20- I LOVE YOU
Quella sera impiegai più del solito a tornare a casa. Mi
fermai a fare la spesa, anche se non ne avevamo effettivamente bisogno
e mi persi in libreria, tentando di scegliere qualcosa di nuovo da
leggere, ma non riuscendo a concentrarmi veramente, mentre le parole di
Adam continuavano a rimbombarmi in testa. Mi ero lasciata trascinare
dal discorso, ma anche lui aveva sbagliato a reagire in quel modo.
La prima cosa che sentii quando entrai in casa fu il rumore della
doccia e, poci secondi dopo, lo zampettare veloce di Wulfie che mi
raggiunse in un attimo sulla porta e iniziò a saltellare
felice. Mi abbassai e lo presi in braccio, coccolandolo. Mi era mancato
nell'ultimo periodo in cui lo avevo lasciato da Austin, ma prendermi
cura di un cane era diventato davvero troppo complicato. Una volta
trasferitami da Adam, invece, lo avevo ripreso con me ed era una gioia
vederlo ogni giorno gironzolare per la casa.
Adam.
Non sapevo se ero nervosa all'idea di incontrarlo dopo la sfuriata del
pomeriggio o solo perché era la nostra prima litigata da
quando eravamo tornati assieme.
Presi un respiro profondo e, dopo essermi tolta giacca e scarpe e
appoggiato le borse in cucina, iniziai a sistemare il casino che c'era
in soggiorno: tra il mio trasloco e il disordine di Adam si faceva
fatica a vedere dov'era il pavimento a causa dell'enorme
quantità di roba che vi era sopra. Raccolsi di tutto:
giornali, cartacce, lattine vuote da sotto il divano, calzini,
magliette e pantaloni. Questi ultimi dovevano essere quelli che Adam
aveva indossato quel giorno perché non erano ancora molto
sgualciti, anche se buttati malamente sul pavimento.
Nell'alzarli da terra, però, dalle tasche scivolò
un bigliettino. Mi morsi il labbro, incerta: poteva essere uno
scontrino o un promemoria, ma non avevo nessun diritto a sbirciare tra
le sue cose. Io mi fidavo di lui. Poi pensai che il foglietto era
caduto da solo e che, quindi, non avevo frugato nelle tasche. Curiosa,
raccolsi il pezzetto di carta e lo aprii lentamente, raggelando sul
posto.
In quel momento, sentii la porta del bagno al piano di sopra aprirsi e
qualcuno scendere le scale. Feci appena in tempo a voltarmi che Adam
comparve, con i capelli ancora umidi e una maglietta in mano.
"Ah, sei qui", commentò lanciandomi un'occhiata veloce e
infilandosi la t-shirt.
"A quanto pare", mormorai, in preda alla confusione. Quello che avevo
letto mi aveva presa alla sprovvista e non sapevo come reagire. L'idea
migliore sarebbe stata quella di chiedere tranquillamente spiegazioni:
eravamo adulti e ragionevoli e non c'era bisogno di fare delle scenate
per nulla. Ma mi conoscevo bene e il rischio che scoppiassi era molto
alto.
"Sono appena tornato a casa anch'io", continuò Adam entrando
in cucina. "Quindi non c'è nulla di pronto. Che ne dici se
ordiniamo una pizza e ci guardiamo un film?".
"Chi è Chantal?", chiesi invece io, pentendomi all'istante
di quella domanda. Ma non dovevamo parlarne tranquillamente? E allora
perché avevo usato quel tono accusatorio? Maledetta la mia
impulsività...
"Chantal chi?", domandò sorpreso.
Strinsi i denti. "Chiamami a questo numero, Chantal", recitai facendo
il verso a questa ipotetica donna che già mi stava
antipatica.
"È una mia collega", disse semplicemente. "Ma non capisco da
dove venga quel biglietto", ammise.
"Ah, no?", lo provocai. "E come c'è finito nei pantaloni?".
Lui sospirò. "Non lo so. Ma so di certo che stai prendendo
un granchio, Amanda. Chantal è solo una collega, anche
parecchio antipatica se proprio vuoi saperlo".
