fenice
IL CIELO DELLA FENICE
Il sole del mattino rendeva
il paesaggio simile ad una vecchia fotografia, una di quelle ormai
ingiallite.
La ragazza dai capelli biondi fissò l'amico, le sue
sopracciglia agrottate. Si ostinava a non guardarla negli occhi.
"Ieri Marina mi ha
parlato del
vecchio faro", disse, continuando a guardarlo. "Potremmo andarci. Dice
che se si guarda in alto, dal soffitto crollato si vede volare una
fenice".
L'amico non si
voltò a
guardarla. La
ragazza si morse il labbro. Non le aveva creduto. Sapeva che quel
giorno, prima o poi, sarebbe arrivato: il giorno in cui anche il suo
migliore amico l'avrebbe considerata pazza.
"Te lo giuro", disse con voce ferma. "Me l'ha detto. E' un'antica
leggenda dei marinai. Andiamo a vedere,
dài". Silenzio. Il vento salato che veniva dal mare la
colpì in faccia, portandosi dietro ricordi di giornate
perdute.
Contò fino a cinque, poi lo disse. "Non puoi continuare a
soffrire
così per una persona che non ti merita".
Finalmente, il suo amico si voltò verso di lei.
"Una fenice?".
"Sì", rispose lei speranzosa. Forse, forse quella persona
non
era riuscita a portarle via il suo amico di sempre. Forse loro due
erano rimasti gli esploratori che erano stati da bambini, pronti a
lanciarsi
ogni giorno in nuove sfide.
"E va bene". Accennò un sorriso. "Andiamo a vedere. Sono
curioso".
Il sorriso accennato si trasformò in un sorriso vero,
spontaneo.
Lo stesso che si formò sulle labbra della ragazza un momento
dopo.
E si resero conto nel medesimo istante che era passato davvero tanto
tempo dall'ultima volta in cui entrambi avevano sorriso.
La strada chiara scorreva lenta sotto i loro piedi. La piccola
città di mare era già in attività:
sale giochi,
fruttivendoli, chioschi di gelati attiravano i primi clienti del
mattino. Dalla porta di un piccolo bar uscivano le note di una canzone
e la morbida voce della cantante. La ragazza dai capelli biondi
riuscì a capire qualcosa dell'inglese del ritornello: la
canzone
parlava a sua volta di una canzone, una canzone sulla vita. Una vita
imprevedibile, vissuta all'ordine del giorno. Si fermarono davanti al
piccolo
bar. "Qui birra al cacao!", era scritto su una lavagnetta appesa alla
porta.
"L'hai mai bevuta la birra al cacao?", chiese lei.
"No", fu la risposta.
"Nemmeno io".
"E' mattina, staremo malissimo".
"Dici?".
"E non riusciremo mai a salire in cima al faro".
"Secondo me invece ce la faremo. E poi, hai alternative? Non potremo
certo prenderla quando saremo con i nostri genitori".
"Potremmo venire qui, una di queste sere".
"E lasciare a casa
Paolo, Sofia
e Marina con i genitori? Non credo
proprio, vorrebbero venire anche loro, inoltre Sofia non ci lascerebbe
mai andare da soli. Bella grazia che siamo riusciti a uscire ora. E
poi, mentre a Paolo e a Marina piacerebbe, lo sai che a Sofia non vanno
a genio certe cose".
Il ragazzo sospirò.
"Sì, lo so".
Lei si fissò le scarpe in silenzio per qualche secondo,
dopodiché si decise a parlare:
"Sei sicuro di non desiderare mai che lei sia diversa?".
Si voltò a guardarlo. Anche lui si stava fissando le scarpe.
Sospirò di nuovo:
"Ti prego, non chiedermi certe cose".
"E' perché hai paura di quello che potresti rispondermi".
"Avanti, prendiamo la birra e andiamo al faro".
Entrò nel bar con passo deciso. La ragazza rimase ferma
davanti all'entrata a fissare la lavagnetta, poi lo seguì.
La canzone era finita.
I bicchieri di plastica erano più pesanti da portare in giro
di
quello che pensava, e in effetti l'alcol a quell'ora del mattino era un
pugno nello stomaco. Ma almeno la birra era buona. Mentre camminavano
fianco a fianco sul lungo mare, la ragazza pregava che non sbucassero
da qualche parte i suoi genitori o, ancora peggio, sua cugina Sofia.
"Marina ti ha spiegato meglio questa leggenda?", le chiese il ragazzo.
