Layer02: God
<< -Sono passate sette ore
e… bhè, fra le notizie più importanti
c’è che Los ha ricevuto il suo dolce, il che dà
un’idea precisa riguardo la mediocrità della situazione.-
>>
<< -Qualcosa come tre ore fa la
sgualdrina ha trovato un cliente. Ammetto tristemente che è
stata la cosa più interessante che è accaduta.- >>
<< -Preferirei non parlare di quel momento.- >>
<< -Uno spettacolo repellente da cui non si poteva staccare gli occhi.- >>
Shadi scostò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, sorridendo in un modo esageratamente malizioso.
“Avrei dovuto capirlo, prima, che siete due voyeour. State per ripetere tutto ciò che avete visto?”
Ridacchiò, immaginando l’espressione dei due speaker a
tale proposta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterli effettivamente
vedere (anche perché voleva davvero capire se Goth era un
maschio o una femmina), ma, per quanto ne sapeva, potevano persino non
essere nel videogioco.
Scrollò impercettibilmente le spalle, come a tentare di
eliminare l’espressione di disappunto che per qualche secondo si
era disegnata sul suo volto, quindi uscì dalla stanza, senza
degnare l’NPG che dormiva nel letto di una seconda occhiata.
<< -Non c'è ancora abbastanza alcol nelle mie vene.- >>
<< -Adesso che lo so farò in modo che nessun cameriere possa più portarti da bere.- >>
<< -Al contrario di te, Los, io
so camminare per due metri e fare un cocktail senza il bisogno di un
cameriere o di un barista.- >>
<< -…Mi vedo costretto a finire tutto l’alcool prima di te.- >>
<< -Mi vedo costretto a picchiarti.- >>
Dodger, vista la distruzione più o meno totale di tutte le
slot-machine presenti nel casinò e l’accidentale rottura
dell’unica altra macchina che andava a gettoni (sapeva che quello
strano rumore ogni volta che tirava la manopola non era un buon segno,
ma come poteva solo pensare di fermarsi?), era costretto ad aspettare
la venuta dei croupier per poter giocare con le carte o alla roulette.
Durante il periodo di inattività imposto l’unica cosa che
si era trovato a fare era ascoltare i due speaker: fu infatti per
quello che alla parola “alcool” sembrò tornare in
vita, allegro e gioioso come non mai.
“Se dovete smaltire dell’alcool potete chiedere il mio aiuto! Avete della Tequila?”
<< -No, ma farò in modo che tu la riceva, mio signore!- >>
<< -Non è giusto, con me
hai continuato a lamentarti perché non potevo sentire il gusto,
mentre con lui va tutto bene!- >>
<< -In base alla marca
l’alcool modifica la percezione dei videogiocatori. Se tu
leggessi le regole prima di fare una qualsiasi cosa, magari- >>
<< -Perché voi anziani
dovete sempre venir fuori con questi discorsi? Nessuno legge le regole.
Nessuno! C’è un motivo se spesso sono scritte
nell’antica lingua di Mordor!- >>
“Ehi, ehi, ehi… calmatevi.”
Il sorriso sulle labbra di Dodger tradiva il divertimento che tale
discussione gli dava. Gli sembrava di risentire i due figli quando
litigavano fra di loro- o lui e sua moglie quando discutevano su quanto
ancora fosse buono un certo cibo.
L’espressione sul suo volto divenne leggermente amara al pensiero
che quelle, a dire il vero, erano le uniche discussioni con la moglie
in cui non ne usciva con un qualche livido.
“Andiamo, come fate a litigare
quando avete dell’alcool con voi? Trangugiate fino a perdere i
sensi, Santo Cielo!”
<< -Mi piace come tu ci stia spingendo alla distruzione di fegato e cervello.- >>
<< -Vorrei avere lo stereo qui con me.- >>
<< -Perché non si riesce mai a tenersi su un discorso, con te?- >>
<< -Ho detto che voglio lo stereo!- >>
<< -Fai un’altra volta un
simile scatto da bambino viziato e giuro che ti riempio di schiaffoni.
Ad ogni modo, proviamo a chiedere ai due giovani salvatori del popolo
animale. Dove sono i batuffolini caramellati col ripieno di
pistacchio?- >>
Nicolas stava osservando con fronte distesa e sguardo vacuo il panorama
che si godeva dalla cima della collina, inerme alla vista degli edifici
che di tanto in tanto crollavano in diversi punti della città
grazie alla forza dell’elefante che, incomprensibilmente, nessuno
era ancora riuscito a calmare.
Accanto a lui sedeva il fratello, Oliver, che scriveva qualcosa su un
fogliettino di carta: fronte corrugata e labbra serrate, era ovvio che
fosse estremamente irritato per qualcosa.
Avevano visto, poche ore prima, una scritta che annunciava la morte di
una certa Celia per colpa di una mandria di animali impazziti- mandria
di animali che loro si erano lasciati sfuggire. In preda ai più
profondi sensi di colpa, Nicolas aveva deciso che il modo migliore per
rilassarsi e far sentire meglio suo fratello era prendere un gelato e
fare un’allegra scampagnata.
Effettivamente la corsa per seminare il gelataio, inferocito
perché i due non si erano neanche sognati di pagare, li aveva
distratti dall’opprimente senso di colpa che era poi sparito
completamente appena Oliver aveva cominciato a lamentarsi perché
il fratello aveva ritenuto opportuno fargli tenere in braccio la
bambina.
I due gemelli avevano deciso di portarsi dietro la bambina: Nicolas,
che per i primi minuti aveva continuato a lagnarsi uggiolando che
sarebbe stata solo un peso, aveva poi cominciato a procurarsi qua e
là alcune caramelle da regalarle mentre Oliver, molto più
serenamente, aveva cominciato a fare una lista mentale di possibili
modi in cui poterla usare. La possibilità di utilizzarla come
scudo umano, comunque, si presentava con un’allarmante
ripetitività in data lista.
<< -Guardali, sembrano una
famigliola felice… disse la persona con una famiglia caotica ad
un adolescente che disprezza per motivi incomprensibili il padre e la
cui madre è in giro per il mondo la maggior parte
dell’anno.- >>
<< -Cosa stanno guardando? Cosa diavolo può essere più importante della musica?!- >>
<< -Irritarti, Los. Irritarti è la cosa più importante di tutte.- >>
Nicolas dovette aspettare altri cinque secondi per capire che, si, effettivamente avevano parlato di loro pochi minuti prima.
