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IMPORTANTE:
I Tokio Hotel non mi appartengono e questa storia è stata scritta
senza alcuno scopo di lucro e soprattutto avverto che è tutto frutto della mia
fantasia…
Aggiungo dicendo che con questo mio scritto non intendo dare
rappresentazione veritiera del loro carattere.
Le
apparenze ingannano...
Die Aussehentricks...
Finale Alternativo
La
prima cosa che vidi dopo essermi risvegliata, fu l’accecante bianco della
stanza.
Nel
tentativo di sedermi sul letto in cui mi trovavo, notai di non essere sola in
quella camera. Bill, Georg e Gustav erano rimasti con me per tutto il tempo.
Inizialmente chiesi, per poi supplicarli, di dirmi che tutto ciò che era
successo, non fosse stato altro che un sogno. Un incubo. Ma loro negarono
tristi, confermandomi che Tom era stato davvero colpito da un proiettile.
Mi
spiegarono, inoltre, che l’ambulanza aveva portato Tom in ospedale il prima
possibile, perché l’emorragia non accennava a diminuire e la sua vita era in
serio pericolo.
In
quel momento era sotto i ferri.
Mi
feci accompagnare, quindi, nella sala d’attesa, nonostante loro non volessero
che mi alzassi, per aspettare che qualcuno venisse ad informarci delle
condizioni di Tom.
Non
riuscivo a stare in un letto mentre lui stava lottando per sopravvivere.
Ero
seduta nella sala s’attesa da due ore.
Tremavo. Ma non ero l’unica.
Gustav, Georg e Bill erano nelle mie stesse condizioni, reagendo diversamente al
dolore.
Presto, le due ore divennero tre.
L’attesa era straziante e spaventosa.
Le
lacrime tornarono a sgorgare dai miei occhi, come in quelli di Bill, che si era
coperto il viso con le mani mentre singhiozzava.
“Lena, come ti senti?” mi chiese Georg preoccupato, indicandomi il braccio.
Mi
guardai la ferita. Nemmeno la sentivo. Provavo solo la sensazione della
pressione della fasciatura. Nient’altro.
“Bene…”
“Sicura?”
Quell’unica parola, riuscì a farmi perdere completamente il mio controllo.
“No!
Non sto bene!” e mi misi a piangere con tutta me stessa.
Sentii le sue grandi braccia intorno a me, che cercavano di consolarmi,
cullandomi.
“Georg, ce la farà, vero?” urlavo.
Ero
distrutta. La testa pulsava dolorosamente, ma ciò che mi faceva ancora più male
era il petto. Era come se il cuore mi venisse strappato dal corpo da
quell’orribile senso di perdita in cui era possibile cadere.
Non
ci volevo pensare, non ci volevo credere, ma non mi era possibile.
Volevo che Tom sopravvivesse. Volevo che Tom uscisse da quella stanza e
sorridesse. Volevo che Tom tornasse da me.
Volevo essere io al suo posto.
Bill
stava tirando su con il naso, asciugandosi le lacrime con l’ennesimo fazzoletto
di carta che Gustav gli aveva offerto. Ma non passarono molti secondi, che
subito tornò a piangere.
Georg
mi stava abbracciando, cercando di trasmettermi un po’ di forza, ma per quanto
potesse mettercela tutta, io non ero così forte.
“Coraggio, Lena…” non aveva risposto alla mia domanda. Era ovvio che nemmeno lui
lo sapesse.
Sentii che iniziò a tremare anche lui. Si stava sforzando di trattenersi dal
piangere, ma sembrava gli fosse sempre più difficile.
Gustav cominciò ad usare i fazzoletti a sua volta, una mano sulla spalla di Bill
per cercare di rassicurarlo, per quanto era possibile essere rassicurati in un
momento simile.
“Scusate.” Chiamò un uomo davanti a noi. Alzai la testa per vederlo
meglio,cercando di metterlo a fuoco, nonostante le lacrime mi annebbiassero la
vista. L’unica cosa che notai fu che indossava un camice. Era un dottore.
Subito, il mio cuore sussultò e Bill smise di piangere.
“Scusate.” Ripeté con tono diplomatico. “Siete parenti di Tom Kaulitz?” chiese,
guardandoci.
Bill
annuì, alzandosi verso il medico, speranzoso. “Sono suo fratello.”
“Bene.” E sorrise.
Quello fu il sorriso più cercato di tutta la mia vita.
“Il
ragazzo è nella camera 105. Ora non sono permesse visite, ma non dovete
preoccuparvi. L’intervento è riuscito bene. Il proiettile non ha danneggiato né
nervi, né polmoni ed è stato rimosso. Tom ha solo bisogno di tempo per
riposare.” E se ne andò.
Vidi
Bill crollare in mezzo alla sala, stremato. Le lacrime tornarono a scorrergli
sul viso, proprio come sul mio.
Mi
sentivo come se mi avessero tolto un peso dal cuore.
Tom
stava bene.
Un
lamento di felicità accompagnò i singhiozzi e il tremare del mio corpo.
Georg
continuò ad abbracciarmi, ridendo per far scemare la tensione che aveva
accumulato.
“Lena, calmati, ora. Hai sentito? Sta bene!” ma gli sentivo la voce spezzata.
