«D-dove
mi trovo? Che posto è questo?»
Colin
si risvegliò in mezzo a dell'erbaccia, sul ciglio di una
strada asfaltata. Il terreno era tutto fangoso a causa della pioggia
che cadeva incessantemente. La luna illuminava debolmente l'ambiente
circostante: oltre a quelle poche erbacce e a qualche cespuglio, non vi
era traccia di vegetazione alcuna: nessun albero, nessun fiore, nessuna
pianta. Dall'altra parte, invece, nemmeno l'ombra di una macchina.
Completamente deserto. Colin si trovava spaesato e visibilmente
impaurito.
"Perché
sono qui? Come ci sono arrivato? E come faccio a tornare a casa?"
Improvvisamente
nella testa del ragazzo cominciarono ad affiorare dei ricordi dolorosi:
una ragazza, ulra, disperazione, pianti, allontanamento, rabbia,
depressione, pasticche.....
"No,
non voglio tornare a casa... non voglio. La mia vita oramai non ha
più senso..."
Ecco
che improvvisamente si udì un rumore in lontananza provenire
dalla strada. Un paio di luci si stavano avvicinando velocemente. Pochi
secondi dopo, un grande autobus grigio si fermò accanto al
ragazzo, benché non ci fosse nessuna fermata nelle
vicinanze. La destinazione recitava "NOWHERE". Colin scrutò
l'autista: era alto e magro, molto magro. Poteva scorgerne l'eccessiva
magrezza dai polsi cadaverici. Aveva la pelle di un bianco pallido, le
guance infossate, lunghe occhiaie, pochi denti e gli occhi spenti.
Sembrava uno scheletro senza vita. Colin era lì che lo
fissava senza proferire parola, alché il conducente si
girò verso di lui dicendo: «Ragazzo che fai: sali
o no?». Quegli occhi spenti, senza vita, fecero titubare il
ragazzo. Superata la paura iniziale però, Colin
trovò la forza per domandare: «Dov'è
diretto questo autobus?»
«Non
sai leggere? Quest'autobus non è diretto da nessuna parte.
Vuoi salire o no?»
Colin
non era ancora del tutto convinto. Allungò lo sguardo per
vedere se ci fosse qualcun altro su quell'autobus. Vide un signore di
mezza età in piedi ed una signora seduta, intenta a
piangere. Vedendo quindi altre persone, decise di salire. Una volta
salito, le porte dietro di lui si richiusero e l'autobus
ripartì per quella strada buia e desolata, mentre la pioggia
non accennava a diminuire.
Una
volta sopra il mezzo, il ragazzo poté notare che c'erano
più di quelle due persone che aveva notato. In totale erano
in 5: la signora che piange seduta, il signore di mezza età
che sospira in piedi, una bambina per terra che gioca con una bambola
di pezza senza un braccio ed una gamba, una giovane ragazza seduta,
intenta a guardare fuori dal finestrino, ed infine un distinto uomo in
giacca e cravatta, in piedi in fondo all'autobus.
«Un'altra
anima senza uno scopo. Benvenuto!» esordì l'uomo
in giacca e cravatta.
«Chi
sei tu?» chiese Colin.
«Io
sono il controllore di questo autobus. Sicuramente sarai perplesso e ti
starai domandando 'ma dove sono capitato?', giusto?»
«Beh
sì, qualche domanda me la sto facendo...»
«Ebbene,
lascia che ti spieghi! Questo è un autobus che ospita
passeggeri che non hanno più un motivo per vivere. Ognuno di
loro ha una motivazione per la quale non trovano più la
forza di vivere e quindi salgono a bordo, su quest'autobus senza una
destinazione. Ovviamente sono liberi di scendere quando vogliono, ma
nessuno ha mai trovato la forza necessaria per questo passo. E tu? Qual
è il tuo problema? Perché hai perso la voglia di
vivere?»
I
ricordi dolorosi di prima si riproposero violentemente nella testa del
ragazzo. «Non sono affari tuoi» tagliò
corto Colin.
«Come
vuoi.... beh, buona permanenza! Accomodati pure dove meglio
credi»
Il
ragazzo era curioso di sapere le storie dei vari passeggeri. Il primo
da cui andò, fu il signore di mezza età. Era alto
e magro, come se fosse malnutrito. Pochi capelli in testa e lunghe
occhiaie sotto i suoi occhi castani. Indossava un completo elegante ed
aveva una valigetta vicino alla sua gamba destra.
«Salve!
Posso domandarle perché lei è qui?»
