Una proposta per
l’estate
-
È da un po’ che non vedo Daichi, chissà dov’è finito? – chiese una
Himeko un po’ annoiata al suo leoncino Pokotà. Era ormai un anno che l’animale
di pezza non parlava più, da quando Erika era venuta a riprendersi il fiocco
magico, riportandolo nel mondo della magia, ma Himeko non aveva perso
l’abitudine di confidare al compagno d’avventure di sempre i propri problemi,
come se questi potesse ancora risponderle come faceva una volta.
-
Sai, Pokotà? Quasi quasi domani vado a trovarlo, tanto in questi
giorni non ho niente da fare…
In realtà la ragazza avrebbe
potuto iniziare i compiti che le erano stati assegnati per le vacanze estive, ma
un pensiero simile era ben lontano dalla filosofia di vita di Himeko. L’estate
era appena iniziata. Perché rovinarsela subito con libri ed esercizi?
La quattordicenne si buttò sul
letto, osservando il cielo dalla finestra del sottotetto: era ormai il tramonto,
e la luce rosa degli ultimi raggi del sole colorava le pareti della stanza.
“Sembra di essere dentro una
pesca” pensò Himeko. Quel pensiero le fece venire fame: si alzò e, sistemandosi
con una mano i capelli arruffati, uscì e scese le scale, diretta in cucina.
Piano piano si era abituata a non sentire più sulla testa il dolce peso del
fiocco donatole da Erika, ma proprio per non dimenticare quella fantastica
avventura, aveva deciso di farsi crescere i capelli come la propria gemella del
mondo della magia. “Così, se un giorno dovessimo rincontrarci, sembreremo
davvero due gemelle!”, aveva pensato. In realtà era anche quello un modo come un
altro per cercare di trovare un po’ di consolazione in qualche cosa. Per
parecchio tempo dopo la fine di quel magico anno si era sentita sola, un po’
persa… se non fosse stato per l’affetto di Daichi, che da vero amico le era
stato vicino, non ne sarebbe mai uscita.
Comunque i risultati della sua
decisione cominciavano a farsi notare: i capelli avevano quasi raggiunto le
spalle, conferendole un’aria molto più graziosa e sbarazzina. Anche Daichi
sembrava essersene accorto.
“Sì, ho deciso! Domani vado a
trovarlo” pensò Himeko, mentre prendeva una manciata di ciliegie dal frigo e
andava a mangiarle in giardino, godendosi la brezza dolce della serata
estiva.
La mattina dopo arrivò a casa
Kobayashi di buon’ora. Suonò il campanello, e dopo un po’ venne ad aprirle
Stefano, il fratellino di Daichi. Il bambino aveva un’aria mogia mogia.
-
Ma… Stefano, che cosa è successo? Ti senti bene? – chiese la
ragazza, preoccupata.
Il bambino tirò su col naso,
annuendo, ma non disse niente.
-
C’è Daichi? – domandò. Visto che il piccolo sembrava non aver
voglia di parlarne, forse era meglio non insistere.
-
Sì, è in camera sua – rispose piano Stefano.
Himeko, che ormai conosceva la
strada, salì e bussò alla porta.
-
Avanti! – fece la nota voce di Daichi, che durante quell’anno era
diventata più profonda.
-
Ciao, sono io! – esclamò allegra la ragazza mentre entrava e
chiudeva la porta dietro di sé – È da un po’ che non ci si vede, così ho pensato
di fare un salto qui a vedere dove fossi finito!
-
Ah, è vero, è da qualche giorno che non ci vediamo – disse Daichi,
un po’ distratto.
-
Non te ne eri nemmeno accorto? Bell’amico che sei! – (a chi
pensava che Himeko sarebbe diventata una dolce ed educata signorina… beh, niente
paura! È sempre lei, non è cambiata!) – Ah, senti: Stefano ha qualcosa che non
va? Quando mi ha aperto, prima, mi è sembrato un po’ giù.
-
Beh, mi sembra normale. Due giorni fa è morto nostro nonno.
-
Cosa? – esclamò Himeko, stupita e dispiaciuta – Ma come è
successo?
