Perfetto
Disclaimer – I personaggi
qui descritti non mi appartengono, ma sono di proprietà di Ed
Redlich e John Bellucci, che in quanto loro creatori ne detengono
tutti i diritti. Le situazioni narrate, invece, sono di mia
proprietà, e spiaccicherò contro un muro eventuali viscidi
plagiatori. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma
per il mio puro e semplice divertimento.
Note
– La storia può essere piazzata dopo l'episodio 1x13, “La
confraternita”. Non si sa quasi nulla delle famiglie e dei passati
di Roe e Tanya, dunque mi sono presa molte libertà con le loro vite.
Pairing
– Roe Saunders/Tanya Sitkowski
Perfetto
Queens, New York |
dicembre
Non sapeva che cosa, di
preciso, l'avesse spinto a compiere una mossa tanto azzardata: in
fondo, non poteva essere sicuro che fosse stata proprio Tanya a
lasciare sulla sua scrivania quel cesto colmo di specialità
gastronomiche. Certamente aveva avuto l'occasione, e verosimilmente
poteva aver avuto un movente, ma in qualità di detective sapeva che
si trattava di prove circostanziali, nulla di probativo: era una
fragile teoria che mancava di qualunque fondamento. E poi quasi tutto
l'ufficio sapeva della sua passione per il cibo: poteva essere stato
chiunque. Poteva essere stata Nina, ad esempio: magari la sorella le
aveva chiesto di ringraziarlo per il gattino che aveva regalato alla
figlia. O magari era stata Agnes, la centralinista che aveva
accompagnato a casa due sere prima, quando la macchina di lei aveva
dato forfait. Per quanto ne sapeva, poteva anche essere stato Mike. O
magari il tenente Burns. No, adesso stava decisamente lavorando di
fantasia. Comunque, il punto era che qualcuno gli aveva regalato un
piccolo tesoro, e lui era convinto che quel qualcuno fosse Tanya. E
perciò voleva invitarla ad uscire. Ecco perché era fermo davanti
alla porta del suo laboratorio.
Poteva ancora tornare
indietro. Non era obbligato ad aprire la porta e sputare fuori quello
stupido invito. Poteva ancora voltarsi, tornare al piano di sopra e
fingere di non essere mai stato lì. Poteva farlo. Lei non lo aveva
ancora visto, poteva ancora cambiare idea. Ci voleva coraggio per
spingere quella porta, entrare e invitarla ad uscire – coraggio che
lui sentiva di non avere. Il problema era che sembrava servire
coraggio anche per tornare indietro. A Roe sembrava di essere tornato
ai tempi del liceo, quando arrivava il momento di invitare una
ragazza ad una festa, o quando nel bel mezzo di una festa arrivava il
momento di invitare una a ballare – forse era proprio per questo
che era stato a pochissime feste in vita sua. Il fatto era che lui si
era sempre sentito fuori posto, in ogni momento e in ogni luogo.
Forse era per questo che il trasferimento a New York lo aveva reso
felice, o comunque meno a disagio: New York era così grande, così
caotica... tutt'altra storia rispetto a New Orleans. A New York
vivere sembrava più semplice, meno... spaventoso. A New York
poteva essere se stesso senza timore di essere giudicato, e questo lo
faceva sentire tranquillo. Certo, i veri problemi non cambiavano mai:
forse nessun luogo gli avrebbe mai dato il coraggio necessario per
essere se stesso con una ragazza.
«Che
fai quaggiù?» si sentì domandare
all'improvviso.
«Carrie!» esclamò,
sobbalzando per la sorpresa. «Che ci faccio qui? Oh, beh, io...
niente, ero sceso per... niente di importante. Avevi bisogno di me?»
Carrie serrò un po' le
palpebre, come faceva sempre quando cercava di analizzare una
situazione o una persona. Lo fissò a lungo, poi spostò lo sguardo
sulla porta del laboratorio oltre il quale Tanya stava compiendo
chissà quale esame su chissà quale elemento di prova. «Roe, a te
piace Tanya?»
«Come? Oh, beh, certo.
Certo che mi piace Tanya. Lei è... beh, lei è un ottimo tecnico di
laboratorio. Come riusciremmo a catturare i cattivi senza il suo
contributo? È... è geniale.»
«Roe, sai che sono una
buona osservatrice...»
«Sì... e allora?»
«E allora perché mi stai
mentendo?»
«Io non... non sto
mentendo» si affrettò a replicare lui, punto sul vivo. «Sto solo
dicendo che apprezzo molto il lavoro che Tanya svolge.»
«Roe...» Lo sguardo di
Carrie era quello di una madre che ha smascherato la bugia del figlio
e gli sta concedendo un'ultima occasione di confessare la verità.
«Va
bene, forse
nutro per lei un'ammirazione che va leggermente oltre
i limiti del nostro rapporto professionale.»
«Quindi,
traducendo in un inglese moderno, si può dire che Tanya ti
piace.»
«Credo... sì, beh, credo
si possa dire così.»
«Non è così brutto
confessare, eh?» ammiccò la detective. «Sai, dovresti invitarla ad
uscire.»
