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Avril
Lavigne was here!
Avril
si sedette sulla sedia
imbottita dello studio del suo manager, una sigaretta fra le labbra,
stravaccandosi. Aspettava, appunto, il suo manager, un ometto
dinoccolato e
ossequioso, che si rivolgeva a lei chiamandola Miss Lavigne nonostante
lei non
sopportasse quell’appellativo. Si passò una mano
sul piccolo tatuaggio sul
braccio, pensosa, aspirando una boccata di fumo, e posò i
piedi sulla
scrivania, mentre i tacchi alti producevano uno schiocco secco.
“Miss Lavigne,
buongiorno!” fece il suo manager, apparendo dietro di lei.
“Buongiorno a lei.”
Rispose Avril, disinteressata, mentre l’ometto si sedeva di
fronte a lei,
sfregandosi le mani. “Come vanno le cose con suo
marito?” chiese. Avril sbuffò
e i suoi occhi chiari si posarono sul manager. “Non
è veramente mio marito, lo
sa.”
“Sì,
sì, mi scuso per averglielo
chiesto.” Fece ossequioso lui. Avril alzò gli
occhi al cielo. “Perché mi ha
convocata?”
“Sa,
Miss Lavigne, la nostra
azienda sta perdendo finanziamenti. Abbiamo bisogno di soldi. Lei
è una delle
nostre migliori cantanti, abbiamo bisogno di lei per aiutarci. Abbiamo
deciso
di organizzare un tour in comune con una band, per dividere le spese.
Sarebbe
una bella fortuna che confluirebbe nelle nostre casse. La band
è molto famosa,
l’avrà già sentita nominare.”
Avril sgranò gli occhi. “No, ti prego, no, non
gli…”
“Gli
One Direction, sì.”
“Non
faccio un tour con loro!”
“Perché
no, Miss Lavigne? Sono
dei ragazzi interessanti…”
“Sono
dei bambini!”
“Le
ricordo, con tutto il
rispetto possibile, che hanno la sua stessa
età…”
“Non
c’entra l’età anagrafica.
C’entra quella mentale.”
“Lo
so, Miss Lavigne, ma abbiamo
bisogno di soldi, davvero…”
“La
prego, mi faccia fare un tour
con qualcun altro!”
“Ormai
abbiamo già organizzato
tutto, Miss Lavigne. Deve pensare al bene della nostra
azienda.” Fece lui
flemmatico. Avril sbuffò. “E va bene. Ma non
voglio avere troppi contatti con
loro, chiaro?!”
“Certo,
Miss Lavigne, tutto
quello che vuole.”
Era
iniziato così quel tour,
attraverso l’intero mondo: dall’America,
all’Europa, in Cina e Giappone,
Australia e poi di nuovo America.
Era
il primo giorno: si trovavano
su un caravan lussuoso, enorme, diviso in due. Ancora non avevano avuto
contatti: il manager dei “ragazzi” aveva detto loro
che erano stanchi per il
jet lag, e che stavano dormendo. Avril si sedette al suo tavolo della
toeletta,
pieno di trucchi, profumi, gioielli. Era una star, aveva bisogno di
mille cose.
Passò una mano fra gli orecchini, la sua cravatta, i
bracciali con le borchie…
e si tagliò. Trasalì, portandosi il dito alla
bocca e leccandosi il sangue,
mentre con l’altra mano prendeva l’oggetto in
questione. “Ecco dov’eri.”
Sussurrò, soppesando la lametta nella mano e mettendosela
nella tasca interna
della giacca di pelle.
Quella
lametta non le serviva a
farsi del male per punirsi.
Le
serviva per ricordare.
Per
ricordare che lei non era
solo dura, tosta, sicura di sé, la ragazza che si vestiva di
borchie e si
truccava molto pesantemente e che cantava canzoni come Bad
girl.
Era
anche la ragazza dolce e malinconica,
romantica e triste, che cantava Won’t
let
you go.
Ricordò
come si era comportata
col manager e posò la lametta sul palmo della mano,
stringendo il pugno. Il
sangue colò dalla sua mano.
Il
pomeriggio, sentì bussare alla
porta. Si era sdraiata sul letto, il suo cd nelle cuffie, un testo
nuovo in
mano. Ripensò a Evan, che spesso l’aveva aiutata a
scrivere. Si picchiettava la
penna sulle labbra rosso fuoco, pensosa.
