“Ho il cancro, Matt.”
Gliel’aveva detto così.
Senza pensarci due volte.
Quello stupidissimo tofu che aveva tanto insistito per inserire nel menu aveva
preso una strada sbagliata all’altezza dell’epiglottide, avvicinandolo d’un
passo o due ad una lenta, mortuaria agonia respiratoria.
Brian aveva aspettato con calma, senza battere ciglio, che
lo screanzato interlocutore smettesse di soffocare e
tornasse a prestare attenzione.
Disgraziatamente, una volta scampato
il pericolo, la negligenza dell’auditore si era palesata nel più irritante dei
modi.
“… ‘osa?”
Non aveva esitato neppure un istante.
“Ho il cancro. Il polmone sinistro è praticamente
fottuto.”
E giù, allora, cascate di silenzio come
grani di sabbia, e la sua pazienza sull’orlo del crollo.
“Mi stai prendendo in giro.”
“Nient’affatto.”
“Vaffanculo.”
“Grazie.”
“Vaffanculo. Mi hai sentito, Brian? Vaffanculo!”
“Ti ho sentito, Matt. Ancora graz…”
“Che cazzo stai
dicendo?”
“Non fare il bambino. Non ho tempo per queste cose. Non ho
più tempo per un sacco di cose.”
Era scattato in piedi, Matt,
calpestando fino agli ultimi frammenti di lucida dignità.
“Cancro, Brian? È questo che vuoi farmi credere? Cos’è,
l’ennesima trovata pubblicitaria, come quella stronzata
per i diritti dei gay in Lituania, o quell’altra cosa del… che ne so, David Bowie?
Un duetto, è così? Un maledettissimo… duetto… tu e il tumore? La prossima volta
cosa ti inventerai? Brian Molko
in overdose da Viagra per comprendere i disagi
dell’impotenza?!”
Aveva atteso, glaciale, che si svuotasse.
“Non sarebbe una cattiva idea. Potresti metterla in pratica
al mio posto, quando sarò sotto i ferri.”
Le spalle gracili, ridicolmente strette, erano parse
sgonfiarsi, ricadere su se stesse come pressate da un male maggiore.
“Sta’ zitto. Sta’ zitto e basta.”
“Come preferisci. Ho solo pensato
che potesse interessarti saperlo. Dopotutto sei parte del mio testamento. Se
morirò, verrai chiamato in causa.”
L’aveva prevista, una reazione.
Si era avventato su di lui come un falco
sulla preda, inarcandosi sulla pelle color pesca della poltrona
reclinabile.
Il tessuto, abusato, aveva scricchiolato sotto il peso
leggero.
“Dimmi che mi stai prendendo per il culo, Brian. Dimmelo adesso.”
Aveva sollevato il mento, come d’abituale provocazione
smargiassa.
Solo che non c’era la minima baldanza, ora.
“Ti sto prendendo per il culo, Matthew.”
Scricchiolii alla pesca.
“Non usare quel tono con me. Voglio la verità.”
“Non è la verità quello che vuoi sentirti dire.”
E ci era arrivato, infine.
Aveva ridotto gli occhi azzurri in due fessure, fino a
chiudere l’incubo circostante oltre la rassicurante barriera delle palpebre.
Così, indugiando nel buio cieco, aveva perso ogni traccia di imponenza.
Brian lo aveva guardato senza esalare un fiato.
Il cuore aveva preso a battere, forte e vivo,
almeno lui.
E, no, non era una sensazione
estranea alla presenza dello stupido giunco flesso sulla sua spalliera.
A meno che non fosse la spia di un
altro tumore, aveva considerato, macabro.
“Quando lo hai saputo?”
Gli era occorso un attimo per capire che si trattava di una
domanda, posta com’era stata senza il più lieve accenno d’espressione.
“Martedì. Avevo quel controllo, te ne avevo
parlato.”
“Sì, ma pensavo ci andassi per la tua fottutissima bronchite, Brian!”
“Che vuoi che ti dica. Il cancro
non era incluso nel pacchetto prepagato.”