«Sì, beh, io... io stavo
appunto per... insomma, stavo pensando se fosse il caso di offrirle
una birra, uno di questi giorni.»
«O forse eri sul punto di
entrare e domandarglielo?» suggerì lei.
«Qualcosa del genere. Il
punto è che io non so se... ecco, non sono sicuro che accetterebbe.»
«Non si può mai essere
sicuri di niente. Però dovresti tentare.»
«E se dovesse rifiutare?»
sussurrò Roe, continuando a sbirciare dentro il laboratorio. Carrie
alzò un sopracciglio e inclinò leggermente la testa verso destra,
tentando di studiare il comportamento del collega. «Insomma»
continuò lui, senza mollare l'obiettivo, «è una possibilità che
va considerata. Potrebbe dire di no.»
«Oppure potrebbe dire di
sì.»
«Come fai ad essere sempre
così ottimista?»
«Non lo so» rispose lei,
stringendosi nelle spalle. «Ho sempre visto il bicchiere mezzo
pieno, fin da bambina. Credo sia genetico: nella mia famiglia siamo
sempre convinti che le cose si sistemeranno.»
«Beati voi» sospirò lui.
«Io sono stato abituato ad aspettarmi sempre il peggio. Così non
resto mai deluso.»
«Se ti fa piacere vederla
così... comunque io dico che dovresti rischiare, una volta ogni
tanto. E se va male, pazienza. Dimentichi e passi oltre.»
«Tu fai così?»
«Se potessi dimenticare,
lo farei.»
«Quindi dici che dovrei
entrare?»
Carrie sorrise, annuendo
appena. «Io dico che dovresti.»
«E dovrei chiederle di
uscire?»
«Dovresti.»
Roe rivolse un breve
sguardo alla collega, poi tornò a guardare oltre il vetro: Tanya
stava sorridendo, forse felice per aver appena raggiunto un
importante risultato. Era carina, questo era insindacabile: carina ed
estremamente intelligente, un binomio che avrebbe spaventato molti
uomini, e che un po' spaventava anche lui. Però Carrie aveva
ragione: nella vita bisognava correrlo, qualche rischio. Aveva
davanti una scelta da compiere: entrare e tirare fuori il coraggio,
oppure tornare indietro e restare per sempre il ragazzino impacciato
che guardava gli altri vivere. Forse era arrivato il momento di
dimostrare di che pasta era fatto. Improvvisamente si voltò verso la
collega. «Ma tu che ci fai qui?»
«Io? Oh, ero venuta per
chiedere a Tanya se aveva già finito con il nastro di quel video di
sorveglianza, ma non è nulla di importante. Lascio campo libero a
te.» Gli diede una leggera pacca sulla spalla, prima di
allontanarsi. «Fatti sotto, Roe.»
Rimasto solo, Roe inspirò
a fondo, raccogliendo le energie necessarie per entrare e fare quella
domanda che gli ronzava in testa da settimane. «Ciao, Tanya»
esordì.
«Ciao, Roe. Come mai da
queste parti?»
«Oh, beh, io ero...
passavo di qua, e stavo pensando che magari poteva andarti di unirti
a me per una birra, una di queste sere.»
Tanya alzò gli occhi dalla
tastiera e li puntò sul detective, incapace di credere alle proprie
orecchie. «Mi stai... invitando ad uscire?»
«Ti sto invitando a bere
una birra» replicò lui. Sentiva che stava iniziando a sudare, e la
cosa non gli piaceva. «Sempre che ti vada, naturalmente.»
«Ma certo che mi va»
rispose lei, il volto acceso da un sorriso che tradiva i suoi reali
sentimenti. «Facciamo stasera?»
«Oh, certo. Certo, è
perfetto. Allora... a stasera» concluse lui, guadagnando la porta.
«Roe?» lo richiamò lei.
«Sì?»
«Dove ci incontriamo?»
«Oh,
giusto» fece lui, ricordandosi di aver dimenticato di menzionare un
dove.
«Facciamo da... facciamo dove vuoi tu.»
«Potremmo andare da Frank,
all'incrocio tra l'ottantunesima e Broadway. È un bel locale, e la
birra è ottima.»
«Va bene, è perfetto.
Alle otto?»
«Alle otto è perfetto.»
«Allora a più tardi.»
In piedi all'angolo tra
l'ottantunesima e Broadway, Roe iniziava ad essere nervoso. Tanya era
in ritardo, e conoscendo la sua ossessione per la puntualità la cosa
gli puzzava. Erano soltanto dieci minuti, in genere nessuno si
preoccupava per un ritardo tanto risibile, ma la sua mente da
detective aveva già pensato a quattro diverse ragioni che potevano
giustificare l'assenza della ragazza – tra cui la possibilità che
avesse deciso di dargli buca. Il freddo lo costringeva a muoversi, ma
Roe sapeva bene che quel suo nervoso passeggiare su e giù era dovuto
anche alla preoccupazione di non veder arrivare Tanya. «Accidenti a
te e ai tuoi consigli, Carrie» borbottò a denti stretti, ripensando
al sorriso della detective quando gli aveva suggerito di saltare a
piè pari il fosso delle sue paure, convincendolo che sarebbe
atterrato sull'altra sponda senza riportare traumi.
