Titolo: I
Don’t Have Beautiful Legs
Autore: AintAfraidToDie
Rating: Verde
Genere: Malinconico;
Introspettivo; Romantico
Avvisi: OneShot;
Shonen-Ai
Pairing: DaixKyo
Riassunto: Invidiavo
quelle gambe. Le mie, non erano niente a confronto.
[Eppure c’ero
io, al suo fianco.]
“ I
Don’t Have Beautiful Legs”
Quelle
gambe.
Sì, quel paio di ossi ricoperti da un sottile strato di
carne che uscivano dalla sua
minigonna nera erano la causa della mia semi-pazzia.
Pelle cerea e femminea, soffice al tatto.
La linea della caviglia e del polpaccio piccola e esile, perfetta nella
sua minuziosità.
Le giarrettiere di pizzo bianco, ricamate a fiori, che contornavano la
sua minuscola, quanto candida e priva d’imperfezioni coscia.
Accavallate in maniera elegante e ingenua, davano al loro possessore
un’aria ancora più seducente.
Le
gambe di Shinya.
Forse è per questo che in molti spesso mi fanno gentilmente
notare delle imperfezioni ai miei occhi. A forza di spostare
velocemente il mio sguardo dagli arti magnifici di Shin-chan al volto
di Daisuke adesso devo essere divenuto strabico.
Eppure un mio “pomeriggio tipo” era così.
Seduto nella nostra gigantesca sala prove, mentre sprofondavo in un
divanetto logoro color lilla. Pessimo
gusto, quegli dello studio.
Alla mia destra Kaoru, che studiava avidamente i miei testi appena
scritti annuendo col capo.
Gli erano sempre piaciute le mie lyrics, anche se il motivo era
sempre rimasto un’incognita per me.
Com’era possibile che un tipo così tranquillo e
saggio potesse gradire, e soprattutto capire, le parole
di un devastato?
Forse era per questo fatto che legavo tanto con lui.
Alla fin fine apprezzavo sempre e solo chi per primo apprezzava me. Che essere opportunista.
Totchi, comodamente sdraiato sul tavolo più ampio della
stanza, sgranocchiava svogliatamente delle patatine alla paprika. Con
movimenti disordinati, cercava di lanciarsele in bocca.
La maggior parte di esse trovava la propria meta sul gelido impiantito.
Una grande quanto ossuta mano stringeva possessivamente la mia mancina.
Daisuke sorrideva, di fronte all’ennesima patatina rovinata
per terra durante l’ ”esibizione”
mangereccia di Toshiya.
I suoi numerosi anelli di metallo scadente, comprati insieme qualche
giorno prima al gigantesco mercatino di Shibuya, scavavano gradualmente
piccoli solchi sulle mie nocche.
Era bello, percepire la sua cute quasi fondersi con la mia.
Quel mix di arti e di sudore mi regalava una sensazione totalmente
piacevole.
Ma tutto ciò veniva rovinato dalla visione di Shinya, che
sorridendo si accomodava su una sedia in plastica dal design tipico
delle poltroncine da ufficio.
Osservavo concitato ogni suo
pericoloso movimento, e la reazione che esso poteva avere
su Dai.
“Che
comportamento stupido.”, pensavo.
Eppure continuavo. Non riuscivo a smettere.
L’amore rende
matti.
Un giorno Shinya si
alzerà sulle sue sinuose gambe.
Ancheggiando appena, si recherà da Daisuke.
“Ti piace quel
che vedi?”, gli sussurrerà
maliziosamente, all’orecchio.
Lui, guardandolo fisso, annuirà con la testa.
Si alzerà dalla poltrona.
Lascerà la mia
mano, e stringerà la sua.
Mi abbandonerà.
E io sarò solo.
Di nuovo.
Urlerò nel silenzio, e non riderò mai
più.
[Se lo facevo, lo facevo
solo per te.]
Era questo, il mio peggior incubo.
