Amor
ch'a nullo amato, nullo amar perdona
Astrid
Finch non è una di quelle ragazze ansiose che non riescono a
sopportare una settimana di lontananza, – le detesta, a dirla
tutta
– eppure, quando Cara si presenta a casa sua, il fiato corto
e gli
occhi sbarrati, qualcosa le si muove nello stomaco, un peso, e scatta
in piedi. << Cos'è successo, Cara?
>> La voce della
ragazza è seria come Cara non l'ha mai sentita e deve
ammettere che
la cosa la spaventa.
Sa
che deve dirglielo, – è giusto, le ricorda una
voce fin troppo
simile a quella di Stephen – ma sa anche quanto
farà male. L'urlo
di John le è rimasto nelle orecchie fin da quando l'ha
sentito e non
sembra intenzionato ad andarsene.
Astrid
la sta ancora guardando quando si rende conto che è rigida:
appoggiata al divano, sembra una statua, uno spaventoso promemoria di
ciò che hanno passato.
Cara
ricaccia indietro la voglia di scappare come un cucciolo spaventato
davanti ai fuochi d'artificio. Merita di saperlo,
pensa.
<<
Si tratta di John, >> dice e gli occhi di Astrid si
spalancano,
come una voragine che si allarga.
La
domanda che Astrid vorrebbe fare le muore sulla lingua: lo sguardo di
Cara si specchia nel suo, preoccupazione che fronteggia paura.
<<
Una settimana fa, mi è sembrato di sentirlo e...
>> La voce di
Cara ha un sussulto.
Non
è un buon segno, pensa Astrid.
Vorrebbe
esortarla a parlare... Com'è che si dice? Via
il dente,
via il dolore.
<< Cara...
>> Di nuovo, le parole sbattono l'una contro l'altra,
affollandole la gola già stretta dall'ansia.
<< Se c'è
qualcosa di... >> Altra pausa. In questo momento vorrebbe
picchiarsi da sola. Il dolore le rende difficile parlare, non dirlo,
invece, la fa sentire come una nave che affonda. << Se
c'è una
brutta notizia da dare, fallo. >> Conclude, a voce bassa.
Tutto
il discorso le sembra insensato, anzi, le parole sembrano mondi a
sé,
vicini per chissà quale caso fortuito.
<<
Sembrava che stesse passando l'inferno. >> La replica
della
ragazza mima il suo tono, ma sembra più distante, simile ad
una eco
che rieccheggia dal fondo di un pozzo.
Hai
trascinato in quella collina contorta anche me, Young. Contento,
adesso?
Le
parole di Cara le stanno ballando ancora in testa, – e sta
provando
davvero a mandarle giù, ad afferrarle – quando le
viene in mente
un'idea a cui vorrebbe non dover dare voce.
<<
Jedikiah, >> il nome le esce come un mezzo grugnito
intriso di
irritazione. Pensava davvero che potessero tornare ad avere una vita
normale, – e per normale Astrid intende senza minacce di
morte
continue – ma sembra che lo zio di Stephen abbia altre idee e
la
sua idea di entrata in scena spettacolare sembra essere quella di
torturare John. Fantastico. Roba da far
impazzire i cattivi
dei fumetti.
Prima
che Cara possa farle una domanda, le parole sfrecciano fuori.
<<
Eravamo in metro – gli stavo facendo vedere come muoversi
– e
all'improvviso ci siamo ritrovati Jed affianco che blaterava di avere
bisogno di John per non so quale motivo... >> La voce di
Astrid
si ferma, come se una lampadina si fosse appena accesa e la sua mano
fossa stata troppo vicina. Non sa se è impallidita,
– a giudicare
dal sguardo di Cara, è probabile – ma le sembra
che le forze
stiano per mancarle. E' caduta millioni di volte sul pavimento del
salotto: mentre imparava a camminare, quando a dodici anni decise di
imparare a pattinare, correndo dietro a Stephen. Può quasi
considerarlo un amico abbronzato, in effetti. Stavolta non ci saranno
tappeti o accoglienze gentili, pensa. Nessuna persona pronta a
tirarmi su. Se cado, farà male.
<<
I poteri, >> dice, alla fine. Le sembra impossibile e, da
come
la guarda, anche per Cara sembra essere così.
<<
Deve aver fatto altro. Voglio dire, sembrava che gli stessero
strappando una parte di sé. >> Astrid si
domanda come diavolo
sia possibile per Cara anche solo tentare di essere calma. A lei
sembra che il pianto che le sta salendo in gola la squarcerà
in due.
Cara
sta parlando – riesce a sentire qualcosa come
“Avvertire Stephen”
– quando Astrid decide di correre. Vorrebbe farcela
così come ce
l'ha fatta John quando l'ha cercata, ma si sente troppo piccola,
troppo impotente.