Anche lui, nonostante ridesse, stava piangendo di gioia.
“Sì,
sta bene…” farfugliai, mostrando un sorriso storpiato dal pianto.
Era
la notizia più bella che avessi potuto aspettarmi da una situazione come questa.
Stava
bene.
Tom
stava bene.
***
“Ma
dai, come posso mangiare delle cose così?” la sua voce rimbombava per tutto lo
spoglio corridoio.
“La
prego, non faccia queste scene!” lo riprese una burbera voce femminile. “Mi
dica, quanti anni ha? Venti? E allora si comporti come una persona della sua
età!”
“E
tu, allora, portami altro da mangiare! I liofilizzati sono per i neonati, non
per me!” ribatté lui.
Mi
affacciai alla porta della sua stanza, accompagnata dagli altri tre.
Una
donnona vestita da infermiera stava decisamente perdendo la pazienza.
“Lei
è impossibile! Lei deve mangiare questi liofilizzati.” Scandì bene
le parole, mettendosi le mani sui fianchi e sporgendosi pericolosamente verso di
lui, seduto su una sedia davanti ad un piccolo tavolo – rigorosamente bianco.
Se
quella montagna gli avesse tirato uno schiaffo, probabilmente, sarebbe riuscita
a fargli girare la testa di trecentosessanta gradi.
Tom
incrociò le braccia al petto e iniziò a borbottare imprecazioni, guardando torvo
quell’infermiera.
“Non
mi faccia perdere la pazienza, signor Kaulitz!” berciò lei. “Guardi! Sono anche
venuti degli amici a trovarla.” E ci indicò con un grosso dito.
Tom
girò la testa verso di noi e ci salutò con un gesto della mano, allontanando da
sé quel piatto che gli avevano messo davanti al tavolo, con l’altra.
“Ma a
quest’ora non avresti dovuto già aver finito di mangiare?” chiese Bill.
“Certo!” confermò la donna. “Ma si rifiuta di mangiare ciò che gli diamo.
Nemmeno i bambini arrivano a tanto!” e detto questo, si allontanò dal suo
paziente infuriata. “Fategli mangiare tutto.” ci disse, sorpassandoci.
Noi
ridemmo.
“Sei
proprio un cretino…” decretò Georg, avvicinandosi e tirandogli una pacca sulla
spalla destra.
“E
allora ingurgitala tu, questa roba!” e gli porse il piatto.
Georg
annusò, per poi storcere il naso.
“Visto?” alzò un sopracciglio Tom. “Comunque, prendete pure le sedie…”
Noi,
quindi, ci sedemmo accanto a lui e gli raccontammo di tutto ciò che stava
succedendo al di fuori di quelle quattro mura.
“Ma i
cazzi loro?…” mormorò Tom, alla fine.
“Già.” Convenne. “David hanno detto che la stampa non fa altro che chiedere dei
Tokio Hotel. Dice che il fatto che in questo periodo non ci presentiamo più in
pubblico, aggiunto a quello di aver annullato il tour, per i giornalisti è segno
di un nostro imminente scioglimento…”
“Che
si fottano tutti…” commentò, bevendo un sorso d’acqua. “Mi manca la birra…” fece
dopo aver posato il bicchiere.
“Bè,
prendi questa tua permanenza in ospedale, come anche una clinica per
disintossicarti…” ridacchiò Gustav.
“Non
faceva ridere…” ribatté Tom, guardandolo superiore.
“Comunque. La questione, ora, è se far sapere alla stampa ciò che è realmente
successo, oppure inventare una cazzata.”
“Dobbiamo, però, fare in modo che Lena non venga coinvolta nella faccenda…”
precisò serio Tom. “A proposito…” e mi guardò, muovendo il piercing con la
lingua. “Perché non mi hai ancora salutato, gattina? Non sono mica un malato
contagioso!” e si alzò per avvicinarsi a me. Mi abbracciò da dietro e mi baciò
sulla fronte, per poi girarmi attorno e posare le sua labbra sulle mie.
“Siamo in ospedale…” tossì Bill.
Sentii le labbra di Tom trasformarsi in un sorriso sghembo, per poi mostrare al
fratello il suo dito medio.
“Vaffanculo…” mormorò l’altro in risposta.
“Tra
quanto ti buttano fuori di qui?” chiese, poi, Gustav.
Tom
tornò a sedersi sulla sua sedia. “Se fosse per quella strega che avete visto
pochi minuti fa, anche ora, accompagnato con tre calci in culo…”
Ridemmo. Era proprio lui. Era tornato il solito Tom.
“Ma
credo che nel giro di una settimana, la mia permanenza qui arrivi al termine…
altrimenti scappo io.” Ed indicò il cibo. “E poi mi manca la chitarra. Cazzo!
Devo rimettermi a suonare!” poi spostò lo sguardo su di me. “E anche a fare
qualcos’altro…” aggiunse malizioso.
“Tom!” lo ripresero gli altri tre, mentre io arrossivo violentemente.
“Scherzavo!” si difese lui. “Anche se non troppo…”
“E la
spalla, come va?” si informò Bill.
“Ogni
tanto sento qualche fitta, ma solo quando mi rigirò durante la notte. Per il
resto non mi fa troppo male…”
“L’hai saputo che hai rischiato grosso?” fece Georg.