«Roe! Roe, sono qui!»
sentì urlare da un punto alle proprie spalle. Si voltò rapidamente,
e il cuore mancò un battito. Era stato a casa giusto il tempo di
fare una doccia, dar da mangiare al pesce rosso e indossare un
vestito pulito, ma senza stravolgere il proprio aspetto, mentre Tanya
sembrava aver dedicato particolare attenzione alla propria figura, in
vista dell'appuntamento: il suo bel sorriso era sottolineato dal
caldo color ciliegia del rossetto, gli occhi resi più grandi da un
preciso tratto di matita nera, e il vestito di lana che sbucava da
sotto il cappotto scuro era decisamente diverso dai cardigan che
portava sul lavoro. «Scusa, sono in ritardo» aggiunse,
avvicinandosi quasi senza fiato. «Avevo il timore che un virus
stesse attaccando il mio hard-disk, quindi ho dovuto ricontrollare
tutti i firewall, e il tempo mi è proprio volato mentre eseguivo una
deframmentazione del sistema, poi sono tornata a casa per cambiarmi e
ho incontrato la mia vicina, ed è una vecchietta così dolce,
proprio non potevo scaricarla senza fare due chiacchiere, e quando ho
visto che ore erano io...»
Tanya era adorabile quando
iniziava a parlare a macchinetta, nonostante il più delle volte si
perdesse in digressioni tecniche quasi impossibili da comprendere.
Quella sera, poi, a Roe sembrava più difficile che mai non essere
attratto da lei. «Non preoccuparti, sono soltanto dieci minuti.
Capita a tutti un piccolo imprevisto.»
«Per fortuna abito qui
vicino» fece lei. «Non ce l'avrei fatta a correre per più di due
isolati.»
«Abiti da queste parti?»
ribatté lui, sorpreso da quella rivelazione.
«Due isolati più in là»
confermò lei, indicando con il pollice un punto alle proprie spalle.
«Perché la cosa ti sorprende tanto?»
«Beh, perché abito a due
isolati da te» fece lui.
«In quella direzione?»
domandò lei, indicando di nuovo la strada appena percorsa.
«Esattamente.»
«Oh. Beh, vorrà dire che
faremo un pezzo di strada insieme, al ritorno.»
«Ti avrei comunque
accompagnata a casa» replicò il detective, pentendosi all'istante
di essersi esposto così tanto.
«Oh. Beh, grazie.
Entriamo?»
Roe si avvicinò alla porta
del locale, la spinse e si scansò. «Dopo di te.»
Il pub era piccolo, ma
accogliente e quasi vuoto. L'uomo dietro il bancone, probabilmente il
proprietario, alzò la testa e li salutò. «Ciao, Tanya. È un po'
che non ci si vede. Il tuo tavolo dovrebbe essere libero.»
«Grazie, Frank» rispose
la ragazza, iniziando a sbottonare il cappotto.
«Che vi porto?»
«Per me il solito. Roe?»
«Lo stesso» rispose lui.
«Mi fido di te» aggiunse, seguendola attraverso la sala.
Sorridendo, lei continuò a
camminare, fino a raggiungere un tavolino nell'estremo angolo della
stanza. «Sei coraggioso. E se per caso io avessi ordinato qualcosa
di disgustoso?» gli domandò, sfilandosi il cappotto e appoggiandolo
su una sedia vuota.
«Mia madre dice sempre che
è importante provare cose nuove» rispose lui, imitandola. Non
riusciva a spiegarselo, ma aveva come la sensazione che fosse più
facile comunicare, al di fuori del dipartimento. «E comunque non mi
sembri il tipo che beve cose disgustose. Invece mi incuriosisce il
fatto che tu abbia un 'tuo' tavolo. Suppongo che tu sia una cliente
abituale.»
«Beh, vengo qui da quando
avevo dieci anni» rispose lei, sorprendendolo non poco. «Tranquillo,
all'epoca bevevo soltanto aranciata e succhi di frutta. Il fatto è
che Frank è mio zio, e spesso passavo i pomeriggi qui. I miei
lavoravano e non si potevano permettere una babysitter» aggiunse.
«Oh, beh, capisco. Una
scelta dettata dalla praticità.»
«Direi di sì. Comunque,
mi sedevo sempre qui per fare i compiti, perché è il tavolo meglio
illuminato. Così è diventato il mio posto.»
«Mistero svelato» replicò
lui, scostandosi appena dal tavolo quando la cameriera si avvicinò
con due boccali colmi di schiumosa birra chiara. «No, in realtà c'è
ancora una cosa che non mi è chiara: Frank è irlandese. Insomma, la
licenza appesa dietro il bancone è a nome di Francis Sheehan, che
suppongo sia lui. Sheehan è un cognome irlandese. I tuoi non sono
polacchi?»
«Solo
mio padre. Mia madre è una Sheehan degli Sheehan di South
Boston. Irlandesi al cento per cento. Zio Frank è suo fratello.»
«Adesso
è tutto chiaro. Scusa la mia curiosità. Deformazione
professionale.»
«Perdonato.»
«A che cosa brindiamo?»
le domandò, alzando il boccale.
«Direi...
alle deformazioni professionali.»