Il
signore piegò lievemente la testa verso di lui e, prendendo
un profondo respiro, cominciò a raccontare: «Mi
chiamo Michael, sono un uomo d'affari. Ho una bellissima moglie e due
figli stupendi di 4 e 9 anni. Ho una bella casa, una bella macchina,
dei bei vestiti... o sarebbe meglio dire avevo.
Pian piano la società che gestivo ha cominciato ad
accumulare debiti su debiti. Per pagarli, ho dovuto vendere tutto
quello che avevo, ma non bastava mai.... Non riuscivamo ad arrivare a
fine mese, litigavo continuamente con mia moglie, i miei figli
indossavano stracci e non potevano permettersi nulla, nemmeno un gioco
o uno sfizio. Ero stanco di tutto quello.... stanco. Così un
giorno, decisi di farla finita. Con la mia assicurazione, loro
avrebbero ricevuto una grossa somma di denaro che li avrebbe aiutati a
ricominciare una vita più che dignitosa. Aspettai di
rimanere da solo a casa, andai in cucina e legai un'estremita di una
corda al soffitto. L'altra me la legai intorno al collo, ben stretta.
Saltai dalla sedia e.... il buio. Mi risvegliai ai lati di una strada.
Questo autobus passò ed io ci salii. Sono 2 anni che sono
qui sopra oramai. Non so se sia morto o meno, so solo che non ho il
coraggio di scendere, di andare dalla mia famiglia e guardarli ancora
negli occhi.... spero solo che stiano bene»
«Capisco....
mi dispiace per ciò che ti è
successo....»
Il
signore sbuffò e tornò a fissare il vuoto. Colin
decise quindi di proseguire, andando dalla signora intenta a piangere.
Era una signora grassoccia, con lunghi capelli ricci biondo cenere. Il
trucco che aveva in faccia le stava colando a causa delle lacrime. Il
rossetto era quasi del tutto tolto, finito sul fazzoletto di stoffa che
teneva in mano. Indossava un abito semplice da casalinga.
«Scusi,
posso chiederle cos'ha? Perché sta piangendo?»
La
signora si asciugò le lacrime col fazzoletto di stoffa,
guardò il ragazzo e disse singhiozzando: «Cosa ci
fa un ragazzo come te su quest'autobus?»
Colin
stava per dire qualcosa, ma la signora lo interruppe: «Quanti
anni hai? Venti? Venticinque? La mia Maggy avrebbe la tua stessa
età sai....» e ricominciò a piangere.
«Maggy?»
chiese il ragazzo.
«Sì,
Maggy.... era mia figlia. Un maledetto incidente stradale me l'ha
portata via 6 anni fa. Appena ho saputo la notizia, sono letteralmente
impazzita. La depressione mi lacerava giorno dopo giorno,
finché non ho deciso di prendere dei sonniferi per
calmarmi.... evidentemente ne ho presi fin troppi. Mi sono risvegliata
sul ciglio di una strada e quest'autobus mi ha raccolta. Da 6 anni sono
qui sopra e non faccio altro che piangere. Non ho il coraggio di
tornare da mio marito, di ricominciare....». La donna riprese
a piangere. Colin non disse nulla ed andò dalla bambina. Era
una bella bimba, con un elegante abito rosa e lunghi capelli castani.
Il suo grazioso viso mostrava due grandi occhi verdi e delle belle
guance rosse. Era seduta a terra, intenta a giocare con la sua bambola
di pezza.
«Ciao!
Che stai facendo?» chiese Colin.
«Sto
giocando con la mia bambola... o con quello che ne è
rimasto» rispose la bambina senza distogliere lo sguardo
dalla bambola.
«Lo
vedo... ma come mai sei qui?»
«Non
lo so. L'ultima cosa che ricordo è che stavo giocando col
mio cane Spike nel giardino di casa. Per sbaglio ho lanciato la palla
troppo forte ed è andata in mezzo alla strada. Spike la
stava rincorrendo.... io non volevo che si facesse male e sono corsa
subito a riprenderlo. Poi, un rumore straziante di frenata.... un
clacson che suona incessantemente..... la paura sale. Vedo Spike che
viene colpito. Mi metto ad urlare, continuando a correre. Lascio cadere
la mia bambola. Un'altra frenata. Mi giro e.... buio. Mi sono
risvegliata tra dei cespugli, con la mia bambola mezza rotta in mano.
Ho aspettato un po' e subito è apparso questo autobus. Non
sapevo dove andare e sono salita. Non ricordo da quanto tempo sia qui
sopra.... so solo che.... mi manca tanto il mio cagnolino.... Spike...
dove sei....». La bambinia iniziò a singhiozzare.
