capitoloXIV
GRAZIE! GRAZIE A TUTTI, PER
LA PAZIENZA E PER L'AFFETTO!
Martina
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“Pensavo non volessi più
vedermi.”
Lui staccò la schiena dalla
poltrona continuando a fissarla intensamente
“Infatti...”
Rispose tirandosi su senza
fatica
“... Ma poi ho realizzato...
… Sei tutto quello che ho
adesso.”
Joseph sollevò la mano e
gliela posò delicatamente sulla guancia in una carezza.
“Aiutami ad uccidere
William.”
Cara spalancò gli occhi
contro i suoi e staccò il viso dal suo tocco bollente
“Cosa?”
Aveva perfettamente capito le
parole, ma non era affatto sicura che facesse sul serio. Poteva
essere l'ennesimo trucco, sarebbe stato più che plausibile.
Joseph si mosse nella stanza e
lontano da lei, giocherellando coi pendenti dell'improbabile
abat-jour, riprendendo a parlare senza guardarla
“Mi hai detto la verità...
Proprio tu, di tutte le persone al mondo, mi hai detto la verità.”
Gli venne da sorridere.
Cara stette in silenzio
limitandosi ad ascoltare quella che sembrava solo una mera
introduzione al vero discorso. Non attese molto, Joseph riprese fiato
e si spostò nuovamente nelle sue vicinanze
“Ero così arrabbiato
qualche ora fa. Furioso, sconvolto, disperato...”
Tornò a guardarla negli
occhi, ancora senza avvicinarsi. Indicò il nulla con la mano destra
“...Quell'uomo ha ucciso
l'unica persona che avessi al mondo e mio fratello... beh, quello che
consideravo mio fratello, mi ha praticamente riso in faccia...”
Cara sbatté le palpebre un
paio di volte cercando di reggere il suo sguardo così acceso
“...Sono solo adesso.”
Ammise infine, a metà tra la
vergogna e l'orgoglio. I suoi occhi si posarono a terra per qualche
istante e si rialzarono di colpo, ancor più ardenti
“Ora so esattamente cosa hai
sentito mentre guardavi i tuoi genitori morire...”
Stavolta fu Cara a guardare il
pavimento, attraversata dal più rapido e tagliente dei flashback.
Joseph l'obbligò delicatamente a sollevare il mento, poggiando
ancora una volta le dita sul suo viso
“...Dopotutto siamo uguali
io e te.”
Il respiro iniziava a starle
stretto nei polmoni, mentre si perdeva nell'azzurro dei suoi occhi.
Riusciva quasi a vedere le immagini e le idee che prendevano forma
dietro quelle iridi cristalline, terrificanti e seducenti,
esattamente come il loro padrone. Non era il bianco il suo colore,
ogni goccia di luce sembrava infrangersi addosso a lui, risucchiando
tutta l'aria che Cara avrebbe voluto respirare in quel momento.
“Questa ragazzina
misteriosa...”
Lasciò passare una ciocca dei
suoi capelli color platino tra le dita, sfiorandole appena la pelle
col dorso della mano. C'era un mezzo sorriso sul suo viso, non uno di
gioia o d'umorismo, bensì un sorriso compiaciuto e beffardo, quello
di chi pregusta l'atto finale della propria tragedia
“...che è riuscita ad
entrarmi nella testa come niente fosse...”
Lasciò scorrere il dito giù
lungo il suo braccio sottile, lasciando una scia di piccoli brividi
“...che sapeva esattamente
cosa volevo...”
Le accarezzò piano il palmo
della mano, guardandola tendersi come una corda di violino
“...Che sembra conoscermi
meglio di chiunque altro al mondo...”
Smise di toccarla e tuffò gli
occhi nel blu profondo ed agitato di quelli di Cara
“...Dimmi ragazzina. Cos'è
che voglio adesso?”
Avrebbe potuto suonare come
una domanda retorica, ma non lo era affatto. Dall'alto della sua
torre d'avorio, forte della sua armatura di ghiaccio, Joseph sperava
davvero che almeno lei potesse leggergli la mente, che almeno lei
potesse portare un attimo di chiarezza in quella dolorosa confusione.
Cara si leccò le labbra e si
perse nelle sue pupille. Poteva vedere nulla più che il suo stesso
riflesso, ma tanto bastava per avere tutte le risposte
“Vuoi vendetta...”
Iniziò con la parola più
banale
“...Vuoi che William
muoia...”
Strinse il proprio abito tra
le dita
“...Vuoi che sia lento...
lungo.. E straziante...”
Descriveva il delitto come
avrebbe descritto il più erotico degli incontri, con la voce bassa
ed il respiro profondo, passando le mani sui fianchi nel tentativo di
spegnere il calore che le stava rapidamente crescendo dentro.
“...Vuoi che muoia
guardandoti negli occhi, sapendo esattamente perché sta morendo...”
Joseph l'ammirava come si
ammira il raro capolavoro di un artista, totalmente assorbito dalle
sue labbra e dal suo inconsapevole e sensuale ondeggiare
“...Vuoi essere libero.
Libero da tutto questo.”