Scosse la testa, tentando di togliersi l’espressione da idiota
sulla faccia, quindi sbatté le palpebre un paio di volte,
assumendo il suo tipico sguardo innocente.
“Stavate parlando con noi?”
Fu solo in quel momento che Oliver sembrò aver sentito
ciò che gli speaker avevano detto minuti prima: infatti
lasciò perdere per qualche secondo il pezzo di carta su cui
stava scrivendo e, con gli occhi socchiusi in un’espressione
estremamente dubbiosa, finalmente si decise a parlare con la voce
più disgustata che gli veniva.
“Batuffolini caramellati con ripieno di pistacchio?”
<< -Uno dei due riceve in ritardo. Che tenero.- >>
<< -Ora che abbiamo la vostra
attenzione, cornflakes alla cioccolata e panna, potreste rivelarci se
avete rubacchiato dei CD?- >>
Oliver distese la fronte, condiscendente. Sembrava aver ritrovato una
qualche forma di serenità, se non proprio il buonumore.
“No.” Disse poi con tono asciutto prima di tornare a scrivere sul pezzo di carta.
“E comunque,” continuò
il fratello, tentando di sopprimere l’ondata di irritazione che
la risposta di Oliver gli aveva procurato senza un particolare motivo, “non avremmo potuto ascoltarlo. Intendo dire, non abbiamo uno stereo. Forse lo ha la bambina, ma dubito. Bambina?”
Nicolas si voltò verso la sua destra, dando una rapida occhiata
al luogo, quindi si girò verso sinistra, cercando pazientemente
la piccolina.
Tornò lentamente a guardare in avanti, il volto ridotto ad una
fredda maschera che non lasciava presupporre la valanga di pensieri che
in quel momento stava affollando la sua mente: con calma innaturale,
quindi, chiuse gli occhi, emise un leggero sospiro e tentò di
ragionare.
“Ommioddio Ollie, abbiamo perso la bambina!!”
L’unica reazione che Oliver riuscì a compiere mentre
Nicolas scattava in piedi strillando con una ridicola voce stridula e i
due speaker scoppiavano poco elegantemente a ridere, fu quella di
fissare il fratello con sguardo vuoto e bocca socchiusa.
“Eh?”
Persino le sue abilità dialettiche avevano risentito della sorpresa.
Nicolas agitò le mani a mezz’aria, troppo fuori di se per
fare qualcosa di ragionevolmente utile- o per fare a finta di pensare
ad un piano. Oliver continuava a guardarlo con uno sguardo decisamente
vacuo, come se le informazioni gli stessero arrivando a rilento, quindi
Nicolas decise di fare l’unica cosa che gli sembrava logica.
“Eri tu quello che doveva stare attento alla bambina! È tutta colpa tua!”
Oliver sbatte le palpebre, assumendo in poco meno di un secondo
un’espressione completamente sdegnosa- espressione che
contribuì a far ridere ancora di più i due speaker, che
ormai sembravano non riuscire più a riprendersi.
“Colpa mia? Come può
essere colpa mia?! Tu sei quello che ha voluto portarsi dietro la
bambina, tu avresti dovuto tenerla d’occhio!”
Nicolas assottigliò gli occhi fino a farne due fessure, serrando
così forte le mandibole che i denti cominciarono persino a
stridere. Incrociò le braccia sul petto, tamburellando
nervosamente le dita sugli avambracci alla disperata ricerca di
qualcosa con cui ribattere.
“La tua testa è stupida!”
Nessuno dei due fece caso alla nuova crisi d’ilarità dei
due speaker, che cominciavano persino ad affannarsi alla ricerca
d’aria: se da una parte, infatti, Oliver era profondamente
colpito dall’idiozia del gemello, dall’altra non poteva
fare a meno di pensare che, santo Cielo, semplicemente non poteva
lasciarlo vincere in quel modo.
“Bhè, i tuoi occhi sono grandi e…”
Per pochi secondi Oliver si guardò attorno, alla ricerca di un
aggettivo utile per descrivere gli occhi del gemello- e fu in quel
momento che si accorse che la bambina era a pochi metri di distanza,
accucciata a terra, impegnata a fare qualcosa. “…Bambina.”
Nicolas inarcò un sopracciglio, tentando di capire cosa volesse
dire ‘bambina’ riferito ai suoi occhi, notando solo in
secondo momento il lento movimento del fratello atto a indicare uno
spiazzo erboso posto a poca distanza da loro dove, lo notò solo
in quel momento, la piccolina stava… facendo qualcosa.
“Ehi! Cosa stai facendo?” chiese Nicolas, perplesso.
La bambina girò leggermente la testa verso di loro, abbastanza
per poterli vedere con la coda nell’occhio: per qualche secondo
sembrò prendere in considerazione l’idea di ignorare la
domanda e tornare ai suoi affari, ma alla fine decise di girarsi,
alzando con la mano sinistra l’orsetto che teneva con così
tanta cura.
I due gemelli strizzarono leggermente un occhio, in quello che era una
specie di tic nervoso che avevano per qualsiasi cosa che reputassero
estremamente disturbante: l’orsetto, in effetti, aveva lunghi
artigli e piccole zanne sporche di quello che doveva apparire come
sangue, e continuava a fissarli con due terrificanti occhi gialli.
“Quel…” Nicolas e Oliver lo sussurrarono all’unisono, strizzando nuovamente l’occhio, “Quell’orribile orsetto.”
<< -Oddio… Oddio…- >>
<< -Wew… pensavo di morire.- >>
Corey, per la prima volta dopo sette lunghissime ore, decise di
prendersi una piccola sosta: alzò gli occhi dal progetto a cui
stava lavorando con tanta lena e sorrise, divertito.
“Tecnicamente parlando, voi
avreste dovuto essere morti per il ridere. Sapete, probabilità
altamente ridicole eccetera.”
Mentre diceva questo cominciò a pensare che, effettivamente, era
strano- cioè, era strano in quella normale stranezza.
Assottigliò le palpebre, come se stesse tentando di mettere a
fuoco qualcosa. Quello, effettivamente, era un buon punto: se i due
speaker avevano una qualche immunità, allora avrebbe dovuto
seriamente considerare la loro posizione e studiarli un po’
meglio.