"Mi stai tradendo?", sussurrai stringendo i pugni. Stavo esagerando, ne
ero consapevole, ma la mia mente era offuscata dalla rabbia e dalla
gelosia. Avevo impiegato così tanto per riconquistarlo che
non avrei permesso alla Chantal di turno di portarmelo via.
"Guardami negli occhi, Amanda. Non ti sto tradendo", disse lentamente,
lo sguardo serio.
Dovevo fidarmi di lui, così come pretendevo che lui si
fidasse di me. E allora cos'era quel peso che mi stava opprimendo il
cuore e l'anima? Abbassai lo sguardo, senza dire nulla.
"Non mi credi?", chiese lui, alzando il tono della voce.
"Ti credo", sussurrai. Poi mi lasciai cadere sul divano, mollando i
vestiti che ancora stringevo tra le braccia e infilandomi le mani tra i
capelli. "Sono una cogliona", mormorai per la seconda volta in quella
giornata. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi: dopo tutto
quello che avevamo passato, come potevo ancora dubitare del suo amore?
Quel pomeriggio lo avevo accusato di non essersi pentito dei suoi
errori, poche ore dopo mi ero autoconvinta che avesse un'amante.
"Non rincominciare con i sensi di colpa", sbottò Adam
sedendosi al mio fianco. "Credo che per oggi ne abbiamo avuti
abbastanza, ti pare?".
Scossi la testa. "Convincimi che non lo sono", mugugnai.
"È stato solo un equivoco, Amanda. Avrei dovuto buttare
subito quel biglietto, ma non credevo che, vedendolo, avresti reagito
in questo modo".
"E come avrei dovuto reagire, sentiamo. Complimentandomi con te?",
esclamai con le lacrime agli occhi.
Adam sbuffò. "Ho appena detto che è stato tutto
un equivoco. Devi decisamente smetterla di leggere tra le righe di
quello che dico".
"Io non leggo tra le righe: hai detto, implicitamente, che speravi che
non trovassi il biglietto. Quindi me lo volevi nascondere".
"Qualcosa mi sta facendo pensare che vuoi litigare, Amanda".
"Non voglio litigare. Sono solo gelosa", m'impuntai.
"E allora smettila di incolparmi. Chantal è una mia collega,
nulla di più. Non l'ho nemmeno letto quel cazzo di biglietto
quando me l'ha rifilato in mano perché ero troppo nervoso
per quello che è successo da Mr Klant. Altrimenti, fidati,
le avrei detto chiaro e tondo che sono impegnato con una Lupacchiotta
psicopatica e gelosa, tra l'altro incinta".
"E perché non glielo hai detto?", sbottai.
"Ma sei stupida? Ti ho appena spiegato di non avere nemmeno aperto quel
foglio di carta".
"Avresti dovuto farlo, invece. Non eri nemmeno un po' curioso?".
"Ora stiamo sfociando nel ridicolo, Amanda", esclamò,
alzandosi in piedi di scatto. "Prima ti lamenti perché credi
che l'abbia letto, ora mi dici che avrei dovuto farlo. Spiegami tu come
dovrei comportarmi, dannazione".
"Ora non dare la colpa a me, Adam".
"Ma hai fatto tutto tu", esclamò esasperato. "Senti",
continò, prendendo un grosso respiro, "capisco che tu sia
gelosa, lo sono anche io, cosa credi? Ma ora stai esagerando, Amanda.
Ti ho spiegato come sono andate le cose e le opzioni sono due: o ti
fidi di me, oppure no".
"Io mi fido", sussurrai, sentendo le lacrime bagnarmi le guance. Avevo
una confusione enorme in testa: Adam aveva maledettamente ragione. Mi
ero comportata da stupida ragazzina gelosa che non era stata in grado
di usare il cervello e riflettere prima di parlare. Potevo dare la
colpa agli ormoni, al cane, al mio psicologo, ma la verità
era solo una sola: ero una cogliona.
"A me non sembra", disse infatti Adam. "Se ti fossi fidata di me, mi
avresti creduto, Amanda".
"Mi dispiace", mormorai.