“Bè,
sai, se ti sparano…” rise Tom.
“No,
intendo durante l’operazione…”
“No.
Cosa è successo? Sai, non ero molto sveglio per capire…”
“Ci
hanno detto che la pallottola era molto vicina ad un nervo, che se fosse stato
colpito, avrebbe procurato seri danni al braccio sinistro. Nel peggiore dei casi
anche la paralisi…” spiegò Gustav.
“Cazzo!” esclamò leggermente impaurito. “Ho davvero rischiato, allora!” e si
passò una mano sugli occhi.
“Già…” concordai.
“Lena…” mi chiamò all’improvviso Tom, girandosi verso di me.
Lo
guardai senza capire.
“Che
hai? Ti senti male?” chiese preoccupato. Anche gli altri mi stavano fissando.
“Perché?” chiesi titubante.
“Non
hai parlato molto…” convenne Bill. “E poi sei pallida. Tanto pallida…”
“Sì?”
forse era dovuto al tempo un po’ incerto che c’era fuori, anche se dovevo
riconoscere che di recente non mi sentivo proprio al meglio. Di tanto in tanto
mi capitava pure di vomitare.
Non
feci nemmeno in tempo a concludere questi miei pensieri, che un attacco di
nausea si impossessò di me.
Mi
misi una mano davanti alla bocca e mi alzai di scatto.
“Oh,
di nuovo…” mormorò Bill.
“Usa
il cestino della spazzatura!” mi suggerì Tom, indicandomelo nell’angolo della
stanza.
Corsi, quindi, verso la mia salvezza e rimisi tutto ciò che il mio stomaco fu
capace di farmi tornare in bocca.
Il
silenzio cadde nella stanza.
Mi
sentivo imbarazzata. Forse era proprio vero. Stavo male. Ero malata.
“Scu…
scusate…” e presi un fazzoletto dalla mia tracolla. “Vado… vado in bagno a
lavarmi…” e corsi via.
Trovai il bagno appena in tempo perché il sapore di bile che avevo in bocca non
mi causasse un altro attacco di vomito.
Mi
sciacquai la bocca e mi guardai allo specchio. Ero decisamente pallida.
Forse facevo meglio a rimanere a casa…
Mi
asciugai ad una delle salviette che c’era nel bagno e tornai nella camera di
Tom.
Le
loro voci che sentivo indistinte nel corridoio, si spensero non appena misi
piede nella stanza. Tutti ripresero a fissarmi come se fossi una moribonda.
“Cosa
c’è?” chiesi intimorita dalle loro espressioni.
“Lena…” fece Tom. “Non è che sei incinta?”
***
“Ma
non è possibile!” strillò Bill, scaraventando la rivista sul tavolo davanti a
tutti i presenti.
“Cosa?” chiese Tom, distraendosi dalla partita alla play che stava portando
avanti con Georg, permettendogli, quindi, di accumulare più punti. “Dovevi
fermarti pure tu!” lo riprese.
Georg
sghignazzò.
“Guarda tu stesso!” ringhiò Bill, indicandogli l’articolo con un dito
dall’unghia perfettamente smaltata.
Tom
posò il joystick e si avvicinò al tavolo, prendendo la rivista tra le mani.
“Che
vadano tutti in culo…” mormorò incazzato, dopo aver solo adocchiato il titolo e
la mega foto di quella pagina.
“Che
succede?” chiedemmo noi altri allungando gli occhi verso di lui.
“Quei
giornalisti del cazzo ci hanno seguito…” spiegò, quindi.
“Quando?”
“All’ospedale…”
Sgranai gli occhi ed afferrai la rivista. Subito Georg e Gustav si alzarono dal
divano dove erano seduti per venire dietro di me e leggere l’articolo a loro
volta.
“3/4
dei Tokio Hotel fuori dall’ospedale. Dov’è il quarto?” lessi.
“E
poi anche sotto…” disse Tom, con un vago gesto della mano.
“La
misteriosa ragazza tra il gruppo.” Mi venne un colpo.
Subito guardai la foto ingrandita che occupava praticamente tutta la pagina e mi
sentii morire, non appena notai il cerchio rosso intorno alla mia figura,
circondata dagli altri tre ragazzi incappucciati e dotati di occhiali.
“Merda…” mormorai.
“Già,
possibile che ce li ritroviamo sempre tra i piedi?” commentò disprezzante
Gustav.
“Sono
già diversi giorni che Bill Kaulitz, Georg Listing e Gustav Shäfer si aggirano
nei pressi dell’ospedale.” Citò Gustav. “Dove è finito il chitarrista della
famosa band? Noi di MUSIC VIP crediamo fortemente che si trovi all’interno del
bianco edificio.”
Georg
schioccò la lingua. “Noi crediamo…” sbuffò. “Come si può fare un articolo
con solo supposizioni?”
“Bè,
però intanto fa notizia… è come vederlo: tra qualche giorno saremo sommersi di
interviste per appurare questo fatto…” fece Bill, mettendosi le mani nei
capelli, per poi approfittarne per legarli.
Gustav fece, poi, scorrere un dito lungo l’articolo fino a trovare un’altra
frase. “Abbiamo, inoltre, le prove che i tre ragazzi più amati al momento…”
“Tre?