-
Sai, era malato di cuore da tempo. Ha avuto un infarto, ma i
medici dicono che non è stato doloroso – le rispose l’amico.
Improvvisamente la ragazza si rese conto
di quanto fosse stata egoista. Negli ultimi giorni si era sentita un po’
trascurata da quello che credeva essere il suo migliore amico, e ora veniva a
sapere che, mentre lei era irritata per quello sciocco motivo, lui stava
attraversando un momento difficile. Che razza di amica era?
-
E tu come stai? – gli chiese, sedendosi sul letto accanto a
lui.
Daichi si guardò le ginocchia, un
po’ pensieroso.
-
In realtà non lo so come mi sento – rispose, sincero – Ci sono
tanti ricordi che mi legano al nonno, ma appartengono tutti alla mia infanzia. A
dire la verità, non lo vedevamo da tanto tempo…
-
Perché, non abitava vicino a voi? – chiese Himeko, un po’
sorpresa. Se era malato di cuore, avrebbe perlomeno dovuto vivere vicino ai
propri familiari.
Il ragazzo scosse la testa.
-
No. Vedi, lui viveva in una cittadina dell’interno che sorge su un
grande fiume. È nato lì e ci ha vissuto tutta la sua vita, con la moglie e i
figli. È anche la città d’origine di mia madre.
-
Quindi era il tuo nonno materno?
-
Sì.
-
Ma scusa… e tua nonna?
-
Mia nonna è morta tanto tempo fa, un anno prima che io nascessi.
Non l’ho mai conosciuta, ma lui me ne parlava spesso. E anche mia madre.
Himeko pensò che il Daichi che
aveva davanti, in quel momento, le risultava totalmente nuovo. Da quel che
ricordava, non l’aveva mai sentito parlare a lungo della propria famiglia o
della propria infanzia.
-
So cosa stai pensando – riprese il ragazzo, interrompendo le
riflessioni di lei – Credi che una persona malata di cuore non dovrebbe vivere
da sola lontano dalla famiglia, vero? Beh, non credere che i miei non abbiano
provato a convincerlo, ma non è servito a niente. Lui diceva che, se doveva
morire, tanto valeva che lo facesse nel posto in cui era nato e cresciuto, e che
tanto amava. Ha sempre fatto di testa sua.
-
Beh, allora si vede che sei proprio suo nipote! – commentò Himeko
senza pensare.
Daichi si voltò a guardarla,
sorpreso.
-
Perché, scusa? – le chiese.
-
Perché anche tu sei così: fai quello che ti pare, e anche da solo,
se serve. Ricordi? Tu stesso mi hai raccontato che, durante i giorni di vacanza,
vai spesso a fare delle scampagnate da solo, a visitare posti nuovi senza
nessuno tra i piedi. O hai già dimenticato quella volta in cui mi hai messo nei
guai con Hikaru perché dovevi assolutamente andare a fare un giro in
campagna marinando la scuola?
L’amico la guardò, ancora più
sorpreso.
-
Però! – rispose – Non ci avevo mai pensato. In fondo è vero: si
vede che somiglio al nonno più di quel che penso.
Poi chinò il viso all’altezza di
quello di Himeko, guardandola negli occhi e facendola, suo malgrado, arrossire.
-
E nemmeno pensavo che mi conoscessi così bene! – esclamò.
-
Insomma, Daichi! – fece la ragazza – Certo che è così! Ci
conosciamo da un sacco di tempo, ormai!
-
Sì, ma non credevo che tu riuscissi davvero a percepire il
carattere delle persone che ti circondano, con la tua sensibilità da elefante! –
ribatté lui, per poi mettersi a sghignazzare.
-
Daichi! – esclamò lei, punta sul vivo – Io cerco di tirarti su, e
tu…
-
E ci sei riuscita benissimo – le disse, tornando serio – Erano
giorni che non mi sentivo così allegro. Mi sei mancata.
Quelle uscite così spontanee,
tipiche dell’amico, la mettevano sempre in imbarazzo. Cosa significava il fatto
che gli era mancata? Solo come amica, di sicuro!
