Poi mi dicono che per me è
tutto più facile.
Perché è
veramente facile guardarti da lontano, mentre ridi
e fingere che non mi sfiori minimamente l’idea di
avvicinarmi, cingerti la vita
con le mie braccia e farti sobbalzare toccandoti la schiena con le mie
mani
eternamente ghiacciate.
Chi ha le
mani sempre
fredde è innamorato.
L’ho letto su facebook, ma
anche se l’avessi letto sulla più
famosa rivista al mondo, non ci avrei creduto.
Non sono innamorata, cazzo no, non
posso esserlo.
Non lo sono da tutta una vita,
nemmeno quando ho detto “Ti
amo” a quel ragazzo dai capelli lunghi che, comunque,
sembrava più una femmina
di quanto lo fossi io.
Ma non importa, non sono innamorata.
Ti prego,
portami via,
chiedimi di abbandonare tutto, ogni cosa e io me ne vado da qui, scappo
con te.
Scappo per te. Ti porto via e mi porto via, così possiamo
ricominciare da capo,
fingendo di non sapere nulla l’una dell’altra,
sarà meglio della prima volta
che ci siamo conosciute.
È inverno ad inizio
febbraio, quell’inverno di fine dicembre,
massimo metà gennaio. Non passa, mi ha gelato le ossa, fino
al midollo.
Amo l’inverno,
sì, quello sì.
E quella volta che correvamo in mezzo
alla neve? Te la
ricordi? Che eravamo diventate due pezzi di ghiaccio, ma ridevamo sotto
i
fiocchi bianchi e gelidi ed eravamo insieme, dimmi che la ricordi nei
particolari, quella volta, così che possiamo riviverli
insieme e cancellarli
definitivamente.
Stavo con un ragazzo in quel periodo,
con i capelli
biondo-cenere, che non capiva un cazzo e non vedeva oltre il suo nasino
delicato dalla punta all’insù; si incazzava con me
ed io fingevo di rimanerci
male, così mi abbracciavi.
Tranquilla, è passato
tutto, ormai.
Non vengo al
tuo
compleanno, l’avevo già annunciato tempo fa.
Ma sai
quanto male mi
faccia? Io che ti avrei persino comprato il cuore, per il tuo
compleanno,
l’avrei comprato dando in cambio il mio, per ricacciartelo al
suo posto, ormai
pieno solo di apparenza.
Apparivi.
Scomparivi.
Scomparivo.
Se ti aiuto io, poi mi aiuti tu?
Ad uscirne, dico.
Ad esempio potresti dirmi che mi vuoi
parlare, andremmo in
centro a mangiare un gelato e intanto potresti urlarmi in faccia quanto
sia
stata ipocrita, quanto tu mi odi, quanto non mi voglia mai
più vedere.
“Anche io non ti voglio
più vedere”.
“Anche tu sei
ipocrita”.
“Vedi? Una cosa in comune
l’abbiamo sempre”.
Allora, mi aiuterai?
Mi piaceva
che ti
piacesse la mia voce.
Mi piaceva
che ti
piacesse qualunque cosa, in realtà.
O forse mi
piacevi
solo tu, ogni cosa facessi.
Non ho mai
più riso
così tanto, tipo con le lacrime agli occhi, la faccia
dolorante ed il male alla
pancia; ho sempre detto che quella in perdita eri stata tu, mentre io
ci ho
perso metà cuore ed i polmoni, poi cos’altro? Ah,
già, la testa.
Ho scritto una lettera ridicola che
non hai mai letto ed io
non ho mai realmente pensato.
Anche se ti ho detto che avresti
potuto chiamarmi tutta la
notte, non ho mai tenuto il telefono con la suoneria sperando di
sussultare
alle tre del mattino.
Avevo anche detto che ti avrei
asciugato le lacrime.
Che sarei stata con te se fossi stata
male.
Non l’ho mai pensato.
Nemmeno un istante.
Ripenso alla
cioccolata calda, che non ti veniva mai come l’immagine sulla
confezione e a
tutte le volte che mettevi lo zucchero nel mio caffè anche
se l’ho sempre
bevuto amaro.
La nostalgia
uccide,
fidati.
Ricordo il
piano, la
chitarra e le canzoni stupide e mi viene da piangere, ma si vede che
non era il
momento per essere felice.
In queste pagine ci ho versato il mio
sangue nero
d’inchiostro, perché in realtà non mi
importa di dissanguarmi su un foglio.
Non mi importa davvero più
nulla.
Perché
devo essere
costretta ad odiarti, quando vorrei seppellire le mani tra i tuoi
capelli e
tremare al contatto delle nostre labbra?
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