Non aggiunse altro e stavolta
fu lui a leccarsi le labbra, accarezzandola ancora una volta con gli
occhi dall'alto in basso. Forse la ragazzina dell'aereo non aveva
tutte le risposte, ma di certo sapeva come portare la sua mente a
livelli completamente diversi. William era adesso un pensiero
lontano, come fosse già morto, ucciso dalle sue fantasie. Tutto ciò
che gli sembrava di sentire in quella stanza era l'odore
dell'eccitazione di Cara.
“Hai dimenticato una cosa.”
Provocò lui. Cara prese un
respiro profondo ed abbassò gli occhi, riprendendo l'aspetto della
più innocente creatura. Joseph sentì le mani fremere ed i pantaloni
farsi ancor più stretti
“Già...”
Lei risollevò lo sguardo col
labbro tra i denti
“...Vuoi strapparmi i
vestiti di dosso.”
////////
Nel corridoio che portava allo
studio di suo padre l'aria sembrava improvvisamente farsi fredda.
Elia si passò la mano sulla fronte mentre sudava freddo. Era la
prima volta che guardava in faccia William dopo le rivelazioni di suo
fratello e non aveva idea di come avrebbe reagito. Non sapeva però
cosa lo spaventasse di più, l'eventualità di sentirsi paralizzato e
disgustato o la più probabile possibilità di non sentir nulla.
Quasi certamente era davvero un mostro senza emozioni e varcando
quella soglia l'avrebbe presto scoperto.
William l'accolse di spalle
mentre sistemava un volume sulla mensola più bassa della libreria
“Era ora che ti facessi
vedere figliolo.”
Si voltò nella sua mattiniera
serietà, avvolto nella giacca di lino grigia che teneva aperta sul
gilet dello stesso colore. Dietro di lui il grosso orologio d'ebano
batteva ogni secondo come una martellata. Nulla sembrava diverso dal
solito.
“Sono stato piuttosto
impegnato.”
“Già...”
William sospirò tamburellando
sulla scrivania
“... Pare che tu abbia
venduto le mie proprie europee al caro Pushkin.”
Elia sollevò un sopracciglio
“Le mie proprietà
padre.”
L'anziano sospirò tirandosi
su dalla poltrona di pelle. Sollevò l'indice
“Partiamo da un presupposto
figliolo...”
Aggirò il mobile e gli fu di
fronte
“...Tutto quello che tu e i
tuoi fratelli pensate di possedere non è affatto vostro. Tutto
proviene da me.”
Una prima ondata d'acidità
sembrò riempire la bocca di Elia mentre l'altro continuava
“Vuoi spiegarmi la ragione
di una simile trattativa?”
Elia si sforzò di respirare a
fondo, cercando con tutte le proprie forze di non pensare alle parole
di Joseph.
“Katrina...”
Rispose ed il vecchio aggrottò
le sopracciglia
“...L'ho riportata a casa.”
William tornò serio di colpo,
come se quella rivelazione fosse del tutto inaspettata. Afferrando i
lembi della giacca raggiunse il mobile bar e si versò un dito di
buon whisky. Poco importa che la lancetta più corta sfiorasse a
malapena le nove. Mandò giù e si voltò nuovamente verso suo figlio
“In tutto onestà figliolo,
sono deluso.”
Elia spalancò le braccia
perdendo la sua aplomb per qualche secondo
“Perché? Non era questo che
volevi? Che mi riprendessi ciò che è mio?”
L'altro contemplò l'idea d'un
secondo bicchiere, ma poi si limitò a sospirare, sfoderando un
improbabile sorriso
“Spero solo che tu abbia
imparato la lezione...”
Passò il dito sul bordo del
bicchiere vuoto
“...Tieni tua moglie
tranquilla. Tienila soddisfatta. Tienila fuori dai tuoi affari.”
Moglie. In quel momento
pensare a sua madre fu inevitabile.
“Posso farti una domanda
padre?”
William sembrò spiazzato per
un istante, ma annuì non di meno.
“Certo. Chiedi pure.”
Elia inspirò a fondo
“Come hai fatto a perdonare
la mamma?”
Chiaramente non era la domanda
che poteva aspettarsi. Lo sguardo di William si fece più scuro di
colpo, ma lo sdegno si tramutò presto in una maschera seria senza
ulteriore espressione
“L'ho riportata a casa, le
ho lasciato tenere il suo piccolo bastardo... ma non ho mai detto di
averla perdonata.”
A quelle parole un brivido
gelato attraversò Elia dalla punta dei piedi alla cima dei capelli.
Aveva perfettamente senso, tutto prendeva perfettamente senso.
“Figliolo?”
William lo riportò alla
realtà con una pacca sulla spalla. Elia si tirò indietro
immediatamente, senza controllo sui propri muscoli.
“Ho bisogno che tu stia
concentrato Elia...”
A quel punto suo padre tornò
a sedersi alla scrivania come nulla fosse
“...Sto aspettando un grosso
carico d'armi dalla Serbia e mi aspetto che tu sia lì a gestire le
trattative con me. Dopotutto sei tu il mio erede.”
