Attenzione!
Questa Fanfiction è tratta da un fanmanga
pubblicato su Deviantart coperto da copyright, ma
tengo a precisare che il suddetto fumetto è una mia creazione, essendone l’autrice.
Se avete qualche dubbio provate a contattarmi sul sito del fanmanga
in questione, vi darò conferma anche lì.
Prologo
Quanto fa
freddo in questo posto…
[Chissà dove
sono poi?]
E’ tutto
buio non vedo nulla
[Non vedo
nessuno]
Sento tante
persone che mi osservano, ma non so cosa vogliano da me.
Ho paura.
[Tantissima]
Non riesco a
capire…
“No”
Perché non
mi fanno andare via?
“Andate
via!”
Perché non
mi lasciano sola?
“Voglio la
mia mamma!”
Perché non
me la lasciate incontrare?
“Voglio il
mio papà!”
Perché non
me lo lasciate raggiungere?
“Mamma!
Papa!..”
Sono davvero
così cattiva?
Non merito
neppure un poco di sollievo?
Se non posso
andare né dalla mamma né da papà, allora lasciatemeLa
incontrare!
“Itokosan!”
Gliel’ho promesso!
Ho promesso
che ci saremmo riviste!
Sono sicura
che se non mantengo la parola Lei piangerà!
Lei non
merita di piangere!
“Rivoglio la
mia Itokosan!!!”
Vi prego
lasciatemi andare da Lei!!!
Capitolo 1:
Via dall’inferno!
Apro gli
occhi, mentre il mio corpo cade indolenzito sulla grata umida della mia vasca.
Sento le
ginocchia pesanti e le gambe tremanti.
Mi rialzo a
fatica, sentendo la pelle dei miei arti inferiori che si stacca dalla
superficie reticolata della mia gabbia di vetro.
Barcollo
leggermente. E’ difficile ritornare a camminare senza più quello strano liquido
a sostenermi e a farmi galleggiare.
Le mie mani
bianche poggiano sua superficie liscia del vetro che mi divide dal mondo
esterno.
Il riflesso
leggermente sfocato della mia figura è la prima cosa che il mio solo occhio
sinistro incontra, per poi cercare di indagare oltre la lastra.
Sangue.
Tanto, tanto
sangue.
E in mezzo a
quel sangue stanno tante persone che però non so riconoscere.
Il rumore
della porta automatica della mia vasca mi fa voltare: quella parte trasparente
provvista di una chiusura speciale ora è aperta.
Che strano
però.
Non si era
mai aperta senza qualcuno che la sbloccasse da fuori…
Mi avvicino
timorosa all’uscita della mia cella di vetro e faccio capolino oltre il
portello con la testa, sbirciando fuori.
Come
immaginavo sono morti tutti.
Mi guardo
attorno mettendo finalmente piede sul pavimento bianco e polveroso d quel
posto: ci sono almeno una decina di corpi esanimi a terra, ricoperti di sangue
rappreso e di ferite, con i camici strappati.
“Morti…tutti.” Sussurro stentando a crederlo, quasi
saggiando con la lingua il suono delle mie stesse parole. Ho la bocca impastata.
Compio un
primo passo verso la porta sfasciata di quella stanzetta a me assegnata, ma il
mio piede si immerge in qualcosa di freddo liquido e leggermente viscoso.
Abbasso lo
sguardo e solo allora mi accorgo che anche il pavimento è inondato di sangue, in modo tale che solo una piccola parte
attorno alla mia vasca cilindrica sia lasciata libera da quel liquido
dall’odore acre e dolciastro.
Ora ho le
piante dei piedi rosse, ma non importa: quest’odore mi è anche fin troppo
famigliare.
Con pochi
passi raggiungo la porta e la sorpasso guardando la scritta sullo stipite
destra della porta, intatta come me la ricordavo e miracolosamente pulita:
MR-03
La guardo un
paio di secondi per poi continuare la mia avanzata nel corridoio principale,
altrettanto pieno di cadaveri, scorrendo intanto le altre sigle presenti
accanto alle porte delle altre stanze.
Le Loro
Stanze.
La VN-08 è quella peggiore di tutte: piena
di vetri e con il doppio di cadaveri presenti all’interno rispetto alla mia.
La S-09 invece è la più pulita. Dentro ci
sono solo due persone morte, ma la vasca circolare provvista di catene sospesa
in aria è sfasciata e piena di crepe.
La L-04 e la C-05 sono esattamente l’opposto l’una dell’altra pur essendo vicine
tra loro: sono entrambe ordinate e con le vasche intatte, ma mentre la prima è
completamente allagata da tantissima acqua, la seconda è piena di bruciature e
macchie di fuliggine qua e là sulle pareti.
“Strano però…” sussurro continuando a camminare alla ricerca della
successiva stanza: la Sua.
Passo
davanti alla stanza AO-02, però non mi fermo a guardarci dentro, anche perché la porta
è ancora sbarrata o almeno sembra ben chiusa.
Poi la vedo:
la stanza P-01. Mi avvicino alla
porta e la apro con una lieve spinta, lasciando che l’uscio sfasciato si apra
da solo.
Stessa
scena.
Ci sono due
persone morte ai piedi della vasca cilindrica uguale alla mia : un uomo e una
donna.
Ma quando il
mio occhio sinistro focalizza l’immagine della vasca non riesco a non
avvicinarmi a bocca spalancata.
I miei piedi
poggiano sulla superficie piatta e stranamente pulita della stanza mentre
alcune ultime gocce del liquido amniotico che sta ancora attaccato al mio corpo
e ai miei capelli cade sul pavimento sotto forma di piccole gocce.