"Non ne dubito", rispose lui. Poi, senza dire nient'altro,
salì al piano di sopra e ne scese qualche minuto dopo,
vestito e con i capelli asciutti. Si infilò giacca e scarpe
e, dopo avermi lanciato un'altra veloce occhiata, uscì di
casa, sbattendosi la porta alle spalle.
Rimasi con lo sguardo fisso per qualche minuto. Due giorni che vivevamo
assieme e già litigavamo. Come avremmo potuto essere una
famiglia? Come avrebbe vissuto nostro figlio in mezzo a due genitori
che si urlavano contro per certe stronzate?
Mi asciugai le lacrime e mi alzai dal divano. Come un automa, raccolsi
di nuovo tutta la roba che era caduta e la portai in lavanderia,
accendendo la lavatrice. Tornai poi in cucina e mi preparai qualcosa da
mangiare che non toccai nemmeno di striscio. Ripiegai su una lattina di
birra, che bevetti lentamente seduta sulla poltrona, con Wulfie
accoccolato ai miei piedi e la televisione accesa su un canale che non
stavo realmente guardando.
Mi addormentai così, in una posizione scomoda, le lacrime
agli occhi e un peso sul cuore. Avrei voluto aspettare Adam alzata, ma
Morfeo mi prese tra le sue braccia prima di quando me lo aspettassi.
La prima cosa che registrai, quando mi svegliai, fu l'assenza di un
appoggio sotto il mio sedere. Appena aprii gli occhi, però,
mi accorsi anche delle braccia che mi stringevano e del petto su cui
appoggiava la mia testa. Alzai gli occhi e incontrai la mandibola di
Adam, con quell'accenno di barba che lo rendeva così
attraente. Allungai d'istinto una mano e gli accarezzai una guancia.
"Scusa, non volevo svegliarti", disse voltandosi e guardandomi con un
mezzo sorriso.
Scossi la testa, scendendo dalle sue braccia quando entrò in
camera da letto, la nostra camera da letto. "Anzi, grazie. Mi fa un
male cane la schiena", dissi stiracchiandomi. Dormire sulla poltrona
era stata una pessima idea, decisamente.
"Infilati sotto le coperte. Io arrivo subito", disse lui sfilandosi la
giacca e buttandola sul letto prima di entrare in bagno.
Sbadigliando, mi sfilai i jeans e la maglietta, scostando il lenzuolo e
sedendomi sul bordo del letto. Non volevo addormentarmi di nuovo:
avremmo parlato e chiarito perché non riuscivo a resistere
in quel modo. Quelle poche parole che ci eravamo rivolti poco prima
erano state forzate e distanti e io non volevo un rapporto simile con
l'uomo che amavo.
Per questo lo aspettai sveglia, seduta al centro del letto con le gambe
incrociate. Quando Adam uscì dal bagno mi guardò
sorpreso, ma si tolse in fretta i vestiti e si sdraiò al mio
fianco, incrociando le braccia dietro la testa e fissando il soffitto.
"Mi dispiace", sussurrai. "Non volevo mancarti di rispetto o
offenderti. Mi sono solo lasciata prendere la mano".
Adam si mise seduto di scatto. "Ne sei convinta?", mi chiese
guardandomi negli occhi.
"Certo", risposi annuendo. "Però dille lo stesso quelle cose
a Chantal", aggiunsi, facendo una smorfia quando pronunciai quel nome.
"In particolare la parte della psicopatica".
Adam mi guardò serio per un attimo, poi scoppiò a
ridere. "Sei davvero fuori", esclamò scuotendo la testa.
"Lo farai?", insistetti.
Lui prese un respiro e annuì, ancora sorridendo.
"Però voglio sapere cosa stavi dicendo di Austin con Mr
Klant".
"Te l'ha detto lui, mi sembra".
"Sì, ma da dove è iniziato il discorso?".
Sospirai. "Dal fatto che l'ho fatto soffrire, suppongo".
"E te l'ha detto lui?".
"No, non l'ha detto, ma lo so".
"Lo sai perché sei una veggente?", mi prese in giro.
Sbuffai. "No, perché l'ho mollato per il mio ex e
perché sono incinta".
"Che scuse del cazzo. A me non sembra che Austin si sia arrabbiato
così tanto".
