Gianandrea
trafisse il
cuor della Grande Piaga che si accasciò al suolo
apparentemente
priva di soffio vital. Il cavalier le si avvicinò, il suo
animo,
pervaso di titubazion, sussultava ad ogni passo compiuto verso la
bestia. Era innanzi alla carcassa et con punta di spada in ausilo
lenì ripetutamente lo spesso strato di pelle per istigar
reazion in
caso lo mostro della morte fingesse aspetto per trarre in inganno uno
sprovveduto. Dopo un legger lenir la punta della spada venne
affondata sempre più in profondità, lasciando
profondi squarci
nella pelle corazzata della carogna. Ad ogni squarcio la bocca di
Gianandrea tirava le labbra sempre più in su
finché non gli
comparve un grande sorriso da cui faceva sfoggio d'ogni dente.
Guardò
il cadavere un'ultima volta, poi si rivolse ad Andrea e
mostrò ad
egli il volto insanguinato in cui spiccava un sorriso dettato da
pazzia. “Andrea! Mio fido amico! Ci siam infine riusciti!
Eccola!
La Grande Piaga, infine è ai nostri, miei, piedi. Abbiam
atteso per
settimane, abbiam rinunciato a sonno, abbiam accumulato fame e sete,
ma infin eccola qui, che giace prostrata ai miei calzari. - qui
proruppe in una fragorosa risata - Vedi? Oramai è
così inerme che
la posso calciare sanza farmi iscrupolo di venir ferito da sue fauci
– e così disse e così fece, calcio
sanza pietà l'inerme testa
dello mostro – Vedi? Son io il solo che è riuscita
ad abbattere la
Piaga, io sono il più gran cavalier di tutti i tempi! Nessun
mai
eguaglierà le mie gesta; si scriverà e si
parlerà di me in eterno,
al pari dell'opere dedicate a nostro signore Iddio.” E
continuò in
una risata 'sì lunga che il pover Andrea credette che presto
lo suo
padron sarebbe soffocato per mancanza d'aria. Mentre Grandenaso era
intento nei suoi festeggiamenti e nelle sue esultanze quasi
dimenticò
il suo intento di mozzar il capo della ripugnante creatura per
offrirlo alla donzella che nel suo cuore avea preso posto.
Sguainò
la spada e la calò con ferocia sul collo della Piaga
tranciandolo e
facendo riversar sull'erba lo sangue violaceo che a gran
velocità si
spanse disegnando una figura che al nostro cavalier sfuggì
ma che lo
spaventato Andrea non mancò di notar: un cuor spezzato al
centro.
Così come Gianandrea issò sul suo capo la testa
mozzata essa si
tramutò in cenere che volò nel vento,
ciò tramutò la gioia di
Grandenaso in rabbia che avrebbe presto sfogato insul corpo abbattuto
al suolo se questo non avesse iniziato a brillar di violacea lux. Il
corpo della bestia si decompose lasciando apparire al suo interno una
longilinea figura di femminino et humano parvenza. Ancora avvolta in
lux la figura si alzò e parlò al prode cavalier:
“La ringrazio mio buon
cavalier
di aver posto fine allo
mio tormento,
le mie pene or son più
legger
e il tanto a lungo atteso
momento
infin giunse per me: da
puro di cuor perir
sotto sua mano, sotto suo
ingegno.
La mia maledizion
incontra suo fin,
per ringraziarvi vi
lascerò di mio amor un pegno.”
E Gianandrea riconobbe in
quelle dolci parole il suon della voce della sua cara Chiara, che
pronunciato il suo discorso si gettò al collo di lui
regalandogli un
bacio, lo primo bacio nella vita del grande cavaliere; suo cuore fu
colmo di gioia et angoscia in stesso tempo. Si rallegrò
dello bacio ma ben presto si preoccupò per la salute di lei
et ella parve
intuirlo dal momento che parlò:
“So quali son tuoi
pensier che in tua testa
si scontran con buon
senso e ragion.
Ti dico che ciò che più
temi or si manifesta,
la Piaga ero io e tanti
uccisi, ma non sanza cagion.
Breve sarà la mia storia
come breve di me è ciò che resta;
principessa son e fui
d'un regno vicino
da mago malvagio mutata
perché a lui molesta,
di dimonio mi diè
l'aspetto, di bestia il raziocino.
Con scarso intelletto
dovei viver
al suo soldo per lo
sterminio,
i suoi ordini prontamente
eseguir
per perpetuar di morte un
abominio.”
Dalla voce di Chiara
Gianandrea capì che ella volea rivelar altro sul suo passato
ma le
ferite che le eran state inflitte in vita e in morte eran troppe e
pian piano la figura della fanciulla di acqua assumea aspetto e
consistenza. Infin si dissolse con le lagrime che scorrevan ma in
volto era serena e prima che il nulla l'inghiotesse rivolse il suo
ultimo pensiero e il suo ultimo sorriso al prode giovane che l'aveva
salvata dalla maledizion del vecchio e arcigno mago. Gianandrea la
guardò svanir sanza potervi porre rimedio alcuno e quando al
fin nel
nulla andò le lagrime rigaron il suo volto. E pianse. E
pianse per
giorni. E pianse finché le lagrime non finiron. E pianse
finché la
voce non gli si spezzò in gola. E pianse fin quando l'ultimo
rantolo
lo sostenne. E tacque. Tacque per sempre, mentre tutto in nero
mutò.
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