Il mio erede. Quelle parole
lenivano il suo shock come un balsamo malefico, accarezzando la parte
più presuntuosa ed egoista della sua psiche. Elia scosse la testa
cercando di tornare lucido.
“E saluta tua moglie da
parte mia.”
Che fosse sarcastico o meno,
Elia prese al volo quel saluto e si avvicinò alla porta. Non
riusciva a decifrare il suo stesso stato d'animo. L'aria in quella
stanza sembrava irrespirabile, eppure continuava a soffiargli addosso
senza nemmeno toccarlo.
“Padre?”
“Sì Elia?”
Restando di spalle sentì i
muscoli tendersi
“Tu hai...”
Qualsiasi cosa volesse dire
era sparita, fuggita via più veloce della luce
“Ho cosa figliolo?”
Tutte quelle domande erano
decisamente insolite.
Ucciso nostra madre per
caso?
Elia scosse la testa e spinse
giù la maniglia
“Non importa.”
Corse fuori dallo studio ed
incappò nella scia di profumo di Nathaniel.
“Hey fratello!”
Eccolo lì, nella sua più
completa e vanesia ingenuità
“Finalmente facce familiari,
iniziavo davvero ad annoiarmi!”
Elia cercò di risvegliare la
sua bocca asciutta
“Hai visto Joseph
ultimamente?”
L'altrò corrugò la fronte di
fronte a tanta serietà
“Non negli ultimi due o tre
giorni. E non risponde nemmeno alle mie chiamate... Suppongo stia
ancora smaltendo il suo epico fallimento.”
Elia annuì come se non lo
stesse nemmeno ascoltando
“Puoi farmi un favore Nate?”
L'altro scrollò le spalle
“Certo.”
“Se Joseph dovesse venire
qui chiamami subito, ok?”
L'altro annusò l'insolita
agitazione
“Qualcosa che dovrei
sapere?”
A cosa sarebbe servito
coinvolgere anche il piccolo Nate? Elia scosse il capo e si sforzò
di sorridere
“Niente d'importante.”
Pur non essendo convinto,
Nathaniel sapeva quand'era il caso di star fuori dalle lotte di
potere tra i suoi fratelli, quasi potesse già vederli scontrare le
corna o mordersi al collo solo per il posto da capobranco.
“Ci vediamo fratello.”
Elia sfilò via e Nate riprese
la strada verso il salotto, totalmente ignaro dell'orecchio di
William attaccato alla porta. Solo quando fu certo che i suoi figli
se ne fossero andati prese il telefono e digitò la chiamata breve
“Damien sono io... Ho
bisogno che sorvegli la casa di mio figlio... Elia, sì... E quella
sgualdrina di sua moglie... Chiunque vedessi entrare o uscire
chiamami immediatamente.”
//////////
Era lì nuda, coperta di
sudore, che fissava il soffitto. Poteva ancora sentire la schiena
inarcarsi... Le sue mani erano dappertutto... Le sue labbra sui suoi
punti più sensibili... Il suo viso tra le gambe... Cara strinse le
lenzuola tra le dita, proprio come aveva stretto i capelli di Joseph
mentre lui l'assaporava, lento ed instancabile... Aveva chiuso gli
occhi e serrato le labbra per non urlare, determinata a non perdere
il controllo, nemmeno per un secondo.
Lui voleva sentirla gridare,
voleva che urlasse il suo nome o quello di Dio, che quella voce gli
risuonasse nelle orecchie per tutta la vita.
Voleva i suoi graffi sulla
pelle, sperando di non vederli mai guarire.
Trovò di nuovo la sua bocca.
Il corpo di Cara sembrava così piccolo sotto il suo peso, le sue
lunghe gambe l'abbracciavano alla perfezione, così comodamente che,
fosse stato capace di resistere, avrebbe prolungato quella tortura
all'infinito.
Lei trattenne il fiato quando
lo sentì entrarle dentro... Lento... Quasi dolce perfino... Così
crudele da farle assaporare ogni istante di quel contatto,
costringendola ad ascoltare il tumulto delle sue emozioni.
Quando aprì finalmente gli
occhi lui era lì, immobile dentro di lei, le pupille piantate nelle
sue.
Spostando il peso su un solo
gomito aveva sollevato la mano e le aveva accarezzato il viso,
spostandole dalla fronte una ciocca di capelli. Quel semplice gesto
le aveva provocato un'esplosione nel petto, più forte di qualsiasi
orgasmo, sballo o gioia che avesse mai provato in vita sua.
“Aiutami ad ucciderlo.”
“Dici davvero?”
“Non è quello che volevi
dall'inizio?”
Se ne stette lì seduta sul
letto e basta, mentre il calore di lui l'avvolgeva lentamente,
cercando di capire che razza di trucco fosse... Non era passato molto
dall'ultima volta in cui l'aveva visto perdere il controllo, perso e
disperato.
Ora sembrava determinato,
fermo, di nuovo forte come l'assassino senza pietà che avrebbe
dovuto essere.
Sembrava serio.
Sbottonava piano la
camicia.
