Mi
chiamano Medusa.
Quelle
mezze seghe di specializzandi mi chiamano Medusa.
Mia
madre ne sarebbe stata contenta, entusiasta direi. Non per
l'appellativo intimidatorio e bruciante, magari forse un pochino si,
ma perché io ne sono felice.
Davvero.
Mark
Sloane è morto. Mia sorella è morta. La mia super
madre è morta.
Mi
capitano disgrazie a non finire, senza contare il mio utero ostile,
una maledizione per tutte le volte che in passato, nauseata, asserivo
più che convinta che non volevo figli.
Eppure
sono felice.
C'è
voluta la mia super madre in pieno trapasso per insegnarmelo, e un
intero ciclo di sedute con Katharine Wyatt per capirlo, per
comprenderlo, per accettarlo.
Sii
straordinaria.
Sii
straordinaria nella vita, nel tuo essere una persona.
Che
non vuol dire fare cose straordinarie come opere sante, essere buona
con il prossimo, regalare tutti i soldi ai poveri o diventare l'amica
migliore dell'anno.
Essere
persone straordinarie significa entrare dentro la casa costruita
dalle mani portentose di Derek e vederci il labirinto di candele che
gli ho costruito, che gli offerto, che gli ho promesso.
Essere
persone straordinarie significa dare un pezzo di fegato ad un uomo
alcolizzato che con te ha in comune solo il ricordo dei cereali
versati a colazione e un'incredibile goffaggine, oltre al russare.
Significa
ridere al funerale di George, quando il mio cuore sembrava dilatarsi
fino a comprimere la cassa toracica, oppure non pensare al sangue che
cola dalle gambe insieme alla promessa di una nuova vita mentre la
tua migliore amica ha le braccia fino ai gomiti dentro tuo marito.
Sii
straordinaria.
Si
mamma, voglio essere straordinaria.
Ogni
giorno, ogni sfida, ogni ostacolo che mi si presenta, compresa quella
settimana tra i boschi che non potrò mai dimenticare e che
mi ha
cambiato, che ci ha cambiato
tutti, per sempre, le affronto come fossero benedizioni.
No,
non sono completamente impazzita. Conosco il dolore, ci convivo tutti
i giorni nel mio lavoro, nella mia vita, nella mia personale e pazza
storia famigliare.
Il
dolore è talmente intorno a me, mi fa talmente paura che mi
pare
quasi una specie di miracolo1,
qualcosa di bellissimo.
Noi
medici lo sappiamo. Il dolore è un segnale, la risposta del
nostro
corpo che ci avverte che qualcosa non va, di conseguenza consultiamo
uno specialista e magari possiamo guarire.
Ma
quando il dolore non c'è, quando il corpo, e a volte la
mente,
diventano insensibili, è allora che è quasi
finita, è allora che
neanche noi possiamo più fare niente.
Il
dolore è straordinario.
Persino
quello che ho provato vedendo Lexie morta, perché da esso ho
tratto
la forza per capire che io non ci volevo morire in quel posto, con
gli animali che si sarebbero spartiti la mia carne e gli scarafaggi
che mi sarebbero entrati in ogni squarcio.
Grazie
mamma. Mi hai insegnato, con una semplice frase che nasconde un mondo
di significati, che non devo scappare.
Che
posso mettere le mani dentro una bomba, o ballare senza musica,
piangere per un assassino pluriomicida, sposare con un post-it il
primo uomo che ho incontrato appena tornata in città. Follie e cose inverosimili che risplendono come il sentire, dopo una lunga malattia, che il dolore è sparito, e che riesci di nuovo a respirare.
A
chi mi chiede come faccio a essere felice nonostante siano tutti
morti, e nonostante mi chiamino Medusa, io rispondo che la vita a
volte è come camminare sull'acqua, o come nuotare sulla
terraferma.2
Situazioni e momenti
talmente assurdi, irreali, tragici, che ci sembra quasi impossibile affrontarli e superarli.
Ma
è la loro assurdità, la loro stessa perfetta
consapevolezza e
compiuto incastro nelle nostre esistenze che li rende, contro ogni
logica, contro ogni previsione, speciali.
Straordinari.
1)riferimento
all'episodio
della terza stagione Some kind of miracle.
2)Riferimento
agli episodi
della terza stagione Walk on water e Drowning
on dry land.
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