<< -Buon punto. Effettivamente dovrebbe esserci una qualche spiegazione logica a tale piccola mancanza…- >>
<< -Ma non m’interessa.
Piuttosto, cosa sei tu? Uno di quei tristissimi bambini che trova la
felicità solo risolvendo un intricato puzzle?- >>
Il bambino aprì la bocca, pronto a protestare, ma dovette bloccarsi quando si rese conto di non sapere cosa dire.
Alla fine optò per scuotere la testa sbuffando. Los (sempre se
la voce apparteneva a lui, comunque) non aveva centrato appieno il
punto: Corey non era un genio, non era tecnicamente triste ed aveva
degli amici da preferire a qualche deprimente puzzle.
Tuttavia Corey era insoddisfatto della propria vita. La realtà
era noiosa, scontata, poco interessante e priva di qualsiasi
opportunità: in fondo che possibilità aveva, come
undicenne, di fare qualcosa di importante che non fosse un semplice
dieci in pagella? Assolutamente nulla.
Nei videogiochi, in compenso, le cose erano estremamente diverse.
“No. Tecnicamente parlando,
comunque, preferisco di gran lunga i videogiochi a… uh…
le… altre… cose.”
<< -Oh, un ragazzino
intelligente. Si vede che non sei ancora un adolescente… anche
se, ad occhio e croce, temo che ti manchi poco. Tratta bene il tuo
cervello, perché sta per arrivare il giorno in cui i tuoi ormoni
prenderanno il sopravvento e lo cacceranno lontano dal tuo corpo.-
>>
<< -Videogiochi! Io amo
Impending Doom II. Cioè, è semplicemente…
non… è… è… cioè, io
non… mio Dio, è… è… Oddio,
è…- >>
<< -Bisogna comunque dire che
alcuni partono avvantaggiati: d’altronde come può scappare
ciò che non c’è mai stato.- >>
Quella cosa, quella Zathura, era decisamente una droga strana. Le cose,
le persone- poteva vedere i complicati codici, i numeri binari che
creavano ogni singolo pixel di tutto ciò che vedeva.
Avrebbe potuto rimanere ore ad osservare anche il più misero
sassolino, a scrutare ogni minimo dettaglio (come facevano ad essercene
così tanti in qualcosa di così piccolo?), affascinato
dall’alone dorato che ogni pixel emetteva: era davvero fenomenale
come credeva, oppure stava solo esagerando?
Si lasciò cadere all’indietro, finendo sdraiato a pancia
in su. Le nuvole sembravano degli enormi ammassi di polverina brillante
che riluceva al sole.
Gli uccellini, le persone- si muovevano quasi a scatti. O era lui che era troppo veloce?
“Sapevate che i videogame sono
stati creati dalla resistenza per friggere i microchip che il governo
ci installa appena nati?” chiese Sid prima di arcuare la schiena verso l’alto, facendo un ponte che sembrava ricalcare la forma di un semicerchio.
Piegò la schiena fino a quando la pelle dell’addome non
cominciò a tirarsi, minacciando seriamente di strapparsi.
<< -Prima di drogarsi faceva danza classica?- >>
<< -So solo che la roba che ha preso non doveva fare per niente bene. E che forse dovrei provarla anch’io.- >>
Sid cadde su un lato, rotolando fino a trovarsi con la pancia a terra:
di nuovo arcuò la schiena all’indietro, piegando le gambe
sulle ginocchia.
“Non capite? I microchip. Il
governo. Fa tutto parte di una cospirazione. Impending Doom rivela
già nel suo titolo la missione dei videogiochi!”
<< -Giuro che gliela pago con i miei soldi la riabilitazione.- >>
<< -Però potrebbe avere
un senso. Cioè, Goth, quando sono andato a fare le vaccinazioni
ed ho visto il felice poster dell’orsetto Happy che andava a
braccetto con il piccolo BeeBee, ho capito che qualcosa non andava.
È ovviamente un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Sì.- >>
<< -Il felice orsetto Happy che va a braccetto con il piccolo BeeBee è un segno dell’Apocalisse.- >>
<< -Esattamente come dicono le Sacre Scritture!- >>
Gwen ridacchiò, ascoltando i due speaker.
I loro discorsi allucinati gli ricordavano suo marito e Ryek, il
migliore amico. Quando parlavano assieme sembrava quasi non esistesse
nient’altro.
Aggrottò la fronte al pensiero che, a dire il vero, suo marito
era sempre sembrato più innamorato di Ryek che di lei- e non
stava esagerando.
Forse, se lei... Forse avrebbe dovuto dare ragione a sua madre…
Gwen si passò una mano sulla fronte, mugugnando qualcosa di
insensato. Se arrivava a pensare che sua madre potesse avere ragione e
non solo per infastidire il marito, allora qualcosa andava davvero
storto.
<< -Qual è la tua
religione? Si basa sul credere ad un Dio o ciò che devi fare
è soltanto dare in dono cervelli a Cthulhu?- >>
<< -A che?- >>
<< -Nghnff… Ok. Ehi tu… donna.- >>
Gwen si riscosse, sbattendo due o più volte le palpebre.
“Io?” chiese infine, perplessa.
<< -Sì, proprio tu dolce
bocciolo di rosa vanigliato alla crema. Intrattienici. Divertici.
Raccontaci i tristi e terribili pensieri che infestano la tua mente in
questo istante!- >>
<< -Raccontalo a ‘un
sussurro nella notte’, programma radiofonico che vi
accompagnerà fino alla mattina: se hai annunci, dediche, vuoi
dichiarare il tuo amore a qualcuno che non vuole neanche vederti o
semplicemente vuoi fare un discorso alla nazione prima di invaderla,
telefonaci. E ora un po’ di musica! However
far away, I will always love you. However long I stay, I will always
love you. Whatever words I say, I will always love you, I will
always love you*…- >>
<< -Non ti sopporto quando
canti. Torniamo a noi, petalo di fiore di pesca ripieno di involtini
primavera, ti và?- >>
<< -Ehi, perché non mi- >>
<< -Dolcetto alla fragola ti ascolto!- >>
Di nuovo, Gwen aggrottò la fronte, perplessa. I discorsi dei due
speaker erano già abbastanza strani senza che cominciassero a
chiamarla con quegli strani nomignoli o a chiederle cosa avesse.