Perdere Daisuke.
Chissà perché mi sentivo così inferiore,
di fronte a quelle gambe.
Così perfette, così affusolate.
Tutto il contrario delle mie.
“La mia
siluette non è certo all’altezza di quella di
Shinya.”, mi ripetevo, mordendomi il labbro e
guardando per l’ennesima volta quel suo splendido corpo.
Eppure, per non so quale motivo, la mano tatuata di Dai teneva fra i
suoi palmi ancora la mia,
e non la sua.
Questo avvenimento, ai miei occhi, risultava quasi impossibile.
Daisuke amava me.
Daisuke stava insieme a me.
In realtà avevo così tanta paura che il mondo
davanti a me scomparisse, da non riuscire più a vivere.
La musica, la band,
l’amicizia, l’amore…
E se un giorno, puff!,
tutto questo risultasse essere stato solo un bellissimo sogno?
La mia era ormai un’esistenza basata sul timore e
l’autocommiserazione da troppo tempo.
L’unica cosa che mi portava un po’ di
stabilità era la presenza costante di Dai.
Io necessitavo di lui.
Mi alzai dal divanetto all’improvviso. Sulla fodera scucita
era rimasta impressa per metà la forma del mio corpo.
Un denso strato di sudore ricopriva fastidiosamente la parte esterna
delle mie cosce, strette nel mio paio preferito di pantaloni di pelle
nera.
Sentivo piccole lacrime agli occhi forzare per fuoriuscire.
A me, così totalmente impulsivo e incapace di dosare
l’emozioni, capitava spesso di scoppiare in pianti
liberatori.
Lo consideravo un comportamento da individui fragili, codardi.
Mi odiavo per questo. Ero
così imperfetto, da sembrare sbagliato.
Mi ritenevo solo uno strano scherzo della natura.
Un essere eccentrico, anomalo.
Se fossi nato animale,
sarei stato di sicuro appartenente ad una specie unica.
Mi avrebbero rinchiuso in uno zoo, dandomi come casa una piccola quanto
rozza gabbia.
Solo e maltrattato, avrei attirato pochi turisti, tutti disgustati dal
mio aspetto.
Sarei morto fra atroci dolori, soffocando nelle mie feci e vomitando
sangue.
Gli animali muoiono male.
I miei quattro compagni spostarono i loro sguardi su di me,
interrompendo le loro attività.
Solo Toshiya continuava imperterrito a mangiare, mentre mi osservava.
“Chissà cosa pensano di questo loro vocalist
pazzoide, adesso.”, mi chiedevo, stringendo le
mie magre mani in pugni.
Anche se ho sempre voluto fregarmene del giudizio altrui, certe
occhiate facevano più male di una pugnalata nel petto.
L’avevo capito vivendo.
Quando ancora m’illudevo di farlo.
Corsi fuori dalla stanza, sussurrando sottovoce un debole “scusate”
che in quel silenzio di tomba fu più che udibile.
Traballante, mi rifugiai nel minuscolo bagno dell’edificio,
trovando più volte sostegno nei muri circostanti.
Sentivo le gambe cedere lentamente sotto al mio peso.
Quando stavo male mentalmente, anche il mio fisico ne risentiva.
Era un circolo vizioso che mi devastava e torturava allo stesso tempo.
La trovavo una cosa
molto triste.
Tossivo in maniera esagerata, mentre varcavo la soglia di quel cesso
maleodorante.
Le opache piastrella bianche erano mediamente schizzate da un liquido
non identificabile.
Tutto sembrava così sporco da arrivare a farmi
sopraggiungere un forte conato acido in gola.
Non ero mai stato un tipo schizzinoso, ma quella visione di lezzo non
fece che peggiorare il mio stato d’animo.
Tutto quel sudicio mi
ricordava troppo me stesso.
“Kyo? Tutto
bene, tesoro?”
Una voce, alle mie spalle.