"Non si è arrabbiato perché è una
persona buona. Ma io so che ci è rimasto male".
"Sfido qualcuno a non farlo, Amanda. Ma, parole tue, vuole rimanere tuo
amico e ha iniziato a frequentare un'altra ragazza. Qual'è
il problema?".
Scossi le spalle. "Lo voglio semplicemente aiutare".
"Non credo che sia una buona idea, sai?".
"Non ho chiesto il tuo parere, mi sembra", sbottai.
"Ehi, ritira gli artigli. Ti ho solo fatto notare che impicciarsi degli
affari degli altri non è una grande idea".
"Non voglio impicciarmi dei suoi affari", esclamai stizzita.
"E allora lasciagli vivere la sua vita, Amanda".
"Non voglio che soffra", mormorai.
"Non sei tu che decidi, Mandy".
"Ma posso aiutarlo", insistetti.
"Limitati a stargli accanto, testona", disse Adam, accarezzandomi una
guancia.
Sospirai. "Sono stata davvero stronza con lui, Adam. Come fa a volermi
ancora bene?".
"Come faccio io ad amarti? Semplice", si rispose da solo. "Ti amo
perché sei tu. E probabilmente per lui è lo
stesso. Renditi conto che sei speciale, Mandy".
"Mr Klant mi ha detto la stessa cosa".
"Visto? Perché non ti metti l'animo in pace e ammetti a te
stessa che sei una bella persona?".
"Perché sono tremendamente insicura e stupida?", mormorai,
scuotendo la testa.
Adam ridacchiò. "Accorgersi del problema è il
primo passo per superarlo", disse.
Sbuffai. "Stupide frasi fatte", dissi incrociando le braccia al petto.
"Beh, accontentati di queste: è quasi l'una del mattino e
sono troppo stanco per dirti qualcosa di originale",
commentò sbadigliando, ritornando di nuovo sdraiato.
Lo guardai per un attimo, poi mi sdraiai accanto a lui, appoggiando la
testa sulla sua spalla e coprendo entrambi con il lenzuolo. "Dove sei
stato?", gli chiesi.
"In giro", rispose lui semplicemente.
"In giro è molto vago".
Adam sospirò. "Sono andato a bere qualcosa con Charlie".
"Charlie", mormorai. "Come sta Liz?".
Adam mi strinse le spalle con un braccio. "Sta bene".
"Mi manca, sai?".
"Immagino. Tra l'altro non mi hai ancora detto perché non vi
parlate più".
"Divergenza di opinioni".
"Più nello specifico?".
Sospirai, girandomi su un fianco per guardarlo negli occhi.
"Semplicemente ha voluto tagliare tutti i ponti dopo quello che
è successo con te", spiegai.
"Avete litigato per me?", esclamò sorpreso.
Feci una smorfia. "A dire il vero io mi sono limitata a incassare gli
insulti. Non avevo il coraggio di ribattere sapendo di essere nel
torto".
"Non si è comportata bene con te", disse dandomi un bacio
sulla fronte.
"E nemmeno io con te", gli feci notare.
"Sì, ma quella era una questione tra noi due. Non capisco
lei cosa c'entra".
"Ha semplicemente preso la tua difesa, Adam".
"Non avevo bisogno dell'avvocato".
"Senti, ormai è cosa passata. Liz mi manca, era la mia
migliore amica. Ma posso vivere anche senza di lei".
"Sto solo dicendo che ha esagerato".
Sospirai. "E cosa posso fare, Adam?".
"Provare a parlarci. Ora siamo tornati insieme, no? E aspettiamo anche
un bambino. Se io sono riuscito a fare tutto questo non vedo
perché lei non possa".
"Sai che è più testarda di un mulo", sbottai.
"Credi che non ci abbia provato in questi anni?".
"Posso provare a parlare con Charlie", mi propose.
"Non cambierebbe nulla, la conosci. Sarebbe capace di portarmi rancore
all'infinito, ma se non è nemmeno disposta ad ascoltarmi non
so proprio come chiederle scusa".
"Ma tu non devi chiederle scusa di niente!".
Sbuffai. "Lo so, cavolo. Vallo a dire a lei".