“Stavo chiedendomi, Goth,” cominciò
lei, tentando di trovare un modo qualsiasi per riportarli a discutere
di tutt’altro e a dimenticarla, lasciandola alle sue patetiche
riflessioni. Sfortunatamente non sapeva come continuare la frase.
Rimase a corto di parole per qualche secondo, durante i quali non riuscì a pensare semplicemente a niente. “Sei un maschio o una femmina?”
Nei successivi attimi che precedettero la risposta dello speaker, Gwen
ebbe il modo di insultarsi mentalmente più e più volte-
quella era sicuramente l’influenza idiota di suo marito che
faceva effetto, non c’era dubbio. Appena lo rincontrava lo
distruggeva con le sue mani.
<< -Oh, andiamo, non è possibile! Me lo domanderanno in cento! Io- >>
<< -Cosa vuol dire che non sopporti quando canto?!- >>
<< -Ti risponderei se non ci
fosse una cosa mi urta profondamente. Ehi, gelato al cioccolato, si
può sapere cosa diavolo stai facendo?- >>
Daniel non rispose. Non sapeva nemmeno che stessero parlando con lui, d’altronde.
Era da qualche ora, ormai, che si trovava in quella chiesa. Non che fosse particolarmente religioso, no.
Era solo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in…
quello. La ragazza- Santo Cielo, era morta in un modo semplicemente
orribile ed il suo sangue- il corpo era ancora lì, in quella
piazza.
Era disgustoso, terribile, orrendo.
Eppure qualcuno ci aveva pensato. Qualcuno aveva progettato quel
videogioco per essere così, qualcuno aveva fatto in modo che
capitasse, e quel qualcuno non si sarebbe fermato dopo aver
collezionato solo una morte: avrebbe continuato, li avrebbe uccisi
tutti.
Doveva fermare quel qualcuno… Doveva…
<< -Cosa vuoi che faccia in una chiesa, Goth?- >>
<< -Credi stia pregando?- >>
<< -Certo, sta pregando Dio, che in questo caso siamo noi. Ecco perché mi fischiavano le orecchie.- >>
<< -…lasciamo perdere.- >>
Dio, già. Se in quel videogioco c’era un Dio, allora lui era il responsabile.
I due speaker non lo convincevano. Erano, a quanto pareva, onniscienti.
Potevano parlare con chiunque, vedere chiunque: le leggi, per loro, non
contavano.
Forse, alla fine, il tizio stava dicendo il vero: forse erano davvero Dio.
Se così era, allora i due erano pericolosi. Andavano fermati. Eliminati.
Daniel si alzò dalla panca, uscendo poi dalla chiesetta. Doveva trovarli.
<< -Oh, il mondo ci ignora.- >>
<< -Cattivo mondo, brutto-brutto.- >>
Meredith era ragionevolmente arrabbiata.
Da quattro lunghe ore era rimasta da sola, abbandonata dall’unica
discepola che aveva avuto e che si era poi rivoltata al suo volere
– probabilmente perchè invidiosa della sua suprema
bellezza -, ed aveva deciso di sfogare la propria rabbia che confinava
con depressione ma anche con una leggera punta di allegria (sentiva che
era un bene non doversi prendere carico del destino di qualcun altro
all’infuori di lei, lo aveva scoperto quando, a nove anni, le era
morto il canarino: a nulla erano valsi i suoi sforzi, il Tristo
Mietitore l’aveva preso alla giovane età di venti anni e
da allora lei aveva deciso di chiudere il suo cuore a quei sentimenti)
nello shopping.
Aveva passato quindi un pomeriggio intero a scegliere i suoi diversi
capi d’abbigliamento, meravigliosi pantaloni in pelle a vita
bassa, magliette che mostravano l’ombelico, e santo Cielo come
resistere a quelle mutandine con filo argentato? Senza contare la
cintura dorata con brillantini leopardati, semplicemente irresistibili.
Aveva così indossato un paio di meravigliosi pantaloni a vita
bassa, jeans strappati ma larghi - pieni di tasche in cui poter
nascondere armi e accessori quale la sua diversa fiaschetta di birra o
il suo diverso pacchetto di sigarette con brillantini dorati - da cui
trasparivano le mutandine argentate, tocco di classe e sicuramente
trasgressivo, assieme alla sua maglietta tremendamente corta ed
aderente che sottolineava il suo seno prosperoso.
Eppure nessuno la guardava. Nessuno notava la sua carica trasgressiva, nessuno sembrava volerla notare.
E così, Meredith Joelle Elyectra Llawelyt Tyffany Rosemary Chaos
Control Genesys Sakura Dunson si guardava attorno, con in mano cinque
borse, chiedendosi quando qualcuno si sarebbe offerta di aiutarla:
certo, lei ovviamente avrebbe risposto con un gentile ma sdegnoso e
orgoglioso “posso farcela benissimo da sola”, ma quella
mancanza la irritava.
Fu così che, convinta che i due speaker la stessero prendendo in
giro, lanciò un urlo disumano atto a portare il terrore negli
animi.
Gwen aveva da poco deciso di ricominciare con i suoi lavoretti, felice
all’idea che stava per passare la serata in un meraviglioso hotel
a cinque stelle. Prima volta nella sua vita, sicuramente.
Appena notò il portafoglio ben gonfio di uno degli NPG la sua
mente andò in brodo di giuggiole. Quanti massaggi all’olio
avrebbe potuto fare? E i vestiti, i gioielli- magari pure un
idromassaggio in camera!
La lista di cose da comprare si allungava sempre di più, a mano
a mano che Gwen si avvicinava e, lentamente, cercava di sfilare il
portafoglio dalla tasca dell’uomo. Lo champagne, da quanto tempo
non beveva più dello champagne? Del buon vino, qualcosa da
mangiare, delle lenzuola di seta, una vista panoramica…
A distrarla fu un rumore agghiacciante che sembrava perforare
l’aria: in fretta, senza nemmeno pensare, Gwen alzò le
mani al cielo, tenendo il portafoglio con la destra, convinta che fosse
un qualche genere di antifurto e che la polizia stesse arrivando.