“Avanti.”
Disse solo. Un ragazzo
aprì la porta: aveva i capelli castani spettinati, con
straordinari occhi
azzurri, un sorriso entusiasta stampato sulle labbra. Indossava una
maglietta a
righe bianche e blu, con bretelle. “Tomlinson,
giusto?” chiese Avril,
distaccata. Lui le porse la mano. “Chiamami Louis.
È un piacere conoscerti, Avril…
posso chiamarti Avril, vero?” chiese speranzoso. Lei
annuì, costringendosi a
sorridere. “Mi dispiace che non ci siano anche gli altri a
salutarti, ma sono
ancora addormentati. Abbiamo fatto le ore piccole, ieri.”
Disse, sempre con
quel suo sorriso. Non era niente male, anzi.
“Tranquillo.” Fece lei, non
riuscendo a condividere l’entusiasmo di Louis.
“Cosa stai facendo?” chiese lui.
Avril indicò il letto, pieno di fogli scarabocchiati.
“Sto tentando un nuovo
testo. Dopo il tour voglio subito mettermi al lavoro per il sesto
cd.”
“Wow,
davvero fantastico. Mi
piacerebbe aiutarti, potrei?” chiese con uno sguardo strano,
che smosse
qualcosa in Avril. Ok, è
impossibile
rimanere freddi davanti ad uno sguardo così speranzoso e
innocente. Ammise.
“Accomodati.” Concesse. Lui, raggiante, prese un
foglio e una sedia,
avvicinandola al letto. “Cos’hai fatto alla
mano?” chiese poi, perplesso. Lei
si guardò il palmo, dove il taglio si era tradotto in una
crosta. Esitò: dirgli
la verità, o no?
“È
il mio modo per ricordarmi chi
sono veramente.” Disse poi. a quelle parole, Louis
sembrò rabbuiarsi. “Tutto
ok?” chiese Avril, perplessa. Lui si riscosse.
“Tutto ok.” Disse alzando i
pollici, prima di mettersi a leggere il testo. “Aspetta,
ma… non l’hai già
cantata, questa?” chiese confuso. Avril si sporse e prese il
foglio. Ridacchiò.
“Per forza. È Who knows,
fa parte del
mio secondo album. Cercavo qualcosa per prendere spunto, inizio a non
avere più
idee.” Spiegò. Louis si mise a ridere.
“Scusa, si vede che ho sonno. Il
cervello – o quel poco che c’è
– è ancora chiuso per ferie.” Si
giustificò.
Avril rise a bassa voce. “Potresti rifarlo?” chiese
Louis. “Cosa?”
“Ridere.
Mi piace quando ridi, e
da quando sono entrato qui sei sempre stata seria, come se a malapena
mi
sopportassi.” Spiegò lui. Avril inarcò
un sopracciglio. “Scusami, tendo a
parlare troppo. È solo che mi dispiacerebbe se ci trovassi
fastidiosi, insomma,
dobbiamo fare un intero tour insieme.” Spiegò lui.
Avril rimase interdetta.
“Non so cosa pensare di voi. Non vi ho mai conosciuti. Voglio
essere sincera,
visti così, sul palco, mi innervosite. Poi magari siete
persone eccezionali e
io vi sto giudicando dall’apparenza.” Disse. Louis
si mordicchiò il labbro. “Io
ti sto facendo cambiare idea?” chiese speranzoso. Avril
alzò gli occhi al
cielo, divertita. “Per ora sì, tu
sì.” Ammise. Louis si lasciò andare ad
un’esclamazione di trionfo, facendo ridere Avril.
“È difficile abbatterti,
vero?” chiese poi. Lui fece spallucce. “Sono uno di
quei tipi gasati. Ci vuole
molto a demolirmi l’entusiasmo.” Fece. Avril
annuì, mentre Louis nuovamente
abbassava lo sguardo sul foglio, stavolta quello giusto.
“Cosa
fa rima con pretend?”
chiese Avril. Louis fece una
smorfia pensosa, grattandosi la testa con la penna, mentre Avril
picchiettava
la sua sulle proprie labbra. “End?”
chiese poco dopo. Avril, senza accorgersene, cominciò a
canticchiare.
Let’s
talk this over
Is
not like we’re
dead?
Was
it something I
did?