Stregante.
Di nuovo le fu vicino e
Cara indietreggiò sulle coperte
“Mi hai distrutto la
vita...”
Iniziò, seguendo il suo
inutile tentativo di star lontana
“...Mi hai fatto quasi
impazzire...”
La inchiodò alla testiera
del letto, rapito per qualche secondo dalla magnifica visione della
spallina che le scendeva sul braccio
“Eppure ti voglio...”
Si avvicinò proprio a
quella spalla ora scoperta
“...Ti voglio in
continuazione...”
Ora le dormiva accanto, pancia
sotto su quel materasso da quattro soldi, le braccia strette al
cuscino ed il viso rilassato di chi non chiude occhio da giorni.
Respirò a pieni polmoni tracciando la linea dei suoi muscoli e del
suo profilo, il suo profilo perfetto.
Non voglio andarmene.
Non voglio fuggire.
Non voglio più fuggire.
Il pensiero le fece sollevare
la schiena in un istante, preoccupandosi solo dopo di averlo potuto
svegliare. In lontananza l'orologio del campanile rintoccava le prime
ore del mattino. Fortunatamente Joseph non si mosse.
Mise i piedi a terra ed
afferrò i suoi vestiti sparsi per il pavimento. Si rivestì nel più
completo silenzio, senza preoccuparsi di sistemare viso o capelli.
Aveva assoluto bisogno di uscire da quella stanza prima che lui si
svegliasse, la sua nuda presenza tra quelle quattro
mura le impediva di pensare lucidamente.
///////
Quando Joseph finalmente aprì
gli occhi, la stanza era quasi completamente inondata di luce, segno
che ormai il sole cadeva a picco su New Orleans. Stirò gambe e
braccia tra le lenzuola, le lunghe ore di sonno avevano dato sollievo
al suo cervello, ma i suoi muscoli pativano ancora la lunga ed
appassionata attività della notte prima. Trattenne il ghigno che
minacciava di affacciarglisi in viso e constatò l'assenza di Cara
dal suo fianco. Nulla di più prevedibile. Nonostante fosse
esattamente ciò che s'aspettava non si sentì meno deluso, se non
altro nel proprio intimo, perché a voce alta non l'avrebbe mai
ammesso, né a lei né a nessun altro.
Sospirando tirò su la schiena
ed allungò nuovamente le braccia. Eccola lì, seduta silenziosamente
sulla stessa poltrona dove lui l'aveva attesa la sera prima. Aveva il
viso pulito ed i lunghi capelli sciolti sulle spalle. Non sembrava
felice, tanto meno delusa o arrabbiata. Era semplicemente lì che lo
fissava, chissà da quanto.
Joseph non seppe cosa dire,
girò gli occhi per la stanza e solo allora si accorse dei bicchieri
di carta poggiati sul piccolo tavolo/scrivania accanto alle buste di
carta marrone. Ogni singola cosa riportava il marchio del CaFé Noir,
una caffetteria non troppo distante dall'hotel.
In quel momento Cara decise
finalmente di parlare
“Il tuo caffé é freddo
ormai.”
Disse atona e lui tornò a
guardarla, sentendosi un completo idiota.
Grande Joseph! Per la prima
volta quest'essere umano prova ad aprirsi con te e tu, come un
coglione, dormi fino a mezzogiorno.
Provò in qualche modo a
sorriderle, ma lei non rispose al gesto. Accavallò le gambe e
intrecciò le mani sul ginocchio scoperto
“Allora, qual è il piano?”
Joseph cercò di accendere il
cervello al volo, ma era ancora troppo stordito dal sonno e dalla
scena che aveva appena vissuto. Sentiva la bocca impastata e non
avrebbe affatto disdegnato una doccia bollente. Si schiarì la voce
“Posso almeno lavarmi la
faccia prima?”
Lei annuì abbassando lo
sguardo e trattenne la voglia di sbirciare mentre Joseph raccoglieva
ed indossava boxer e jeans. Che fosse così maledettamente bello
anche appena sveglio, coi capelli scompigliati ed i segni del cuscino
sul viso, era una vera ingiustizia.
Gli sfilò davanti e stette
non più di cinque o dieci minuti chiuso in bagno. Tornando nella
stanza, ancora a petto nudo, si bloccò di fronte al tavolo e non si
trattenne dal guardare dentro le buste della caffetteria. Dopotutto
il suo stomaco brontolava e negli ultimi giorni non aveva visto nulla
più che alcool e salatini. Trovò un po' di tutto in quei sacchetti,
dai croissant ai muffin, dalle omelette ad un improbabile sandwich
che profumava di funghi o salmone affumicato.
Guardò Cara che fissava
ancora il pavimento, sentendosi i suoi occhi addosso fu però
costretta a ricambiare lo sguardo sorpreso di lui. Scrollò le spalle
cercando di non mostrare l'imbarazzo che lottava per tingerle le
guance di rosso carminio
“Non avevo idea di cosa ti
piace.”
Lui addolcì lo sguardo. Era
la prima cosa gentile che Cara faceva per lui, la prima cosa gentile
che qualcuno faceva per lui da tanto tempo. Forse c'era davvero una
speranza per loro.