Fu solo dopo dieci secondi che capì che l’NPG si era reso conto che lei aveva il suo portafoglio.
Corey aveva ricominciato a lavorare sulla pistola, inserendo quanti
più codici poteva. L’arma era ormai finita, dopo avrebbe
dovuto cominciare a lavorare sul bracciale e per allora aveva bisogno
di un computer. Quanto costavano i computer, in quel posto? Li
vendevano, soprattutto?
In preda a quelle domande esistenziali, Corey non ebbe il tempo di
pensare logicamente quando uno strillo terrificante raggiunse le sue
orecchie, facendole fischiare: preso alla sprovvista, completamente
terrorizzato, urlò la prima cosa che gli passò per la
mente.
“I Nazgul!!”
Dodger fissava il vuoto, cercando di calcolare quanti metri quadrati
misurasse la stanza, tentando poi di convertirli in litri: quanta
Tequila ci stava, lì dentro? Era una quantità che aveva
già bevuto nella sua vita? Non poteva metterci la mano sul
fuoco, ma scommetteva di si.
In quel silenzio quasi religioso Dodger accolse quel grido potentissimo con puro terrore.
La sua mente ritornò agli anni della sua infanzia, riportandolo
ad un evento traumatico che aveva sperato con tutto il cuore di
dimenticare: nel panico più completo, Dodger ebbe appena il
tempo di strillare “Katyusha!” prima di gettarsi a terra e cingersi la testa con le braccia.
Shadi stava osservando, attraverso un vetro, con sguardo carezzevole i
muscoli di alcuni appassionati di sport dentro una palestra, ricordando
più o meno un bambino che guarda una vetrina di dolciumi. I
ragazzi erano carini, certo, ma non si poteva staccare gli occhi dalle
ragazze: come si poteva guardare altro mentre queste correvano, facendo
rimbalzare quei loro generosi seni ben stretti in ridicole magliettine
estremamente succinte?
Ridacchiò, assorto nei propri pensieri, prima che un suono
orrendo non gli distruggesse il timpano destro. Si portò una
mano all’orecchio, gridando per la sorpresa, e notando solo in
quel momento che la vetrina stava tremando pericolosamente.
Sid stava tentando di tenere una verticale. Rideva sommessamente mentre
il sangue gli arrivava al cervello e le braccia cominciavano a tremare:
non si sentiva male o debole, era semplicemente... estasiato.
Era solo una sua impressione o le cose erano estremamente divertenti,
quando sottosopra? Non lo sapeva. Vedeva il cielo sotto i suoi piedi e
la terra sopra la sua testa, e la cosa gli sembrava così
tremendamente buffa.
Assottigliò gli occhi, cercando di guardare meglio. C’era
qualcosa di strano, in lontananza, sembrava quasi che si stesse
avvicinando… qualcosa. Onda d’urto? Massa di energia?
Un urlo inumano lo investì, facendogli perdere
l’equilibrio. Sid, cadde all’indietro, senza sentire la
botta che sicuramente doveva aver preso alla schiena.
Sorrise, divertito. “Forte!”
Oliver fissava il gemello e la bambina con malcelata irritazione, a braccia conserte.
Il fratello stava sicuramente pensando a qualcosa. Un piano stupido, sicuro, e Oliver avrebbe dovuto faticare.
Strinse i denti fino a farli scricchiolare. Doveva liberarsi di lui e
della bambina, lo sapeva: lei era anche carina, ma non aveva la minima
intenzione di portarsela dietro fino alla fine.
Doveva liberarsi di lui. Il modo migliore era sacrificarlo al momento
giusto, giusto per vendicarsi di tutti quegli anni in cui aveva dovuto
fare il lavoro duro per niente. Doveva solo farlo sembrare un incidente
agli occhi dei suoi genitori-
Un urlo lo fece distrarre, portandolo a guardarsi attorno spaventato, e
Nicolas ne approfittò per dargli un calcio e farlo volare a
qualche metro di distanza, offrendolo ad un qualsiasi nemico poteva
esserci, prima di prendere la bambina e nascondersi in un luogo sicuro.
Appena Oliver comprese ciò che era capitato si voltò
verso il fratello, pronto ad ucciderlo con le sue stesse mani.
Daniel sapeva chi stava gridando in quel modo insopportabile. Lo sapeva perché la vedeva.
Non aveva la minima idea di chi fosse, ma qualcosa gli diceva che non
poteva essere un’altra giocatrice: un essere umano con simili
corde vocali era semplicemente impensabile.
Così, passandole accanto mentre attraversava la piazza, si
curò di spingere quanto più violentemente fosse possibile
la ragazza, che cadde poco decorosamente a terra.
“Tu! Razza di-”
cominciò a strillare la ragazza, inserendo quanti più
insulti poteva. Daniel non si voltò nemmeno, continuando per la
sua strada.
“Morirai! Hai capito?! Sarai il prossimo a morire!”
<< -Oh… mio… Dio… mi fischiano così tanto le orecchie…- >>
<< -Le mie orecchie… stanno vedendo la luce…- >>
<< -Sei un idiota.- >>
<< -La cosa divertente è che sto leggendoti il labiale, non sento più niente.- >>
Shadi si alzò, massaggiandosi le orecchie. Aveva schivato i
frammenti di vetro per puro caso, ma la testa gli stava semplicemente
scoppiando.
Camminò per pochi metri, con passo malfermo, cercando di capire
se fosse tutto a posto: a parte l’orecchio destro che continuava
a pulsare, non c’era altro fuori posto.
Non faceva male, anche se era ovvio che il timpano avrebbe dovuto
essere rotto: stava soltanto pulsando. Forse era perché era in
un videogioco?
<< -Ok, cerchiamo di vedere i feriti…- >>
Daniel non sapeva dove andare. Doveva esserci una prova, un qualcosa che indicasse dove fossero i due speaker, ma dove?
Doveva costringerli a rivelare il loro covo. Ma come? Minacciando di uccidere una ciambella?
Forse Los poteva cedere, ma prima che Daniel potesse ragionare
seriamente su quel piano qualcosa andò a sbattere contro di lui.
<< -Nessun morto? Peccato!- >>
Shadi alzò lo sguardo, aprendo e chiudendo la bocca, troppo confuso per parlare.