"Sì". Si strinse nelle spalle, sperando che la birra
mattutina facesse presto il suo effetto. Forse per la prima volta nella
sua vita, aveva bisogno di qualcosa che le togliesse i freni. "Mi ha
raccontato che quel faro è stato abbandonato
perché i
guardiani, dopo un po' che vi stavano dentro, avevano le allucinazioni,
e vedevano una fenice volare nel cielo. Sembra che anche tutt'ora chi
vi entra soffra di allucinazioni, e veda una fenice che vola sopra il
soffitto crollato. Questo fenomeno è stato chiamato 'il
cielo
della fenice'". Fece una pausa. "Semplicemente",
ammise a forza, "vorrei vivere con te qualcosa che nessun altro
potrà mai vivere. Sofia ti tiene tutto il tempo con
sé, e
sono sicura che passiate insieme dei momenti bellissimi. Ma non
trascorrevamo insieme una mattina, io e te da soli, dall'anno scorso.
Qualunque esperienza tu possa vivere con Sofia, non vivrai mai con lei
niente di tutto questo. Lei non ti porterà mai a vedere una
fenice. E quando ho visto la lavagnetta che invitava a comprare la
birra al cacao, ho pensato che Sofia non ti avrebbe nemmeno mai portato
a bere la birra al cacao. La verità è...". La
mano
con cui teneva il bicchiere le tremava pericolosamente. Prese un bel respiro. "...è che mi
manca tutto il tempo che trascorrevamo insieme prima di... prima di
Sofia".
mai, mai aveva avuto paura di una risposta come in quel momento.
"perché sei il mio migliore amico", si affrettò
ad
aggiungere. così andava meglio.
"Anche tu mi manchi". Guardava dritto davanti a sé. "A volte
vorrei che tornasse tutto come ai vecchi tempi, quando tu ridevi
sempre".
"Eravamo bambini".
"Si parla di un anno fa. Non eravamo più bambini".
La ragazza fu presa dal panico e buttò giù un
sorso di
birra. Non le piaceva la piega che il discorso stava prendendo.
Arrivò il primo giramento di testa.
"Voglio bene a mia cugina", rispose leggermente confusa. "Ma mi manca
il modo in cui eravamo amici prima".
"Sono d'accordo. Manca anche a me". La ragazza tirò un
sospiro
di sollievo. Era andata bene, non aveva frainteso - o meglio aveva
continuato, per il bene di tutti, a fraintendere. "Ma allo stesso
tempo, non posso separarmi da lei. prova a capirmi".
Capire, capire. La ragazza capiva il peso di quelle parole, ma le
arrivavano come da un sogno.
"Mh. Certo", disse. Sorrise senza un motivo, la testa cominciava a
farsi pesante.
"Stai bene?".
"Sì, sì! Benissimo".
Senza nemmeno accorgersene erano già arrivati al faro. Si
stagliava in controluce, grigio chiaro, ma scuro in confronto al cielo.
Si sentiva pervasa da un caldo interno, un fuoco indefinibile dal petto
alla gola alla testa. Davvero una birra era capace di questo? Forse si
sentiva così solo perché era mattino. Il faro
sembrò ondeggiare, volare via. Sorrise. Alla fine non era
questo
che aveva sempre voluto? Da soli, il sole nei loro occhi, un'avventura
davanti. Qualcosa che non avrebbe avuto fine. Credeva. Sperava. Sperava
con tutta se stessa. Gli prese la mano e lo condusse verso l'entrata,
non l'avevano ancora sbarrata, la porta arrugginita era aperta. Un
viaggio. L'ombra era grigia e piacevole, dentro li avvolse una fredda
umidità, odori trapassati aleggiavano nell'aria abbandonata.