“Grazie.”
Rispose convinto, ma a mezza
voce. Non era una parola che diceva spesso. Allungò la mano nel
sacchetto e decise di iniziare dal dolce al cioccolato.
Anche se sapeva che non
avrebbe dovuto importargli, Cara prese mentalmente nota di quella
scelta. Girò rapidamente il volto perché davvero, dopo averlo visto
nudo, arrabbiato, disperato o contorto dall'orgasmo, non voleva
vederlo anche mangiare. Le azioni più semplici creano confidenza e
lei era già convinta che fossero andati troppo in là.
“Che cosa vuoi fare?”
Joseph mandò giù l'ultimo
boccone seguito da un sorso d'acqua, poi si pulì distrattamente le
mani sui jeans e si sedette sul letto
“Non posso andare a casa e
sparargli un colpo in fronte.”
“Appunto.”
Lui sospirò
“Elia conosce le mie
intenzioni. A questo punto immagino che la villa sia già sorvegliata
da cima a fondo.”
Lei scavallò le gambe e
raddrizzò la schiena
“Credi che abbia detto a
William quello che vuoi fare?”
Joseph fissò il nulla per
pochi istanti poi scosse la testa
“No. Anche se considera
William una specie di dio, sono sicuro che cercherà di risolvere le
cose nel modo più pacifico possibile.”
Cara prese a masticarsi in
labbro
“E se invece l'avesse
fatto?”
Lui inspirò sollevando le
sopracciglia
“Non resterei vivo più di
cinque minuti una volta uscito da qui.”
I loro occhi si incrociarono
ancora una volta. L'entusiasmo era sempre lì, ma realismo, tensione
e tristezza cercavano d'ammantarlo. Era pericoloso, unirsi in quel
piano ed uscire da quella stanza senza sapere esattamente cosa li
attendeva fuori era decisamente pericoloso. Per quanto bastardo
William teneva comunque le redini della città ed a quel punto,
quando ormai metà delle carte erano già scoperte, sarebbe stato
difficile sorprenderlo.
“Che facciamo allora?”
Joseph non abbandonò il suo
sguardo mentre verbalizzava l'idea più plausibile
“Le guardie che Elia avrà
piazzato aspettano me. Immagino siano pronte a scattare appena mi
avvicinerò alla villa, ma di certo non mi spareranno a vista.”
“Che vuoi dire?”
“Che darò a loro e ad Elia
ciò che esattamente vogliono...”
Lei aggrottò le sopracciglia
“...Uscirò da qui ed andrò
dritto a casa.”
Cara sembrò ancor più
confusa
“Tutto qui? L'hai appena
detto anche tu, non puoi semplicemente entrare e sparare.”
Joseph sollevò l'angolo della
bocca
“E qui entri in scena tu...”
Lo sguardo di lei s'aguzzò
alla prima ondata d'adrenalina
“...Una volta preso me
abbasseranno la guardia. Tutti pensano che tu sia ormai fuori dal
quadro e di certo non s'aspettano di vederci collaborare.”
“Che dovrei fare?”
L'anticipò lei come una bimba
impaziente.
“Ti dirò esattamente come
intrufolarti alla villa senza essere notata e una volta dentro dovrai
aspettare il momento giusto per muoverti. Elia avrà sicuramente
deciso di isolarmi e farmi il lavaggio del cervello, ma prima o poi
si stancherà e mi lascerà solo. Solo allora dovrai raggiungermi e
tirarmi fuori...”
Si fermò a prendere fiato
“...A quel punto saremo
dentro, liberi di agire.”
Il cuore di Cara batteva forte
sotto le costole, già la scena le sfilava davanti come in un film.
“Quando vuoi farlo?”
Joseph inspirò a pieni
polmoni una volta ancora, portando gli occhi alla finestra che dava
sulla via gremita e pulsante. Non vedeva l'ora di trovarsi a tu per
tu con William, solo loro due ed il suo coltello, tuttavia la bocca
dello stomaco si stringeva fuori dal suo controllo. Forse non sarebbe
mai nemmeno arrivato alla villa, forse Elia l'aveva davvero tradito
nel peggiore dei modi, probabilmente avrebbe perso la vita o comunque
tutta la sua famiglia. Sentiva gli occhi di Cara addosso ed il peso
di quello sguardo continuava a piacergli, lontano da tutto e tutti,
godendo dei loro corpi e delle loro fantasie. Quella bolla di sapone
era la più accogliente in cui si fosse mai rifugiato.
“Appena avrò calcolato
tutto.”
Espressa la sentenza Cara
iniziò a sentirsi scomoda nella poltrona. Stava lasciando ogni cosa
in mano a lui, come un comune soldato di fronte al proprio
comandante. Non poteva fidarsi di lui. Accantonato il fatto di aver
più volte indugiato nel piacere carnale erano comunque nemici,
giusto? Venivano ancora da pianeti diversi e condividevano nulla più
che il desiderio di veder morire un essere spregevole. Una volta
ucciso William non sarebbe rimasto nulla tra loro. Così sperava.