«Alle deformazioni
professionali, allora.» I bicchieri si toccarono, e il primo sorso
tenne entrambi impegnati per qualche secondo. Tanya appoggiò il
boccale sul tavolino, alzò gli occhi su Roe e lo fissò a lungo,
come studiandolo. «Che succede? Ho qualcosa in faccia?» le domandò,
portandosi istintivamente una mano al mento: conoscendosi,
probabilmente gli era rimasta un po' di schiuma attorno alle labbra,
o qualcosa del genere.
«Non hai niente in faccia,
tranquillo. Stavo solo... beh, pensavo che è tanto che lavoriamo
insieme, eppure ci sono ancora tante cose che non sappiamo l'uno
dell'altra. Mi chiedo tra quanto avremmo scoperto di essere quasi
vicini di casa, se non...»
«...se non ti avessi
chiesto di uscire?» azzardò lui, superando l'incertezza che l'aveva
bloccata.
«Qualcosa del genere. A
proposito, mi fa piacere che tu... insomma, che mi abbia invitata
fuori. È la prima volta che esco con qualcuno con cui lavoro. A
volte mi piacerebbe invitare qualche collega a bere un caffè o a
mangiare qualcosa, ma ho sempre paura di sembrare invadente, e quindi
non riesco mai a... prendi Nina, per esempio. Mi sta simpatica, un
sacco di volte sono stata sul punto di invitarla a colazione, ma poi
ho sempre rinunciato. Non riesco a spiegarmi il perché. Non so se
capisci cosa intendo.»
«Oh, è perfettamente
chiaro» annuì lui. «Beh, potresti provare ad invitare la Wells.
Lei sicuramente accetterebbe. Non lo troverebbe invadente.»
«Sai che l'ho pensato
anch'io? Lei è così... diversa. Diversa in senso positivo,
intendo. La maggior parte dei detective che conosco è supponente e
piena di sé, lei invece è così... oh, con questo non intendo che
voi siate arroganti. Insomma, voi mi piacete: tu, Mike, Nina,
Burns... voi siete a posto. Fate parte di quella minoranza che non si
crede Dio.» Evidentemente imbarazzata, Tanya si trincerò dietro il
boccale e bevve un lungo sorso di birra.
«Tranquilla, anch'io penso
che la maggior parte dei detective vada in giro a pavoneggiarsi. Io
ho avuto la fortuna di capitare in una buona squadra. Insomma, sono
sempre stato convinto che conti molto l'elemento umano, al di là dei
risultati. Se non riesci ad andare d'accordo con i colleghi, non puoi
far bene il tuo lavoro.»
«Immagino che tu abbia
ragione» concordò lei. «Insomma, per me è un po' diverso: in
laboratorio sono sola, non ho nessuno da farmi piacere.»
«Ma se lavorassi con una
squadra di detective che non riesci a sopportare, probabilmente non
ti piacerebbe fare quello che fai.»
«Forse hai ragione»
sorrise la ragazza. Per un istante i loro sguardi si incrociarono,
separandosi subito dopo, profondamente imbarazzati. Entrambi erano
perfettamente consapevoli di avere un debole per l'altro, ma il
timore di essere rifiutati probabilmente li avrebbe sempre trattenuti
dall'indagare a proposito del reciproco interesse.
«Tanya, posso farti una
domanda?» domandò Roe, spezzando il silenzio che si era creato.
«Forse ti sembrerà un po' strano, ma è una cosa che devo sapere.»
«Ma certo, spara pure.»
«Ecco, io... l'altro
giorno ho trovato sulla mia scrivania un cesto di specialità
gastronomiche, e mi stavo chiedendo se... ecco, io pensavo che
potessi essere stata tu a lasciarlo lì. Forse penserai che sia una
sciocchezza, ma...»
«Oh, non è una
sciocchezza. Sono stata io.»
«Ah, bene. Mistero
risolto, allora» rispose l'uomo, sorridendo nervosamente.
«Per caso non ti è
piaciuto?» indagò lei. «Insomma, credo che anche l'FBI sappia che
adori il cibo, e quindi ho pensato...»
«Oh, no, no, mi è
piaciuto moltissimo. Vespucci è uno dei migliori negozi di questo
genere, e... ecco, io però mi stavo chiedendo... ecco, perché?»
Tanya esitò un attimo,
come cercando la risposta migliore. «Beh, era per ringraziarti dei
fiori che mi hai mandato.»
«Oh, certo. Per i fiori»
ribatté Roe, cercando di capire di che cosa diavolo stesse parlando.
A meno di non avere una personalità nascosta di cui non sapeva
niente, era più che certo di non averle mai mandato dei fiori.
«Naturalmente. Ma non era necessario.»
«L'ho fatto con piacere.
Ecco, visto che siamo in tema, potrei farti una domanda anch'io?»
«Ma certo, chiedi pure.»
«Ecco, io mi stavo
chiedendo... mi stavo chiedendo perché mi hai mandato dei fiori.»