Ed io?” commentò Tom.
“Non
è il momento…” lo riprese suo fratello.
“…
vengono sempre accompagnati da una misteriosa ragazza. Che sia la stessa dello
scandalo del bacio?”
“Scandalo?” ripetei. “Addirittura scandalo?”
“Bè,
per alcune fans fu un vero shock!” constatò Georg. “Si erano viste portare via
la loro ragione di vita!”
“Ma,
comunque, come possono pensarlo? Mi sono tinta i capelli di rosso!”
“Bè,
ormai sono arancioni…” puntualizzò Bill.
“Lasciamo perdere…”
“Ad
ogni modo, non avrebbero torto a pensare che sia tu…” mi fece notare Tom.
“Sì,
ma non dovrebbero saperlo! Guarda! Ero pure con la sciarpa fin sopra il naso! Al
massimo si potevano vedere gli occhi!” iniziai a scaldarmi.
“Ehi
ehi ehi! Calmati!” mi fermò Bill. “Non vorrai mica avere un parto prematuro,
vero?”
“È
colpa loro…” e sventolai la rivista.
“Senza contare, che se venissero a sapere di te proprio in questo momento, lo
scoop che ne ricaveranno avrebbe decisamente incassi esponenzialmente maggiori!”
commentò Tom, indicando con lo sguardo la mia pancia, sempre più assomigliante
ad un’anguria.
“Già,
una ragazza di vent’anni che porta dentro di sé il frutto della passione di uno
dei membri dei Tokio Hotel… bè, immagina il resto…” concordò Gustav.
“Vorrà dire, allora…” disse Tom, sedendosi accanto a me ed abbracciandomi. “…che
ti proteggerò io da quella mandria di sanguisughe…” e posò le sue labbra sulle
mie.
“Ricordatevi il parto prematuro. Non siamo attrezzati…” mormorò Bill vago.
Risi
sotto le labbra di Tom, ed adocchiati la sua solita nobile risposta per il
fratello.
Il
campanello suonò alla porta dell’appartamento.
“Vado
io.” Annunciò Gustav.
Quando fu di ritorno, al suo fianco c’era David. La sua solita serietà gli dava
un aspetto decisamente criptico.
“Vedo
che avete saputo della rivista…” fece cupo.
“Bè,
secondo te, Bill se ne fa sfuggire una?” rise Tom.
“Sono
serio.” Puntualizzò il produttore.
“L’ho
capito…” mormorò l’altro sbuffando.
“Che
facciamo?” arrivò subito al punto. Lui non era decisamente qualcuno che perdeva
tempo.
“Ne
stavamo parlando proprio ora anche noi.” Rispose Georg.
“E a
cosa siete arrivati?” chiese David, sedendosi sul divano di fronte al mio.
“Che
non vogliamo che Lena entri in questa storia. O almeno, non adesso…”
Mi
sentivo alquanto in imbarazzo. Sembrava che tutti questi problemi fossero nati
per colpa mia.
Riflettei un attimo, solo il minimo indispensabile per ricordarmi.
No,
erano davvero nati per colpa mia.
Era
tutta colpa mia se era successo tutto questo.
Sentii, poi, le braccia di Tom abbracciarmi.
“Non
è colpa tua, tranquilla…” mi sussurrò all’orecchio.
Sì,
lui sapeva leggermi nel pensiero…
“Sentite, e se si dicesse della faccenda di Tom?” propose Jost. “In questa
maniera potremmo avere la possibilità di non coinvolgere Lena. Cioè, se si rende
pubblica il fatto che tu ti sei – che ne so – rotto la spalla perché sei cascato
da qualche parte…”
“Ah!
Ma quindi senza presentare la vera vicenda…” comprese Bill.
“Per
me andrebbe bene anche rivelare che mi hanno sparato.” Disse, ad un certo punto,
Tom. lo guardai negli occhi. Era proprio convinto delle sue parole! Ma non si
rendeva conto che facendo così, non si sarebbe più tolto di torno la stampa?
“Mi
farebbe passare per una sorta di eroe!” rise.
“Sì,
ma ti sfugge il particolare: come hai fatto a procurati il proiettile nella
spalla?” fece notare Gustav. “Te lo sei beccato perché cercavi di proteggere
Lena, quindi, se dessimo questa versione dei fatti, lei ci sarebbe lo stesso
dentro…”
“Ah,
non ci avevo pensato…”
“Come
a molte altre cose…” commentò Bill, sarcastico.
“Ma
almeno penso di più di te.” Rispose al fratello.
“Allora sono dell’idea che conviene pensare meno, ma meglio!” e gli fece una
linguaccia.
“Certo, tu pensi meno perché non hai i neuroni sufficienti per farlo
maggiormente!” e gli alzò il solito dito.
“Perché tu c’hai l’affollamento là dentro, vero?” lo guardò minaccioso Bill.
“Ora
basta!” li divise David. “Avete vent’anni, cazzo!”
I due
si squadrarono un’ultima volta e poi scoppiarono a ridere.
Sempre gli stessi…
“Io
opterei, quindi, per dire ai giornalisti che sei caduto…”
“Mentre guidavo una moto!” suggerì Tom, interrompendolo. “Almeno quello fa
scena!”