Così temeva.
Si passò le mani sulle
ginocchia fredde, si bagnò le labbra
“Pensi di stare qui nel
frattempo?”
Lui sollevò le spalle
“E' il posto più sicuro per
me.”
Cara annuì abbassando gli
occhi al pavimento. Non faceva una piega, nessuno lo avrebbe cercato
nella sua stanza d'albergo. Si sollevò in silenzio e sollevò
la sua borsa sul lato del letto che Joseph non stava occupando.
Iniziò a ficcarci dentro i pochi stracci sparsi per la camera
“Che stai facendo?”
Le chiese genuinamente
sorpreso. Lei sfilò in bagno ad afferrare spazzola e spazzolino.
Li gettò sgraziatamente nella
stessa borsa
“Se tu starai qui, io mi
troverò un altro posto.”
Joseph si alzò e la guardò
muoversi alla rinfusa
“Puoi anche restare.”
Cara si bloccò di scatto e
gli propose la sua espressione più seria
“Non voglio stare qui con
te.”
Ancora una volta Joseph si
sentì uno stupido. Quella risposta secca non avrebbe dovuto
provocargli alcuna reazione, di certo non fargli male.
“Non ti sei certo lamentata
la notte scorsa.”
Ribatté, più sgarbato di
quanto avrebbe voluto. Non desiderava certo che lei capisse di averlo
ferito.
Cara trattenne il suo sguardo
deciso per qualche secondo in più, poi abbandonò la borsa e
raggiunse il piccolo tavolo. Gli indicò il caffé ormai gelato ed i
sacchetti di carta
“Questa non sono io...”
Joseph sospirò. Il problema
era sempre lo stesso. Nessuno dei due voleva sentirsi vulnerabile.
Nessuno dei due voleva sentire.
“...A me non importa cosa ti
piace o non ti piace...”
Gli fu di fronte, il braccio
sinistro teso lungo il fianco e l'altra mano piantata nello stomaco
“...Queste cose che sento
non significano niente. Non sono niente...”
Lui si limitò ad annuire
lentamente
“...Non starò qui con te.”
Ribadì infine, appena prima
di tirare la zip della borsa e cercare il suo giubbotto. Joseph non
aggiunse o ribatté nulla, diventano una presenza invisibile al
centro della stanza.
“Ti chiamerò qui, così
saprai dove trovarmi.”
Di nuovo nessuna risposta.
Cara passò velocemente davanti allo specchio e sistemò i capelli
sulla spalla, poi aprì il cassetto del comodino e si infilò in
tasca il suo contenuto, all'apparenza nulla più che un documento ed
un paio di fogli piegati.
Infilò ai piedi un paio di
sneakers senza nemmeno slacciarle e sollevò la borsa che non pesava
più di qualche chilo.
Non voleva davvero andarsene,
ma il suo codice di valori la obbligava a fuggire. Non poteva davvero
provare qualcosa per Joseph Michaelson. Se fosse arrivata a quel
punto nessuno avrebbe più potuto salvarla, nemmeno un altro Robert
Mancini.
Aprì la porta senza nemmeno
salutarlo, ma immediatamente la stessa porta le si richiuse davanti
spinta dalla mano di Joseph, più grande, in alto e forte della sua.
Sentiva il peso di lui spinto
contro la schiena, il suo respiro deciso nei capelli, poteva vedere
ogni muscolo del suo braccio ancora teso contro il legno.
“Resta qui.”
Erano le parole di una
preghiera, ma gli uscirono di bocca come un ordine.
Cara chiuse gli occhi mentre
la barba incolta di Joseph le pizzicava il lato del viso. Col braccio
libero le circondò la vita
“Non voglio nulla più che
il tuo corpo...”
Le sussurrò all'orecchio, un
secondo prima di far forza e costringerla a voltarsi verso di lui
“...Te lo prometto.”
Non era esattamente vero, ma
se lo sarebbe fatto bastare.
///////
Elia entrò in casa sua come
una furia, buttando con forza la giacca sul divano. Era così
frustrante per lui non sapere cosa fare.
“Dove sei stato?”
Da dietro la voce di Katrina
lo raggiunse come un macigno dritto sulle spalle. Si voltò verso di
lei
“Ma non ti stanchi mai?”
Ribatté scocciato con
un'altra domanda. Lei, ancora appoggiata allo stipite della porta
della cucina, sgranò i grandi occhi scuri
“Perché io, in tutta onestà
Katrina, sono stanco...”
Allentò la cravatta
“...Voglio dormire. Voglio
farmi una doccia. Di sicuro non voglio sentire i tuoi sproloqui.”
Si avviò verso le scale
“Non so nemmeno perché ti
ho riportata qui.”
Quelle parole fecero vacillare
la perfetta facciata di sua moglie per un istante. Elia non poté
nemmeno vederla tremare, dato che era di spalle, ma ciononostante si
fermò dopo pochi gradini. Usare quel tono e quello sdegno non era
da lui, il Michaelson famoso per la sua calma, la sua lealtà e la
sua gentilezza. Aver già perso un punto fermo era abbastanza, non
serviva dare il via all'ennesima orribile giornata.