Cerco di tornare a ragionare. Era andato a sbattere contro qualcosa-
qualcuno. Avrebbe dovuto scusarsi. Vedere se il qualcuno era
appetibile. Provarci.
Sorrise, cercando in tutti i modi di dare a quel gesto un qualcosa di naturale. “Scusi.”
<< -Oddio, la sgualdrina ha
qualcosa… aspetta, la sgualdrina? Los, sei un bastardo! Mi hai
fatto il lavaggio del cervello!- >>
Daniel scrollò le spalle, facendogli capire che non era nulla,
prima di notare che dall’orecchio destro del ragazzo stava
colando del sangue.
Sbarrò gli occhi, avvertendo uno spiacevole crampo allo stomaco.
<< -Non sembra fargli tanto male, eppure sembra che gli stia uscendo sangue dal cervello…- >>
Sangue… dal cervello?
Sbatté le palpebre, notando solo in quel momento l’alone
più chiaro attorno al ragazzo dall’espressione intontita.
I due speaker stavano parlando di lui. Lo conoscevano.
Le labbra di Daniel si piegarono in un sorriso malvagio, mentre un
piano si delineava nella sua mente: poi sbatté il ragazzo contro
il muro e gli puntò un pezzo di vetro preso dalla vetrina alla
gola.
<< -Oddio, Goth, Storie di Vita!- >>
<< -Favoloso! Vuoi vedere che
è il suo fidanzato che si è reso conto di essere stato
tradito più e più volte?- >>
“Silenzio!”
gridò Daniel, stringendo il pugno con cui teneva la maglietta di
Shadi: il ragazzo squittì, impaurito, e tentò di
divincolarsi senza successo dalla presa dell’altro.
“Se non mi dite dove siete lo uccido,” ringhiò Daniel premendo il pezzo di vetro contro la gola di Shadi, per provare ai due che non stava scherzando.
<< -Uh… ehilà?
“Il gioco consiste nell’essere l’ultimo a
morire”, “devi sopravvivere agli altri”…
dicono niente queste due frasi?- >>
<< -Uccidere gli altri concorrenti è una possibile scelta per vincere. Se vuoi farlo, fai pure.- >>
Daniel imprecò sottovoce, bloccando l’ennesimo tentativo di Shadi di divincolarsi dalla sua stretta.
Erano davvero due pazzi sanguinari, se preferivano lasciar uccidere qualcuno piuttosto che rivelare la loro posizione.
Doveva trovare un altro piano. Cosa poteva convincerli a rivelare la
loro posizione? Cosa poteva dar loro abbastanza fastidio…?
Socchiuse gli occhi, stringendo così tanto il pezzo di vetro che finì per tagliarsi il palmo della mano.
Inspirò, cercando di darsi un minimo di coraggio, poi chiuse
completamente gli occhi e, tentando di convincersi che il ragazzo non
era davvero un ragazzo, si piegò a baciargli il collo.
<< -Stai scherzando, vero?- >>
<< -Non può essere vero.- >>
L’orrore nelle voci dei due speaker riuscì, per alcuni
secondi, a convincerlo che ciò che minacciava di fare non era
davvero così disgustoso come pensava.
Lasciò andare il pezzo di vetro e strinse i polsi del ragazzo, che cercava di divincolarsi con più forza.
<< -Così disgustoso… e… allo stesso tempo… non posso…- >>
<< -Los! Senti… tu. Non puoi essere veramente serio. Oh, andiamo!- >>
Daniel strinse gli occhi, disperato. Non poteva essere necessario
arrivare fino a quel punto, non poteva essere davvero costretto a-
Lasciò un polso del ragazzo, bloccandolo contro il muro con il
proprio corpo, e portò la mano libera ai propri pantaloni.
<< -Mi arrendo! Mi arrendo! Non
siamo tanto distanti, va dritto, l’hotel è ha due incroci
di distanza. Gira a sinistra, vai all’ultimo piano, noi siamo
lì.- >>
<< -...Ormai che ci sei potresti portarci anche un- >>
<< -Los.- >>
<< -Ci si vede.- >>
Daniel non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Si allontanò dal ragazzo, lasciandolo libero: questo
scivolò a terra, cominciando a tremare violentemente. Daniel si
rese conto di non avere la minima idea di cosa fare.
Il ragazzo stava male per colpa sua, gli doveva pur sempre qualcosa- ma
allo stesso tempo doveva eliminare i due speaker, e portarlo con se non
gli sembrava un’idea saggia.
Si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.
“A… ehm…” Il ragazzo continuava a tremare. Ovviamente. “I-io… s-scusa?”
In quel preciso istante Daniel capì di essere un’idiota.
Senza aspettare un secondo di più cominciò a camminare,
cercando di allontanarsi il più possibile dal ragazzo che, ne
era sicuro, stava per scoppiare a piangere.
<< -Hm… continuiamo. Nessuno sembra stare male, a parte la… ehr, il ragazzo.- >>
<< -Favoloso. Le cose non potevano andare meglio. Almeno l’ha uccisa, la ragazzina?- >>
Meredith fissò il proprio riflesso in una vetrina, sorridendosi
con ammiccante modestia. Controllò che i suoi capelli color
dell’oro fuso con grano al tramonto e stelle del mattino fossero
meravigliosi come sempre, prima di controllarsi i vestiti.
Quando si rese conto che i suoi jeans trasgressivi strappati al
ginocchio avevano un ennesimo strappo dovuto alla caduta, Meredith non
ci vide più.
“Maledetto!” strillò con tutta la voce che aveva, “Tu morirai! Morirai!”
<< -Miseria boia…- >>
<< -Tirati su di morale. Vediamo come stanno le persone nel lato psicologico del termine.- >>
<< -Hm… non posso fare a meno di notare una persona…- >>
<< -Ehi! Cos’è successo al mio mito inarrivabile?!- >>
Dodger era ancora sdraiato a terra, la testa protetta dalle braccia, con la mente in un altro tempo e luogo.
<< -Uh… prima ha detto qualcosa tipo… Katia? Kat… katyos… Kat…- >>
<< -Smettila di insultare la mia intelligenza parlando, Los.- >>
Gwen, che stava ancora correndo inseguita da qualcosa come tre NPG, non
poté fare a meno di stringere i pugni nel sentire che suo marito
aveva urlato il nome di una donna.