Roe deglutì un paio di
volte, sentendo la gola seccarsi pericolosamente. Che cosa poteva
inventare per cavarsi da quella situazione? Avrebbe sempre potuto
confessare di non essere stato lui a mandarle l'omaggio, ma aveva la
sensazione che la verità non avrebbe portato a nulla di buono. Non
era mai stato bravo a mentire, ma in quel momento raccontare una
bugia sembrava la strada più semplice da percorrere. «Beh, io...
volevo soltanto ringraziarti per lo splendido lavoro che svolgi ogni
giorno. È anche grazie alle tue idee geniali se riusciamo a prendere
i criminali, e volevo... ringraziarti. E poi non ti avevo
preso niente per il tuo compleanno, mi è sembrata una buona idea...
prenderti... qualcosa» concluse, riparandosi dietro il boccale.
«Beh, grazie. Sei stato
molto carino. Sai, sono felice di aver trovato il mittente, anche se
non c'era biglietto. Mi sarebbe spiaciuto non ringraziare.»
«Toglimi una curiosità:
come hai fatto ad arrivare a me, se non c'era biglietto?»
«Oh, io... beh, non...
ecco, io...» Tanya distolse lo sguardo, fortemente imbarazzata. Si
era infilata in un vicolo cieco, e ora era in trappola. Avrebbe
potuto mentire, ma aveva la sensazione che avrebbe limitato ancora le
possibilità di uscirne indenne. A questo punto, tanto valeva dire la
verità. «Ecco, in verità io speravo che fossero da parte
tua, perché... beh, sei l'unico uomo dal quale mi farebbe piacere
ricevere dei fiori. Beh, l'unico oltre a Brad Pitt, si intende.»Tornò
a guardare Roe, e dal modo in cui lui aveva aggrottato la fronte capì
che forse non era riuscita ad esprimersi chiaramente. «Insomma, Roe,
quello che sto cercando di dire è che mi piaci, che... beh,
che mi farebbe piacere passare del tempo con te anche al di fuori
del lavoro.»
«Tipo... uscire insieme?
Andare a cena, al cinema... cose così?»
«Sì, qualcosa del genere.
Sempre che tu sia d'accordo, naturalmente.»
«Oh, ma certo. Certo, sono
assolutamente d'accordo.» Roe non riusciva a spiegarsi perché, ma
gli pareva che quella confessione lo avesse reso ancora più
impacciato e nervoso. Era andato tutto bene finché lei non aveva
detto di essere attratta da lui – perché era questo che aveva
detto, nonostante non avesse usato quelle testuali parole. Non
riusciva a credere di possedere una qualunque caratteristica in grado
di sedurre una donna – una donna speciale come Tanya, poi! Non
aveva fascino, non aveva soldi, aveva un senso dell'umorismo
incomprensibile alla maggior parte della gente – si intendeva
soltanto di cucina, e la sola cosa in cui avesse una certa abilità
era risolvere delitti, anche se con l'arrivo di Carrie in squadra gli
sembrava di aver perso anche quella capacità.
«Roe, ti senti bene? Hai
una faccia... strana.»
«Sì, certo, sto
benissimo, ho solo... sono solo un po' stanco, credo. Sono stati
giorni complicati.»
«Ma certo, è
comprensibile. Credo... forse dovremmo andare.» Nonostante il
sorriso che si ostinava a mostrare, Tanya gli apparve triste – e
questo era davvero comprensibile, molto più della sua
supposta stanchezza.
«Ma no, non preoccuparti,
va tutto bene, non...»
«In realtà sono molto
stanca anch'io, e domani avrò molto da fare in laboratorio,
quindi...» Finì la propria birra, e mentre Roe la imitava si alzò,
infilandosi il cappotto. Soltanto a quel punto Roe si soffermò ad
osservarla, notando la cura con la quale si era preparata:
l'attenzione per i dettagli era palese, e sapeva di non doverla
attribuire soltanto alla sua natura meticolosa – se si era data
tanta pena per uscire con lui, non poteva essere un caso. Tanya era
davvero attratta da lui, e le aveva provate tutte pur di
farglielo capire – ma lui, da vero stupido, non era riuscito a
convincersene nemmeno quando glielo aveva detto in faccia.
«Quanto le devo?» domandò
a Frank, fermandosi davanti al bancone con il portafogli in mano.
«La prossima volta,
ragazzo» rispose l'uomo, sorridendo alla nipote. «Per gli amici
della mia nipotina il primo giro è gratis.»
«Allora grazie» rispose
lui, rimettendo in tasca il portafogli. «Consiglierò questo posto
in giro. La birra è davvero ottima.» Salutarono e uscirono nel
freddo inverno del Queens, rabbrividendo entrambi al primo contatto
con l'atmosfera gelida. Si incamminarono verso casa, senza sapere
bene come spezzare il silenzio. «Mi è piaciuto venire qui» esordì
lui, sperando di riuscire a ravvivare la conversazione. «Mi piace
davvero, è un bel locale. Lo consiglierò a tutti i miei amici.»
Evitò di dire che non aveva amici al di fuori del dipartimento:
sembrare uno sfigato era una cosa, ma confermare al mondo di non
avere una vita sociale era tutto un altro paio di maniche. «Tuo zio
sembra simpatico.»
«Sì, è un tipo a posto.
