Il nome della rosa

di hikachu
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In fondo, che cos'è un nome? Quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente. (Romeo e Giulietta, W. Shakespeare)

1

Bice, respira, Beatrice, mormora contro il collo di lei, delicatamente; assaporando vita e salvezza in una singola parola.

Gli occhi le si allargano un poco al nome intero e lei scoppia in una risata quieta. Beatrice lo stringe più vicino.

“Oh Kinzo,” sospira. Lui è l'unica persona in tutto il mondo che sappia far suonare il suo nome come una confessione d'amore, una promessa di eternità: insieme, per sempre.

Costi quel che costi.

2

Certi giorni, per quanto affettuosamente possa chiamarla, Beatrice non lo guarda nemmeno, persa nei suoi pensieri.

Ci sono rughe, adesso, sulla sua fronte, e sul dorso delle sue mani; visibili ma non ancora abbastanza profonde da farlo apparire fragile.

Da strega quale è, invece, Beatrice non è invecchiata nemmeno un po' da quel primo giorno su Rokkenjima. Kinzo sorride al pensiero e vuole parlargliene, ricordare e ridere insieme, ma quando chiama di nuovo, Beatrice, lei continua a non voltarsi verso di lui: come se fosse un'estranea, come se il nome non le appartenesse.

3

Beatrice, singhiozza, perché la sua vita sta scivolando via, e lui è ancora solo con i suoi desideri, i suoi rimpianti, i suoi fantasmi. Beatrice, chiama, perché Lion è stato solo un'illusione effimera di redenzione.

Nel corridoio una piccola creatura ascolta, spaventata e affascinata, stringendo un mazzo di chiavi per timore che la strega giungerà davvero e le ruberà di nuovo.

Ma Beatrice non è interessata a far scherzi oggi, non adesso. Fissa la porta pesante, i sigilli e i circoli incisi nella maniglia, e scuote la testa.

“Sei davvero un pessimo mago, Kinzo.”

La sua voce è colma d'amarezza.





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