Una lacrima
mi scorre sulla guancia.
“Ma…” sussurro spaesata, non capendo “…dov’è
Itokosan?”
Continuo a
guardare quella prigione di vetro emettere dalla sua grata delle piccole
bollicine.
“La sua
vasca é…” continuo con un nodo alla gola che quasi mi
impedisce di parlare “…vuota.”
Poggio una
mano sulla superficie liscia della lastra di vetro davanti a me.
[Voglio
sapere..cos’è successo.]
Chiudo il
mio occhio sinistro lasciando che le immagini affluiscano liberamente dalla
vasca a me…
Un immagine
mi entra nella mente come un lampo.
Mi basta,
non mi serve molto per capire cos’è successo.
Ora sono
felice. So la verità.
Comincio a
ridacchiare mentre resto sempre in quella posizione.
“Lo sapevo…” sussurro divertita riaprendo l’occhio “…ci sei riuscita.”[sei fuggita]
Resterei lì
tuta la vita se solo potessi. Rimarrei lì davanti alla vasca di Itokosan solo per rivedere quelle immagini.
“Allora, hai
finito?” una voce spazientita parla dietro di me.
Riconosco
questa voce, l’ho già sentita prima.
Mi volto.
Davanti a me
sta una bambina con due code che le raccolgono i capelli biondi sporchi,
chiaramente tagliati molto male, ha addosso un camice uguale al mio, è sporca
in viso e sulle gambe di terra e i suoi occhi [verdi] sono arrabbiati [eppure distaccati
e tanto tristi].
Mi guarda
ancora per qualche istante per poi continuare a dirmi:
“Sbrighiamoci
ad uscire da questo inferno”
Io continuo
a guardarla: per un attimo non la riconosco ma poi comincio a ricordare e un
nome affiora dalla mia mente:
“Coco-san” dico il suo nome sorpresa.
Come mai è qui?
Credevo che la sua cella fosse ancora serrata.
Poi sorrido.
Non importa.
L’importante
è che anche lei sia uscita.
“Sei sporca.”
Dico divertita alludendo allo stato dei suoi vestiti.
Lei sbuffa
sbattendo una mano sulla camiciola polverosa che ha addosso.
“Lo so.” Bofonchia
chiudendo gli occhi.
Poi n apre
uno e per un attimo mi sembra che abbia lanciato uno sguardo preoccupato ai due
cadaveri sul pavimento.
“Lo hai
fatto tu…questo casino?”
La sua
domanda rimbomba nella stanza arrivando come una spruzzata d’acqua gelida: in
effetti non mi ero accorta che le due persone fossero tanto coperte di sangue,
ma , anche se io avrei potuto fare di peggio, non era opera mia.
“No…” rispondo “…è stata Itokosan, a quanto pare è scappata.” Poi indico la vasca
dietro di me:
“La sua
vasca è vuota” ripeto con fare ovvio.
“Io non
credo.” Mi risponde Coco-san.
Perché mai?
Mi chiedo mentre la guardo con fare interrogativo.
Lei sembra
però aver intuito la mia perplessità e si giustifica subito, sempre con quell’espressione
matura e severa in volto. Dalla mano chiusa a pugno tira fuori un foglietto
accartocciato e lentamente lo allarga.
“Ci avrebbe
svegliato se l’avesse fatto, invece di andarsene lasciandoci qui.”
Ora il
foglio è spiegato e tenuto da due dita di Coco-san,
che me lo mostra.
“E poi ho
trovato anche questo.“
Io rimango un
poco confusa nel vedere il disegnino tracciato sopra: una specie di spirale con
una sorta di becco finale .
“Ti dice
niente questo simbolo?” mi chiede Coco-san, ma io non
ne ho la minima idea.
Nella stanza
cade il silenzio assoluto: non so cosa dire, non avevo mai visto quel simbolino anche se mi faceva venire in mente una foglia.
Alla fine
non ce la faccio a rimanere ancora in silenzio a spremermi le meningi e le
rispondo:
“No, perché?
Dovrei?”
La vede
rimanere allibita.
[Uffa, come
al solito la sto facendo arrabbiare.]
“Non sei
cambiata di una virgola…Moriko” sbuffa interdetta con
una vena pulsante in testa, dicendo il mio nome con leggero rimprovero.
[Mi dispiace
per averla fatta arrabbiare, ma non volevo.]
“Quello…” dice
indicando con un dito il pezzo di carta “è il simbolo di Konoha, il villaggio della Foglia.”
Konoha…Foglia…perché mi sembrano così famigliari?
“È il luogo
dove è nata la madre della Prima cugina.”
[Ora ricordo…Itokosan me ne parlava spesso, quando eravamo in cella
insieme…come ho fatto a scordarmene?]
“Forse la
prima cugina è stata mandata proprio lì…” dice
guardando pensierosa il pezzo di carta ”e questo dovrebbe essere suo.”
Per qualche
istante guardo ancora quel piccolo foglietto, in effetti il simbolo sembra
essere stato scritto di fretta e disegnato anche molto male.
Questo vuol
dire che Itokosan sapeva che noi l’avremmo trovato.
[E adesso ci
sta aspettando.]
So perché Coco-san mi ha fatto vedere questo foglio.
[Forse è addirittura
rimasta nella sua cella ad aspettarmi per dirmelo]
È preoccupata.
[E come al
solito non lo ammette]
Sorrido.
“Coco-san?” chiedo attirando la sua attenzione, ma so bene
che lei ha già capito cosa voglio dirle.
La guardo
sorridendo gentile con l’occhio verde brillante che adesso non ha paura di
incontrare gli altri suoi.
“Andiamo a
cercare Itokosan.”
Continua….