*
E' passato
un mese da quando
hanno capito che fine avesse fatto John. Un mese passato a cercarlo,
a sperare, a svegliarsi come se l'incubo con l'Ultra non fosse mai
finito.
Quando si
ritrova Cara, bianca
come un cencio, in salotto, quella specie di coma in cui tutto sembra
sbiadito e troppo reale allo stesso tempo svanisce.
La voce di
Cara assomiglia a
quella di un corridore che si è appena fermato.
<< L'abbiamo
trovato. >> E' bastata una frase, semplice come una
stretta di
mano, perché Astrid sentisse l'adrenalina scorrerle in corpo
come un
fiume di lava.
<<
Dov'è? >>,
chiede. Sa che la risposta include Jedikiah e che probabilmente John
sarà in una condizione capace di farle stringere lo stomaco
nonostante sia già successo.
Cara
esita. E' strano vederla
esitare, perché quando lo fa significa che c'è
qualcosa di grosso
che non va. L'unica parola che le corre lungo tutto il corpo, nel
silenzio, è: sofferenza.
<<
Non ricorda, >>
dice e ad Astrid sembra di essere nel bel mezzo di un bombardamento.
<< E sembra che Jed gli abbia fatto un lavaggio del
cervello
per catturarci. >>
Cara sta
per crollare, pensa
Astrid mentre una risata secca le sale in gola. Fantastico.
<<
Quindi mi tocca
avvicinarlo, sperando che non mi spari. Bel piano. >> Il
commento porta con sé echi di quella risata che Astrid
sperava di
non dover mai più tentare di reprimere. Il suo cervello la
riporta
in quello scantinato, il respiro caldo e troppo, troppo rapido di
John sulle braccia, la paura che colora la sua voce mentre canta.
<<
Astrid... >>
inizia la sua nemesi, – è possibile che lo sia? In
fondo tutta la
sua vita sentimentale è stata condizionata da lei
– e il suo tono
da leader, per quanto disperato, è inequivocabile. E'
una mia
decisione e ho già convinto Stephen, questo è
quanto, sembra
essere scolpito nella sua espressione.
<<
So che devo farlo.
Voglio farlo. >> La interrompe con
voce tagliente.
Cercherò solo di non collassare, esattamente come
te.
*
La prima
volta che lo rivede le
viene quasi da ridere. E' sicura che, se John avesse potuto, avrebbe
già raziato un negozio d'abbigliamento. Dopo aver spedito
Jed in
manicomio, ovviamente. Il pensiero le da la forza di sorridere mentre
si avvicina e il cuore comincia a correre.
Aveva
detto che si sarebbe fatto
perdonare, pensa. Chi sapeva che l'idea di perdono di John Young
includesse diventare qualcosa che avrebbe fatto perdere le sue
traccie per due mesi e che avrebbe fatto rabbrividire lo stesso John?
Romantico quanto Titanic, insomma.
Quando
arriva al suo tavolo –
è da solo, naturamente – le basta rovesciare la
tazza di caffè
che gli aveva visto ordinare e sorseggiare fino a qualche minuto
prima perché alzi lo sguardo.
E' pallido
e le occhiaie
tendenti al viola brillano incorniciandogli gli occhi. L'ha visto in
tanti modi: pieno di lividi, praticamente morto, – e per un
secondo
è morta anche lei – perso, spaventato, felice.
L'ha visto e si è
fatta vedere, ma adesso non vede John Young. Vede il vuoto, la
confusione.
<<
Oh, scusa! >>, la
voce le esce stridula. << Io non... >> La
voce di John la
sorprende. Sono passati due mesi, otto semplici settimane, ma
sembrano anni.
<<
Non fa niente, >>
dice, la voce bassa. La macchia di caffè si allarga sui
fogli che
gli stanno davanti.
<<
Astrid, >>
risponde allo stesso modo, tendendogli la mano.
Lui
sorride, quel sorriso tutto
labbra che le ha rivolto la prima volta che l'ha vista, e Astrid
sente le ginocchia vacillare.
<<
Se ti va posso
offrirtelo gratis, quel caffè. >> Ricambia il
sorriso, facendo
un cenno al cameriere.
<<
Allora, cosa ci fai in
un bar a prendertela con i caffè altrui, Astrid?
>>
Malgrado
tutto, il sorriso si
allarga. Sarà un'impressione, ipotizza, ma, da qualche
parte,
nascosto in queste frasi, vede John.
<<
Oh, beh, io e la
caffeina ci odiamo dal primo semestre del liceo. >> Il
bar è
affollato. Troppo affollato, la voce di Stephen è
così chiara che
Astrid si domanda se è possibile che sia mutata in ritardo.
<<
Io credo che non vivrei
senza caffè. >> La voce di John è
tranquilla come non l'ha
mai sentita. Gli aveva detto che non era i
suoi poteri.