Matt si era gettato con veemenza
in avanti, portando i loro visi a millimetri di distanza e causando ulteriori scricchiolii.
“Puoi smetterla per un secondo con questo tuo orribile atteggiamento
caustico?”
Lo aveva ringhiato.
“Pensavo ci avessi fatto il callo. È il mio marchio di
fabbrica, lo sai.”
E Matt aveva tutto a un tratto deciso che il contatto con la pelle
d’arredamento non gli era più sufficiente, preferendo quello, ben più diretto,
col braccio nudo di Brian.
“Ti ho detto di smetterla. Subito.”
Battito.
“Per favore.”
Silenzio.
“Che cosa ti aspetti ora da me?”
Brian avrebbe riso, e riso, fino a perdere fiato e dimezzare
il tempo utile dei suoi polmoni malati.
“Cosa mi aspetto io da te, Bellamy? Un bel niente. Posso aspettarmi un certo risultato
dall’operazione, o un certo trattamento medico, o una data attenzione dei media. Ma da te?! Non essere
ridicolo.”
“E tu non essere stronzo.”
“Sto per morire, Matthew. Avrò
pure il diritto di essere stronzo,
adesso.”
Lo aveva stretto al collo, il più forte che quella manina da
artista gli aveva concesso.
“Non. Osare. Ripeterlo.”
“Credi che ignorarlo cambierà qualcosa?”
“Fottiti.”
“Mi stai mozzando il fiato. Non vorrai ammazzarmi prima del
tempo.”
Lo aveva mollato come avesse preso
la scossa, ma gli occhietti da cherubino non avevano smesso di dardeggiare.
“A chi lo hai detto?”
“Temo di non capire.”
“Sono passati tre giorni da martedì. A chi
lo hai detto, nel frattempo?”
“È confortante vedere che continui a perderti in quisquilie
inutili anche di fronte alla morte. Mi fa ben sperare per il tuo futuro
vedovato.”
“Non ci provare. Non farlo neppure.”
Era stanco, maledettamente stanco.
In fondo era malato, dio.
Malato davvero.
“Alex. E Stef. Soddisfatto?”
Aveva stretto i denti fino a farli stridere.
“Alex.
Lo hai detto alla tua manager prima che a me.”
“Ti ho già pregato di non fare il bambino. Sai perché te ne
parlo solo adesso? Perché sei un dannato logorroico,
ecco perché. Stef si è accontentato di uno svenimento
e qualche lacrimuccia; ha avuto il buongusto di non
sprecare il mio tempo.”
“Parli come se questo non ti interessasse.
Come se non fosse la tua vita! Sei davvero…”
Debole. Vile. Terrorizzato.
“… un bastardo. Mi fai schifo, Brian.”
“Occhio a quella boccuccia di rosa, tesoro. Non è troppo
tardi per diseredarti.”
Non lo aveva aggredito, no. Anche se, per un
lunghissimo minuto, era sembrato sul punto di farlo.
Peggio, aveva richiuso gli occhi.
Per riaprirli e svelarli così, senza riserve, senza tatto,
impudente.
Lucidi e splendidi.
Un po’ era morto, Brian.
“… Cosa hai intenzione di fare?”
Aveva letto a stento tra le righe, le mille e mille
sfumature del magone.
“Che domande. Mi farò curare. Alex si è presa la responsabilità di
trovarmi un buon chirurgo per l’operazione, poi ci sarà l’inferno delle chemio. Stefan conosce qualcuno
che conosce qualcuno che conosce un oncologo, quindi sono in una botte di
ferro.”
Aveva illustrato, sardonico.
E Matt, lì, a fissarlo con quel
maledettissimo faccino da triglia con l’evidente
proposito di farlo a pezzi.
La voce, la sua tanto acclamata voce,
ridotta ad un gemito strozzato e patetico.
“Grandioso. Quindi è già tutto
organizzato. Non c’è modo in cui io possa rendermi utile.”
Brian si era sentito disfarsi.
Come sotto l’effetto di pillole liquide, benzina a pois,
come in un cazzo di arkanoid indemoniato ed assassino e una pallina tossica
sparata a razzo nell’esofago.