Himeko, cercando di ignorare
quell’ultima frase, rispose:
-
Sono contenta che tu ti senta meglio. Se avessi bisogno di
qualunque cosa, fammelo sapere. D’accordo?
-
D’accordo. Ti ringrazio.
Daichi sorrise, poi portò una
mano sulla testa dell’amica ad arruffarle i capelli biondi.
-
Guarda qui! – disse – Ormai dovrei esserci abituato, eppure mi
aspetto ogni volta di vederti spuntare con un bel fiocco rosso in cima alla
testa!
-
Già, anch’io faccio ancora fatica… - ammise Himeko, perdendosi per
un attimo fra i ricordi.
Poi, resasi conto che il ragazzo
teneva ancora una mano appoggiata sulla sua testa, in un gesto affettuoso,
arrossì e si alzò all’improvviso.
-
Io… devo andare!
-
Come, di già?
-
Sì, forse è meglio che non disturbi più di tanto, in un momento
simile…
-
Ma no, Hime-chan, tu…
-
Te lo ripeto: per qualunque cosa, chiamami in qualsiasi momento!
Arriverò subito!
E senza guardarlo negli occhi,
salutò e scese a rotta di collo, per poi uscire da casa Kobayashi.
Era da poco passata l’ora di
cena, a casa di Himeko, quando il telefono squillò.
-
Sì, pronto – rispose la ragazza.
-
Ciao, Hime-chan, sono io – rispose una voce ben nota all’altro
capo del filo
-
Daichi, sei tu! Dimmi tutto!
-
Ricordi che stamattina mi hai detto che, nel caso avessi avuto
bisogno di qualunque cosa, avrei potuto chiamarti in qualsiasi momento?
-
Sì, non l’ho dimenticato.
-
L’offerta è ancora valida?
-
Certo! – Himeko non capiva: dove voleva andare a parare?
-
Bene, allora ascolta: hai già programmi per le vacanze estive?
-
Mah, solo vagamente: pensavo di andare qualche volta in piscina
con Monica e Isabel, poi una gita in montagna coi miei…
-
E se passassi l’estate con me nella cittadina di mio nonno?
Himeko rimase in silenzio per un
lungo istante, fissando con improvviso interesse una minuscola macchiolina sul
muro davanti a sé. Aveva sentito bene? Daichi le aveva davvero appena chiesto di
passare l’estate con lei? E nella cittadina di…
-
Hime-chan, ci sei ancora? – chiese la voce del ragazzo dal
ricevitore.
-
S-sì – balbettò la ragazza, scrollandosi la sorpresa di dosso –
M-ma… Daichi, che ti salta in mente?
-
Perché? Non ti piace l’idea?
-
Ecco, io… ma come mai?
-
Vedi, mio nonno ha vissuto nella sua vecchia casa, da solo, per
tanto di quel tempo che adesso ci sono un sacco di cose da sistemare. Ha
lasciato libri, oggetti antichi o semplicemente di un paio di decenni fa… e
adesso qualcuno deve occuparsi di mettere tutto in ordine. Pensavo di andarci
io, dato che i miei devono lavorare. Però mi piacerebbe avere compagnia, meglio
se la tua. Allora, che cosa mi rispondi?
-
Io… - cominciò Himeko. Ma che cosa poteva rispondergli? Passare
l’estate con lui? Da soli? Da una parte la prospettiva di quell’avventura la
elettrizzava, e poi con Daichi il divertimento era assicurato, si fosse anche
trattato di mettere a posto vecchie scartoffie. Inoltre… non era stata forse lei
a dirgli di chiamarla, se ne avesse avuto bisogno? Era proprio in questi momenti
che si vedevano i veri amici. E lei sentiva che, per un amico come Daichi,
avrebbe potuto andare in capo al mondo.
Tutti questi pensieri, e molti
altri ancora, la portarono a rispondere:
-
Per me va bene! Però ne devo parlarne ai miei… ti telefono domani,
d’accordo?
-
Sì. Senti, se ti danno il permesso, si parte fra tre giorni.
-
Così presto?
-
Già, c’è parecchio lavoro da fare. Ma saremo in un bel posto, non
ti preoccupare. Troveremo anche il tempo di divertirci!
-
Okay!