Piegò la schiena leggermente in avanti, tentando di aumentare la
velocità di corsa, prima di ringhiare qualcosa sottovoce.
<< -Allora, cerchiamo di
ragionare… C’è stato un grande rumore, no? Urla
eccetera. E lui ha gridato Katy… qualcosa.- >>
<< -Già.- >>
<< -Hm. Non ricordi altro?- >>
<< -Doveva essere un nome russo. Lungo.- >>
<< -Uff. Nome russo, lungo,
rumore. Da quello che ne sappiamo, può anche aver preso
l’urlo per una sirena.- >>
<< -…Sirena?- >>
<< -Non quelle con le code di pesce, per l’amor del cielo.- >>
Daniel aveva ormai passato il primo incrocio quando, buttando
l’occhio alla propria destra, notò un interessante negozio
che vendeva qualcosa che poteva essergli utile…
<< -Oh, Katyusha!- >>
<< -Che?- >>
<< -Katyusha! È una
specie di camion che lancia missili, fa un rumore del diavolo e toglie
un sacco di punti vita.- >>
<< -Punti vita. Ti prego, dimmi che non è un’arma presa da un videogioco…- >>
<< -Presa a sua volta dalla seconda guerra mondiale!- >>
<< -Favoloso. Comunque, lui non
mi sembra così tanto vecchio da poter essere stato presente
nella seconda guerra mondiale.- >>
A poco a poco Dodger stava tornando in se.
Dapprima aprì gli occhi, timoroso: vedendo che nulla era
cambiato da prima del rumore si decise ad alzare la testa, per
guardarsi attorno.
Il posto sembrava essere normale. Non era cambiato nulla.
Si mise seduto, pronto in ogni momento ad accucciarsi di nuovo a terra,
e cercò di capire se era ferito in un qualche modo: oltre al
cuore che continuava a battere all’impazzata, null’altro
era strano.
Sbuffò per il sollievo, sentendosi improvvisamente stanco. Per
qualche secondo gli era sembrato che fosse davvero la Katyusha- ma
quello era ridicolo. La Katyusha faceva un rumore inimitabile.
Appoggiò la schiena alla slot-machine, rilassandosi. I suoi
occhiali non erano volati a terra per un qualche miracolo della
gravità: probabilmente avrebbe dovuto esserne grato.
Portò una mano alla fronte, asciugandosi il sudore, rendendosi
conto in quel momento che a cadere, al posto dei suoi occhiali, era
stato il cappello: era a pochi centimetri di distanza, ma non aveva
abbastanza forza per allungarsi e prenderlo.
<< -Aspetta aspetta… si è ripreso.- >>
<< -Oh grazie al cielo.- >>
I due speaker stavano parlando con lui?
A quanto pareva erano preoccupati. O almeno, erano stati preoccupati per lui- incoraggiante.
Si sporse in avanti, nuovamente preso dal panico.
“Gwen! Gwen, mia moglie, sta bene?”
<< -Gwen…?- >>
<< -Uh… a rigor di logica… dovrebbe essere…?- >>
<< -Aspetta aspetta… forse lei?- >>
<< -Oh… si, sta bene. Sta fuggendo da tre tizi, penso abbia rubato il loro portafoglio.- >>
Dodger sorrise, divertito. Quello era così da sua moglie, era sicuramente lei.
Il sorriso si spense, mentre perdeva nuovamente colore.
“Nicolas? Oliver?”
<< -Uuuh…->>
I due gemelli stavano, in quel momento, litigando piuttosto
violentemente. Oliver era ragionevolmente infuriato, Nicolas tentava di
dire che tanto era solo un videogioco, che non si moriva davvero, e fra
un insulto e l’altro i due si spintonavano e tentavano, senza
molto successo, di darsi qualche calcio.
<< -…Bene. Si, direi che stanno benone.- >>
Crollò nuovamente contro la slot-machine, rilassandosi. Stavano
tutti bene- e d’altronde non aveva avuto motivo di impaurirsi.
Non c’era stato nessun vero pericolo.
Guardò l’orologio del casino, maledicendosi. A quanto pareva, non era ancora orario per il poker.
Aggrottò la fronte, perplesso- chissà se il bar era aperto?
<< -Vorrei ordinare una torta, ma temo che arriverebbe prima lo psicotico del cameriere.- >>
<< -Puoi giurarci. Cosa ti aspetti da questa inaspettata ma soprattutto spiacevole visita?- >>
<< -Probabilmente ci violenterà a morte.- >>
<< -Ti violenterà a
morte. Tu sei la giovane carne fresca. Tu hai il bell’aspetto. Tu
sei insopportabile.- >>
<< -Ehi!- >>
<< -I giocatori ameranno il tuo sacrificio, Los.- >>
L’ascensore arrivò finalmente all’ultimo piano.
Quando le porte si aprirono, Daniel fu sorpreso di constatare che, in
tutto il corridoio, c’era solo una porta: una suite da un piano
intero era semplicemente da megalomani.
Sbuffò, prendendo in mano la pistola. Ripassò mentalmente
l’idea che si era fatto circa ciò che sarebbe successo.
Sarebbe entrato. Avrebbe trovato i due speaker: magari avrebbero
provato ad attaccarlo, ma lui gli avrebbe sparato subito, senza
aspettare un solo secondo. Poi?
Poi… la gente non sarebbe più morta, il videogioco
sarebbe finito e le cose sarebbero andate per il meglio. Si, sarebbe
andata così.
Appoggiò una mano sulla maniglia della porta, inspirando
profondamente. Doveva essere pronto. Doveva essere veloce. Doveva
essere preparato.
Aprì la porta, alzando subito la pistola.
<< -Oddio!- >>
I due speaker erano seduti di fronte ad un enorme schermo dove si
potevano vedere tutti i giocatori. All’estrema destra c’era
un quadratino in cui si vedeva Daniel puntare la pistola ai due
speaker, ad esempio.
Goth, quello (o quella?) che aveva appena parlato, era trasalito nel
sentire la porta aprirsi: lo guardava con occhi sbarrati, come se
davvero non si aspettasse che fosse lì.
Anche Los si era spaventato, ma in un modo diverso: la sua era la
tipica paura del soldato, quella che ti porta a scattare e colpire.
E così fece. Impugnando con la mano destra una matita
scattò verso Daniel, che scelse di mirare, in quel preciso
istante, a lui.