Una
torre cava, enorme e vuota, l'eco prepotente quasi indesiderato di
parole che avrebbero dovuto rimanere segrete, inascoltate, sussurrate,
parole che avrebbero dovuto rimanere lì per sempre, quali
parole, non lo sapeva, non lo capiva. Il terreno cominciava ad
inclinarsi e lei teneva ancora la sua mano. Avrbbero dovuto salire la
scala
ma lei non ce l'avrebbe fatta, sarebbe caduta, sì, avrebbe
volato come la fenice dei racconti, ma ecco le mani, la sorreggevano,
una domanda, parole preoccupate: "ce la fai?". Sì,
sì, ce
la faccio, non preoccuparti, e non vorrei mai darti fastidio scusami se
sono qui, scusami per la mia presenza, scusami se ho i capelli biondi
sempre spettinati e se non sono bella ed elegante come lei ma sai, io
penso di assomigliare più ad un raggio di sole e i raggi di
sole
non ubbidiscono a regole di nessun genere; ed ecco che i gradini
scorrevano sotto i suoi piedi, le sembrava oscillassero ma forse non
era così, stava riuscendo a salirli, davvero?, davvero stava
riuscendo a salirli?, guardò in alto, il soffitto crollato,
un
azzurro accecante e sfrigolante di stelle dorate, pioggia di luce che
cadeva dal sole, "la vedi?", i gradivi salivano e si arrotondavano,
rideva, rideva senza un motivo e si sentiva cadere e allora volava,
chiudeva gli occhi e dormiva per secoli e millenni ma poi li riapriva
ed ecco di nuovo il faro, un secondo di tempo era passato, e le sue
mani erano ancora lì intorno a lei mentre salivano, mentre
la
luce si avvicinava al suo naso fino quasi a toccarla, e Sofia no, lei
non avrebbe mai provato niente di tutto questo, "la vedi?", il sole le
sorrideva, allungava le sue mani fino a lei, la riuniva con la sua
natura, i raggi d'oro come i suoi capelli, il suo migliore amico,
quello che avrebbe dovuto essere il suo migliore amico ma che nemmeno
lei avrebbe saputo definire, i suoi occhi la stavano guardando e lei lo
sapeva, quel momento, il cielo della fenice, sarebbe stato loro, per
sempre, per sempre, di
nessun altro.
Sapeva che tutto sarebbe finito presto, che quello stesso sole sarebbe
stato la loro maledizione...
quando diventa rosso come il sangue e si allarga in un disco terribile
e scompare al di là dei campi, degli alberi e dell'odore di
sterco che viene da lontano della campagna... sapeva che quel sole li
avrebbe condannati, sapeva che non sarebbe mai più stata
felice...
ma così sarebbe stato felice lui, lui, lui doveva essere
felice,
lui lo meritava, una vita felice senza di lei.
"La vedi?". Il suo sorriso sfacciato affrontava il sole, urlava la
gioia pura. Lingue di fuoco le protendevano dita forti e accecanti, il
fuoco volava nel cielo azzurro, un sole in esplosione.
"Sì, sì!". Una delle sue mani la
lasciò e
indicò la luce, l'immensa luce, l'immenso fuoco.
"Sì! La
vedo!".
Chiuse gli occhi e rise ancora. Il calore dell'astro la invase.
Gettò all'indietro i capelli del colore del grano e della
fenice
e rise. Rise fino a lacrimare. Rise di nuovo, come voleva lui.
Allargò le braccia e rise, e si abbandonò al
sostegno di
quelle mani. Non cadde. Lui non la baciò, non le chiese di
sposarla. Non finì tutto come nei film e nei libri. Ma lei
sapeva che quel momento non sarebbe mai uscito da quel faro, che quella
libertà, la libertà più completa,
luminosa e
provocatoria sarebbe stata solo loro, per sempre, della ragazza dai
capelli biondi e del ragazzo timido, dei due migliori amici, del loro
destino e dei loro pensieri a briglia sciolta.
Rise e annuì.
Il sole la vide annuire, capì e annuì a sua volta.
N.d.A.
Ciao a tutti!
Tranquilli: è
normale che non abbiate capito niente.
Questo
è il primo assaggio (come un "trailer", se vogliamo) di una
storia che sto scrivendo, una storia con intenzioni serie una volta
tanto. Sarà una storia a più capitoli molto
lunga, e non
penso di pubblicarla qui: sapete, anche solo per questioni di
copyright. Se qualcuno me la rubasse potrei prenderla molto male! Ma
forse invece cambierò idea e la pubblicherò, il
problema
è che prima di pubblicarla... devo scriverla, e penso ci
vorrà molto tempo. Ho in mente l'intera storia, ma il
problema
è, come dire... la regia. Come la scrivo? Come la imposto?
In
che persona devo parlare? Devo raccontare prima questo o prima quello?
Questa scena mi è uscita spontanea, è scritta in
terza
persona, eppure i primi capitoli che ho buttato giù sono in
prima persona. Non sono neanche sicura al cento per cento che
inserirò questa scena, forse alla fine sarà come
una
delle "scene eliminate" dei film. Aiuto!
Spero
di riuscire presto a farvi leggere l'intera storia, ma ripeto, ci
vorrà tempo e non sono nemmeno sicura di pubblicarla qui.
Fatemi sapere cosa ne pensate e
a presto (si spera!).
Sophie
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