Colin tirò fuori dalla tasca un fazzoletto, lo porse alla
bambina e passò oltre.
Rimaneva
solamente la ragazza che guardava fuori dal finestrino. Era
completamente priva di capelli, aveva la pelle rovinata e delle grandi
occhiaie sotto i suoi bellissimi occhi azzurri. Colin si sedette vicino
a lei e stava per rivolgerle la parola, quando la ragazza disse:
«Sono malata di cancro. All'ultimo stadio. La chemio non
è servita a nulla, se non a farmi perdere i capelli e
rovinare il mio aspetto. Quando i medici hanno detto che non c'era
più nulla da fare, sono scappata. Scappata dalla mia
famiglia, scappata dai miei amici, scappata dal mio ragazzo.... non so
nemmeno se sanno che sono spacciata oramai. Mi sono nascosta in un
vicolo. Avevo una lametta con me....». La ragazza
mostrò i polsi. Entrambi presentavano dei tagli piuttosto
profondi. «Sembra però che non abbia funzionato.
Mi sono risvegliata su del terriccio, vicino ad una strada, quando
è passato questo autobus. Da 2 settimane sono qui sopra,
aspettando la fine e guardando fuori dal finestrino. Sempre e solo il
vuoto.... come quello che ho dentro. Perché la vita deve
essere così ingiusta?»
Colin
non sapeva cosa dire.
«E
tu? Perché sei qui? Non mi sembra tu abbia qualche problema
di salute. Hai per caso perso una persona a te cara?»
Il
ragazzo ripensò a ciò che successe negli ultimi
giorni. Le litigate che ebbe con la sua ragazza. La decisione di lei di
farla finita e lasciarsi. Il suo non essere d'accordo con quella
scelta. Ancora litigate. Pianti. Rabbia. Dirsi addio. Non accettare la
cosa. Disperarsi. Fino ad arrivare a prendere delle pastiglie. Troppe
pastiglie.
"Ma
cosa sto facendo?". Colin si alzò, andò dal
controllore e gli disse: «fermi subito l'autobus. Voglio
scendere»
«Senti
senti. E come mai questa scelta, ragazzo?»
«Ho
capito di essere un idiota. Ci sono persone che hanno problemi seri,
che soffrono per motivi ben più gravi dei miei, che hanno
veramente perso tutto ciò che avevano. Poi ci sono io, che
sono solamente un venticinquenne immaturo che appena gli si presenta un
problema, all'apparenza insormontabile, decide di fuggire,
disperandosi. Non voglio più comportarmi così.
Voglio affrontare la vita e cercare di riuscire a farcela, malgrado le
difficoltà. Voglio vivere! Anche per rispetto di queste
persone. Voglio andare avanti anche per loro. Quindi la prego, fermi il
bus». Colin era fermamente convinto. I suoi occhi brillavano
di volontà e voglia di vivere.
L'uomo
lo stava fissando. Abbassò lo sguardo e, con un sorrisetto,
disse: «Ferma il bus». L'autista fermò
delicatamente l'autobus. Colin diede un ultimo sguardo a quelle
persone, salutandole con un cenno della testa e scese dal mezzo. Mentre
stava scendendo, un ragazzo con le stampelle, senza una gamba e con una
grave infezione al viso, era sul ciglio della strada. Colin lo
guardò e non poté provare nient'altro che pena.
Quel ragazzo salì sull'autobus che poi sparì nel
buio della notte.
Colin
allora iniziò a camminare, verso l'ignoto. L'unica cosa che
poteva guidarlo... era una piccola luce all'orizzonte. Non era la luce
della luna e nemmeno quella del sole. Era come una minuscola lucciola
che se ne stava ferma in un punto. Colin la stava pian piano
raggiungendo, passo dopo passo....
Il
reparto di terapia intensiva del Lenox Hill Hospital di New York era
sempre pieno di gente, un via vai continuo di medici e pazienti. Il Dr.
Matt uscì dal reparto, visibilmente agitato. Stava cercando
i signori Wilson, doveva parlargli.
Il
signore e la signora Wilson erano nella sala d'attesa, seduti vicini,
stringendosi le mani a vicenda. Erano tesi, molto tesi. La signora era
sul punto di piangere. Quando videro il Dr. Matt, corsero verso di lui
con la speranza negli occhi.
«Allora
dottore, ci dica... ci sono novità?»
Il
Dr. Matt riprese fiato per la corsa fatta per arrivare fin
lì. Guardò la coppia e, sorridendo, disse:
«Vostro figlio è uscito dal coma!»
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