“Non
ti smentisci mai, eh?” lo ripresi ironica.
“Certo. Ammettilo che ti piace, quando faccio così…” e mi bacio una spalla.
“Il
parto prematuro…” tossì di nuovo Bill, roteando gli occhi.
“Lo
faccio avere a te un parto prematuro, ora…” sibilò Tom, guardando il fratello,
che si zittì seduta stante, ma non senza guardarlo torvo.
“Va
bene, la moto potrebbe andare…” commentò, infine, David, passandosi una mano sul
viso.
“Perfetto.”
“Però, non hai tenuto il gesso. Solo il tutore. Sei stato in ospedale per due
settimane e praticamente da subito sei tornato a suonare la chitarra, dire che
ti sei rotto il braccio sarebbe come dire: ‘forza provate a scoprire cosa mi è
successo realmente!’” fece notare Georg, imitando una vocina leggermente
effeminata.
“Hai
ragione. E se si dicesse una distorsione?” provò il produttore.
“Contate che comunque non sono ancora perfettamente guarito… cioè, posso già
fare molte cose…” e ammiccò con un sorriso sghembo verso di me, che arrossii
immediatamente. Erano più che ovvie le sue allusioni. “Però, sto ancora facendo
la riabilitazione. Mi hanno detto che i carichi pesanti ancora non li posso
trasportare…”
“Come
se tu li avessi mai trasportati…” sghignazzò Bill.
“Senti chi parla…” rise il fratello.
“E se
si dicesse semplicemente che è una questione ‘top secret’?” propose Gustav.
“Cioè, senza dare troppi dettagli, solo dire: è caduto dalla moto mentre – se
volete – stava provando a fare un’inversione decisamente pericolosa.”
“Mmm,
sì. Mi piace il fatto che io abbia osato qualcosa di così pericoloso.”
“Ok,
allora è deciso. Tom, eri all’ospedale perché sei un cretino.” Concluse Bill.
“Ma
cosa ti ho fatto oggi?” chiese il fratello, avvicinandosi a lui e guardandolo
con uno sguardo di sfida.
“Voglio solo rompere i coglioni a mio fratello…” rise lui, prima che il
cellulare gli suonasse. Quindi, lo afferrò dal tavolino davanti a sé e, una
volta letto il nome sul display, gli si illuminò il viso.
“Ciao, Katrina!” e si alzò dal divano per rifugiarsi in camera sua.
“Ed
eccolo che riparte…” sospirò divertito Tom.
Poi,
anche David si alzò, ma prima di raggiungere la porta si girò e guardò i
ragazzi. “Ah, siate pronti per le due. C’è la conferenza stampa per mettere a
tacere tutte le voci.” E sparì.
I
ragazzi si guardarono.
Era
l’una.
Sulle
loro facce si poteva benissimo leggere un unico pensiero: Bill è al telefono.
Il bagno è libero!
E
tutti e tre si alzarono di corsa per raggiungere la meta prima degli altri, in
modo che, se anche il cantante si fosse rinvenuto, lo sarebbero stati già
pronti.
“Lena, tu rimani a casa, ok? Se vuoi, guardaci alla tv!” urlò Tom, imprecando
contro gli altri due per entrare per primo nella stanza.
Risi,
prendendo in mano la rivista che si stava analizzando fino a poco tempo fa.
Era
sempre la solita storia.
***
Qualcosa cadde in terra, rompendosi in mille pezzi.
Come
averlo visto.
Sbuffai ed uscii dalla camera dove ero, per andare nel salotto.
“Cosa
succede qui?” chiesi scocciata.
“Niente!” risposero all’unisono un bambino di sei anni ed un uomo – perché orami
era un uomo, anche se non lo sembrava – di ventisei.
“Non
è niente.” E portai le mani sui fianchi, indicando con lo sguardo il vaso
rotto.
“Stavamo solo giocando a palla…” si difese Tom, nascondendo il piccolo e
diabolico Chris dietro di sé.
Cercai di non ridere per mantenere la mia espressione arrabbiata, ma era sempre
più difficile.
“E
quel vaso?”
“Ma
dai, nemmeno ti piaceva!” continuò Tom.
“Allora ti abbiamo fatto un favore, mamma, così ora hai una scusa per buttarlo
via!”
Lo
guardai perplessa.
Poi
non resistetti più. Risi e tesi le mani a Chris, che corse verso di me con una
fionda in mano. A quel punto capii.
“Giocavate a palla, eh?” e guardai sarcastica Tom.
“Se
ti avessi detto di quella, mi avresti ucciso…” commentò lui, portandosi le mani
dietro la testa, priva dei suoi soliti rasta.
Non
gli chiesi io di tagliarli, anzi… avrei voluto che li tenesse. Ma un giorno lo
vidi tornare a casa con i capelli corti, proprio qualche mese dopo la nascita di
Chris. Ora, a distanza di anni, ovviamente, gli erano ricresciuti, ma non si
volle più fare i dreadlocks. Semplicemente, li lasciava ad un loro ordinato
disordine.
“E
secondo te cosa dovrei fare, ora?” risi.
“Oh,
bè… ci sono tante cose che potresti fare…” rispose malizioso.
“Tom!
C’è un bambino!” lo ripresi.
