[Berthe
Morisot- Il porto a Lorient]
FUTURO
Lei era lì.
Come ogni giorno, alla stessa ora, arrivava a passo lento, stretta nei
suoi abiti migliori e con l'immancabile ombrellino abbinato. La
osservavo appoggiarsi al muretto che dava sulla costa e fissare assorta
per un tempo che sembrava infinito l'orizzonte e le navi placidamente
ormeggiate nel porto lì vicino.
La guardavo da dietro un edificio, nascosto alla sua vista, ma ansioso
di non perdere nemmeno un suo respiro. Ogni volta mi chiedevo cosa
potesse passare nella sua mente mentre seguiva il sole alzarsi alto nel
cielo, quale potesse essere l'enorme dubbio che l'affliggeva e oscurava
il suo sguardo. Pensavo che, magari , stesse aspettando l'arrivo di
qualcuno, forse il padre, un fratello o un fidanzato, oppure che stesse
piangendo la perdita di un caro e volesse stare da sola.
Ogni giorno mi inventavo una storia diversa su di lei: una volta era
una nobile signora che aspettava il ritorno dell'amato dalla guerra,
quello dopo una vedova, l'altro ancora era una donna che cercava
semplicemente un modo per evadere da una realtà che la
affliggeva fin troppo.
In ogni caso, diventava sempre più affascinante ai miei
occhi. Avrei voluto farmi avanti, parlarle, farle rispuntare il sorriso
sulle labbra, ma ogni volta trovavo una scusa per non avvicinarmi.
Temevo che mi avrebbe respinto, come d'altronde avrebbe fatto qualsiasi
persona normale, che non avrebbe nemmeno ascoltato le mie spiegazioni.
Non sarei riuscito a catturare il suo sguardo, a tenerle la mano e
assaggiarne la morbida consistenza. Avrei voluto avere il coraggio di
confessarle che, da mesi, la osservavo da lontano, incapace di fare
altro, forse solo di sognare. Dentro di me sapevo che, rimandando ogni
volta, avrei perso l'occasione per aprirle il mio cuore, ma la paura di
venire rifiutato era forse più forte di quella di non
riuscire a farcela.
Quel giorno indossava un abito bianco, molto elegante e decisamente
costoso, i capelli erano acconciati secondo la moda dell'epoca, con un
grazioso cappellino nero, mentre il volto era oscurato da un ombrellino
bianco. Il suo sguardo era fisso sulle onde che si infrangevano leggere
sulla costa e che muovevano le poche barche ancora ancorate, come se le
stessero dicendo qualcosa di estremamente importante; il vento fresco
che soffiava le faceva volare una ciocca di capelli sfuggita
dall'acconciatura e, ma forse era solo una mia impressione, una lacrima
solitaria le stava scendendo lungo la guancia. Era bellissima, come
sempre. Bella con la sua malinconica semplicità, con i suoi
occhi tristi, le labbra strette e le spalle incurvate. Bella mentre si
perdeva ad osservare quella natura così calma e
rassicurante, che a volte sembrava quasi inghiottirla nel paesaggio e
mi pareva quasi di essere davanti ad un meraviglioso quadro, fatto di
colori tenui, ma caldi. Esattamente come lei.
Chissà chi sarebbe stata, quella volta, mi chiesi
osservandola.
Come ogni giorno, però, nell'esatto momento in cui il sole
toccò il suo picco e prima che io mi rendessi effettivamente
conto del tempo che era passato, lei sospirò e si
alzò dal muretto, incamminandosi verso il centro del paese.
Non la seguii, come al solito, limitandomi a non distogliere lo sguardo
fino a quando non scomparve inghiottita dalle vie e dai passanti.
Sospirai anch'io, avviandomi poi verso il mio appartamento.
Sarei tornato al porto il giorno seguente, alla stessa ora e avrei
continuato ad immaginare la vita di quella donna che mi aveva
incantato. Questo, almeno, fino a quando non avrei trovato il coraggio
di farne davvero parte.
Quello che non avevo previsto, però, era che non avrei
più potuto avere quella possibilità.
Per me vederla ogni giorno era diventato essenziale come respirare, ne
avevo bisogno per accertarmi di essere ancora vivo e per non farmi
inghiottire dal mio stesso baratro. Un solo sguardo alla sua elegante
figura e riuscivo a sorridere come non mi capitava da tempo. Era
diventata un'abitudine, un'azione che dovevo necessariamente compiere
per poi riuscre a dormire tranquillo la notte.
Per questo motivo, quando il giorno dopo non la vidi arrivare, mi
sentii sprofondare.
La aspettai per ore, sempre nascosto dietro al solito edificio, con il
cuore che batteva furioso nelle orecchie e il respiro corto,
terrorizzato di avere davvero perso l'occasione di sistemare la mia
vita.
Tornai al porto anche per i giorni seguenti, nella muta e dolorosa
speranza che sarebbe venuta anche lei.
Ma non si fece viva.
I mesi passarono, le stagioni cambiarono, ma io non smisi di recarmi in
quel posto, forse per abitudine, forse spinto da quel sentimento che
rimbombava nel cuore con forza ogni volta che il mio pensiero correva
verso di lei. Ogni volta era una dolorsa pugnalata e mi crogiolavo
nella disperazione di avere buttato al vento ogni occasione.
Dopo quel giorno, non la rividi mai più.
Rincominciai a vivere anch'io, ma dentro di me sapevo che quella
misteriosa e bellissima donna non mi aveva mai abbandonato. Era sempre
lì, al centro di me stesso, come una specie di monito, a
ricordarmi che, le occasioni perse, sono poi le peggiori da dover
affrontare con noi stessi.
Salve
a tutti.
Premetto
che questo racconto è nato come esperimento al corso di
scrittura creativa che hanno indetto nella mia scuola durante la
"settimana dei recuperi". L'idea era quella di lasciarsi ispirare da un
quadro (in questo caso si tratta di "Porto a Lorient", di Berthe
Morisot) e scrivere un racconto, breve o lungo che fosse, in cui il
quadro poteva essere oggetto o soggetto.
Insomma,
questo è quello che ho tirato fuori io e, visto che in
alternativa starebbe a marcire in una cartella del pc, ho pensato di
postarlo e condividere con voi questo lavoro. Chissà, magari
vi ho suggerito l'idea per una nuova storia, o semplicemente vi ho
fatto perdere qualche minuto delle vostre vite.
Fatemi
sapere cosa ne pensate, se c'è qualcosa da cambiare, qualche
dettaglio che non quadra, errori di ogni genere e cose così.
Ci tengo davvero a questo lavoro, essendo stato un esperimento e quindi
qualcosa che non avevo mai affrontato prima.
a
presto
mikchan
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