Premette il grilletto e il suono, per qualche istante, lo confuse: lo
confuse abbastanza da fargli credere di aver centrato il bersaglio.
Così non seppe come reagire quando Los gli fece volare via la
pistola dalla mano usando la sinistra, come non si mosse quando questo
gli conficcò la matita nel collo, oltrepassandolo da parte a
parte.
<< -...Ok, questo è stato…- >>
Goth non seppe come finire la frase. Daniel era caduto a terra,
probabilmente in fin di vita, e Los si era voltato verso di lui, per
tornare con calma al proprio posto.
La parola ‘sorpresa’ non si avvicinava minimamente a
ciò che provava Goth in quel momento: incapace di continuare,
decise quindi di cercare di tornare in se.
<< -L’ultima volta che hai
fatto uno scatto simile è stato quando l’ultima fetta di
torta del mio compleanno ha rischiato di cadere a terra.- >>
Los si sedette al suo posto, tenendosi la testa con la mano sinistra.
<< -Mhm. Mi manca così tanto quella torta.- >>
Goth alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma poi sembrò
addolcirsi: la sua espressione non era di gentilezza, comunque, ma più di
imbarazzo.
<< -Uh… comunque… hm… sei stato… bravo. Arti marziali?- >>
Los scrollò le spalle, affondando ancor di più nella
poltrona. Si vedeva che gli mancava terribilmente, quella torta.
<< -Krav Maga. Si… pensi
che questo valga un servizio a malapena più accettabile da parte
dei camerieri del posto?- >>
Ed in un solo secondo Goth perse tutta la gratitudine verso quello che reputava soltanto un piccolo odioso mostro.
<< -Santo Cielo, sei persino troppo pigro per vantarti?!- >>
Seconda
morte: Daniel Richard. Modus Operandi: una matita gli è stata
conficcata nel collo, soffocato nel sangue, rottura di una vertebra
Giocatori rimasti: 9
-
-:.:,*,:.:-
-
Quando Daniel aprì gli occhi gli sembrò di essersi risvegliato da un incubo.
Si sentiva bene come poteva sentirsi qualcuno che ha finalmente
ritrovato la propria capacità di ragionare e sentire. Quel
caldo, il sudore che gli gocciolava dalla fronte, tutto gli sembrava
una specie di dono.
Si sedette e staccò l’ago della flebo dal proprio braccio,
felice di non averne più bisogno. Si tolse il casco, fin troppo
ingombrante, e strinse gli occhi, momentaneamente accecato dalla luce
della stanza: non che fosse illuminata, ma per lui che non c’era
più abituato era fin troppo.
Quando rimise a fuoco le immagini si rese conto che la Celia Boyd, la
ragazza che aveva visto morire, lo stava salutando con un sorriso.
Si sentì gelare il sangue nelle vene. Come aveva potuto
dimenticare che le morti nel videogioco non erano reali? Si era fatto
trasportare troppo e…
Arrossì, senza riuscire a muoversi.
“Ciao! Non si può uscire.” Trillò allegramente la ragazza, stranamente felice di quel dato di fatto. “Rimaniamo qui fino alla fine del gioco. Possiamo guardare e mangiare!”
Daniel piegò leggermente i lati delle labbra all’insù, ancora
non totalmente convinto che quelle che lei presentava con allegria
fossero buone notizie.
“Ehm… Io…” cominciò Daniel, senza sapere cosa dire. Voleva scusarsi? Sì, forse- ma valeva, chiedere scusa alla ragazza?
Lei agitò una mano in aria, come a dire di lasciar perdere.
“Sai, alla fine è stato buono. Vedi questo schermo?” e Celia indicò uno schermo a destra, che riprendeva i due speaker mentre parlavano, “Bhè, prima era per te. Morendo nella loro stanza mi hai dato modo di vedere gli speaker.”
Lei rise, mostrando un altro dei suoi felicissimi sorrisi. “Non sono semplicemente grandi? Intendo dire… li adoro!”
Daniel si sedette nel posto accanto a lei, in silenzio, cercando di non
ascoltare i sensi di colpa che lo stavano letteralmente divorando.
Goth doveva avere venti, venticinque anni. Gli occhi, dalle iridi di un
colore scuro che poteva essere blu come una tonalità di grigio,
erano pesantemente truccati di nero: per il resto, oltre allo smalto
(anch’esso nero), non aveva altro tipo di trucco. Non si riusciva
a capire se fosse stato il nome a portarlo ad un tale stile oppure se i
suoi genitori erano stati dei veggenti, ma l’unico modo per
descrivere Goth era, ironia della sorte, la parola “Goth”:
capelli neri, tagliati undercut, terribilmente pallido, non si riusciva
a capire se era una ragazza un po’ mascolina o un ragazzo dai
lineamenti un po’ troppo delicati.
Los non doveva avere più di diciassette anni, probabilmente
sedici. Goth assomigliava troppo ad un vampiro per poter piacere a
più persone che non fossero Dark o Gothic, ma Los, al contrario,
era decisamente carino: i capelli biondi, mossi, erano lunghi fino alle
spalle e qualche ciocca gli cadeva sul volto. Gli occhi, le cui iridi
erano verde chiaro, erano socchiusi, dandogli
un’espressione calma e disinteressata- qualcosa che contribuiva,
assieme al suo modo di fare piuttosto flemmatico, a farlo etichettare
come fin troppo lassista. Cosa che probabilmente era, per
carità: nessuno dei giocatori faceva fatica a credere a Goth,
quando questo rimarcava quanto apatico, menefreghista e indolente fosse
il ragazzino.
Celia sorrise, rannicchiandosi sulla propria sedia. “Non sono adorabili? Sto ancora cercando di capire se Goth sia o no un maschio. Secondo te?”
Daniel aprì la bocca, senza riuscire a parlare. La verità era che non ne aveva la minima idea.
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Grazie a Xanax per la sua recensione! Spero che la storia vi piaccia!
E, uh... perdonatemi. L'ultima parte (da bambina nicolas e oliver in
poi) l'ho fatta oggi. Sono... non... riesco più a pensare. Vi
prego, perdonate gli errori ç_ç
*La canzone è "Love Song", dei "The Cure". Meravigliosa canzone *_*
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