“Non farlo. Non cercare di farmelo pesare.”
“Cosa diavolo…?”
“No. Ti prego, ti supplico, non farlo. Non costringermi
ad essere forte per entrambi, perché non ce la faccio. Posso a malapena
reggermi sulle mie gambe. Non chiedermi di farti da stampella.”
“Brian, io non…”
“Sai perché sei stato l’ultimo a saperlo, Matt? Perché ne avevo bisogno.
Perché avevo bisogno che tu baciassi via quest’incubo
e scopassimo, dio, e fottessimo
insieme il cancro, e la morte, e tutta questa schifosa paura. Perché volevo mi
promettessi che saresti stato la mia voce, se io non avessi cantato mai più.”
Lo scorrere di qualcosa, qualcosa di errato
e sopito, qualcosa di magico e libero, qualcosa di acre e terribile ad
ustionare i volti di entrambi, sì, entrambi.
Era stanco, Brian.
Maledettamente stanco.
“Tu canterai.”
“Risparmiamelo. Scopami e basta, Matt.”
Non aveva più discusso, grazie al cielo.
Si era chinato a baciarlo, lieve e caldo, caldo da ustione.
Profondendosi nell’ormai nota sinfonia di scricchiolii alla
pesca.
Aveva pianto e baciato, Brian.
E tra il caos interno e la melodia
esterna gli era parso di sentirle, rotolare dalle labbra amare che ancora
assaggiava, incapace di saziarsi.
Due.
Sciocche.
Insignificanti.
Piccole.
Parole
***
Abbandonati sul letto sfatto, come
fosse la cosa più importante del mondo.
“Brian.”
“Mhh?”
“Toccami.”
“Non sei ancora soddisfatto? Poi
danno a me della puttana!”
“Non intendevo… in quel modo.
Vieni qui. Fammi sentire che sei vero.”
“Quasi l’avevo scordato, che il
sesso ti rende sentimentale.”
“Per favore.”
Non può fare altro.
Non farebbe altro, nemmeno
potendo.
Perché la
biglia sfrenata è di nuovo in moto, dentro, e la pelle auspica una volta di più
l’umido sconcerto di quell’ustione.
“Contento?”
Si concede un lungo momento per
inspirarne il profumo, graffiando furioso l’istinto stesso di sopravvivenza. Che, estraneo ad ogni romanticheria, preme perché rilasci
quel fiato che sa tanto di lui.
Di Brian.
Come può il solo vivere essere così egoista?
“Stavo ripensando a quella cosa
che hai detto. Che potrei farlo in tua vece.”
“Provare il Viagra?”
“Cantare.”
Il primo sorriso sincero si
accende sul viso provato di Brian.
“Sì, beh, non farti troppe
illusioni. Non ho intenzione di crepare tanto presto. Devo proteggere il mio
pubblico dalla prospettiva di sentirti pigolare in
ogni dannatissima arena del mondo!”
La biglia rallenta,
la pelle s’acquieta.
Ti amo.
“… Matt.”
“Dimmi.”
Scusa.
Grazie.
Aiuto.
“Prometti che ci penserai, a
quella cosa del Viagra. Ho sempre avuto a cuore il
dramma degli impotenti.”
Ride, rincuorato, ricolmo.
“Te lo scordi! Lo farai tu, appena
tornerai sulle scene.”
Ed è così
bello, così vivo, così luminoso, Matt.
Così sicuro, così
fedele, così intenso, Matt.
Non ha il cuore di
colmare i vuoti delle cose non dette, adesso.
Brian sorride, cerca una posizione migliore contro il petto ossuto
dell’altro.
“Compromesso. Lo
faremo entrambi, insieme. Questa è la volta buona che ai discografici viene un
colpo! Che ne dici?”
Matt ridacchia, inspira, beve una pelle troppo giovane e
troppo perfetta per svanire così.
“Dico che è un
compromesso accettabile, mister Molko.”
Ed
è, invero, molto più che accettabile.
Come il calore di
un letto sfatto.
La cosa più importante del mondo.
.Fin.