"Contaci", sbottò lui. "Non voglio che tu ci stia male. Ti
fai già un sacco di sensi di colpa da sola".
"Grazie eh", mugugnai.
"E poi", continuò. "Una volta vorrei uscire tutti e quattro
assieme, come quando andavamo al liceo".
"Niente sarà mai come quando andavamo al liceo".
"Beh, io e te ci siamo ancora, no?".
Sorrisi, allungandomi per dargli un bacio sulla guancia. "Mi dispiace
per quello che è successo oggi, Adam".
"Non preoccuparti. È normale discutere".
Sospirai, evitando di ribattere e mi appoggiai di nuovo con la testa
sulla sua spalla. "Non te ne andrai come ha fatto mio padre, vero?",
sussurrai.
Adam s'irrigidì, stringendomi più forte al suo
petto. "No", mormorò. "Non me ne andrò".
"Io ti amo, Adam".
"Era da un sacco di tempo che non te lo sentivo dire", sorrise,
appoggiando il mento sulla mia testa.
"Preparati a sentirlo ogni giorno perché ti amo, Adam. Come
non ho mai amato nessuno e come mai amerò qualcuno".
"Non ti sembra un po' esagerato? Prova a pensarci su".
Scossi la testa. "Ci ho già provato e non ha funzionato. Tu
sei tutto, per me. Ascolta il mio cuore", dissi prendendogli la mano e
appoggiandogliela sul mio petto, dove il mio muscolo caridaco batteva
placido e sereno. "È la tua voce che mi tranquillizza.
È il tuo modo di parlare, il tuo modo di chiamarmi con quel
nomignolo che mi riservi. È che sei tu. E quando si tratta
di te io non so che mi succede. Per quanto io cerchi di trattenermi, se
si tratta di te, io sono felice". *
"Sei davvero felice con me?".
"Come non lo ero mai stata", lo rassicurai. "Ogni giorno afferri un
pezzettino del mio cuore e lo rinchiudi al sicuro. So che lo
proteggerai e che non lo lascerai mai andare".
"Fidati".
"Mi fido", sussurrai.
Adam non rispose, limitandosi a sciogliere l'abbraccio solo per alzarsi
e poi posarsi su di me. "Non lascerò mai scappare il tuo
cuore, Lupacchiotta", sussurrò, abbassandosi per baciarmi.
Risposi senza esitazioni, aggrappandomi con le braccia dietro il suo
collo e inebriandomi del suo sapore e del suo profumo. "Non
permetterò mai a nessuno di rubarmelo", continuò,
facendo scivolare le mani lungo i miei fianchi. Allacciai le gambe al
suo bacino, avvicinandolo a me. Non ci mise molto a slacciarmi il
reggiseno e presto ci trovammo pelle contro pelle, calore contro
calore, cuore contro cuore.
Lo amavo, accidenti se lo amavo.
Amavo la sua personalità, il suo sorriso, il suo umorismo, i
suoi baci, il suo modo di farmi sentire perfetta, il suo modo di
amarmi. Amavo tutto di lui e mi chiedevo come avevo fatto a credere di
averlo scordato. In quel momento, stretta tra le sue braccia, mentre la
ragione veniva sopraffatta dall'istinto e dalle sue labbra bollenti sul
mio collo, sapevo che nel mio cuore niente era mai cambiato.
Mi lasciai trascinare in quel mondo fatto di baci e passione,
arpionandomi alla sua schiena mentre la sua bocca e le sue mani
vagavano incustodite sul mio corpo. Nessuno le fermò nemmeno
quando si infilarono sotto le mutandine e, nei minuti successivi,
credetti sinceramente di stare per morire. Era una sensazione
potentissima, proveniente sia dal mio basso ventre che dal cuore e
quando esplosi gridando ringraziai chiunque dovessi ringraziare per
avermi concesso una seconda possibilità.
Con Adam non era solo sesso, non lo era mai stato. Grazie al corpo
riuscivamo ad esprimere i nostri sentimenti e le nostre emozioni molto
più facilmente. Era come se in quei momenti ogni barriera
cadesse e restassimo solo noi due, abbracciati e ansimanti, sempre
più innamorati.