Quel “tesoro” sussurrato,
dolce e gentile.
L’avrei potuto
riconoscere fra mille.
Daisuke mi guardava, preoccupato.
I suoi capelli rossi, stranamente lisci, gli ricadevano docilmente
sulle spalle.
La luminescenza della sua purezza a contrasto con il giallognolo delle
pareti mi frastornò non poco.
In quel momento, sentivo distintamente il mio stomaco rigirarsi nel
ventre.
Quella sensazione di totale smarrimento la provavo spesso.
Era come se il mondo diventasse all’improvviso confuso. Le
immagini arrivavano al mio bulbo oculare in maniera totalmente opposta
alla realtà.
E tutto ciò che riuscivo a continuare a vedere concretamente
era il volto di Daisuke.
Lui, non scompariva mai
dalla mia vista.
Mi fiondai di scatto tra le sue braccia, arpionandogli la
schiena con le mani.
Lui sussultò appena, sorpreso.
“Piccolo, che
succede?”, mi bisbigliò
nell’orecchio, cullandomi dolcemente la testa.
Il suo tocco era sempre stato deciso e forte. Ogni suo movimento era
come calcolato, premeditato.
Ma in tutto ciò che faceva c’era sempre
quell’alone di tenerezza che lo caratterizzava.
Spesso Daisuke veniva ritenuto un debole, per via della sua attenzione
ai bisogni degli altri. Era così incapace di non fare del
bene che, di conseguenza, trascurava sé stesso.
Sono certo che se non l’avessi conosciuto completamente avrei
fatto parte io stesso di quella massa di stolti che liquidavano il suo
totale altruismo con un
“che stupido”.
Così inetto nel guardare al di fuori del mio mondo
egoistico, l’avrei giudicato in maniera automatica.
Ma chi rimaneva al suo fianco capiva.
Capiva che stupenda
persona era.
In quell’istante, volevo dirglielo.
Rivelargli quelle parole così pesanti sul mio cuore e
stringermi di più a lui.
Ma il suo profumo, per l’ennesima volta,
m’inebriò i sensi.
Mi persi in quel Paradiso di odore e pelle, restando in silenzio e
chiudendo gli occhi.
E le parole mi morirono in gola.
“Ama soltanto me,
Daisuke.
Anche se le mie gambe
non sono belle.”
Ma pensai. Pensai che invece di dirgli quello, domani gli avrei detto
che l’amavo.
Sorrisi, mentre
appoggiavo il mio viso sul suo petto.
_OWARI_
Note:
Era da un po’ che quest’idea mi balzellava in
testa. Personalmente, io vedo Kyo come un personaggio alquanto
morbosamente geloso di ciò che sente appartenergli.
Non voglio farlo sembrare una persona materialista,
tutt’altro!, io adoro questa sua ambiguità.
Incapace di esternare completamente i suoi sentimenti, tende a tenersi
tutto dentro. E farsi un sacco di viaggi mentali masochistici. Ah, mon amour!
Quanto è complicato!
L’idea di mettere Shinya, o più precisamente le
sue gambe, come immaginario desiderio nascosto di Dai sta nel fatto che
il pairing più usato in giro è comunque
DaixShinya.
Personalmente, non mi piacciono. Però ho voluto dare a Kyo
questo suo pensiero ottuso che Dai fosse in qualche maniera attratto
dai suoi arti. Perché, diciamo la verità, ma che
gambe stupende ha Shin-chan?!
*me invidia*
Beh, oggi sono in vena di chiacchiere si vedexD. Ma la smetto, che
è meglio!
Spero vi sia piaciuta, lasciatemi un commento per favore. Mi farebbe
tanto piacere!
Ah, un’ultima cosa. Questa fan fiction che avete appena
letto[si speraxD], è stata la mia prima storia scritta a
mano e poi riportata al pc. Ancora mi chiedo come io abbia fatto O.o.
Bacioni, a presto!
AintAfraidToDie
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