e pallidi i signori della foresta regnavano fieri in
quella landa dimenticata da tutti.
Non sapevo da dove cominciare, ma una cosa era certa, se non volevo
oltrepassare il fiume, l'unica strada era passare oltre la capanna di
quella che pareva sempre più una squallida eremita.
Dimenticai che ella era lì dietro di me in attesa di un mio
ritorno di coscenza, ma proseguì e superai la vecchia topaia.
Solo dopo un minuto di cammino fra le sterpaglie un ultimo tentativo
vano si manifestò da parte della donna che intimò:
"Non conosci neppure il tuo passato giovane uomo, come puoi pensare di affrontare il futuro?"
La sua voce non era alta, la intuì appena, quasi quella frase
non fosse diretta verso di me, ma tanto non la ascoltai comunque, ero
un uomo, e sarei riuscito a cavarmela in qualsiasi situazione, non
pensai a come lei fosse sopravvissuta per tutta la vita qui, nè
a dove ero diretto, sapevo solo che niente e nessuno avrebbe piegato il
mio orgoglio maschile.
Camminai e camminai ancora senza voltarmi neppure una volta, andavo
diritto per la mia strada, scavalcai alte rocce e un piccolo dirupo, il
terreno sembrava inclinarsi lentamente in salita e i passi si facevano
via via sempre più pesanti.
La luce cominciava a scarseggiare e stava lasciando posto alla sera e a
un tremendo freddo e qualunque uomo accorto sa che in una foresta, il
buio e il freddo portano con loro inquietanti verità e terribili
cose.
Non pensavo a ciò che mi accadeva intonro, ero focalizzato sui
miei pensieri, sul continuo sforzarmi di rimembrare qualcosa, un
ricordo, un attimo passato, un viso o un nome, niente.
Notai sempre più chiaramente come il mio fiato si gelava a
contatto con l'aria, tenevo la spalla come un ferito di guerra in cerca
di un alleato, ma nessuno sembrava giungere in soccorso.
I minuti passavano e così la speranza di trovare qualcuno, ma
soprattutto, qualcuno in grado di aiutarmi; nè un suono,
nè una luce fra gli spigolosi arbusti che mi circondavano quasi
con aria accusatoria, indicandomi per chissà quali crimini che
io ancora non ricordavo.
"Fui un eroe o un tiranno? Quali qualità e quali difetti mi caratterizzavano in passato?"
Non lo sapevo dire.
Il terreno si livellò, ma i passi erano comunque pesanti, ero
stanco, rallentai e mi guardai attorno spaesato con il fiato sempre
più pesante e affannato, focalizzai il mio sguardo in
lontananza, nella speranza di vedere qualcosa; così feci con i
miei timpani, nel desiderio di udire un suono, voci o un qualche
convoglio, assolutamente nulla.
Mi voltai su me stesso tanto a lungo da disorientarmi completamente,
per un attimo pensai di perdere il controllo, ma mi fermai, guardai
avanti tirando un lungo e profondo respiro, ora mi sentivo abbandonato
al mondo, abbandonato a me stesso.
I sentimenti erano l'unica cosa che rammentavo, conoscevo la rabbia, la
gelosia, potevo riconoscere tristezza e felicità, ma mai pensai
di essermi sentito così solo, così impotente.
O così credevo finchè un calore dentro mi colpì
come un'alabarda a piena velocità nel mezzo di un duello; mi
piegai su me stesso, afflitto da quel momento che risalì su in
gola fino a bruciarmi in profondità, lo sentivo salire fin
dietro la testa, sul mio viso comparve una smorfia di dolore
crucciante, la mia mente ronzava fra le mie tempie sempre più
freneticamente fino a chè immagini, da prima sfocate, si
facevano sempre più svelte e nitide; gli occhi miei ballavano,
come quando si tenta di mantere lo sguardo fisso sulle file di alberi
ai lati della strada mentre si viaggia su una carrozza.
Non riconoscevo quei ritratti, quei volti, quei suoni, l'unica cosa che
avvertivo era quella maledetta sensazione di solitudine che provai poco
prima.
Potei distinguere degli arazzi, immense sale, un fuoco alto come le
pareti vicine, un immensa figura nera che si allontanava alle mie
spalle nell'oscurità più assoluta e voltandomi nuovamente
vidi una donna, una bellissima donna che sembrò interessata a
dirmi qualcosa prima di sparire tra le fiamme di quel focolare il quale
si protese in un esplosione di luce che divampò abbagliante fino
a farmi male, alchè tornai in me cadendo in ginocchio.
Sentì dentro ancora quella devastante fitta, portai una mano al
petto e dal dolore strinsi la stoffa che indossavo, non si trattava
più di vero dolore fisico, ma di un impedimento che mi
bloccò il respiro, i muscoli si tesero, strinsi i denti,
arricciai il naso e dagli occhi enormemente appesantiti
avvertì un'umida lacrima scendere lungo la mia guancia.
Prima una, poi due, tre, mi abbandonai a quell'emozione fortissima che pensavo non aver mai provato prima.
Durò poco, nell'arco di qualche secondo quella tristezza si
tramutò in un'ira la quale mi risollevò in piedi.
Alto e fiero sentivo di poter nuovamente proseguire il mio viaggio,
deciso e diretto verso una soluzione certa, ero intenzionato a battere
il mio sentirò prima che qualcosa di tremendamente pesante mi
spinse a terra e mi sovrasto procurandomi un dolore lancinante si
propagò sulla mia schiena.
Cercai di voltarmi, ma la cosa non aveva intenzione di fermarsi, si
dimenava come un ossesso intento a conficcare molteplici lame fra le
mie spalle.