Adam non mi lasciò nemmeno il tempo di riprendere fiato:
entrò in me velocemente, facendomi di nuovo partire verso il
paradiso. Amavo il modo in cui mi toccava, il modo in cui mi baciava,
il modo in cui mi venerava. Attraverso gli occhi socchiusi e con ancora
un briciolo di lucidità era facile incontrare il suo sguardo
liquido e perdersi il quell'azzurro che sembrava infinito e bollente.
Bollente come le sue labbra sul mio collo e sul mio seno, bollente come
le sue mani che non smettevano mai di accarezzarmi, bollente come i
nostri cuori, che battevano all'unisono veloci come colibrì
e potenti come aquile.
Lo amavo, accidenti se lo amavo.
L'ennesimo orgasmo che mi colse poco dopo fu estenuante e bellissimo.
Mi sentivo in un limbo: ero consapevole di quello che stava succedendo,
ma allo stesso tempo tutto era sfocato e lontano. Sentii Adam
raggiungere l'apice poco dopo di me e accasciarsi sul mio corpo, non
smettendo un attimo di riempirmi di piccoli baci.
Lentamente ripresi il contatto con la realtà e sorrisi
teneramente quando lo vidi abbassarsi e regalare dei baci anche al mio
ventre, dove il nostro bambino stava crescendo. Sarebbe stato un padre
perfetto, ne ero più che certa.
"È stato fantastico", sussurrai accucciandomi di nuovo al
suo fianco.
"Tu sei fantastica", disse stringendomi a se e imprimendo di nuovo le
sue labbra sulla mia fronte.
"Ti amo".
"Vi amo", sussurrò lui.
Sorrisi. Era tutto perfetto.
*citazione di Anna Ombra Brambilla.
Salve
a tutti!
Lo
so, sono in ritardissimo, ma mi sono ritrovata all'ultimo minuto senza
mezzo capitolo già pronto, così ho deciso che da
oggi, prima di pubblicare, devo avere pronto almeno un altro capitolo e
scriverne almeno uno a settimana. In questo modo, spero, non
capiteranno più imprevisti così e anche io
sarò più tranquilla.
Ritornando
al capitolo. È il seguito dell'altro, con la spiegazione del
litigio e la sua conclusione. Non ho niente da dire in particolare, se
non che la frase con l'asterisco è di Anna Ombra Brambilla e
l'ho presa da una pagina di Facebook.
Ringrazio
sempre di cuore chiunque legga la mia storia, in particolare Minelli
che mi segue fin dall'inizio e DarkvViolet92 che si è letta
entrambe le storie ed è stata davvero dolcissima con i suoi
commenti.
Lo
so che sembrerò un po' idiota, ma faccio un'altro angolo
pubblicità. Eh, sì, perché mentre non
avevo ispirazione per concludere questo capitolo, ho scritto altre
storie, sempre delle one-shot. Che ci volete fare, quando l'ispirazione
chiama, bisogna rispondere!
"Io
mi arrendo a te, Risa", altra song-fic su Lovely Complex
--> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2413286&i=1
"Di
guardoni, papere e fumetti", un'originale commedia, di cui sto
lavorando anche al seguito. O, almeno, ci provo --> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2409559&i=1
Bene,
ho finito qua. Vi lascio con lo spoiler del prossimo capitolo,
già pronto, ma che non pubblico fino a quando non
sarà fatto anche quello dopo.
A
presto
mikchan
SPOILER
capitolo ventuno: WEDDING'S TALES
[...] La cerimonia fu molto più che commovente. Piansi
dall'inizio alla fine, così contenta che la mia amica avesse
trovato la felicità e anche un po' invidiosa. Un anello al
dito era quello che ogni ragazza desiderava e, checchè ne
dicessi, il mio sogno segreto era di poter vivere quel momento
dall'altra parte, come sposa, ovviamente di Adam. Eppure sapevo anche
che non dovevo fargli pressioni: era già meraviglioso che
fossimo tornati insieme dopo tutto quello che era successo e, se il
destino avesse voluto, avremmo fatto anche noi quel passo. Prima o poi.
[...]
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