Was
it something you
said?
Louis sorrise.
“Questa la so. My happy ending.”
Fece. Avril annuì. “Ti
sei fatto una cultura sui miei CD, per caso?” chiese
scherzando. “In
realtà, sì.” La stupì lui
invece. Avril inarcò le sopracciglia,
sorpresa. “Non me l’aspettavo.” Disse,
mentre anche l’ultima traccia di freddezza spariva dalla sua
voce. Era inutile
negarlo, quel ragazzo le stava simpatico. “Dai, mettimi alla
prova.” La sfidò
Louis sorridente. Avril accettò. “Parto dal
ritornello.” Avvertì.
“I
wish you were her”
You
left out the “E”
You
left without me
And
now you’re
somewhere
Out
there with a
Bitch
slut psycho babe
I
hate you
Why
are guys so lame?
Everything
I gave you
I want
Everything
back but
you.
“Everything
back but you.” Rispose Louis prontamente.
I’m
sorry
If
this hurts you
But
I tried to keep
what
We
had once
I
was wrong
It
wasn’t keeping me
awake
You
didn’t listen
You
didn’t hear me
When
I say I want more
I
got no more
You
were stealing me
away
“Not
enough.”
“Ok,
l’ultima.”
You
said hey
What’s
your name?
It
took one look and
Now
I’m not the same.
Yeah,
you said hey
And
since that day
You
stole my heart
And
you’re the one to
blame
And
that’s why I smile
It’s
been a while
Since
everyday and
everything
Has
felt this right
And
now
You
turn it all around
And
suddenly you’re
all I need
The
reason why I
smile.
Louis
sorrise radioso. “Come
potrei non sapere questa? È la mia preferita. Smile.”
Disse con gli occhi lucidi. “Tutto ok?” chiese lei.
“Sì,
sì, tranquilla. È che mi vengono in mente molti
ricordi che avrei preferito seppellire
nel passato.”
“Perché?”
“Perché
non sono compatibili con
quello che devo essere adesso.” Si lasciò sfuggire
Louis, prima di sgranare gli
occhi, rendendosi conto di quello che aveva detto. Avril lo
squadrò dubbiosa. “Cosa
significa, quello che devi essere?”
“Niente,
niente.”
“Fammi
indovinare. Il vostro manager
ti costringe ad essere un’altra persona.” Fece lei,
incrociando le braccia.
Louis alzò lo sguardo. “Davvero si nota
tanto?”
“No,
semplicemente l’ho intuito. Non
sei il primo e non sarai l’ultimo a doversi adattare alla
vita dello
spettacolo.”
“Anche
tu sei stata costretta a
cambiare?”
“Devono
solo provarci, a farmi
cambiare. I’ve been a bad girl,
don’t you know? Nessuno
può permettersi di dirmi cosa fare. E poi, quel mio manager
non saprebbe
mettere I piedi in testa a nessuno.” Fece lei, fiera.
“Sei fortunata. E anche
io. Fra tutti, sono quello che deve fingere di meno. Dovresti vedere
Liam o
Harry. Voglio darti un consiglio: raduna mentalmente tutto quello che
credi di
sapere di noi e cancellalo dalla tua testa.”
Sussurrò Louis, giocherellando con
un suo anello. I testi erano dimenticati sul letto. Avril sorrise.
“Tranquillo.
Ho già cestinato tutto.” disse con una linguaccia.
Louis ridacchiò. “Cosa mi
consigli di fare?” chiese. Avril si guardò il
palmo. “Non penso di essere la
persona adatta a cui chiederlo.” Fece, mostrandoglielo.
“Giusto. Meglio andare
dal primo strizzacervelli che a mio parere ha bisogno di uno
strizzacervelli
ancora più bravo, ti pare? Senti, sono anni che fingiamo,
anni che provo a
stare meglio. Nessun analista mi ha saputo aiutare come stai facendo tu
in
questo momento, e sai perché? Perché tu non mi
stai andando contro, ma non mi
stai nemmeno commiserando. Mi stai ascoltando.
E ti ringrazio.” Fece con un sorriso mesto Louis. Avril
ricambiò. “Secondo me
dovreste fare un bello scherzetto al vostro manager. Sul palco,
rivelarvi per
come siete veramente. Vi togliereste un peso dal cuore e fareste venire
un
attacco di cuore a quel tipo. E poi, se vogliamo metterla dal punto di
vista
del gossip, fareste scintille.”