Non si è mai sposato, perciò gli piace trattarmi come se fossi sua
figlia. Si è sempre preso buona cura di me. E mi ha insegnato come
difendermi da eventuali aggressori, che non è cosa da poco.»
Finalmente Tanya sorrise di nuovo, e Roe si trattenne a stento dal
saltare di gioia: adorava il sorriso di Tanya, e ogni volta che
doveva rinunciare a goderne sentiva il cuore frantumarsi.
«Hai fratelli o sorelle? È
una cosa che mi sono sempre chiesto.»
«Ho un fratello, Chris. Ha
quattro anni più di me.»
«Com'è che non ti ho mai
sentita parlare di lui?»
«Non è che ci sia molto
da dire, in realtà. Non ci sentiamo spesso.»
«Non siete molto legati?»
«No, lo siamo molto, ma
non abbiamo molte possibilità di sentirci. Vive in un paesino
sperduto in Canada, e le comunicazioni sono un po' difficili.»
«Di che cosa si occupa?»
«Pesca salmoni.»
«Come?»
«Pesca salmoni al largo
delle coste della Nuova Scozia. Lo so, detta così sembra una cosa
strana, ma... beh, è quello che fa.» Tanya tacque per un istante,
come pensando al modo in cui continuare la frase, poi riprese: «Ha
sempre avuto un gran cervello. Era molto più brillante di me, a
scuola.»
«Anche tu hai un cervello
niente male, mi pare.»
«Mi sono sempre applicata
molto. Ero una vera secchiona. Lui invece riusciva ad ottenere
risultati migliori senza nemmeno impegnarsi. Ricevette una borsa di
studio per il MIT, ma vi rinunciò. Avrebbe potuto fare grandi cose,
ma disse che non voleva vivere chiuso in un laboratorio. Gli è
sempre piaciuto vivere all'aria aperta, senza limiti. Non sarebbe
stato se stesso con un camice addosso.»
«Tu invece hai fatto il
contrario» osservò Roe, fermandosi accanto a lei nei pressi di un
attraversamento pedonale.
«Io ho sempre avuto una
gran paura del mondo esterno» rispose lei. «Non in senso fisico, ma
in senso... emotivo. Ho sempre avuto il terrore di trovarmi
sola a fronteggiare minacce che non potevo combattere. Insomma, il
mondo è un posto immenso, e se ci pensi bene noi siamo soltanto dei
minuscoli puntini che corrono di qua e di là senza alcuna idea di
dove andranno a sbattere. Il mondo può essere un posto pericoloso,
se non ti senti pronto ad affrontarlo.»
«Capisco che vuoi dire. Ho
passato metà della mia vita sentendomi inadeguato nei confronti del
mondo. In realtà, credo ancora di sentirmi fortemente a disagio.»
«Sai che non riesco ad
immaginarti da ragazzo? Insomma, Mike me lo immagino come una figura
autoritaria, Nina la vedo bene nei panni della prima della classe...
ma tu? Che tipo eri?»
Roe
ci pensò su per qualche secondo, mentre il semaforo diventava verde
e iniziavano ad attraversare la strada. «Beh, diciamo che ero
un tipo... ordinario. Non mi mettevo in mostra, ma non ero
nemmeno il paria della situazione. Insomma, non ero il tipo con gli
occhiali e l'apparecchio a cui tutti fanno gli scherzi. Ero... ero
quello che rimane zitto in un angolo a farsi gli affari suoi.»
«Detta così, non sembra
una bella cosa.»
«Ho avuto un'adolescenza
tranquilla. In realtà, tutta la mia vita è stata tranquilla. Non mi
è mai capitato nulla di straordinario.»
«Quindi non hai mai
sognato che ti capitasse qualcosa di grandioso? Insomma, qualcosa in
grado di cambiare per sempre il corso delle cose?»
«Oh, l'ho sognato, certo.
Ma sognare una cosa non significa che ti capiterà.»
«Beh, lo sanno tutti che
non basta sognare una cosa per far sì che succeda. Devi rimboccarti
le maniche e lavorare sodo, e allora forse otterrai quello che
desideri.»
«Ma sentila...»
sorrise Roe, sorpreso da quell'affermazione tanto decisa. «E di te
che mi dici, invece? I tuoi sogni si sono tutti avverati?»
«Non tutti»
ammise Tanya. «Buona parte sì, però.»
«E quali, sentiamo?»
«Beh, volevo ottenere un
buon lavoro, fare carriera nel mio campo, avere una casa tutta per
me... le cose che sognano tutti, no?»
«E quali sono i sogni che
non si sono ancora avverati?»
Tanya non rispose subito,
ma quando parlò, la sua voce tradiva una malinconia che non si
confaceva al suo carattere solare e sempre positivo. «Avere qualcuno
con cui condividere tutto questo, credo.»
Alzò lo sguardo, e nella scarsa luce dei lampioni Roe si convinse di
vedere due profondi occhi scuri lucidi di lacrime. «Non sono mai
stata brava a capire le persone. Ci sono centinaia di cose in cui
sono considerata la migliore, ma non riesco mai a capire le
intenzioni della gente. In amore ho preso degli abbagli che nemmeno
immagini.»
«Non
me ne parlare» sospirò lui.
«Questa è un'altra cosa che abbiamo in comune.»
