#Hate#
“Whitey... Elizabeth Whitey” la portinaia mi diede le spalle, tuffandosi
letteralmente in un cassetto pieno di chiavi alla ricerca di quella giusta. “Withey.. Whitey.. forse nell’altro
cassetto” la ricerca sembrava interminabile, perciò decisi di passare quei
pochi minuti spulciando i pochi nomi rimasti nella rubrica del mio cellulare: Ashton, il mio migliore amico da sempre; Jane, mia cugina,
per me praticamente una sorella e... mamma, con tre cuoricini accanto. Accarezzai
quel nome col pollice, strisciando sul display luminoso e chiedendomi che ci
faceva quel nome lì, ancora con me
quando avevo deciso di lasciarmi tutto alle spalle e ripartire da zero. La portinaia dovette accorgersi del mio sorriso triste, perché
mi rivolse uno sguardo di quasi pietà prima di affermare: “Appartamento 266,
secondo piano. Suo fratello è passato poco fa e ha già preso la chiave”
Ringraziai scappando verso le scale per evitare altra compassione di cui
proprio non avevo bisogno. Poggiai un piede sulla scala, il primo passo, il
secondo e... fermi tutti, io.. io non avevo un fratello! I secondi che
seguirono li passai a scavalcare coppie di gradini, rischiando di cadere o di
farmi scoppiare un polmone per il troppo ossigeno consumato. Arrivata all’appartamento
poggia una mano sulla maniglia e l’aprii, sorprendendomi di non trovarla chiusa
a chiave. La richiusi alle mie spalle e lo vidi, lì, ben composto sulla poltrona
in pelle al centro della stanza. Nei suoi occhi scuri e taglienti e nelle sue
labbra carnose potevo riconoscere il ragazzo orientale che i miei avevano
adottato a distanza solo pochi mesi prima. Lo stesso ragazzo che avevo visto
solo poche volte, prima dell’incidente, e che era riuscito a rendermi quei
giorni un vero inferno. Che avesse deciso di condividere l’appartamento?
Davvero, non potevo chiedere di peggio
come punizione. Feci un passo e “Calum” lo chiamai. Lui
scavallò le gambe con estrema lentezza. “Lizzie” mi
fece eco. Odiavo, trovavo davvero irritante il fatto che mi chiamasse come
permettevo di fare solo a mia madre. Notai diverse borse straripanti di t-shirt
gettate sul divano, ormai le sue intenzioni erano abbastanza evidenti, ma
cercai di contenermi e glielo chiesi comunque: “Che ci fai qui?” rimase
immobile, insopportabilmente tranquillo, alzò un sopracciglio. “Volevo aiutarti”
lo fissai incredula. Nella mia mente si aprivano mille possibilità, e nessuna
che fosse collegata a quel tipo portava a qualcosa di buono. Continuai a
fissarlo, ma perché non si muoveva? “E allora?” chiesi, suscitando in lui una
piccola risata malefica. “Ho detto volevo” accarezzò la pelle della poltrona e finse di dormire. Davvero,
quel tipo non poteva restare nel mio appartamento. Il campanello suonò all’improvviso
e io scattai come un soldato, in cinque secondi nascosi quel disastro di borse
e indumenti -scoprendoci in mezzo anche un paio di mutande femminili- e li
gettai in cucina. E avrei gettato lì anche Calum, se
solo non avesse insistito nel suo volermi ‘aiutare’. “Resta qui” ordinai,
puntandogli contro un dito. Calum annuì semplicemente,
mi illusi che forse aveva capito l’importanza della situazione. Mi sistemai i
capelli nonostante “Sembri comunque una disperata” soffiò il moro alle mie
spalle, e aprii. Tre uomini entrarono in casa salutando professionalmente, due
di loro portavano il tesserino di riconoscimento appuntato al petto. Chiusi la
porta e notai con mia grande sorpresa che Calum li
aveva fatti già accomodare sul sofà, offrendo loro persino un caffè che
rifiutarono con gentilezza. L’uomo più anziano venne subito al punto e “Signorina
Whitey” mi chiamò, io mi strinsi nella poltrona
accanto a Calum sperando che le sue proteste non
fossero troppo evidenti. “Innanzitutto, l’associazione le fa le sue più sentite
condoglianze” annuii, avrei preferito sorvolare il dettaglio. “E poi, la S.I.A.
ha l’obbligo di annunciarle che questo pomeriggio, in sede ufficiale, si
terranno le selezioni per le componenti della nazionale di nuoto. E che lei,
signorina Whitey, è stata sorteggiata per provarci”
mi trattenni dall’urlare, quella notizia proprio non me l’aspettavo. Tirai a Calum un pizzicotto e sorrisi, sorrisi come un’idiota da
ricovero. La successiva mezz’ora la passai ad ascoltare istruzioni e obblighi,
e fui talmente assorta dall’argomento che solo negli ultimi cinque minuti mi
accorsi di un particolare. Di quei tre uomini, uno era un ragazzo all’incirca
della mia età. Era esile, aveva capelli biondo cenere portati all’insù, un
piercing sul labbro inferiore e profondi occhi blu che usava per fissarmi,
costantemente e con ardore. Che diavolo aveva da guardare poi.. Quando i tipi
lasciarono l’appartamento, Calum si gettò sul letto,
sul mio letto, senza degnarmi di uno
sguardo. Di sicuro era geloso dei miei progressi, perché io ero arrivata in
alto mentre lui non aveva fatto altro che farsi mantenere a distanza dai miei. Tsk, quanto era infantile. Presi il mio diario e cominciai
a scarabocchiarci qualcosa, quando “Lo conosci?” mi chiese, fissando il
soffitto. Esitai. “Chi, il biondo?” lo vidi annuire e sospirai. “No, ma
comunque non sono affari tuoi” e saltò giù dal letto meglio di uno stuntman,
facendomi quasi venire un infarto e parandosi davanti a me, le braccia
spalancate e un’espressione spaventosa. “Se quello ti sfiora con un dito, io
glielo spezzo” quasi ringhiò “quel tipo non mi piace” Cosa? E chi era lui per
giudicare uno sconosciuto? Forse non si era mai soffermato più di tanto a
giudicare se stesso. Il fatto che parlasse di me mi infastidì. “Ripeto: non
sono affari che ti riguardano” Calum sospirò
bloccandosi all’improvviso, forse rendendosi conto di quanto stavamo esagerando,
e si rituffò sul mio letto, in silenzio. Poco dopo lo sentii sussurrare un “Che
stai facendo?” con voce fioca, colpevole. Cercai di sdrammatizzare quella
cavolata e “Aggiungo un punto alla lista delle cose che odio di te” risposi,
sorridendo. Lui sembrò gradire il mio sforzo e sogghignò: “Ah, sì? E finora a
che numero sei?” Finsi di leggere, uno.. due.. “Tre” affermai convinta. “Cioè?”
Gli mostrai il diario con la lista, che lui prontamente lesse, leggermente
contrariato ma sorridente: “Odio quando
il mio fratellastro si comporta da iperprotettivo del cavolo”
Salve
a tutti! Vorrei avvisarvi che ho in mente tanti bei casini che scopriremo nel
prossimo capitolo, e tanti pensierini che ho intenzione di mettere a tacere...
se vi ho incuriositi, buona lettura ;) Otaku.