“Tanto non capisce, vero Chris?” ridacchiò, avvicinandosi a suo figlio e
dandogli un bacio in fronte.
“Cosa
non capisco?” chiese lui, piegando la testa di lato.
“Appunto…” confermò lui, scompigliandoli i capelli biondo scuro, proprio come i
suoi.
“Uffa! Dimmi cosa non capisco!” si lamentò Chris, cercando di fronteggiare il
padre.
“Ma
se non capisci, è inutile che tenti di farti capire. Non capiresti lo stesso ciò
che non hai già capito…”
Chris
si girò verso di me, facendo una smorfia interrogativa, lasciando che Tom
ridesse divertito.
“Lascia perdere tuo padre. Ormai sai come è fatto…” gli sorrisi io.
“Però
-” non fece in tempo a continuare la sua protesta, che Tom lo afferrò per la
vita e se lo mise in spalla, come se fosse un sacco di patate. A quel punto,
Chris iniziò a gridare divertito, scalciando e battendo le mani a pugno sulla
schiena di Tom.
“È
ora di andare a letto, piccolo diavolo…” annunciò lui.
“Ma
non ho sonno!” si oppose, ma Tom non lo stette a sentire, e lo portò nella sua
camera.
“Mamma!” mi sentii poi chiamare.
“Aspetta, devo pulire il salotto…” risposi.
“Perché?”
“Perché tuo padre ha fatto di nuovo casino…” sorrisi.
“Perché?”
“Perché è un bambino troppo cresciuto…”
“Ti
sento…” fece la voce di Tom dalla stanza di Chris.
“Perché?” continuò lei, ridacchiando.
Risi.
E
dire che prima eravamo soli…
Andai
a prendere la scopa nello stanzino e pulii la stanza da ogni coccio. Poi riposi
tutto nell’apposita stanza e tornai nella camera di poco fa.
“Non
mi hai risposto!” si lamentò Allie, mettendo il broncio.
“È
perché non sapevo cosa risponderti…” spiegai sorridendole, per poi accarezzarla
sui suoi lunghi capelli castani.
“Perché?”
“Se
smetti di chiedere perché, ti finisco di raccontare la storia…” contrattai.
Lei
annuì, e si mise sotto le coperte.
“Dove
eravamo rimasti?” chiesi.
“Alla
principessa che torna al castello…” mi ricordò lei.
“Ah,
già…” sorrisi. “Allora, la principessa, dopo aver capito che era tutto un
malinteso…”
“Mamma, cosa è un marinceso?” chiese lei interrompendomi.
“Malinteso, tesoro. È quando una persona capisce una cosa, invece che un’altra…”
“Malinteso…” mormorò lei, che non aveva ascoltato per niente la mia spiegazione,
presa quant’era dal pronunciare correttamente la parola.
“Dunque, la principessa tornò al castello, dove il principe era pronto per
aspettarla.”
“Perché?”
“Perché anche lui voleva stare con lei. Ma prima che lei arrivasse, venne rapita
da una banda di cattivi. Il principe, allora, salì in sella al suo destriero e
corse a salvarla.”
“Dai
cattivi?”
“Sì,
amore. Il principe combatté una notte intera, ed alla fine vinse.”
Allison si mise a battere le mani.
“E
poi?”
“Poi,
la principessa ed il principe tornarono al castello…”
Le
mani di Tom mi avvolsero da dietro, e sentii le sue labbra sulla mia guancia.
“E
vissero tutti per sempre felici e contenti.” Concluse lui.
“Ehi,
non ti avevo sentito…” lo salutai io, ricambiando il bacio.
“Lo
so, ho fatto piano apposta…”
“Papà, perché abbracci sempre mamma?” chiese Allie. Pareva offesa.
“Perché le voglio tanto bene…” sorrise lui, per poi andare da lei,
inginocchiarsi vicino al letto ed abbracciarla. “Sei gelosa?”
“Cosa
vuol dire gelosa?”
“Che
mi vorresti tutto per te…” spiegò lui, sedendosi sul letto ed accarezzandole i
capelli.
“Sì.
Io ti voglio sposare, da grande!” affermò lei, abbracciando Tom intorno al
collo.
Risi.
“Tom, sei ancora capace di fare stragi tra la popolazione femminile…”
“E
non mi limito alle ragazzine…”
Poi
diede un bacio sulla fronte della bambina di tre anni che stava sotto le
coperte. “Ma se ti sposo, poi dove mettiamo mamma?”
Allie
assunse un’aria pensierosa.
“Lei
sta a guardare!” rispose, alla fine, sorridendo.
Lui
rise, per poi alzarsi ed uscire dalla camera, sussurrando una ‘buonanotte’ calda
e affettuosa.
“Mamma, ti arrabbi, se sposo papà?” chiese lei triste.
“Un
pochino…” e storsi il naso.
“Perché?”
“Perché lo amo anch’io…”
“Allora facciamo che ha due mogli!” sorrise lei contenta.
“Per
quello vedremo…” le sorrisi, per poi lasciarle un bacio sulla fronte. “Ora
dormi. Buonanotte!” ed uscii dalla camera, lasciando la porta socchiusa alle mie
spalle.
Percorsi il corridoio ed arrivai nella camera di Chris per augurare anche a lui
la buonanotte, ma trovai il letto vuoto.