Lo pensa ancora: John è quello che sente e vederlo
così è come non
vederlo affatto.
<<
Ti va di uscire? >>,
chiede e suona come una di quelle ragazze a cui è solita
rifilare
occhiatacce. << Di qui, intendo. >> Young,
se non
decidi di tornare dopo questa, ti giuro che sei una Tomorrow Person
più single degli Immacolati dai cinque anni in poi.
Non appena
mettono piede fuori
dal bar, Astrid tesa come una corda di violino e John fin troppo
calmo, Stephen si para davanti a loro, pronto ad afferare John che
cade come una foglia da un ramo in autunno.
*
Si sveglia
due ore dopo, nel
Rifugio. Astrid è rimasta, nonostante le proteste di
Stephen. L'ha
portato lei, ragiona. Quindi resta finché John non si
sveglia.
Quando
succede, Astrid salta su
dalla poltrona che è diventata ufficialmente sua e stringe
il
braccio di una Charlie tremante.
Percorre
la strada fino alla
camera di John cercando di calmarsi. Non può scoppiare, non
deve.
Non ora.
Lo vede e
le sembra di essere
tornata ancora una volta in quel maledetto scantinato.
La luce
soffusa del Rifugio è
fredda sulla pelle, artificiale, e sottolinea in modo brutale la
confusione di John quando si rende conto di avere di fronte Astrid e
che quella in vantaggio, stavolta, è lei.
Dovresti
essere fiero di te stesso, John. Sei un insegnante fantastico.
Astrid lo
guarda – guarda la
sua espressione torva, le cicatrici che John porta con sé
ogni
giorno – e sente qualcosa di diverso. Ha sperato, immaginato
il
momento in cui l'avrebbe rivisto, – una cosa simile a quelle
commedie dolci che ogni dentista sconsiglierebbe per via delle carie
che provocano, lo ammette – ma adesso la rabbia le brucia
dentro.
Mi
farò perdonare, promesso,
aveva detto. Sai qual è stata la parte migliore
dell'essere
umano? Tu. E poi era sparito. Perché l'avevano
rapito, certo, ma
era comunque sparito.
<<
Due dannati mesi senza
uno straccio di parola su dove diamine ti eri cacciato, Young.
>>
Comincia così, senza troppi preamboli. Sente gli occhi
increduli di
Stephen, di Cara e di Russell sulla schiena, ma li ignora. E' come
una bomba: una volta innescata, senza artificieri non c'è
nulla da
fare.
Si
avvicina alla sedia dove John
è seduto e legato alla bell'è meglio con delle
corde. Per fortuna
il sonnifero lo tiene ancora nello stato del dormiveglia.
Astrid
continua, le parole
affilate come coltelli. << Due. Dannati. Mesi.
>>
L'espressione del ragazzo rimane incerta. Se non fosse John,
–
sempre pronto ad analizzare le persone, sempre pronto a trovare la
falla nella nave – probabilmente, avrebbe già
replicato. Invece,
Astrid ottiene solo silenzio. Spesso, snervante, silenzio.
<<
Non mi interessa se ti
hanno cancellato la memoria o se sei finito in una specie paradosso
con un TARDIS nascosto. Io mi fido di te e
sono sicura
che tu sia ancora lì dentro ad aggrapparti alla tua giacca.
>>
Ancora
silenzio. E' come se John
si fosse congelato.
Se quando
l'ha visto Astrid è
stata travolta da una rabbia bruciante, adesso sta perdendo le
speranze.
Sa che non
dovrebbe farlo, che
potrebbe finire male e che potrebbe fare un baffo all'apocalisse, ma
lo bacia.
La prima
volta è stato l'
istinto, la seconda la paura e stavolta è la speranza di un
miracolo
che la spinge a baciare John.
Le sue
labbra sono calde come le
ricorda, ma le sembrano molto più dure.
John si
irrigidisce, chiaramente
stupito. Dev'essere qualcosa che non ha fatto molto ultimamente.
Contro le labbra di John – ferme, impassibili, eppure
familiari –
quelle di Astrid si incurvano.
<<
Come primo
appuntamento, >>, dice una voce, <<
ricordarmi di
organizzare l'apocalisse. >> Il respiro di Astrid si
ferma.
<<
Hey, il gatto ti ha
mangiato la lingua? >> Sente che sta sorridendo.
E' lei
quella silenziosa,
adesso. No, silenziosa non è la parola adatta: si sente come
se
fosse congelata, bloccata.
Le mani di
John si fanno strada
sulla sua schiena, tenendo insieme i pezzi di una corpo spezzato, a
metà tra la speranza e l'incredulità.
Le stringe
la spalla e Astrid sa
che questo significa sentirsi a casa.
La strada
sarà difficile per
entrambi, ma terranno duro.
Uno
è la casa dell'altro, dice
la stretta, e questo non cambierà.
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