Da
quanto
tempo stava correndo? Dove stava andando? Non riusciva a rispondersi.
Vedeva
alberi ovunque si voltasse, ma continuava a procedere dritto per la
stessa direzione. Era buio, ma non riusciva a capire se fosse giorno
o notte. Non vedeva sole o luna, ma solo alberi che sembravano
infiniti. La sua impressione era che, ad ogni suo passo, quella
foresta si ampliasse per non
lasciargli via d'uscita.
Eppure
vedeva una luce davanti a sé. Un minuscolo puntino di luce. Uno
spiraglio nelle tenebre. Forse era solo un'allucinazione. Magari la
sua mente aveva bisogno di qualcosa in cui credere.
Il
suo cervello cercava risposte, ma lui non riusciva ad ottenerle. Ad
ogni momento una nuova domanda. Cosa ci faceva lì? Chi
era?
Andava
avanti senza fermarsi, ma ciò non gli provocava dolore, non lo
affaticava. Sapeva semplicemente di dover continuare, perché prima o
poi tutto quello sarebbe finito, avrebbe trovato una soluzione. O
forse no. Forse era destinato a camminare per l'eternità. Forse era
per qualcosa che aveva fatto. Non lo sapeva. L'unico oggetto di
conforto era quel pulviscolo di luce che sembrava allontanarsi
progressivamente da lui.
Sentiva
di avere qualcosa in tasca. Ma che cosa? Vi infilò una mano ed
estrasse una piccola fotografia. Rappresentava un bambino che
soffiava per spegnere le candeline sulla torta del suo sesto
compleanno. Sullo sfondo c'erano un uomo e una donna che battevano le
mani.
Una
lacrima gli scese per il volto. Iniziò a ricordare...
Quel
giorno si era alzato presto ed era andato di nascosto in salotto ad
aspettare i suoi genitori, che stavano ancora dormendo. C'era buio,
ma non gli importava, perché sapeva che da un momento all'altro
sarebbero arrivati, e tutta l'atmosfera sarebbe cambiata. Restò lì
seduto una mezz'ora pensando ai festeggiamenti e ai regali che
avrebbe ricevuto. Quando sentì aprirsi la porta rimase immobile,
assorto nei propri pensieri, fino a che percepì l'odore della torta
al cioccolato che gli piaceva tanto. Allora si alzò di scatto e
gridò di gioia. Quel giorno ricevette la prima bussola della sua
vita. Non sapeva cosa fosse, perciò papà lo portò a passeggiare
per una stradina di campagna che costeggiava un torrente. Non c'era
mai stato. Lì imparò ad utilizzarla. Suo padre gli disse che
c'erano diversi modi per orientarsi, come la posizione del sole nel
cielo o del muschio sui tronchi degli alberi, ma che quello era molto
più semplice. Bastava guardare la lancetta rossa.
E
adesso dov'era? Dov'era la sua lancetta rossa proprio quando gli
serviva? Non lo sapeva. O era per caso quella luce... In ogni caso
doveva continuare, sentiva di dover continuare.
Frugò
nell'altra tasca. Ne estrasse un bigliettino accuratamente ripiegato.
Davanti c'era scritto in stampatello: X
Papà
Non lo aprì. Gli bastava quello. Un forte senso
di
disagio lo invase come un lampo. Ricordò...
Aveva ormai dodici anni. Non sembrava
trascorso poi
tanto tempo da allora. Aveva già programmato da un paio di settimane
che sarebbe andato al cinema con degli amici. Non sarebbe stato
necessario allontanarsi molto da casa. Però era la prima volta che
usciva senza i suoi genitori. Cosa gli avrebbero detto? Non era
sicuro di volerlo scoprire. Scese le scale facendo attenzione a non
farsi sentire. Era pomeriggio e la mamma era uscita per fare compere.
In casa era solo con suo padre, che stava leggendo il giornale.
Solitamente c'era con lui anche il cane, sempre a russare sdraiato
con il muso sul suo piede. La sua morte, avvenuta circa un mese
prima, sembrava essersi portata via una parte del papà che aveva
tanto amato e che ora appariva come una scatola vuota, senza più
emozioni e sensibilità. Da allora non gli parlava quasi mai, restava
indifferente a ciò che gli diceva sulla scuola, sulle nuove
amicizie... Ogni tanto capitava che alzasse la voce. Questo lo
intimoriva più di ogni altra cosa, perché era un atteggiamento che
prima non poteva neanche immaginare. Solitamente papà discuteva con
lui e di rado perdeva la pazienza.