L’improvviso grido divertito, proveniente dal salotto, mi fece capire dove era.
E con chi era.
Tornai indietro e mi appoggiai al muro della stanza, osservando in silenzio cosa
mai avrebbero potuto fare alle dieci di sera quei due pazzi.
“Sbaglio o ti avevo detto di andare a letto?” gli fece notare Tom, saltando sul
divano di fronte a quello dove era in piedi prima – fortuna che era scalzo.
“Sbaglio o ti avevo detto che non avevo sonno?” ribatté Chris, salendo sul
tavolino di ebano tra i due divani. Era un miracolo che, poco fa, Tom fosse
riuscito a oltrepassarlo senza danni.
“Chiudi la bocca, che se caschi ti mordi la lingua…” lo avvertì lui,
inseguendolo per terra. Chris scese giù e corse per la stanza, intorno al
divano, poi intorno all’altro, montò, quindi, sopra la poltrona di pelle nera e
tornò infine sul tavolo.
“Tana!” urlò lui.
“Ma
che tana!” fece Tom, prendendolo di nuovo come un sacco di patate e
dirigendosi verso di me, ridendo.
“Sì,
se sto sul tavolino, tu non puoi catturarmi!” brontolò il bambino.
“Questa regola l’hai messa ora. Non ha funzione retroattiva!”
“Non
so cosa vuol dire, ma non è giusto!” e iniziò a scalciare.
“Certo che è giusto!”
“No!”
“Sì!”
Erano
come fratelli. Uguali. Sia nell’aspetto che nel carattere.
Sorrisi nel vederli così uniti.
Cosa
avrebbe mai potuto volere di più, una madre?
“Ma
ero stanco!” protestò ancora Chris.
“Motivo in più per andare a letto…” tagliò corto Tom. “E stavolta ti ci lego.”
Aggiunse, interrompendo la sua obbiezione sul nascere.
Il
bambino sbuffò, rassegnato.
Tom
mi passò, poi, un braccio intorno alle spalle, e mi portò con sé verso la camera
di Chris.
Mise
quella piccola peste nel letto e gli rimboccò le coperte fin sotto il mento.
“’Notte tigre…” e gli scompigliò i capelli, per poi lasciare che fosse il mio
turno di salutarlo.
“Tanto io mi rialzò subito.” Mormorò, abbastanza forte perché suo padre potesse
sentirlo.
“Christian Kaulitz.” Lo chiamò lui, quindi, girandosi, correndo verso di lui e
buttandosi con un salto sul suo materasso. “Se ora non rimani sul serio in
questo letto fino a domani mattina, ti garantisco che ti lego sul serio…” lo
minacciò superiore.
Il
bambino rise divertito.
“Va
bene, va bene!” urlò, mentre suo padre iniziava a fargli il solletico. “Va bene!
Ora dormo!”
Tom,
quindi, si ritrasse e sorrise. “Bravo, Kaulitz.” E gli diede un piccolo buffetto
sulla guancia.
Uscimmo, poi, entrambi dalla camera e lasciammo la porta socchiusa.
Ed
anche questa sera siamo riusciti a metterli a letto,
ci dicemmo complici, guardandoci negli occhi.
“Domani devo svegliarmi presto…” si lamentò Tom, abbracciandomi, da dietro.
“Bè,
allora potevi risparmiarti, stasera…” risi io.
“È
stato più forte di me…” e iniziò a strusciare il naso contro la mia schiena
nuda, lasciando dei piccoli baci ogni tanto.
“Cosa
devi fare?” chiesi, stringendomi tra le sue braccia.
“Interviste. Questa volta, però, non dovete venire pure voi…” si affrettò a
dire.
“Meno
male.” Risi. “Chi lo tiene fermo, sennò, Chris?”
“Un
giorno o l’altro, lo lego davvero…”
L’ultima volta che venne portato ad un’intervista, infatti, iniziò a correre per
tutta la stanza, riuscendo persino a buttare per terra la telecamera sul
treppiedi.
I
giornalisti apprezzarono la tanta vivacità di quella peste, ma il cameraman un
po’ meno.
Allison, invece, non dava troppi problemi. Era matematico che a metà di ogni
intervista lei si addormentasse.
“Per
il nuovo singolo come siete messi?”
“Per
ora dobbiamo solo girare il video. Poi David ci ha assicurato una conferenza
stampa coi fiocchi.”
“E
cosa prevede il video?” domandai, girandomi per guardarlo negli occhi.
“Non
lo so, ancora. Ma penso che ce ne parlerà David tra qualche giorno…” Rispose
menefreghista. “Ah!” si ricordò lui, di colpo. “Cazzo, me l’ero dimenticato…”
mormorò, passandosi una mano sul viso.
“Cosa?” chiesi interrogativa.
“Jost
ha detto che la stampa chiede un’intervista di famiglia… la settimana scorsa è
toccata a Bill e Georg, ora sta a noi e Gustav.”
Sbuffai.
“Cazzi loro? Mai, eh?”
“Bonjour finesse, gattina!” rise lui.
“Che
ci vuoi fare? Praticamente ogni mese ne chiedono una!” disse irritata. “Sono sei
anni che vanno avanti così!”