-
E… Hime-chan?
-
Sì?
-
Sono contento che tu venga con me.
Himeko fu all’improvviso
particolarmente felice del fatto che il ragazzo, in quel momento, non potesse
vederla. Le guance dovevano esserle arrossite, perché il cuore aveva cominciato
a battere un po’ più forte del normale.
-
B-beh, dovresti aspettare… in fondo devo ancora dirlo ai miei…
-
Va bene, allora! Ci sentiamo domani. Buonanotte!
-
B-buonanotte…
La nostra Hime-chan riappoggiò il
ricevitore lentamente, rimanendo un po’ soprappensiero.
Poi andò decisa in salotto.
-
Mamma! Papà!
Himeko era a letto, stanca e
contenta, eccitata ma anche un po’ preoccupata. Era mezzanotte passata: troppo
tardi, ormai, per chiamare Daichi e dirgli che sarebbe andata con lui.
Non era stato affatto facile
convincere i genitori a darle il permesso, ma d’altra parte se lo aspettava.
Quello che non si aspettava era che Aiko l’avrebbe sostenuta così, rassicurando
i genitori e dicendo che Daichi era davvero un bravo ragazzo, e che Himeko
sarebbe stata al sicuro con lui. Forse perché anche lei doveva andare per la
prima volta in vacanza per qualche giorno con il suo ragazzo, lo stesso che
piaceva ad Hime-chan appena un anno prima e che aveva fatto parte del suo club
di teatro.
“Certo che… l’intera estate…”,
pensò.
Così, alla fine l’aveva spuntata.
Non vedeva l’ora di chiamare Daichi! Però… però da qualche parte, dentro di sé,
si sentiva un po’ agitata.
Quand’era che aveva cominciato ad
arrossire così di fronte a certe uscite dell’amico? Da quando sentiva un
fremito, da qualche parte in fondo al cuore, ogni volta che lui la guardava?
Non si era mai sentita così, era
qualcosa che la sconvolgeva profondamente… perché lui era Daichi, il suo
migliore amico, colui che l’aveva tirata fuori dai guai tante di quelle volte…
non voleva che il loro bellissimo rapporto cambiasse. E se si fosse rovinato
irreparabilmente? Cos’avrebbe fatto senza il suo Daichi?
Oh, quanto avrebbe voluto che
Pokotà avesse ancora il dono della parola, per confidarsi con lui!
-
Pokotà, lo so che puoi sentirmi – mormorò Himeko prendendo in mano
l’animaletto di pezza – Perché mi sento così? Che cosa mi sta succedendo?
Pokotà ovviamente non rispose, ma
la nostra Hime-chan lo strinse forte fra le braccia, per trarne lo stesso un po’
di conforto.
Dopo qualche minuto finalmente si
addormentò, esausta, il leoncino al suo fianco sul cuscino, come quando era
piccola e qualche problema la metteva in ansia.
Avrebbe chiamato Daichi,
l’indomani. Per tutto il resto, non restava che aspettare.
Allora? Mi sento quasi onorata ad essere la
seconda persona che inizia una fanfiction su “Hime-chan no Ribon”. Spero che
Shirin ne sia
contenta.
Anche a me è sempre piaciuto questo
dolcissimo anime. Più che la storia del fiocco, adoravo giustamente i due
protagonisti, che io ho conosciuto come Himi e Dai Dai, e il loro magnifico
rapporto, che non ho mai ritrovato in nessun altro anime.
È stato uno dei cartoni della mia infanzia,
e come tale lo amo profondamente.
Ho cominciato a scriverne solo perché
la Mediaset
lo sta ritrasmettendo: non lo vedevo da così tanto tempo da aver dimenticato
quasi tutte le puntate, ma ora, man mano che rivedo gli episodi, mi stanno
tornando alla mente un sacco di cose. È come rivivere un ricordo un po’
sbiadito.
Però, visto che la serie conta ancora
parecchie puntate, scusatemi per tutti gli eventuali errori presenti. Se vi va,
correggetemi pure.
Credo sarà un po’ lunga, quindi qualche
incoraggiamento (se il racconto vi piace) sarebbe gradito, grazie!
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