«Non dico di non stare
bene con me stessa» proseguì
lei, «sto benissimo con me stessa. È solo che di tanto in tanto
sarebbe carino avere il sostegno di qualcuno che non sia un familiare
o un semplice amico. Insomma, sarebbe bello avere qualcuno che ti
rimane accanto perché lo vuole, e non perché obbligato da
legami di sangue o altri vincoli. Insomma, qualcuno che ti ami così
come sei, perché vuole amarti.»
Si fermarono in prossimità di un altro incrocio. Mancava soltanto un
isolato al momento in cui si sarebbero separati, e Roe avrebbe fatto
qualunque cosa per rimandare quell'istante il più a lungo possibile.
Gli piaceva la compagnia di Tanya, anche se in quel momento lei non
era esattamente la Tanya che aveva imparato a conoscere e di cui era
innamorato. «Ecco, credo sia questo l'ultimo sogno che mi
resta da realizzare: avere accanto qualcuno che mi consideri il
suo mondo.» Il semaforo si
fece verde, e insieme i due si mossero in avanti. Erano a metà del
percorso quando Roe ebbe la prima buona idea della giornata: allungò
una mano, cercando alla cieca la sua. Le sfiorò appena le dita,
timido, e pochi istanti dopo le strinse tra le sue. Tanya non si
allontanò, e nella sua mente romantica e insicura si fece strada
l'idea che doveva essere un segno del destino: Tanya non lo avrebbe
mai allontanato, mai – lei sarebbe stata per sempre
quell'unica persona in grado di accettarlo per com'era, senza tentare
di cambiarlo, e sarebbe stata per sempre quell'unica persona in grado
di stargli accanto senza cambiare se stessa, per nessuna ragione al
mondo. In quella tenera stretta Roe sentì che erano compatibili,
quasi fatti l'uno per l'altra, da sempre soli, da sempre
diversi, ma per qualche strana ragione, quando erano insieme,
perfetti.
Continuarono a camminare
senza dire una parola, senza tentare di dar voce ad un silenzio che
sembrava davvero perfetto.
«Eccoci qui, siamo
arrivati» disse Tanya qualche
minuto dopo, fermandosi davanti all'ingresso di un signorile palazzo
da poco ristrutturato. «Io abito qui.»
«Bell'edificio, mi piace»
rispose Roe, alzando la testa per cogliere il palazzo nella sua
interezza. «Io non abito in un posto così carino»
aggiunse, allentando un po' la stretta delle dita per riuscire a
voltarsi e a mettersi davanti a lei.
«Hanno finito da poco di
ristrutturare, c'è ancora polvere in ogni angolo»
fece lei con un sorriso. «Forse per il duemilaventi avrò finito di
pulire» aggiunse, guardando nella sua
stessa direzione.
Roe
sentiva il cuore andare a mille, come un adolescente alla prima
esperienza – in fondo, nonostante il passare degli anni non era
cresciuto affatto. Sapeva di non essere un uomo come tutti gli altri,
sapeva che Tanya non era una donna come le altre, e sapeva che tra
loro niente
sarebbe mai stato normale.
Ancor prima di provarci, sapeva che tra loro non sarebbe mai andata
come nei film, e che non sarebbe bastato sporgersi in avanti e
baciarla a lungo per far andare tutto bene. In quel momento Tanya
tornò a guardarlo, e Roe capì che una ragazza come
quella, così speciale e vera,
meritava soltanto la verità. «Tanya, c'è una cosa
importante che ti devo dire.»
«Ti sei fatto serio»
osservò lei. «Più del solito, intendo.»
«Ti ho mentito, prima»
replicò lui, senza troppi giri di parole.
«A che proposito?»
Ora era il volto di lei ad essersi fatto serio – umore che, Roe lo
sapeva, non le si confaceva affatto.
«Non sono stato io a
mandarti quei fiori.»
«Cosa?»
«I fiori, quelli che hai
messo in laboratorio... non sono stato io a mandarteli.»
«Ma... ma tu prima hai
detto che...»
«Sì, lo so, ma il fatto è
che... oh, non lo so. Non avrei dovuto mentire, ma sul momento mi
sembrava la cosa giusta da fare. Comunque non... non sono stato io a
mandarli. Mi lusinga che tu abbia pensato che fossi stato io, ma non
posso continuare a mentirti.»
Tanya gli lasciò la mano e
abbassò lo sguardo, cercando di mettere a fuoco il concetto, e per
la seconda volta sul suo viso si dipinse un'espressione abbattuta: in
quello che Roe le aveva appena confessato non vedeva la possibilità
di avere un ammiratore segreto di cui non si sospettava l'esistenza,
ma soltanto la delusione che non fosse stato l'uomo di cui era
innamorata a farle un simile omaggio. Qualunque altra donna si
sarebbe rallegrata nel sapersi al centro dell'attenzione di qualcuno,
ma lei non ci riusciva: da tempo aveva soltanto un uomo in mente, ed
era lui l'unico dal quale avrebbe voluto ricevere un simile regalo.
«Quindi non... non sei stato tu?»