Tentai allora di scaraventarlo via allungando le braccia dietro di me e
afferrando le sue vesti tirando con tutta la mia forza, ma mentre le
mie unghie stringevano sempre più saldamente la sua pelle, esso
ringhiò furioso catturando l'attenzione di suoi comilitoni.
Distinte luci si avvicinavano a coppie fra gli alberi, sagome nere
più della notte spietati come assassini e affamati di anime come
diavoli dalle profondità dell'Inferno.
Lupi, ero stato accerchiato da un branco di una decina di enormi lupi affamati e privi di rimorso alcuno.
Provai certamente un minimo di paura, ma mi contenei, provai a lottare
con tutto me stesso, riuscì a divincolarmi liberandomi dalla
presa della creatura che mi lacerò la schiena.
Disarmato e privo di qualsivoglia difesa, non potevo scappare e di
certo non avrei potuto combatterli tutti, provai allora quella stessa
identica sensazione di abbandono provai poco prima, mi trovavo in
piedi, indietreggiavo, ma mi ritrovai con le spalle contro un altro
tronco privo di rami bassi su cui avrei potuto arrampicarmi.
Mi guardai attorno, accettai la realtà dei fatti, chiusi
lentamente gli occhi cercando di focalizzarmi su quelle stesse immagini
che mi ferirono, non so per quale motivo, ma essendo stati anche gli
unici momenti che ricordavo, avrei preferito tornare ad un ricordo
conosciuto (per quanto vacuo) che morire in un limbo vuoto come quello
in cui mi sono risvegliato.
Ripensavo a quelle enormi stanze, al calore di quel camino, a quel
sinistro figuro sempre più lontano e a quella donna che
riuscì quasi a udire questa volta, incrociai le sopracciglia
nello sforzo di sentirla non curandomi della mia fine ormai vicina e
per quanto ne sapevo potevo anche meritarmela.
Purtroppo, l'unico suono che avvertivo erano le ringhiose fauci di
quegli spaventosi lupi e il rumore dell'erba e delle foglie
accartocciate sotto le loro pesanti zampacce.
Quei fastidiosi rumori si facevano sempre più vicini, allora
provai nuovamente a riflettere su ciò che ricordavo, ora era
tutto lievemente più chiaro, come una vera memoria, un bel
ricordo seguito da uno più tragico.
Rividi le stanze, le altissime stanze candide e tirate a lucido, come
quelle di un castello, lunghissimi arazzi colorati adornavano le mura
verticalmente, ad ogni arazzo una colonna di marmo la seguiva.
Arazzo, colonna, arazzo, colonna e così via fino ad arrivare ad un piccolo altare in lontananza.
Vi si distinguevano quattro strane figure inarcate, una più grande dell'altra.
Avanzavo e mentre facevo questo mi sentivo leggero e sicuro.
Più proseguivo e più riuscivo a riconoscere chiaramente
la figura di ben quattro grosse sedie, quattro troni, due piccoli ai
lati e due più massicci al centro.
All'improvviso tutto cominciò a tremare, ruotai su me stesso
più e più volte nella mia mente e mi ritrovai seduto
davanti al fuoco, il fuoco di un camino e il vaporoso fumo grigio che
saliva e scompariva su su nella tenebrosa canna fumaria.
Mi avvicinai incuriosito a quelle fiamme indugiando solo
superficialmente, ma prima di potermi avvicinare qualcosa
catturò la mia attenzione, mi voltai e ancora quella scuro
figuro lugubre e ingobbito non voleva mostrarsi e si dileguò
senza proferir parola.
Alla fine ecco che vengo distratto da qualcosa, come se qualcuno mi
avesse chiamato, eppure l'unica cosa che potevo udire era l'eterno
ringhiare di quelle sanguinose creature.
Davanti quel fuoco, si era manifestata la visione più bella che potei immaginare.
Sinuosi capelli color nocciola adornavano un dolcissimo viso pallido e
amorevole dagli occhi luminosi, anche se non saprei dire di che colore
fossero.
Ella indossava un lungo vestito bianco ricamato in pizzo con motivi
floreali in ognidove e la luce che scaturiva dal fuoco donava a quel
vestito una tinta calorosa.
Le sue braccia si allungarono verso di me invitandomi ad avanzare verso
di lei, un sorriso di compassione venne disegnato sul suo viso come
fosse stato un angelo a crearlo.
Le sue labbra larghe e piene di amore sembrava finalmente volessero
lasciar trapelare qualcosa, mi bloccai speranzoso di udire la sua voce
prima che quelle bestiacce si prendessero la mia vita.
Le sentivo avanzare continuamente, sempre più vicine, mi sforzai
ancora e ancora spalancando l'udito nella mia memoria e da quel sorriso
sentì finalmente fuoriuscire un soffio d'alito prima di
pronunciare una sola bellissima parola.
Parola che perse del suo significato quando riaprì gli occhi
proprio davanti al muso di un grosso lupo dallo sguardo deciso e
rabbioso che mi stava balzando incontro.
Non so come, nè perchè, ma una volta atterrato e
sbattendo la nuca contro il tronco, riuscìi a rimanere coscente
abbastanza a lungo da poter dire con certezza, che qualcosa di magico
accadde quella notte.
Una forte luce fece fuggire la maggior parte dei lupi in un tripudio di
guaiti timidi e spaventati e una figura piccola e snella che col
passare del tempo perdeva i suoi lineamenti mi si avvicinò
incuriosita e accerchiata da singolari luci danzanti.
Perdei la concezzione dei dettagli lontani, poi di quelli vicini,
sparirono le luci e successivamente le ombre e alla fine tutto attorno
a me si fece buio.
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