“Tu
per cosa lo faresti?”
“Per
far venire un attacco di
cuore al manager, mi sembrava ovvio. Per il gossip sono già
sposata con Chad,
il classico matrimonio finto. Siamo praticamente degli estranei, mi ha
solo
aiutato a scrivere l’ultimo album e ha cantato con me Let me go. Poi ci sarà un
altro divorzio, e di nuovo una relazione.
È così, questo mondo.”
“Non
avevi detto di non voler
cambiare per il pubblico?”
“Appunto.
Al prossimo matrimonio,
diretta, dirò no. Mi sono stancata.”
“Avril
vince, ragazzi.”
“Modestamente.
Ah, le arriverà la
mia parcella, signor Tomlinson.” Fece, lasciando Louis di
stucco. Si mise a
ridere, nel vederlo balbettare. “Basta, ci sono rimasto
troppo male.” Disse lui
sporgendo il labbro all’infuori esagerando
un’espressione amareggiata. “Ti
piacciono i tatuaggi?” chiese all’improvviso Avril.
“Non ti rispondo, non vedi
che sono offeso?!” ribatté lui, tentando con poco
successo di non mettersi a
ridere. Avril si alzò e prese un pennarello nero dalla
scrivania, per poi
prendergli il braccio. “Non guardare.” Disse,
togliendo il tappo con i denti e
iniziando a disegnare. Ci mise qualche minuto, poi richiuse il
pennarello,
annunciando un soddisfatto: “Finito!”
Louis
si guardò il braccio: Avril
aveva disegnato un teschio con gli occhi a “x”, un
fiocco in testa e le tibie
incrociate. Sotto, a caratteri sinuosi, era scritto Avril
Lavigne was here con uno smile che faceva la linguaccia e
l’occhiolino.
“Avril Ramona Lavigne, ti sembra il caso di conciarmi
così il braccio?” chiese
Louis oltraggiato. “Perché, non ti
piace?” chiese lei con una smorfia. “Al
contrario, mi piace tantissimo.” Fece lui sorridendo.
“Oh, al diavolo, mi hai
fatto spaventare!” fece lei dandogli un leggero pugno sul
braccio. Entrambi si
misero a ridere. “Devo andare a svegliare i ragazzi. Ci
vediamo fra un po’,
Amy.” Fece lui alzandosi. “Amy?!” chiese
lei, basita. “Da dove viene fuori Amy?”
“Beh,
trovami un diminutivo per
Avril. Quindi Ramona, Ramy, Amy. È simpatico.”
Spiegò lui. Avril fece un verso
che significava “Sì, non è
male.” “Ora vado, a dopo.” Disse lui.
Avril si alzò
in piedi e Louis sgranò gli occhi. “Oddio, quanto
sei… piccola.” Fece con un
sorriso enorme. “È una presa in giro?”
chiese lei, incrociando le braccia. “No,
anzi. Le ragazze piccole ispirano tenerezza.” Fece subito
lui. Avril lo guardò
circospetta, come a capire se voleva solo tirarsi fuori da quella
situazione
oppure era sincero. “Ok, adesso la passi liscia.”
Decise poi. Louis scosse la
testa esasperato. “Posso andare, ora?” chiese. Lei
annuì. Quando Louis fu fuori
dalla porta, Avril fece: “Ah, ricordati una cosa. Non sono io
che sono piccola,
siete voi che vi facevate annaffiare i piedi da bambini.”
Prima di chiudere la
porta. Louis non sapeva se piangere o ridere. Si guardò la
scritta sul braccio.
“Ma quanto è pazza?” si chiese poi con
un sorriso, prima di andare a svegliare
i suoi compagni di band.
*Angolo autrice*
Ed
eccomi tornata dopo tanto che
non scrivevo nuove storie. Mi sono fossilizzata su “Help me.
Save me. Love me.”,
lo so, per questo ho provato qualcosa di nuovo. E poi sono
“troppo presa bene”,
citando un mio amico, con Avril e gli 1D. Vorrei avvertire che questa
storia,
appartenendo a entrambi i fandom, si troverà in tutti e due,
e che aggiornerò contemporaneamente
e con le stesse identiche parole.
Dedicata a Miss One Direction!!!
Ciao a tutti!!!
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