«No, non sono stato io. Ma
considerando quello che hai detto prima, io... vorrei davvero essere
stato io.» Aspettò per qualche secondo
una risposta, poi riprese: «Se vuoi arrabbiarti con me, hai
tutto il diritto di farlo. Insomma, se qualcuno mi prendesse in giro
a questo modo io... io credo che mi arrabbierei.»
Non lo disse ad alta voce, ma avrebbe preferito sentirsi urlare
contro rabbia e risentimento, piuttosto di costringersi a riempire
stupidamente un silenzio che faceva più rumore di uno sparo.
«Non sono arrabbiata, Roe.
Non è che hai confessato un omicidio, o una cosa del genere. È solo
che... beh, io stavo... stavo cercando di capire chi potrebbe essere
stato, e... non riesco davvero a capire.»
«Chiunque sia stato, sono
certo che si tratta di uno in gamba. E a rischio di ripetermi... beh,
vorrei davvero essere stato io. Posso restituirti il cesto, se vuoi.
Non ho ancora toccato niente.»
Subito dopo aver parlato, desiderò di potersi rimangiare tutto:
aveva davvero detto una cosa così stupida?
Dopo un attimo di silenzio,
Tanya scoppiò a ridere. «Non voglio che mi restituisci il cesto,
Roe. È un regalo. Ringraziarti per i fiori era soltanto una scusa,
probabilmente presto o tardi te lo avrei mandato comunque. Vedilo
come un regalo di compleanno.»
«Ma il mio compleanno è
fra quattro mesi!»
«Beh, il mio è stato due
mesi fa, ma questo non ti ha fermato dal dire che i fiori erano anche
un modo per festeggiare.»
«Oh. Beh, in questo
caso... grazie, Tanya.»
«Prego, Roe. Non c'è di
che.»
Sul volto della ragazza
tornò a risplendere il sorriso, e Roe sentì che a quel momento non
mancava niente per essere perfetto. O forse sì. «Tanya, posso
chiederti una cosa? Ti sembrerà una cosa stupida, ma tu non farci
caso.»
«Va bene, spara.»
«Resta ferma dove sei.»
«In effetti sembra una
cosa strana, ma... va bene. Che vuoi fare?»
Roe non rispose;
semplicemente, fece l'unica cosa in grado di rendere quel momento
ancora più speciale: le mise le mani sulle spalle, prese un respiro
profondo e la baciò, così come avrebbe voluto fare dal momento in
cui gli era corsa incontro poco più di un'ora prima, trafelata e in
colpa per il ritardo. «Buonanotte, Tanya»
sussurrò a pochi centimetri da lei, prima di allontanarsi lungo il
marciapiede.
Tanya, che aveva chiuso gli
occhi nell'istante in cui le loro labbra si erano toccate, riaprì le
palpebre e le sbatté a lungo, cercando di capire che cosa diavolo
fosse successo. Quando riuscì ad individuare Roe, era già lontano.
Per la prima volta da
quando aveva iniziato a lavorare lì, Tanya entrò al dipartimento
sperando di non incontrare nessuno che la conoscesse. Il suo aspetto
era lo stesso di sempre, ma lei si sentiva profondamente diversa, e
temeva che quel cambiamento fosse visibile a chiunque incrociasse il
suo sguardo. Non riusciva a comprendere il comportamento di Roe: non
riusciva a capire perché se ne fosse andato a quel modo subito dopo
averla baciata, senza dire una parola, senza indugiare nella
perfezione di quel momento – perché, lo sapeva, quel momento era
stato perfetto. Non credeva di aver fatto o detto nulla di
sbagliato – e allora perché lui era fuggito via a quel modo? Forse
era un segno del destino – forse non avrebbe mai compreso gli
uomini.
Entrando nella stanza che
costituiva tutto il suo mondo professionale, Tanya ebbe un sussulto:
il misterioso mazzo di fiori recapitatole da Carrie qualche giorno
prima era ancora al proprio posto, ma la sua bellezza era offuscata
dal gigantesco mazzo di gardenie appoggiato accanto al suo
computer. Abbandonati cappotto e borsa sulla prima superficie
disponibile, Tanya corse ad aprire il biglietto che faceva capolino
tra i fiori, e non riuscì a fare di meno di trattenere il fiato
leggendo le poche righe che vi erano tracciate: «Così siamo
pari. Il salame di Busseto non avrebbe avuto lo stesso sapore, se non
avessi ricambiato. Questa sera pizza?»
Trattenendosi
a stento dal piangere di gioia, Tanya si strinse il biglietto al
cuore e si morse il labbro inferiore, felice come una bambina a
Natale. All'improvviso, capì che non c'era una ragione particolare,
se la sera prima Roe se n'era andato senza una parola: forse era solo
uno di quegli uomini che non riuscivano ad esprimersi a parole, e che
soltanto nei fatti riuscivano a riversare il mondo di concetti che
avevano da esprimere. Poco male, si disse: lei stessa era una di
quelle donne che preferivano la sincerità di un gesto venuto dal
cuore alla falsità di mille parole non davvero sentite. In quanto
scienziata, sapeva che era impossibile prevedere il futuro – ma in
quanto sognatrice, sentiva che tra lei e Roe sarebbe andato tutto
bene. Sarebbe stato tutto perfetto.
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