“Già,
da quando ho rivelato il mio ‘incidente in moto’…”
“Mi
ricordo che da lì a poco si misero a pedinarti…” sospirai esasperata.
“Per
questo hanno saputo di te…”
“E di
Chris…” puntualizzai.
Lui
tornò ad abbracciarmi. “Bè, ora sai cosa vuol dire soffrire ore e ore seduti su
delle poltrone scomode a rispondere a migliaia di domande tutte uguali…”
Risi.
“Già…”
Poi,
lui posò delicatamente le sue labbra sulle mie.
“Te
l’ho mai detto che la tua presenza, inizialmente, ha fatto calare le nostre
vendite?” sussurrò sulle mie labbra, divertito.
“Ti
ricordo che non fui la sola… c’era anche Katrina e la ragazza di Gustav… e ora
c’è Maria…”
Lui
continuò a baciarmi, accarezzandomi il viso.
“Ma
poi siamo stati così bravi che abbiamo riconquistato tutti con la nostra musica…
anche se non proprio tutti tutti…” mormorò modesto lui, rotolando sopra di me.
“Diciamo che più semplicemente, avete perso tutte quelle ragazzine che vi
sbavavano dietro solo per il vostro aspetto…”
“Ma
servono per le vendite pure loro, sai?” ribatté, eccessivamente offeso.
“Che
vuoi fare, allora?” lo provocai. “Buttarmi fuori di casa?”
“Veramente, avrei in mente tutt’altro…” replicò con voce calda e sensuale, per
poi baciarmi sul collo e sulle spalle.
Io
feci passare le mani sul suo viso e sulle sue spalle, soffermandomi sulla
cicatrice provocata dal proiettile.
Aveva
rischiato davvero tanto per colpa mia…
Lui
notò la mia esitazione nei movimenti e si avvicinò al mio orecchio, dapprima
soffiando dolcemente, poi baciandolo.
“Mi
rende più sexy, non trovi?” sussurrò, quindi, facendomi sorridere.
Era
sempre lui.
Dopo
tutto ciò che avevamo passato, Tom era sempre Tom.
Solo
lui riusciva a capire ogni mio gesto, ogni mio sguardo, ogni mio pensiero.
Solo
lui riusciva a farmi sentire unica.
E
sentivo che anche per lui era così.
Io
ero sua.
Lui
era mio.
Per
sempre.
Ende
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Ed eccomi
qui. Proprio come avevo promesso.
Ecco a
voi il finale alternativo!
Quindi,
fate rewind e leggete!!
Vi è
piaciuto?
Bè, spero
proprio di sì...^^
Ho messo un link
[forse... c'ho lottato parecchio e ancora non sono sicura di esserci riuscita]
sulla parola 'Ende' per farvi sentire una canzone, che sicuramente
conoscete - visto che è molto famosa.
L'ho ascoltata per tutto il
tempo che ho scritto, e devo decisamente ammettere che è la sua. Questa canzone
si rispecchia perfettamente con tutto, a partire dalla situazione finale, per
concludersi raccogliendo tutti i pensieri di Lena.
Non pare anche a voi?
A proposito: se non
capite il testo e volete una traduzione, chiedete pure nella vostra recensione.
Vedrò di rispondervi!^^
Di una cosa sola, sono un po'
poco convinta. La conclusione. Non so perché...
Ci sto rimugiando da qualche
oretta, ma non mi viene niente di meglio. E' come se quello che volessi scrivere
fosse esattamente quello, ma lo vedo scritto male... boh, sarà solo per il fatto
che lo sto rileggendo ininterrottamente e comincio a non capire più nulla...^^"
Ah! Per chiunque lo volesse,
metto qui il mio contatto di msn:
irina_89@hotmail.it
E ora non ho altro da fare se
non ringraziare tutti voi che avete recensito, aggiunto la storia tra i
preferiti o solo letto.
Grazie infinite a tutti.
Ho apprezzato tantissimo i vostri commenti... leggere i vostri pensieri, le
vostre idee sulla fan fiction. E soprattutto mi ha reso estremamente contenta
che la storia vi sia piaciuta.
Bè, sinceramente, ora non so
più cosa dire.
Sapete, non sono molto brava
con le conclusioni, specialmente se sono definitive... ç___ç
Mi dispiace tantissimo che
questa storia sia giunta al termine. E vi avverto che, a differenza di 'sopravvivere'
- di cui sto scrivendo il sequel - di questa non ci saranno né ulteriori finali,
né seguiti...^^"
Questa è proprio la fine...
Non so quali saranno le
vostre reazioni, nel leggere questo ultimissimo capitolo - spero però me le
scriviate nelle recensioni - ma io mi sono messa a piangere. Lo so, state
pensando: è nuova... -.-" [con esattamente questa faccia..] ma sappiate che
questa storia mi accompagnato per così tanto tempo, che lasciarla per sempre è
dura...
Vabbè, poi c'è da dire che io
sono una che piange anche se cose finiscono bene, quindi non faccio molto
testo...^^"
Credo che a questo punto,
abbia detto proprio tutto e non resta che salutarvi tutti quanti.
Un bacione!!
Continuo a dire che i
commenti sono sempre ben accetti, quindi non fatevi problemi, se ne volete
lasciare qualcuno..^^"
_irina_
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