Perciò aveva paura. Paura di chiedere. Se ci
fosse
stata la mamma sarebbe stato diverso. Sarebbe stata lei ad avere
paura per lui. Anche se gliel'avesse negato, non ci avrebbe fatto
caso più di tanto. Ma lei non c'era. Perciò ritornò in camera sua
e scrisse su un pezzo di foglio strappato da un quaderno.
Ora, ripensandoci, non riusciva a ricordarsi
com'era
finita quella storia. Per quanto si sforzasse, sembrava che la sua
mente si ribellasse all'idea. Qualcosa era andato storto. C'entrava
forse tutto questo con la discussione avuta con suo padre? Perché
questo se lo ricordava. Si ricordava di essere stato sorpreso mentre
cercava di uscire di nascosto. Qualsiasi esperienza stesse vivendo,
la sapeva collegata a quel suo gesto. Comunque, non ricordava.
Si
concentrò sul luogo dove si trovava. Era parecchio strano. Nessun
rumore. Nessun verso. In una foresta come quella ci dovevano pur
essere degli animali. Pensò subito alla foresta amazzonica, piena di
vita e di colori. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere un essere
vivente a parte piante e arbusti in quel posto isolato. Pregò Dio
perché gli mandasse anche solo una lumaca o un insetto
insignificante. Niente. Sembrava che tutto fosse stato costruito
per lui, come uno scherzo di quelli che vedeva in televisione. Si
guardò attorno in cerca di telecamere nascoste, ma il suo tentativo
non portò ad alcun risultato. Doveva esserci una via d'uscita.
Aprì il biglietto. C'era un'unica frase composta
da due
parole nel piccolo foglio bianco: MI DISPIACE
Senza fermarsi, tornò nel passato...
Dopo aver piegato il foglietto più volte, si
infilò
le scarpe e scese in ingresso. Suo padre era ancora lì. Nella stessa
posizione di prima, come fosse una statua. Per fortuna non avrebbe
dovuto passargli davanti per uscire di casa, perché la porta
d'ingresso si trovava di fronte. Si avvicinò e spinse la maniglia
lentamente. Era chiusa. Prese le chiavi e le infilò nel buco della
serratura. Le girò lentamente e si aprì. In quel momento si accorse
di non aver lasciato il biglietto. Ritornò sui suoi passi e se lo
trovò davanti.
“Ehi, cosa stai facendo?”, urlò il padre.
“Ehm...” Non fece in tempo a parlare che venne
zittito.
“Tu non uscirai”, esclamò sicuro di sé.
Senza sapere cosa stesse facendo, afferrò la
maniglia con forza e uscì. Il padre lo seguì per un paio di secondi
con lo sguardo incredulo. Uscì a sua volta. Iniziò a rincorrerlo,
senza sapere che sarebbe stata l'ultima volta che lo faceva.
Cominciava a guadagnare terreno perché, nonostante la sua età, era
sempre stato un fanatico dello sport.
L'ultimo ricordo rimastogli era se stesso che
si
girava e vedeva il padre fermarsi di scatto. Aveva un'espressione
d'angoscia sulla faccia.
Sentiva
che c'era quasi. Stava per arrivare alla meta. Gli mancava solo un
piccolo dettaglio che gli sfuggiva. Cos'aveva visto suo padre?
Rifletté finché non fu interrotto da un fruscio proveniente dal suo
fianco. Sembrava qualcosa di impossibile. Sembrava... vento.
E si sbagliava o la luce si stava avvicinando?
Sentiva il suo dolce tepore. Era giunto alla fine del suo viaggio.
E
lì vide. Vide ciò che era successo. Vide ciò che l'aveva portato
dov'era. Il camion.
Suo padre l'aveva notato prima che fosse troppo tardi, ma lui no. Lui
aveva proseguito verso la morte. E poi era stato il buio. Si era
ritrovato a correre in quel luogo posizionato nel mezzo tra il mondo
e l'aldilà. In quel viaggio che ognuno compie per arrivare alla
luce.
La
vide più grande, più vera,
e capì che era libero, quando ne fece parte.
FINE
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