Tornò giù, guardando la
donna a piedi nudi che gli stava di fronte
“Ero a parlare con mio
padre.”
Si spiegò con poche
necessarie parole. Di rigetto vide Katrina tendersi come una corda di
violino e trattenere a stento una smorfia.
Rise tra sé e sé
“Anche tu...”
Allargò le braccia guardando
al cielo
“...Possibile che abbiate
tutti la stessa reazione? Appena nomino mio padre è come se avessi
nominato satana!”
Katrina evitò di usare il suo
tono più sprezzante, ma nondimeno rispose
“Lui è un mostro.”
Suo marito scosse la testa
“Davvero? E a te cos'ha
fatto?”
Stavolta lei abbassò lo
sguardo tenendo il labbro tra i denti
“Come immaginavo.”
Sottolineò Elia davanti al
suo silenzio
“Non dovresti ascoltare
lui.”
Riprese Katrina cercando
d'essere il più possibile convincente. Lui sollevò un sopracciglio
“E chi dovrei ascoltare? Te?
Non mi hai certo mentito meno di lui.”
Fantastico. Il festival
dell'ovvietà sembrava pararglisi dinanzi. Esattamente come previsto
lei strinse i pugni e si fece avanti
“Ti dirò la verità Elia.
Stavolta ti dirò la verità.”
Lui scosse la testa
“Non sai neanche cosa voglia
dire quella parola.”
“William non vuole il tuo
bene. Vuole solo controllo... E potere.”
“Ti prego, dimmi qualcosa
che non abbia già sentito un milione di volte.”
Katrina prese fiato
“Non ho mai voluto uccidere
te o tuoi fratelli...”
Sfoderò lo sguardo ammaliante
con cui più e più l'aveva incantato
“Volevo uccidere solo tuo
padre. Così sarebbe stato fuori da mia vita. Da nostra vita.”
Quel maledetto accento. Come
poteva amarlo ed odiarlo allo stesso tempo?
“Non è certo lui il nostro
problema.”
“E' nostro problema!”
Il tono di Katrina si sollevò,
richiamando la completa attenzione di Elia
“Hai sempre messo lui in
primo posto.”
Non sapeva davvero se sentirsi
offeso oppure in colpa, ma al momento il rimorso sembrava poter
vincere su tutto il resto
“Avevo un piano.”
Elia si sedette sul terzo
gradino poggiando i gomiti sulle ginocchia
“Che piano?”
Il tono era esasperato, non
sapeva che altra invenzione aspettarsi da Katrina
“Sono andata via. Sono
andata dai merli perché sono unici che possono competere con voi...”
Le fece cenno di continuare,
non avrebbe saputo come ribattere
“...Tu non avresti mai
ascoltato mie ragioni, ma loro potevano aiutarmi a togliere tuo padre
da nostra strada... Per avere nostra vita.”
Lui scosse di nuovo la testa
“Non capisco. Credi davvero
che uccidere mio padre sarebbe stata una specie di dimostrazione
d'amore?”
Katrina era visibilmente
nervosa, tremava tutta senza nemmeno accorgersene
“Con padre che tu hai? E'
cosa migliore che posso fare per te.”
Stavolta gli venne sul serio
da ridere. Cosa poteva mai saperne Katrina di suo padre? Era arrivata
dritta dalla Russia pochi anni prima e si erano scambiati a malapena
dieci parole in tutto.
“Non capisci?”
Riprese lei sbattendo i piedi
sul pavimento
“Senza di lui avresti più
potere di tutti tuoi fratelli. Saresti re di tutto questo!...”
Anche lei spalancò le braccia
“...Ma senza un capo che
dice tutto quello che devi fare. Senza paura... Senza vergogna di
amare tua moglie.”
La sua voce si abbassò di
colpo, lasciando Elia nel silenzio a guardarla. Non si era mai
vergognato di amarla anzi, era forse stata la più bella scoperta
della sua vita. Ne era terrorizzato, questo è vero, ma aveva cercato
poco per volta di sgretolare i propri muri. E' anche vero che non lo
avrebbe mai urlato ai quattro venti e forse mai nemmeno ammesso
davanti a William o ai suoi fratelli, ma nondimeno l'amava.
Katrina, dal suo canto,
continuava a pensare a tutte le volte che era rimasta sola tra quelle
mura, tutte le volte in cui William aveva chiamato ed Elia era corso
via come un cagnolino al richiamo del suo padrone. Amava la lealtà
di suo marito, ma avrebbe tanto voluto che quella stessa lealtà
fosse stata rivolta a lei e non solamente a quel mostro che lui
chiamava padre.
“Non mi sono mai vergognato
di te.”
Precisò davanti alla rabbia,
mista a tristezza, che le tingeva il viso. Katrina tenne i pugni
stretti benché improvvisamente sentisse la voglia di piangere
“Mi hai nascosta qui, come
se fosse mia prigione. Sempre sola. Sempre zitta.”
Quelle parole gli trafissero
il petto. Non solo era persona ignobile senza sentimenti, non solo
era uno schifo di fratello, era anche il peggiore dei mariti. Ormai
oltre i suoi trentacinque anni, non c'era una sola cosa che avesse
fatto bene nella sua vita, nemmeno quella che aveva amato di più.
“Mi dispiace.”
Riuscì a dire tra le labbra.
Avrebbe avuto voglia di raggiungerla e magari toccarla, ma tutto ciò
che fece fu afferrare la giaccia ed uscire di nuovo, ripetendo lo
stesso schema malato che Katrina gli aveva appena rinfacciato.
Lei sospirò sentendo la porta
sbattere. Avrebbe voluto spaccare a pugni ogni cosa che aveva
attorno, ma doveva contenersi se sperava prima o poi di recuperare un
po' della fiducia persa.
Quando bussarono alla porta
pensò immediatamente che Elia fosse tornato sui suoi passi e corse
ad aprire.
Divenne bianca come un
lenzuolo alla vista di suo suocero, serio come una lapide sull'uscio
della sua casa.
Non si sprecò a chiedere il
permesso di entrare
“Dovrei dire bentornata, ma
sai già che non sarà un felice ritorno.”
Katrina chiuse la porta. Aveva
imparato qualche trucco o due negli ultimi anni, stavolta poteva
difendersi.
“Che cosa vuoi?”
Lo sfidò. Per quanto ne
sapeva avrebbe tranquillamente potuto avere una pistola in tasca con
un colpo in canna destinato a lei, ma la ragione le urlava che non
avrebbe mai ucciso la moglie del suo figlio preferito nel loro
soggiorno.
Lui divenne una maschera di
ghiaccio
“Non sei nella posizione di
fare domande Pushkina.”
Le si avvicinò minaccioso
“Non saresti dovuta
tornare.”
Lei sollevò il mento,
determinata a mostrare che stavolta non l'avrebbe intimidita
“Elia ha pagato per me. Cose
avrei dovuto dire? No? Avrei dovuto spiegare lui perché?”
William sembrò sputar fumo
dalle orecchie di fronte a tanta audacia. Sentì le mani formicolare
al chiaro desiderio di farle del male
“Se gli hai raccontato
qualcosa ti strangolo con le mie stesse mani.”
Katrina deglutì. Avrebbe
potuto farlo, fregandosene di Elia o addirittura inscenando una nuova
fuga. Si sforzò di respirare
“Pensi che parlerebbe ancora
con te se sapesse verità?”
L'altro aguzzò lo sguardo
“Bene.”
Come fosse il padrone di casa
raggiunse la bottiglia di vino aperta sul bancone dalla sera prima e
se ne versò un abbondante bicchiere. Lo mandò giù d'un fiato
“Io ho rispettato la mia
parte dell'accordo. Tu perché sei di nuovo qui?”
Katrina digrignò i denti e
strinse i pugni
“Noi non abbiamo accordo! Tu
hai obbligato me ad andare via!”
Lui quasi sorrise, ancor più
agghiacciante della sua più seria espressione
“Questione di semantica cara
Katrina... Questione di semantica.”
Le girò attorno come un
predatore. Nonostante l'aspetto un po' attempato era ancora
perfettamente in grado di mettere in soggezione le sue vittime da
solo, senza l'aiuto di schiavi e scagnozzi. Le si parò di fronte e
le toccò i capelli sciolti sulle spalle. Katrina si ritrasse
sforzandosi di trattenere l'ampio disgusto. Lui sorrise
“Mi aspetto che tu sparisca.
Stavolta per sempre.”
Lei indietreggiò appena un
po'
“E se non volessi?”
William tuonò in una
fragorosa risate che immediatamente morì tra le sue labbra coperte
di barba
“Dimmi Katrina, tu vuoi
morire?”
La russa respirò a pieni
polmoni cercando di ridarsi un tono, nella mente ripassò rapidamente
ciò che Morgan Pryce e gli altri merli le avevano insegnato. Drizzò
la schiena come una gatta e sfoderò il suo sguardo migliore
“E tu vuoi che dica a Elia
cosa hai fatto due anni fa?”
William sembrò pietrificarsi.
Lei continuò
“Anche se uccidi me adesso,
Elia saprà che sei stato tu. Lui odierà te. Tutti tuoi figli
odieranno te.”
Con uno scatto altrettanto
felino William le chiuse la mano destra attorno al collo e la spinse
al muro
“Non è una guerra che puoi
vincere sgualdrina russa.”
Le sussurrò all'orecchio
facendola contorcere di disgusto e ribrezzo, cercando con la mano
libera dei punti del suo corpo che mai e poi mai Katrina avrebbe
voluto sentir toccati dal padre bastardo di suo marito. Si fece di
pietra e non si mosse, se l'avesse provocato ancora un po' avrebbe
quasi certamente dovuto poi spiegare i suoi lividi ad Elia, non si sa
con quali parole.
“Sparisci da qui.”
Concluse lui mollandola con
un'ultima spinta sgraziata. Con un colpo secco della porta fu
finalmente fuori di lì.
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